I CFO DEL 2025? DA CUSTODI DEI NUMERI AD ARCHITETTI DEL CAMBIAMENTO AZIENDALE

di Matteo Castelnuovo | 16/05/2025

Il 2025? Un anno cruciale in cui i direttori finanziari saranno chiamati a reinventare il proprio ruolo, trasformandosi da custodi dei numeri a veri strateghi e architetti del cambiamento aziendale.

 

E’ questa la sintesi di un’annata complessa e caratterizzata da incertezza e volatilità dei mercati globali, che, in vista della prossima edizione del CFO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit, abbiamo voluto comprendere meglio attraverso l’analisi e il commento di un recente white paper realizzato da Sap Concur per indagare più da vicino una trasformazione che passa necessariamente dall'adozione di tecnologie innovative e dalla capacità di integrare nuove competenze, come l'ESG reporting, nel DNA finanziario dell'impresa contemporanea.

 

DARE VITA AI PIANI DI CRESCITA DEL 2024
Secondo gli analisti internazionali, infatti, molti CFO nel 2024 hanno lavorato a strategie di crescita e reinventato i loro modelli di business. Nel 2025, quindi, il loro focus dovrà essere concentrato sull’esecuzione di questi piani, in collaborazione con CEO e stakeholder interni ed esterni. Costruire una leadership forte e investire nella comunicazione aziendale sarà essenziale per queste figure, al fine di garantire l’allineamento strategico e affrontare condizioni di mercato sempre più complesse.

 

INVESTIRE IN TECNOLOGIE CON VISIONE STRATEGICA
Secondo un’indagine Orgvue, l’82% delle aziende ha investito in intelligenza artificiale nel 2024, nonostante il 50% non fosse certo del suo impatto. Partendo da questo presupposto, quindi, nel documento, gli esperti sottolineano come: “Nel 2025, i CFO dovranno valutare con attenzione le tecnologie più efficaci, assicurandosi che siano in linea con gli obiettivi aziendali e con le normative internazionali sull’uso responsabile dell’AI”. L’adozione consapevole dell’innovazione, che tra l’altro è un tema di grande attualità in questi giorni anche in Italia, dopo che la premier Meloni ha rinnovato ieri l’intenzione del governo nel continuare a lavorare a stretto contatto con il Vaticano per la realizzazione di un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale, secondo gli analisti internazionali, “garantirà benefici tangibili in termini di efficienza e compliance”.

 

PRIORITÀ ALLA SICUREZZA INFORMATICA
Con un costo medio globale di una violazione dei dati stimato in 4,88 milioni di dollari nel 2024 (fonte: IBM), la cybersecurity è diventata ormai la priorità assoluta per qualunque tipo di organizzazione. In questo contesto, secondo il rapporto di Sap Concur: “I CFO, grazie alla loro visione olistica del rischio aziendale, sono i più indicati per collaborare con i CISO nella valutazione degli investimenti in sicurezza e nella formazione del personale per ridurre il rischio di errori umani, principale causa di attacchi informatici”.

 

ESG: DA OBBLIGO NORMATIVO A LEVA DI CRESCITA
L’integrazione dei criteri ESG (ambientali, sociali e di governance) è sempre più centrale per attrarre investitori e migliorare la reputazione aziendale. Sotto questo profilo, continuando a scorrere il documento, si capisce come: “I CFO, grazie alla loro competenza nella gestione dei dati, possono trasformare il reporting ESG in un vantaggio competitivo, definendo obiettivi misurabili e utilizzando i dati per ottimizzare le performance aziendali”. Una vera e propria mission questa che, tra l’altro, si accompagna anche alle sempre più stringenti normative europee entrate in vigore da tempo, ormai, e che, nei prossimi anni, orienteranno maggiormente l’attenzione delle imprese verso tematiche di sostenibilità finanziaria e non finanziaria, che rappresentano fattori essenziali per lo sviluppo e la crescita delle organizzazioni, anche sotto un profilo reputazionale e di opportunità di innovazione e visibilità.

 

AFFRONTARE IL TALENT CRUNCH
Con il ritiro dei baby boomer e l’evoluzione delle aspettative dei giovani professionisti, il mercato del lavoro sarà sempre più competitivo. Una vera e propria corsa che porterà i leader dell’impresa contemporanea a dover trovare nuovi metodi per gestire e trattenere i propri talenti. Una sfida su cui gli analisti internazionali hanno riflettuto attentamente in questa analisi, arrivando sottolineare come anche “i CFO dovranno collaborare con le risorse umane per sviluppare programmi di formazione continua e adattare le politiche aziendali alle nuove esigenze generazionali”. Inoltre, l’automazione di attività ripetitive tramite AI permetterà ai dipendenti di concentrarsi su mansioni a maggior valore aggiunto, aumentando la soddisfazione e la retention. Ma questo sarà possibile, chiaramente, solo se ci saranno opportuni investimenti su nuove tecnologie e anche su differenti e inediti modelli e processi di lavoro e di gestione manageriali. Aspetti su cui i C-level dovranno confrontarsi e a cui andrà prestata sempre più attenzione.

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Marketing & Innovation

WELFARE: IL VALORE DEGLI INSIGHT PER UNA COMUNICAZIONE HR PIÙ AUTOREVOLE, LA GUIDA DI ALTROCONSUMO B2YOU CON SATISPAY

Nel panorama attuale del lavoro, dove le persone chiedono sempre più attenzione alla propria qualità di vita, anche i benefit aziendali più consolidati meritano di essere raccontati e valorizzati meglio. Tra questi, i buoni pasto rappresentano uno degli strumenti di welfare più diffusi, ma spesso comunicati in modo frettoloso o riduttivo. Eppure, la loro portata è tutt’altro che marginale.

