di Matteo Castelnuovo | 27/09/2024
L'intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mondo delle imprese e si è affermata come una presenza stabile nel business delle stesse. Quasi tre quarti dei rispondenti italiani (76%) afferma di avere un’esperienza diretta con la nuova tecnologia. La maggior parte di loro utilizza l'AI prevalentemente nella vita privata (43%), o nel contesto lavorativo (12%), mentre il 20% la impiega in entrambi gli ambiti. Si evidenzia, quindi, un sostanziale ottimismo verso queste tecnologie.
È quanto emerge dalla prima edizione dello studio “EY Italy AI Barometer” realizzato da EY, che ha coinvolto oltre 4700 manager di 9 Paesi europei, di cui 528 professionisti di imprese italiane in diversi settori, indagando aspettative e sfide future nei prossimi 12 mesi, nonché l’utilizzo attuale che viene fatto dell’intelligenza artificiale nel business. Un'indagine che abbiamo voluto approfondire in questo articolo, anche in vista della prima edizione di METS - Milano Emerging Technologies Summit, l'evento dedicato al mondo delle tecnologie emergenti applicate all'impresa contemporanea, orgnizzato da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano e previsto il prossimo 11 e 12 novembre 2024 presso gli spazi di Monte Rosa 91 a Milano.
L'ANALISI
"L’intelligenza artificiale - ha commentato Giuseppe Santonato, AI Transformation Leader di EY Italia - si sta affermando come una delle principali priorità e l’Italia è tra i primi tre Paesi che l’hanno adottatata (77%), preceduta solo da Spagna (84%) e Svizzera (82%). Investire oggi nell’intelligenza artificiale permette alle aziende di posizionarsi come leader in un contesto di mercato in costante evoluzione e sempre più competitivo. Un’azienda su tre, infatti, si prepara a investire sulle sue potenzialità per il prossimo anno e i settori che prevediamo saranno al fronte di questo movimento includono i servizi finanziari, il settore immobiliare e il retail e consumer products”.
L’analisi evidenzia, quindi, come l’Italia sia avanti nell’implementazione dell’AI nei contesti lavorativi rispetto alla media europea (19%), con quasi un quarto dei rispondenti (24%) che afferma che l'AI sta già influenzando il loro lavoro e il 46% che prevede invece un incremento nei prossimi tre anni dell'impatto delle applicazioni AI nel business. Inoltre, il 24% dei rispondenti ritiene che l'intelligenza artificiale possa sostituire parti delle mansioni su larga scala e il 76% si aspetta che questa porti a una riduzione del numero di dipendenti man mano che il suo utilizzo si consolida.Il tema della formazione si conferma cruciale in questo campo e si evidenzia come le imprese possano fare di più per sostenere i propri lavoratori nell’implementazione dell’AI, adottando un ruolo attivo nella formazione e nell’aggiornamento professionale delle proprie persone: il 37% dei rispondenti, infatti, pensa che la propria azienda dovrebbe fornire maggiore formazione e il 32% ritiene di non avere abbastanza aiuto in questo senso. Solo il 16% dei rispondenti si ritiene soddisfatto della formazione che riceve sul posto di lavoro, inoltre, il 55% dei rispondenti si dedica all'autoformazione, sia privatamente (22%) che professionalmente (20%), entrambi il 13%, prediligendo per la maggior parte formazione dal vivo e workshop e corsi online.
UNA NUOVA PERCEZIONE DELLE TECNOLOGIE EMERGENTI
Le trasformazioni derivanti dalle nuove tecnologie che stanno pervadendo sempre più il business delle imprese non vengono viste in modo negativo dalla maggior parte dei rispondenti: il 52% di questi, infatti, ritiene che la propria azienda abbia sufficienti conoscenze per implementare l’AI nel modo corretto. Guardando ai settori, questo trend si evidenzia in particolare nel settore energetico, dei servizi finanziari e nei media e telecomunicazioni. Al contrario, il 67% dei rispondenti appartenenti al settore pubblico pensa di non avere abbastanza conoscenze.