 

Basti pensare che secondo una recente ricerca di Secondo Welfare, in Italia l'intero segmento dei benefit aziendali per i dipendenti nel 2025 potrebbe raggiungere gli 8 miliardi di euro, triplicando così i valori ottenuti nel 2023 e proponendo un tasso di crescita pari a oltre il 300% in soli due anni. Un contesto nel quale i buoni pasto rappresentano quasi la metà del valore totale. Dati significativi, questi, che mostrano come, nel nostro Paese, l'attenzione delle imprese sul tema stia cambiando e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo realizzato da Altroconsumo B2YOU, in vista della sua partecipazione alla prossima edizione del CMO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso gli spazi dell'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit

 

UN MERCATO DA 4 MILIARDI DI EURO

Secondo gli analisti il valore di mercato dei buoni pasto, oggi, in Italia è pari a circa 4 miliardi di euro e sta vivendo uno sviluppo in continua evoluzione, con un incremento del 10%, anno su anno, delle aziende tricolore che sfruttano questo strumento e un aumento costante dei milioni di dipendenti che ne usufruiscono ogni giorno. A tal punto che, secondo una recente indagine condotta da Altroconsumo, l’81% dei lavoratori utilizza i buoni pasto per fare la spesa, il 51,7% li impiega per il pranzo quotidiano e circa il 75% si dichiara soddisfatto di questo strumento. Ma accanto a questi dati positivi emergono anche frizioni nell’esperienza d’uso quotidiana: problemi di resto, scadenze, mancata chiarezza sulle modalità di utilizzo. E, sullo sfondo, un dato ancora più rilevante: il 60% della Gen Z sarebbe disposto a cambiare lavoro entro un anno se insoddisfatto, rendendo il benessere percepito una leva strategica anche nella retention.

 

L'ESPERIENZA DI B2YOU E SATISPAY

Per questo, ogni strumento di welfare richiede un impegno comunicativo proporzionato al suo impatto. Ed è qui che entra in gioco B2YOU, la divisione B2B di Altroconsumo: un partner capace di affiancare le imprese nella costruzione di contenuti chiari, credibili e utili, partendo dall’ascolto delle reali esigenze delle persone. La collaborazione tra Altroconsumo e Satispay nasce proprio con questo obiettivo: dare ai responsabili HR uno strumento agile per comprendere e raccontare in modo efficace i cambiamenti in atto nel mercato dei buoni pasto. Il risultato è stata la guida "Buoni Amici", un prodotto editoriale co-branded pensato per informare, orientare e valorizzare il ruolo di questo benefit all’interno del contesto aziendale. La guida (che può essere scaricata e consultata a questo link) integra il know-how normativo ed editoriale di Altroconsumo con gli insight raccolti attraverso la propria community di consumatori ACmakers, offrendo una sintesi efficace dei trend in corso e delle innovazioni introdotte da Satispay come nuovo operatore digitale.


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Supply Chain & Procurement

NEUTRALITÀ DEL CARBONIO: COSì SI TRASFORMANO LE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO PER UNA MAGGIORE SOSTENIBILITÀ

È sempre più evidente, ormai, come per poter combattere il cambiamento climatico, le aziende e i governi debbano ripensare la gestione e le operazioni delle proprie catene di approvvigionamento. Un redesign che deve ovviamente iniziare da quelle tratte e rotte più battute e quindi più inquinanti per il mondo.

 

Un argomento questo che, se unito a quello dei dazi, risulta il vero ago della bilancia per la redefinizione della global supply chain e anche il riposizionamento dei siti produttivi più importanti e strategici. Basti pensare, per esempio, alla rilocalizzazione in India degli stabilimenti di Apple. Un chiaro segno di trasformazione degli equilibri della value chain su cui abbiamo voluto riflettere attraverso l’analisi e il commento di un recente studio di Martin Schleper, ricercatore di NEOMA, che indaga come in questo contesto volatile e in continuo mutamento, l’integrazione di innovazioni sostenibili che portino a emissioni di carbonio negative aiuti enormemente la gestione e la transizione delle catene del valore verso un futuro migliore. Un approfondimento che vi proponiamo di seguito anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo dei Direttori Acquisti, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione pensata per dare valore ai migliori C-level dell’impresa contemporanea, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.

 

IL VERO PUNTO DI PARTENZA

Se ci pensiamo bene, infatti, tutti i nostri prodotti di uso quotidiano percorrono un lungo viaggio prima di arrivare a noi. Le loro complesse catene di fornitura sono accompagnate da impatti economici, sociali e ambientali tutt'altro che marginali. A tal punto che oggi è riconosciuto unanimemente come più della metà dei gas serra del mondo siano emessi da sole otto filiere settoriali, tra cui quella alimentare, edilizia e della moda. In questo senso, inoltre, gli esperti concordano sul fatto che la neutralità delle emissioni di carbonio prevista come risposta al cambiamento climatico non possa essere raggiunta senza il coinvolgimento attivo dei settori più inquinanti e, in quest'ottica, lo studio condotto dal ricercatore di NEOMA e dai suoi collaboratori ha esplorato i diversi approcci adottati dalle aziende e il loro reale impatto sul clima.

 

TRASFORMARE, MA NON TROPPO

Lo studio inizia esaminando l'adattamento e la mitigazione, due approcci comuni utilizzati dalle aziende per cambiare il modo in cui gestiscono le loro catene di approvvigionamento. L'adattamento è una strategia reattiva basata sulla gestione del rischio. Comporta l'adeguamento delle attività per mitigare i danni del clima. Ad esempio, la delocalizzazione dei siti dei fornitori se si trovano in aree critiche. La mitigazione è più proattiva, poiché il suo obiettivo è ridurre o eliminare le emissioni. Come si può ottenere? Alimentando le attività con energia rinnovabile, passando a processi produttivi a basse emissioni di carbonio o utilizzando materiali riciclabili. “Tuttavia – sottolineano gli esperti -, l'obiettivo finale di entrambi questi approcci è mantenere la redditività economica dell'azienda. Sebbene queste azioni siano necessarie potrebbero non essere sufficienti. A lungo termine, potrebbero addirittura danneggiare la reputazione di un'azienda. Infatti, la società e i consumatori potrebbero richiedere un maggiore impegno da parte loro”. Lo studio sottolinea quindi che per diventare attori principali nella lotta al cambiamento climatico, “le catene inquinanti di oggi non devono solo essere adattate, ma trasformate”.

 

TECNOLOGIE NET PLUS ULTRA

I climatologi affermano che sono necessari mezzi più radicali per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, che mira a limitare l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C rispetto alla media

preindustriale. “È qui che – secondo i ricercatori – entrano in gioco le tecnologie a emissioni negative, note anche come NET”. Si tratta di catturare la CO2 dall'atmosfera e di immagazzinarla in modo permanente in serbatoi geologici sulla terraferma o negli oceani, oppure in prodotti. Attualmente si stanno studiando un'ampia varietà di metodi, dai più naturali, come la riforestazione, ai più tecnici.

L'analisi dei ricercatori si è concentrata in particolare sul biochar, un prodotto che sequestra il carbonio per migliaia di anni. “Si forma dalla decomposizione chimica della materia organica ad alte temperature – si legge nello studio –, formando una sorta di carbone. Questo prodotto può essere utilizzato nei fertilizzanti agricoli per migliorare la qualità del suolo”. Sebbene queste soluzioni siano promettenti, gli esperti notano che “esistono grandi incertezze riguardo alla governance, ai costi, all'efficacia e all'accettabilità sociale di tutte le tecnologie a emissioni negative”.

 

RIPENSARE LE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO

Inoltre, “considerando la loro novità, è probabile che alcune di queste tecnologie fatichino a prendere piede a causa di mercati poco definiti e della mancanza di infrastrutture e partnership”. Ad esempio, la cattura della CO2 soffre della sindrome “Not in my backyard (NIMBY)”, che sta rallentando anche la diffusione delle energie rinnovabili. “Si tratta di un problema di accettabilità – sostengono i ricercatori –, con persone che vogliono beneficiare dei vantaggi di una tecnologia ma si oppongono all'installazione di infrastrutture a causa del fastidio che potrebbero causare”. Cosa si può fare, dunque, per garantire che le catene di approvvigionamento si trasformino davvero per il bene del nostro pianeta? Il primo risultato dello studio è che “la transizione non può essere realizzata senza un intervento politico. Senza normative che incoraggino o obblighino le aziende ad adottare queste tecnologie, è improbabile che le grandi imprese investano massicciamente in partnership puramente ecologiche. Anche nuove normative sotto forma di tasse sul carbonio o sistemi di quote potrebbero spronare questi attori ad agire”. In secondo luogo, poi, lo studio evidenzia anche un cambiamento di paradigma per cui “l'ambiente sta diventando una priorità”. In altre parole, “non è più necessario sviluppare attività per la loro redditività economica, ma per i loro benefici ecologici”. Una visione radicalmente opposta agli attuali metodi di gestione.

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Marketing & Innovation

IL 40% DELLE GRANDI AZIENDE HA SISTEMI DI ROBOTIC PROCESS AUTOMATION, MA SOLO IL 23% USA L’AI NELL’AUTOMAZIONE DEI PROCESSI

Oggi per le organizzazioni sono disponibili soluzioni sempre più sofisticate in grado di automatizzare interi processi complessi, completamente ripensabili attraverso la collaborazione uomo – macchina, e le aziende italiane stanno cogliendo questa opportunità. Già il 40% delle grandi imprese del nostro Paese utilizza sistemi di Robotic Process Automation (RPA), tecnologie che automatizzano compiti ripetitivi attraverso software robot o "bot". Un dato che ci posiziona al terzo posto tra i principali Paesi europei (analizzando anche Spagna, Germania, Francia e Regno Unito), subito dietro Regno Unito (48%) e Germania (41%). Molto diffuse anche soluzioni di workflow automation (56%), che eliminano attività manuali e ripetitive tramite software che consentono di gestire e monitorare i processi (tendenzialmente applicate in contesti più semplici), mentre sono più rare quelle di process mining, la tecnica che utilizza i log degli eventi per migliorare la comprensione e l'efficienza dei processi, o quelle di process intelligence, che analizzano dati storici e in tempo reale per identificare inefficienze, ottimizzare le attività e migliorare la produttività (38%). Se si analizzano però le soluzioni di Intelligent Process Automation, quelle più avanzate in cui per l’automazione dei processi è utilizzata l’Intelligenza Artificiale, queste oggi sono utilizzate solo dal 23% delle grandi aziende del nostro Paese. E l’Italia si colloca all’ultimo posto tra gli stati europei analizzati, ben distante dal Regno Unito (32%), ma dietro anche a Spagna (26%), Germania (26%) e Francia (25%).

 

Questi sono solo alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Intelligent Business Process Automation della School of Management del Politecnico di Milano, che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CIO Summit, l'evento dedicato al mondo dei Chief Information Officer, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea e organizzata da Business Internaitonal, la knowledge unit di Fiera Milano. In un'epoca in cui la digitalizzazione sta trasformando ogni logica, dinamica e processo dentro e fuori dalle organizzazioni di ogni genere e dmensione, infatti, i direttori IT diventano i veri abilitatori del cambiamento, evolvendo il proprio ruolo da gestori di infrastrutture, dispositivi e software a veri e propri promotori della rivoluzione industriale in atto. Un cambio di passo di grande attualità e da non sottovalutare, questo, tanto per le aziende, quanto per gli stessi professionisti del settore che devono assumere un nuovo ruolo, inedite responsabilità e soprattutto una visione e una strategia d'azione completamente differenti.
 