I BENEFICI PRODOTTI DALL'AI
Nonostante le numerose sfide, i benefici dell'adozione dell'AI sono già evidenti, soprattutto in termini di risparmi sui costi: in Italia, più della metà dei manager (58%) afferma che l'uso dell'AI ha permesso loro di risparmiare sui costi, aumentare i profitti o entrambi. Il 16%, al contrario, non ha riscontrato risparmi. Queste tecnologie in Italia impattano maggiormente il 69% di coloro che hanno ruoli manageriali, a differenza di chi ha un ruolo non manageriale (49%). Attualmente, secondo i rispondenti, in Italia l’intelligenza artificiale viene implementata all’interno delle aziende soprattutto per quanto riguarda le funzioni di marketing, cybersecurity e protezione dei dati e assistenza ai dipendenti.
Con la quinta edizione del Milan Fintech Summit – l’evento internazionale dedicato all’innovazione dei servizi bancari e finanziari, organizzato e promosso da Fintech District, la community internazionale di riferimento per l’ecosistema Fintech e Techfin in Italia, e Business International, la knowledge unit di Fiera Milano - Milano si conferma come punto di riferimento per l’innovazione a livello europeo e accende i riflettori sull’ecosistema fintech italiano con l’obiettivo di attrarre investimenti e talenti e creare occasioni di business networking.
L’8 e il 9 ottobre, infatti, il Milan Fintech Summit radunerà le eccellenze fintech internazionali, player finanziari, investitori, grandi aziende e PMI interessate alle soluzioni fintech per semplificare i processi di business, Istituzioni, Associazioni e HUB europei per una due giorni dedicata all’innovazione e agli ultimi trend del settore dei servizi finanziari.
Con oltre 15.000 società finanziarie, 2.800 startup basate in città e un ecosistema di Venture Capital in costante crescita, Milano rappresenta la “location” ideale per ospitare un evento di settore della portata del Fintech Summit. Guardando in maniera specifica al mondo fintech, Milano è la sede del 41% delle aziende fintech italiane, di cui 2 unicorni e fucina di veri e propri talenti. Inoltre, il 69% degli investimenti nel fintech italiano sono localizzati nella città meneghina.
Per fornire uno spaccato più approfondito sul settore, nel corso dell’evento verranno presentati i primi dati dell’edizione 2024 dell’ITALIAN FINTECH MAP, la “guida” realizzata da Fintech District e Politecnico di Milano, che offre una panoramica sulle aziende fintech attive in Italia e su quelle europee con matrice italiana.
Dopo l’edizione dello scorso ottobre, che ha visto coinvolti oltre 110 relatori italiani e internazionali e la partecipazione degli Unicorni internazionali e di oltre 1.300 persone (di cui il 63% C Level) provenienti da oltre 30 Paesi – l’edizione 2024 vuole confermare il ruolo centrale dell’evento nel portare avanti un dibattito costruttivo sui trend evolutivi del fintech.
“SMELLS LIKE FINTECH SPIRIT” è il claim scelto per l’edizione di quest’anno che, dopo il cinema nel 2022 e la letteratura internazionale nel 2023, trova nella musica la propria ispirazione e vede ogni sessione fare riferimento al titolo di un brano celebre. Speaker, partner e partecipanti stanno, inoltre, condividendo la propria canzone preferita per creare la playlist ufficiale del Milan Fintech Summit.
La musica, infatti, rispecchia la natura dinamica, innovativa e dirompente delle fintech, le cui soluzioni, indipendentemente dal settore, se integrate possono contribuire a migliorare il business e offrire ai clienti un'esperienza all'avanguardia.
Non solo, il mondo finanziario e quello dell’industria musicale condividono anche un percorso che li accomuna: se negli anni '80 si camminava per strada con un grande stereo sulla spalla, per poi passare al walkman e negli anni 2000 ai lettori mp3, oggi abbiamo tutta la musica che vogliamo, e podcast di ogni genere, direttamente sul nostro cellulare attraverso un'app. Lo stesso accade nel mondo bancario, soprattutto per quanto riguarda i pagamenti: siamo passati dai contanti ai pagamenti p2p o istantanei sulle app bancarie.
LA SCALETTA DEL MILAN FINTECH SUMMIT
L’edizione 2024 del Milan Fintech Summit, come in un concerto, segue un’immaginaria scaletta che vede le sessioni dei due giorni rinominate sulla falsa riga di grandi successi musicali, attraverso i quali collegare le discussioni a temi culturali più ampi, rendendo i contenuti ancora più interessanti e coinvolgenti. Tra le “tracce” principali:
- Imagine: questa sessione esplorerà il futuro del fintech, concentrandosi su come i servizi potrebbero evolversi e sul loro ruolo nel promuovere obiettivi sociali e ambientali. Un momento essenziale per comprendere la traiettoria del fintech e il suo impatto a livello settoriale.
- One: dedicata alla finanza incorporata, questa sessione discuterà l'integrazione di servizi come pagamenti, prestiti e assicurazioni su piattaforme di orchestrazione. Sottolinea l'importanza di creare un'esperienza cliente senza soluzione di continuità attraverso la tecnologia.
- Bridge Over Troubled Water: questa parte sarà dedicata al tema della diversità e dell'inclusione, concentrandosi sulle sfide affrontate dalle donne nel settore fintech, in particolare quelle provenienti da regioni sub-bancarizzate, ed esplora i modi attraverso i quali attrarre e sostenere i talenti femminili.
- What a wonderful world: si analizzerà come i mercati emergenti possano trarre vantaggio dalle esperienze degli ecosistemi fintech consolidati e viceversa, sottolineando l'internazionalizzazione e il valore di prospettive diverse.
- AI Will Always Love You: uno sguardo all'Intelligenza Artificiale, all'IA generativa e al Machine Learning nel fintech. Si parlerà dei potenziali benefici, delle applicazioni e dei rischi dell'IA e di come può trasformare il mondo della finanza.
Inoltre, come nelle passate edizioni, anche il networking sarà parte integrante del Milan Fintech Summit 2024, con numerose opportunità pensate per creare connessioni tra i partecipanti. Nei due giorni dell’evento, l’area espositiva sarà sempre aperta per dare la possibilità a tutti i partecipanti di incontrare gli sponsor, creare delle opportunità di confronto, entrare in contatto con i colleghi, scambiare idee ed esplorare potenziali collaborazioni. Per facilitare gli incontri e gli scambi, sarà disponibile anche l'applicazione ufficiale che verrà rilasciata a breve.
LE STAR SUL PALCO DEL MILAN FINTECH SUMMIT
Anche quest’anno, il Milan Fintech Summit vedrà alternarsi speaker di rilievo internazionale e i CEO/C Level delle più importanti aziende del settore, tra cui: Alessandra Perrazzelli, Vice Direttrice Generale di Banca d’Italia; Anna Lambiase, Chairwoman di CDP Venture Capital; Mathias Wikström, CEO of Doconomy; Paolo Zaccardi, CEO di Fabrick; Enrico Mattiazzi, CEO & Founder di Fiscozen; Alberta Pelino, President Young Ambassadors society e Founder Fibi; Stefania Di Bartolomeo, CEO Physis Investments; Silvia Attanasio, Head of Innovation ABI; Stefano Quintarelli, Founder di Rialto VC e Bianca Bonetti, Associate - Network & Engagement di Gyrus Capital.
E, per la prima volta in Italia: Nicolas Benady, CEO SWAN; Carsten Höltkemeyer, CEO Solaris; Deniz Guven, Board Member Wamo e former founder e CEO di Mox; Meirav Harel, Israeli Ambassador European Women in Payments Network (EWPN) e lecturer of the Full Blockchain & Fintech Course Reichman University.