L'OSSERVATORIO

Secondo il rapporto, i principali settori in cui sono diffuse queste tecnologie sono finanza, servizi alle imprese, utility, telco e manufacturing. Le soluzioni più diffuse sono l’Intelligent Document Processing, che permette di aumentare la flessibilità delle soluzioni RPA estraendo informazioni da dati non strutturati (come documenti, brevi comunicazioni su strumenti di collaboration, immagini), l’RPA conversazionale e le logiche decisionali intelligenti. “Nell’automazione dei processi aziendali oggi la sfida principale per le aziende sta nella capacità di governare la trasformazione in atto – aggiunge Giovanni Miragliotta, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Intelligent Business Process Automation -. Bisogna navigare in un’offerta tecnologica in velocissima evoluzione, evitando l’esplosione della complessità e dei costi. Bisogna poi identificare correttamente i processi in cui le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale possono portare valore, e, laddove necessario, approfittare dell’automazione per migliorare e snellire processi e workflow. Infine, vi è un cambio culturale, la Process Automation non è una tematica unicamente IT. Democratizzare lo sviluppo mantenendo il governo delle iniziative è necessario per evitare di creare colli di bottiglia e nuove inefficienze”.

 

L'ADOZIONE DELLA BUSINESS PROCESS AUTOMATION

Un tema estremamente importante, questo, anche pensando alla necessità di allargare lo spettro di nuove competenze digitali a ogni settore e livello professionale. Uno standard, si potrebbe dire, a cui tutte le aziende dovrebbero aspirare e che, però, ovviamente impone di aver, prima di tutto, investito in nuove infrastrutture di rete e architetture di dati, al fine di poter avere davvero un abbattimento dei silos informativi a 360 gradi. “Anche se la Process Automation non è una tematica nuova di per sé, sono una minoranza le aziende pronte ad introdurre nei propri processi le tecnologie più innovative. Bisogna aver già lavorato sulle componenti abilitanti, sia tecnologiche come la digitalizzazione di base e l’interoperabilità di dati e sistemi, sia culturali.  – aggiunge Irene Di Deo, Direttrice dell’Osservatorio Intelligent Business Process Automation -. L’automazione dei processi non può essere vista come una mera sostituzione del lavoro umano, ma come un’opportunità per comprendere le leve di creazione di valore per i clienti e le competenze e qualità irrinunciabili delle persone. Per questo, il titolo della ricerca di quest’anno pone l’accento sulla necessità di conoscere i propri processi, specifici di ogni realtà aziendale”. Sotto questo profilo, peraltro, i dati sottolineano come, complessivamente, il 51% delle grandi aziende italiane utilizzi la Business Process Automation, con un qualche approccio tecnologico. Tra quelle che hanno avviato almeno una sperimentazione, il 58% ha attivato casi d’uso trasversalmente su diversi dipartimenti e processi, ma soltanto l’8% ritiene di aver implementato la Process Automation su larga scala. Tra queste, ci sono quasi esclusivamente grandissime realtà multinazionali. La Process Automation tradizionale viene utilizzata nel 76% dei casi in area amministrazione, finanza e controllo, seguono le aree Operations (65%) e Acquisti (61%). Guardando, invece, all’Intelligent Process Automation, tra le aziende che l’hanno già introdotta, l’area aziendale più citata è il customer service (28%). In quest’ambito, la gestione delle richieste dei clienti (ad es. sullo status di una pratica o un chiarimento su un servizio su abbonamento) spesso implica il reperimento di dati, il compimento di specifiche azioni e una risposta quanto più fluida e rapida possibile: qui sia soluzioni di RPA Conversazionale sia soluzioni che introducono logiche decisionali intelligenti possono portare grandi benefici. Seguono come adozione Operations (22%) e Amministrazione, Finanza e Controllo (18%).
 
PROFILI E COMPETENZE

Per quanto riguarda le scelte organizzative, tra le grandi aziende che hanno avviato almeno una sperimentazione di automazione dei processi, solo il 17% si appoggia esclusivamente all’esterno, mentre il 43% ha definito figure di riferimento interne e un ulteriore 40% ha un vero e proprio team dedicato. Il 54% delle organizzazioni ha attivato programmi di formazione su competenze tecniche e/o di analisi dei processi per espandere la platea di persone coinvolte, ma a dedicarsi all’automazione ci sono principalmente esperti IT. Tra chi ha professionisti interni, in un’azienda su due sono presenti esperti di analisi e di ottimizzazione dei processi, mentre è più limitata la presenza di Data Scientist o esperti verticali, come specialisti di User Experience o di Robotic Process Automation. Il 74% delle aziende ha implementato un sistema di monitoraggio dei benefici raggiunti. Le metriche più utilizzate sono riduzione dei costi operativi tramite risparmio di tempo su attività manuali (62%), miglioramento della qualità dei processi (48%) e tempi di ciclo più rapidi e quindi riduzione dei tempi di completamento (45%). Tra le aziende già attive in ambito Process Automation tradizionale, il 45% vuole introdurre competenze di Intelligenza Artificiale nei prossimi 12 mesi. Quelle che invece si sono già mosse in ambito Intelligent Process Automation vogliono ampliare il numero di processi automatizzati (62%) e integrare sempre di più sia l’AI sia la Process Intelligence (47%). Un campanello d’allarme viene dalla scarsa attenzione posta sulla formazione (citata solo dal 12% delle aziende) e sulla creazione di una roadmap dedicata all’automazione a livello aziendale (7%).
 