Inoltre, Amanda Estiverne-Colas, Founder/Fractional CFO AGE Advisors and Global Mentor Women in Payments, intervisterà tre figure di spicco del mondo fintech: Francesca Carlesi, CEO di Revolut UK, la neobank in continua crescita che oggi vale 45 miliardi ed è diventata la seconda banca britannica per capitalizzazione; Kos Stiskin, cofondatore e Vicepresidente di Finom, società che si è recentemente assicurata 54 milioni di dollari in un round di finanziamento di serie B; Miguel Amaro, CEO e co-fondatore di Coverflex, azienda che ha chiuso il più grande round di pre-seed in Portogallo.
Anche i regolatori avranno uno spazio in agenda all’interno della sessione organizzata da Refink sul tema MiCAr, che vedrà la presenza di Banca d’Italia, BaFin, Bundesbank, FMA Liechtenstein, National Bank of Romania, Norges Bank e Danish Financial Supervisory Authority.
Inoltre, il Milan Fintech Summit ospiterà la finale italiana di Mastercard For Fintechs, programma e competizione europea lanciata dall’azienda per sostenere le fintech nel loro percorso di crescita attraverso un accesso privilegiato a sessioni educational e una serie di eventi. Durante la giornata inaugurale dell’8 ottobre, le 10 migliori fintech finaliste della competizione nazionale si sfideranno per ottenere i due pass che garantiranno loro l’accesso all’evento finale di Parigi, durante il quale verrà decretato il vincitore assoluto del contest. In palio un premio di 50.000 euro in supporto marketing.
NON SOLO MILANO CON L’“OUT OF SUMMIT”
Come l’anno scorso, il Milan Fintech Summit oltrepassa i tradizionali confini della manifestazione. Dopo le tappe del Roadshow di avvicinamento alla data di Milano che si sono svolte a Roma e Reggio-Emilia, il 5 ottobre a Biella si terrà una sessione dell’Out of Summit, all’interno dell’evento BiDigital, dedicato al digitale a all’innovazione con un focus sul territorio del Piemonte. Organizzato da Sellalab, la piattaforma di innovazione del gruppo Sella, e BTREES, agenzia di comunicazione digitale, l’appuntamento vedrà coinvolti oltre 50 speaker con l’obiettivo di diffondere la cultura dell’impatto positivo per tutti i partecipanti attraverso le lenti tematiche dell’innovazione, dell’imprenditorialità, della comunicazione, dell’impatto sociale e ambientale. Partner della manifestazione a oggi sono Blank, Chainalysis, Coverflex, Consulens, DGI – Digital Gold Institute, Earnext, Fabrick, Finance Malta, Genio Diligence, Illumyfi, Integrity 360, Lexia Avvocati, Mastercard, Mia Fintech, Pausepay, Quarkpay, Refink, Sella, Swan, Terrapay, Treezor, Trustfull, Visa, Wallife. Gli International Promotional Partner che porteranno il mondo a Milano sono Camera Di Commercio Di Spagna In Italia (Camcoes), Ewpn, Fintech Belgium, Fintech Bulgaria, Fintech Hub Lt, Fintech Latvia, Fintech Poland, Hub Brussels.
In un mondo in costante evoluzione e movimento, anche chi fa del viaggio la propria ragione di business, oggi, cerca un centro di "gravità permanente", come diceva Battiato qualche anno fa, e più spesso lo fa attraverso l'apertura di uffici di nuova generazione. Le motivazioni sono varie e per lo più strategiche: dalla presenza sempre più radicata e capillare sul territorio alla necessità di poter offrire nuovi servizi e dall'innovazione di un modello di lavoro flessibile e dinamico alla gestione sempre più sostenibile delle operation.
In questo contesto di grande cambiamento, dunque, si inserisce anche la scelta di una realtà come Gattinoni Business Travel, divisione del Gruppo Gattinoni dedicata a viaggi e trasferte di lavoro, che in questi giorni ha annunciato l'apertura di una nuova sede a Milano, in Via Fara 35, nel cuore pulsante della città. La scelta di aprire una sede dedicata rappresenta un passo strategico per sostenere la crescita della Business Unit, che sviluppa attività per Corporate (trasferte e viaggi aziendali) e Agenzie (emettendo biglietteria aerea IATA) e ha chiuso il 2023 con un fatturato di 254 milioni di euro e nel primo semestre del 2024 ha registrato una crescita pari al 16%.
Oltre alla nuova sede di Milano, la divisione Business Travel ha a disposizione 6 Business Travel Center situati a Monza, Bologna, Torino, Roma, Treviso e Parma con oltre 120 consulenti specializzati.
LA NUOVA SEDE
La nuova sede conta attualmente 45 professionisti, pronti a sostenere insieme a tutti gli oltre 120 consulenti e collaboratori della Business Unit la roadmap di crescita e innovazione, secondo tre aree principali di sviluppo. Investimenti in tecnologia: in linea con l’accelerazione che il Gruppo sta dando alla trasformazione digitale dei propri servizi, in termini di software e app. Sostenibilità e viaggi responsabili, integrando sempre più pratiche sostenibili nelle proprie soluzioni, promuovendo viaggi a basso impatto e offrendo servizi di compensazione delle emissioni di CO2. Innovazione nei servizi di consulenza, per supportare le aziende nell'ottimizzazione delle politiche di viaggio, nella riduzione dei costi e nella protezione dei dipendenti durante le trasferte.
“Questa nuova sede a Milano è solo l’inizio di una fase di forte crescita e innovazione. Siamo determinati a ridefinire gli standard del settore del Business Travel, il nostro principale obiettivo per il 2025 sarà quello di lavorare per guidare il cambiamento nel fornire soluzioni di viaggio che non solo facilitino le trasferte aziendali, ma le rendano più efficienti, sicure e responsabili” aggiunge Piergiulio Donzelli, Amministratore Delegato Gattinoni Business Travel.
IL GRUPPO
Il Gruppo Gattinoni nasce a Lecco nel 1983 dalla passione per i viaggi e l’organizzazione di eventi di Franco Gattinoni, fondatore e tuttora presidente del Gruppo. Con lui lavorano oltre 850 persone che condividono lo stesso piacere e la stessa professionalità nell’organizzare viaggi ed eventi. Sotto il marchio Gattinoni operano 3 divisioni che si occupano di diverse aree di business: Events (Logistics, Live Communication, Healthcare, Made in Italy), Business Travel, Gattinoni Travel (prodotto, agenzie Travel Store, Travel Point e i network Mondo di Vacanze e MYNetwork). Con l’acquisizione di Robintur Travel Group nel 2022 il Gruppo Gattinoni è diventato la più importante impresa indipendente del turismo organizzato del Paese. Con sede principale a Milano, l’azienda ha diverse unità operative a Lecco, Torino, Roma, Monza, Bologna, Parma, Rimini e Treviso, 120 agenzie di proprietà nel Nord e Centro Italia. Inoltre, i network di agenzie di viaggio contano quasi 1500 agenzie affiliate in Italia, Svizzera e San Marino.
La gestione del rischio è da sempre un pilastro fondamentale per le imprese che mirano a eccellere nell'ambito ESG (Environmental, Social, Governance), trasformando potenziali criticità in elementi di sviluppo per una crescita sostenibile. In un'era segnata da cambiamenti rapidi e incertezze geopolitiche, le aziende si trovano di fronte alla necessità di integrare pratiche di sostenibilità e responsabilità sociale nelle loro strategie di business.