LA VISIONE DELLE PMI 

Le piccole e medie imprese mostrano una scarsa adozione di tecnologie di Process Automation, sia tradizionale sia intelligente. Solo il 9% dichiara di utilizzare soluzioni di Robotic Process Automation e in meno dell’1% dei casi sono state attivate sperimentazioni di utilizzo dell’AI per l’automazione. Il mercato è però in una fase di cambiamento, che fa ben sperare: già negli scorsi anni sono nate soluzioni pensate anche per le esigenze delle PMI e sempre di più le evoluzioni tecnologiche permetteranno di semplificare la creazione di piccole automazioni, riducendo i costi associati e le competenze necessarie per lo sviluppo. In questo senso, le soluzioni proposte dal mondo dell'innovazione e in modo particolare delle startup sta contribuendo significativamente a offrire un boost al sistema. Nell’offerta di soluzioni di Process Automation, infatti, sono già molte le startup attive anche nel nostro Paese e secondo gli esperti dell'osservatorio queste realtà potranno avere un ruolo determinante, se riusciranno a tradurre le opportunità offerte dai modelli di AI e Generative AI in applicazioni concrete o in piattaforme che ne facilitino la governance per le aziende. Sono state censite a livello internazionale 312 startup che propongono soluzioni con forti capacità di Artificial Intelligence con finalità di automazione, capaci di raccogliere complessivamente 2,3 miliardi di dollari, con un finanziamento medio di quasi 9 milioni di dollari. Ancor più che singole applicazioni verticali (ad esempio agenti specializzati nel customer service, nelle vendite o nelle attività di amministrazione e controllo), di particolare interesse per gli investitori risultano quelle startup che offrono soluzioni di sviluppo, orchestrazione e monitoraggio degli agenti, abilitando un nuovo modo di fare automazione dei processi, capaci di raccogliere il 52% dei finanziamenti totali.

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Human Resources

LA GEN Z NON HA VOGLIA DI LAVORARE? NON È VERO. ECCO GLI 8 CONSIGLI PER COINVOLGERLA AL MEGLIO SUL POSTO DI LAVORO

Si sa, c’è ormai la credenza diffusa che la Gen Z non abbia così tanta voglia di lavorare. Troppo tempo sui social, troppe pretese e poca concentrazione. Ma è veramente così? Trattandosi di una generazione differente da quelle precedenti, un po’ come tutte, del resto, non avrebbe semplicemente bisogno di essere coinvolta e trattata in maniera diversa rispetto ad esempio ai Millennials?

 

Un tema, questo, che attanaglia tanto i Chief Marketing Officer, che guardano all'esterno per capire come coinvolgere un mercato composto da nuove generazioni di utenti e clienti sempre più esigenti, quanto ai Direttori HR, che orientano la propria attenzione verso l'interno per comprendere come valorizzare al massimo i propri talenti più giovani, e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo, attraverso l'analisi e il commento di un recente white paper a cura di MobieTrain. Un documento, realizzato dalla piattaforma di microlearning dedicata alla formazione del personale, che vuole suggerire 8 consigli pratici per coinvolgere al meglio un lavoratore della Gen Z sul posto di lavoro e che vi proponiamo di seguito anche in vista della prossima edizione del HR Directors Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, previsto il prossimo 19 e 20 giugno 2025, presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level del momento, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.

 

GLI 8 CONSIGLI DI MOBIETRAIN

Secondo gli esperti di microlearning, infatti, le parole d’ordine per riuscire a ingaggiare le nuove generazioni si professionisti sono: coinvolgimento, gamification e feedback costanti. Andando nello specifico, inoltre, il primo suggerimento proposto è quello di utilizzare una comunicazione trasparente e dare feedback costantemente: "La Gen Z - sottolineano gli analisti dell'azienda -, abituata ad un flusso di comunicazione e di informazioni continuo e rapido, apprezza la trasparenza e il ricevere feedback costantemente". A testimonianza, quindi, di come fornire loro un riscontro puntuale e costruttivo li aiuti a sentirsi valorizzati e soprattutto allineati con la mission e gli obiettivi dell’organizzazione per cui lavorano. In secondo luogo, poi, le indicazioni proposte si orientano anche sull'offrire un posto di lavoro flessibile e ibrido. Secondo l'azienda, infatti, "i giovani nati tra il 1997 e il 2012 sono cresciuti vedendo intorno a loro la possibilità di lavorare, ma anche studiare, da remoto. Offrire quindi spazi di lavoro flessibili e ibridi può aumentare il loro rendimento e la loro soddisfazione. Specialmente per questa generazione, è importante che il posto di lavoro rispetti l’equilibrio tra vita privata e lavoro, magari con la possibilità di lavorare in smart working per qualche giorno alla settimana". In terza istanza, quindi, anche il fornire strumenti digitali all’avanguardia per i professionisti di nuova generazione ha il peso. In questo senso, "essendo composta nativi digitali - spiegano gli esperti di microlearning -, la Gen Z ha molta dimestichezza con la tecnologia. Fornirgli strumenti digitali all’avanguardia e moderni li renderà sicuramente più produttivi, oltre a velocizzare le attività di lavoro". Un altro aspetto fondamentale risulta essere anche la promozione della diversità e dell’inclusione: "i giovani che fanno parte di questa generazione sono particolarmente vicini a tematiche come l’inclusione e la diversità - sottolineano gli analisti dell'azienda -. Offrire loro un ambiente di lavoro aperto in cui possano sentirsi accettati e valorizzati è fondamentale". In questo contesto, peraltro, è diventato essenziale essere in grado di proporre alla propria forza lavoro anche opportunità di apprendimento e di crescita. "A dispetto di quanto si possa pensare - avverte l'azienda -, non è affatto vero che alla Gen Z non interessa lavorare, anzi. Questa generazione è in cerca di apprendimento continuo e di possibilità di crescita. Potrebbe essere utile offrire loro programmi di formazione, meglio se continua, e possibilità di avanzamento professionale. Ad esempio, MobieTrain offre una applicazione per formarsi in qualsiasi momento e ovunque ci si trovi. Grazie alla web app, ogni dipendente può dedicare qualche minuto al giorno, o quando può, a conoscere meglio la propria azienda, per essere più preparato e allineato alla vision aziendale quando parla con i clienti". Ovviamente, però, al netto di queste opportunità, sembra che le nuove generazioni di professionisti siano le prime a chiedere di rendere il business e la formazione per il business meno statica e tradizionale, portando le aziende a cercare innovazione anche sotto quel punto di vista. Proporre attività di gamification per trasformare in gioco - ad esempio con punti, classifiche interne ed eventuali penitenze - le attività della settimana, così, secondo gli esperti "può aiutare i giovani ad essere più coinvolti e motivati sul lavoro. Ciò stimola il desiderio di competere amichevolmente e li motiva a migliorare costantemente, senza sentirsi eccessivamente sotto pressione". A questo si aggiunge, inoltre, un altro aspetto di valorizzazione, sopratutto in un momento di grande rivoluzione digitale come quello che stiamo vivendo, ovvero, la possibilità di dar vita a progetti di “Reverse Mentorship”. Secondo gli analisti dell'azienda, infatti, "invertire i ruoli tradizionali in azienda può essere una grande risorsa: da una parte i giovani della Gen Z possono aiutare i colleghi più senior con le loro competenze digitali, dall'altra i colleghi possono aiutare i giovani nell’imparare meglio il lavoro, con un occhio di riguardo nei confronti della parte burocratica, amministrativa e perché no, anche più relazionale". E se questo non bastasse, c'è sempre la possibilità di non far annoiare i propri dipendenti su mansioni nelle quali magari non si ritrovano personalmente, dando loro invece di esprimere al massimo le proprie potenzialità. Sotto questo profilo, quindi, secondo gli esperti: "permettere alla Gen Z di cambiare ruolo con un collega, per un breve periodo, consente di assicurarsi una visione d’insieme dell’azienda. Questo approccio consente ai giovani di vedere da vicino anche le attività degli altri, migliorando il lavoro di squadra e potenziando l’approccio empatico nei confronti dell’azienda".

 

"Se c’è una cosa che non cambia mai, è il pensiero che la generazione successiva sia “la peggiore di sempre.” Ricordate? I giovani di oggi “non vogliono lavorare” e “non sanno cos’è il sacrificio” – un tormentone che va avanti da sempre. Eppure, tra una battuta e l’altra, è essenziale capire che la Gen Z ha semplicemente prospettive e priorità diverse - commenta Laura Fornaroli, Marketing Manager di Mobietrain - Questa generazione non è “peggio” di quelle precedenti, è semplicemente cresciuta in un contesto diverso, dove la stabilità lavorativa ha meno valore e il benessere personale conta di più. Dall’ascolto attivo al coinvolgimento genuino, fino a capire cosa conta davvero per loro sul posto di lavoro. Sono semplici consigli che però possono aiutare un’azienda e il management nell’interagire lavorativamente al meglio con questa fascia della popolazione, sempre più presente nel contesto lavorativo odierno”.

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Marketing & Innovation

SEMPLIFICARE LA COMPLESSITÀ: COME ALTROCONSUMO B2YOU HA TRASFORMATO IL CODICE IDENTIFICATIVO NAZIONALE IN UNA COMUNICAZIONE EFFICACE CON AIRBNB

In un'epoca caratterizzata da un proliferare di normative e da consumatori sempre più esigenti, la comunicazione chiara e trasparente è diventata una priorità strategica per le aziende. Secondo recenti indagini, il 55% dei clienti dichiara di non fidarsi più delle aziende come in passato e il 65% guarda con scetticismo ai comunicati stampa ufficiali. Che si tratti di un nuovo regolamento, di una procedura da seguire o di un diritto da esercitare, le persone chiedono spiegazioni semplici, comprensibili e affidabili. E vogliono riceverle da fonti autorevoli.

 

Un tema di grande importanza ai giorni nostri che abbiamo voluto approfondire in questo articolo realizzato da Altroconsumo B2YOU in vista della sua partecipazione alla prossima edizione del CMO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso gli spazi dell'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit

 

FACILITARE IL DIALOGO TRA AZIENDE E CONSUMATORI

Tradurre concetti complessi in informazioni accessibili non è un compito semplice. Le aziende spesso si scontrano con barriere linguistiche, culturali e tecniche. In questo scenario, B2YOU, la divisione B2B di Altroconsumo, offre competenze specializzate che facilitano il dialogo tra imprese e consumatori, trasformando informazioni complesse in conoscenza chiara e accessibile.

 

L'ESEMPIO DEL PROGETTO CON AIRBNB

Un esempio concreto è il progetto sviluppato in collaborazione con Airbnb, per spiegare in modo efficace il nuovo Codice Identificativo Nazionale (CIN), obbligatorio dal 2025 per tutte le strutture ricettive. Il CIN, nato per garantire tracciabilità e legalità, rischiava di restare una sigla incomprensibile per molti utenti.

Altroconsumo B2YOU ha progettato una campagna di comunicazione multiformato per chiarire il significato e il funzionamento del codice:

● Una guida, cartacea e digitale, realizzata con un linguaggio semplice e diretto, per spiegare passo dopo passo cos'è il CIN, a chi si applica e come ottenerlo.

Due video informativi, progettati per chiarire dubbi e anticipare domande frequenti, con uno stile visivo e dinamico che ne facilita la comprensione a tutte le audience, disponibili su YouTube e LinkedIn.

 

UN OBIETTIVO COMUNE

Grazie a questi contenuti, il tema del CIN è stato reso accessibile e comprensibile, contribuendo a sensibilizzare non solo i proprietari di immobili, ma anche i viaggiatori e le famiglie. Quando si comunica con trasparenza, ogni concetto – anche il più tecnico – può diventare patrimonio comune.

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Supply Chain & Procurement

SUPPLY CHAIN FINANCE, UN MERCATO POTENZIALE DA QUASI 600 MILIARDI, MA BUSSANO ALLA PORTA AI E NUOVE NORME A CUI ADEGUARSI

Nel 2024 i valori del Supply Chain Finance mostrano una sostanziale stabilità, ma a movimentare il settore sono arrivate importanti evoluzioni normative e tecnologiche. Dopo una crescita del 6,3%, che l’ha portato a toccare 596 miliardi di euro nel 2023, nel 2024, con uno scenario macroeconomico più stabile, caratterizzato dall’aumento dei tassi di interesse, il mercato potenziale italiano del credito di filiera cresce tra lo 0,5 e il 3%, raggiungendo un valore compreso tra 594 e 599 miliardi di euro di crediti commerciali.