L'Unione Europea, con il suo Green Deal, ha delineato una rotta chiara verso la transizione ecologica, imponendo alle aziende di aderire a standard di due diligence sostenibili, come stabilito dalla CSDDD, entro il 2026. Questo non è solo un requisito normativo, ma un invito a essere precursori di un cambiamento che si preannuncia inevitabile.
Guardando al di là dell'Atlantico, notiamo una diversità di approcci: negli Stati Uniti, ad esempio, la SEC impone standard di trasparenza, mentre la salute e i diritti dei lavoratori sono salvaguardati da organi come la CPSC e il DOL. Alcuni stati, come California e New York, si spingono oltre con legislazioni che enfatizzano la trasparenza della supply chain e l'attenzione al cambiamento climatico. Nell'arena internazionale, nazioni come Norvegia, Danimarca, Svezia, Canada e Nuova Zelanda si distinguono per politiche ESG proattive che vedono la sostenibilità come un valore aggiunto piuttosto che un semplice adempimento.
Un robusto sistema di gestione del rischio di terze parti (TPRM), integrato all'interno del più ampio framework di Governance, Risk e Compliance rappresenta un elemento imprescindibile per una gestione ottimizzata ed integrata dei rischi che deve mirare sempre di più ad influenzare ed estendersi all’intero ecosistema in ottica diffusa e cooperativa.
La gestione proattiva e preventiva del rischio non è solo una misura difensiva ma un'opportunità strategica per le aziende di anticipare i cambiamenti, adattarsi e innovare, accelerando l'integrazione della sostenibilità nel core business. In questo modo, la responsabilità d'impresa nell'era dell'ESG si trasforma da obbligo normativo a leva strategica per la costruzione di un futuro sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico e sociale.
Che cosa fa di un atleta un campione olimpico? Quali fattori rendono un chirurgo un esperto di primo piano? Cosa permette ad un artigiano di realizzare con maestria il suo lavoro? Che cosa c’è alla base di un esame universitario superato il modo brillante? Da molto tempo la psicologia del lavoro, le scienze dell’educazione e il management si interrogano sui fattori che permettono di ottenere alte prestazioni in qualunque ambito. Con un lavoro durato oltre dieci anni, un gruppo di ricerca guidato da Filippo Ferrari, professore al Dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna, è riuscito a identificare i fattori che sono alla base della performance e misurarli con un’equazione che comprende la somma di abilità, motivazione e caratteristiche personali, a cui si aggiunge il contesto esterno. Un rapporto che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo, anche in vista della prossima edizione autunnale del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, che si terrà il prossimo 26 e 27 novembre 2024 presso lo SPAZIO FIELD all'interno di Palazzo Brancaccio a Roma.
Lo studio – pubblicato sul Business Process Management Journal – mostra che i fattori personali influiscono tra il 40 e il 65% sul risultato finale della prestazione, mentre una quota compresa tra il 35 e il 60% è determinata da fattori esterni. "Questa equazione fornisce un quadro oggettivo per misurare i fattori che influenzano le prestazioni dei dipendenti e offre quindi spunti strategici per la gestione delle risorse umane", spiega Filippo Ferrari. "Si tratta di un modello che aiuta le organizzazioni a concentrarsi sulle competenze specifiche che sono più critiche per le prestazioni, consentendo una formazione mirata e ignorando le competenze meno rilevanti".
Ma come funziona questa equazione? Vediamo un esempio. Cosa rende Jannick Sinner un campione? Per prima cosa è dotato di un fisico e di una personalità adeguati al gioco del tennis (caratteristiche personali). Poi possiede eccellenti livelli di tecnica tennistica (abilità). E infine si allena e gareggia con intensità, tenacia e dedizione (motivazione). Questi fattori sono alla base della performance di qualunque tennista, anche mediocre, ma in Sinner hanno valori estremamente elevati.