 

Questi, sono solo alcuni dei dati che l'Osservatorio Supply Chain Finance della School of Management del Politecnico di Milano ha evidenziato nella sua ultima edizione, presentata qualche settimana fa, e che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo attraverso un analisi commentata del report che vi proponiamo di seguito. Un approfondimento, che abbiamo sviluppato, anche per poter comprendere meglio le dinamiche di mercato, in vista della prossima edizione del CPO Summit, l'evento dedicato al mondo del Procurement, previsto il prossimo 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea, ideata e organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.

 

IL SUPPLY CHAIN FINANCE NEL 2024

Secondo le stime, nel 2024 il mercato servito da soluzioni di Supply Chain Finance resta sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente, perché tra i diversi strumenti risulta stabile l’utilizzo delle imprese di quelli più tradizionali (ma di maggiore diffusione) come Factoring, Reverse Factoring, Anticipo Fattura e Confirming, mentre crescono in modo significativo le soluzioni innovative come Purchase Order Finance, Carta di Credito B2B, Dynamic Discounting e l’Invoice Trading. Nello specifico, per il 2024 le stime indicano che il 22% del mercato potenziale è servito da soluzioni di Supply Chain Finance, per un valore complessivo di circa 131 miliardi di euro. Si mantengono sostanzialmente invariati rispetto all’anno precedente i valori del Factoring (60,4 miliardi di euro), dell’Anticipo Fattura (54 miliardi), del Reverse Factoring (9 miliardi) e del Confirming (1,6 miliardi). Crescono, invece, in modo rilevante le soluzioni più innovative, come il Purchase Order Finance, che ha registrato un aumento del 35%, raggiungendo 1,4 miliardi di euro, ma anche il Dynamic Discounting, che aumenta del 17% (0,8 miliardi), la Carta di Credito B2B, che ottiene un incrmento dell’11% (3,8 miliardi), e l’Invoice Trading, +5% (0,6 miliardi). “Anche nel 2024 il Supply Chain Finance si conferma una leva strategica per affrontare le sfide dello scenario macroeconomico, caratterizzato da incertezze e pressioni sul capitale circolante - afferma Federico Caniato, Direttore dell’Osservatorio Supply Chain Finance -. Ma, se il mercato mostra una certa stagnazione, stanno profondamente impattando il settore importanti novità relative a regolamentazione e tecnologia. Le nuove regole sulla rendicontazione delle soluzioni di supplier financing, basate sulle linee guida introdotte dallo IASB, infatti, sembrano rallentare l'adozione di soluzioni di supplier financing, per l'incertezza e le complicazioni tecniche nella rendicontazione. Mentre le direttive CSRD e CS3D sulla sostenibilità ne rimarcano la centralità: le soluzioni “sostenibili” di Supply Chain Finance possono aiutare le imprese nella transizione e gli ESG information provider possono ricoprire un ruolo centrale per abilitare la sostenibilità nelle soluzioni SCF”.

 

GLI IMPATTI POSITIVI DELLA TECNOLOGIA

In questo contesto, l'Intelligenza Artificiale sta emergendo come una tecnologia di supporto nei processi di Supply Chain Finance, anche se la sua adozione presenta sfide significative, tra cui innanzitutto la necessità di dati di alta qualità – spiega Antonella Moretto, Direttrice dell’Osservatorio Supply Chain Finance -. L’utilizzo dell’AI varia dalla previsione dei flussi di cassa futuri per comprendere le necessità di liquidità e di uso delle soluzioni di SCF, fino all’automazione di attività operative, come la riconciliazione dei documenti che semplificano l’uso del Supply Chain Finance. Se l’AI si può considerare ormai realtà nel SCF, la GenAI ha ancora un po’ di strada davanti: dall’analisi dei servizi offerti da startup innovative non emergono ancora casi di utilizzo rilevanti, ma la capacità generativa sarà certamente importante nel prossimo futuro nel settore”. Il mercato del Supply Chain Finance. Analizzando i dati a consuntivo, nel 2023 il capitale circolante in Italia è cresciuto del 17% (306 miliardi di euro), come conseguenza dell’aumento dei crediti commerciali e delle rimanenze, nonché della diminuzione dei debiti commerciali. Il ciclo di cassa è aumentato assestandosi mediamente a 34 giorni (+19%). In un contesto di tassi di interesse ancora elevati, molte imprese avevano esteso i tempi di pagamento ai propri fornitori per cercare di trattenere maggiore liquidità, generando un effetto a cascata che ha influito anche sui tempi di incasso. Inoltre, le difficoltà nelle catene di approvvigionamento per i conflitti geopolitici e i problemi logistici hanno indotto molte aziende a mantenere livelli di scorte più elevati per mitigare i rischi di incertezza. Nel 2023 le soluzioni di Supply Chain Finance hanno coperto il 22% del mercato potenziale. Sono risultati stabili gli strumenti più diffusi, come Anticipo Fattura (54,1 miliardi di euro) e Factoring (60,4 miliardi di euro), entrambi invariati, come anche Confirming (-2%, 1,6 miliardi di euro) e Purchase Order Finance (+1%, 1,04 miliardi di euro). Tra le soluzioni in crescita, il Reverse Factoring ha raggiunto un valore record, con un aumento del 10% (8,9 miliardi di euro), consolidando ulteriormente il proprio ruolo come strumento sempre più rilevante e adottato. Su volumi più ridotti, il Dynamic Discounting, l’Invoice Trading e la Carta di Credito B2B hanno mostrato crescite significative: rispettivamente del 32% (0,7 miliardi), del 24% (0,5 miliardi) e del 12% (3,4 miliardi).

 

LA DISCLOSURE

Dal 1° gennaio 2024 è obbligatoria la rendicontazione di informazioni qualitative e dati quantitativi rispetto all’utilizzo delle soluzioni di Supplier Financing secondo le linee guida introdotte dallo IASB. Analizzando i bilanci depositati al 31/12/2023 dalle 167 imprese quotate alla Borsa Italiana (prima dell’entrata in vigore dell’obbligo), si scopre che nessuna impresa tra quelle analizzate oggi sarebbe pienamente conforme agli standard richiesti dallo IASB, anche a causa di incertezze normative e difficoltà tecniche nella rendicontazione. Il 15% delle imprese quotate in Borsa Italiana (25 in totale) adotta soluzioni di Supplier Financing, ma solo 10 tra queste pubblicano a bilancio l’informazione. E meno di metà delle imprese che dichiarano in bilancio di utilizzare soluzioni di SCF forniscono informazioni quantitative e qualitative tra quelle richieste dalle linee guida. Chi lo fa, nella maggior parte dei casi riporta solo informazioni qualitative, ovvero i termini e le condizioni dell’utilizzo delle soluzioni di Supplier Financing. Per le informazioni quantitative, quasi tutte le imprese riportano l’ammontare delle passività legate all’accordo (9 su 10), ma solo metà anche i dati sui termini di pagamento delle passività non facenti parte dell’accordo e quasi nessuna (2 su 10) i termini di pagamento delle passività legate all’accordo. Dal prossimo anno sarà in vigore l’obbligo e questo permetterà di disporre di maggiori dati e informazioni per comprendere come e con quali obiettivi vengano utilizzate le soluzioni di Supplier Financing.

 

IL SUSTAINABLE SUPPLY CHAIN FINANCE

L’adozione di soluzioni di Sustainable Supply Chain Finance e il supporto degli ESG information provider possono agevolare l’adempimento delle richieste della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CS3D), la direttiva entrata in vigore a luglio 2024 che introdurrà nuove sfide nella gestione dei processi di Due Diligence lungo la filiera. La normativa impone di identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi sull’ambiente e sui diritti umani, non solo nelle proprie attività, ma lungo l’intera filiera. Il SSCF può raccogliere dati dai fornitori e incentivarli a condividere informazioni sulle loro performance di sostenibilità. Questo consente di individuare e valutare gli impatti negativi generati lungo la filiera, monitorando il miglioramento delle performance dopo l’implementazione di pratiche di sostenibilità di filiera. Inoltre, il SSCF può supportare le imprese nella prevenzione, attenuazione e arresto degli impatti negativi. Diverse tipologie di ESG information provider supportano le imprese nell’implementazione di pratiche di sostenibilità di filiera e di soluzioni di SSCF. L'Osservatorio Supply Chain Finance ha identificato quattro categorie su un campione di 46 attori. Ci sono i fornitori di database e gestione dati (8 realtà), che favoriscono le pratiche di integrazione e gestione dei dati di sostenibilità. Ci sono fornitori di valutazioni di sostenibilità generiche/ESG (25) e specifiche (11), che supportano le imprese nello sviluppo di pratiche di selezione sostenibile dei fornitori, nella valutazione e monitoraggio di sostenibilità dei fornitori e nello sviluppo sostenibile dei fornitori. Ci sono, infine, le iniziative di settore (2) che supportano le imprese nelle pratiche di valutazione e monitoraggio di sostenibilità e nello sviluppo sostenibile dei fornitori, fino al coinvolgimento degli stakeholder.

 

IL RUOLO DELL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE

L’Osservatorio ha censito e mappato oltre 50 startup che utilizzano l’IA nelle diverse fasi del Supply Chain Finance. Nella fase di initiation, l’AI è usata per analizzare dettagliatamente i flussi di cassa legati ai pagamenti tra buyer e fornitori e offrire soluzioni commerciali. Sei startup tra quelle censite sfruttano le capacità di apprendimento e predizione dell’intelligenza artificiale per prevedere le necessità di liquidità correnti tramite un’analisi di dati interni. L’output è usato dai provider di soluzioni in ottica commerciale così da prevedere con dettaglio i futuri flussi di cassa (di impresa buyer e dei fornitori) e suggerire loro le soluzioni più adatte di SCF. Nella fase di implementation, gli algoritmi di machine learning e le capacità di apprendimento valutano e clusterizzano i fornitori per offrire soluzioni differenti e personalizzate sulla base delle loro necessità: sono 4 le startup censite che offrono questi servizi. I fornitori che hanno maggiore bisogno di accedere a soluzioni di SCF vengono identificati e vengono offerte soluzioni in base alla loro situazione. È possibile integrare attori terzi (es. investitori, provider di soluzioni connesse a SCF) nella piattaforma, con l’AI che automatizza il processo operativo di integrazione, tramite l’analisi dei documenti necessari o scambi di informazioni efficienti. Nell’ultima fase, quella di use, l’AI efficienta i processi automatizzando attività amministrative, migliorando le condizioni e i benefici degli attori coinvolti. Sette startup offrono questo tipo di soluzioni sfruttando le capacità di apprendimento, percezione e ragionamento. Non sono rilevanti i casi di utilizzo di GenAI, ma gli esperti evidenziano applicazioni di questa tecnologia a supporto del SCF. La capacità generativa è offerta dai provider nelle piattaforme di SCF per chiedere conto al sistema delle prestazioni della soluzione attraverso un linguaggio naturale. Il sistema genera automaticamente dei report (sia in forma testuale che in forma grafica) sull’utilizzo delle soluzioni di SCF sulla base delle informazioni in proprio possesso, ed eventuali previsioni rispetto a utilizzi futuri. La tecnologia viene sfruttata per migliorare il processo di monitoraggio e controllo delle prestazioni associate alle soluzioni. 

...continua


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