Lo stesso discorso può valere per uno studente universitario: per superare brillantemente un esame deve avere certe attitudini personali (intelligenza, attitudine per la materia), e queste sono le caratteristiche personali. Poi deve impegnarsi con costanza ed intensità nel preparare ed affrontare l’esame, e questa è la motivazione. Infine, deve possedere determinate competenze: deve sapere prendere appunti a lezione, saper riassumere testi, essere in grado di usare al meglio le tecnologie che possono aiutarlo nello studio, e queste sono le abilità. "Dal punto di vista teorico, è possibile che una carenza in un singolo fattore sia compensata da livelli particolarmente elevati in altri fattori, ma dal punto di vista matematico i tre fattori non possono essere simultaneamente pari a zero, altrimenti la prestazione sarebbe impossibile, o meglio sarebbe dovuta solo a fattori non legati al soggetto", precisa Ferrari. "Oltre a competenze, motivazione e caratteristiche personali ci sono infatti molti fattori situazionali che possono influenzare la performance, ad esempio lo stile di leadership e il clima psicologico: un ulteriore valore da inserire nell'equazione".
L’equazione permette quindi di misurare quale parte della prestazione dipende dalle capacità del singolo individuo e quale dal contesto, attribuendo di conseguenza le giuste responsabilità al singolo ed evitando di valutare la prestazione anche per aspetti che sono al di fuori del suo controllo. Collegando competenze, motivazione e caratteristiche personali, il modello messo a punto dagli studiosi dell'Università di Bologna permette di stimare le prestazioni future e fornisce quindi un metodo più affidabile rispetto alla misura delle capacità cognitive generali, che è spesso meno accurata. Così facendo, il modello permette di implementare oggettivamente e con efficacia tutte le pratiche legate alla selezione, gestione, orientamento e sviluppo del personale. E può contribuire a un sistema di valutazione delle prestazioni più equo, riducendo al minimo i pregiudizi e migliorando la giustizia organizzativa.
In un mondo del lavoro nel quale l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando dinamiche e processi, a tal punto che, secondo una recente ricerca Ipsos, l’87% dei professionisti italiani ritiene che l’IA trasformerà significativamente il modo in cui funziona l’azienda in cui opera e il 43% si dice disposto a seguire un corso di aggiornamento per acquisire nuove e necessarie competenze digitali, risulta chiaro come il comparto della formazione diventi sempre più strategico e sia anche chiamato a trasformare la logica lavorativa da "workfare" a "learnfare". Un’evoluzione che, in Italia, non è ancora a pieno regime, ma che offre già spunti di miglioramento con una quota di imprese con almeno 6 addetti che ha investito nel 2021 nell’aggiornamento e nello sviluppo delle conoscenze del proprio personale che è stata pari al 60,3% - come indicato dalla IV edizione dell’Indagine INDACO-Imprese (rilevazione campionaria svolta da INAPP che ha coinvolto oltre 20mila aziende) che conferma come la propensione a realizzare interventi formativi cresca all’aumentare della dimensione aziendale e sia tendenzialmente più ridotta nelle regioni meridionali e insulari. Il tasso di incidenza delle imprese formatrici (sul totale delle imprese italiane) è infatti pari al 50,2% fra le microimprese e sale al 66% fra le piccole imprese, all’83,4% fra le medie fino al 92,8% fra le grandi imprese. Il divario territoriale Nord-Sud rimane però importante con circa 10 punti percentuali.
Una tendenza che evidenzia anche un miglioramento notevole del posizionamento dell’Italia nella formazione continua delle imprese. Il quale, pur rimanendo a livello intermedio e non arrivando alle eccellenze dei paesi scandinavi, in Europa occupava nel 2020 la quindicesima posizione per la percentuale di imprese con 10 addetti e oltre che forniscono formazione ai propri dipendenti, con un valore del 68,9% (in un range che va dal 17,5% della Romania al 96,8% della Lettonia) e con un guadagno di ben sette posizioni rispetto a cinque anni prima: nel ranking UE28 l’Italia occupava, infatti, la ventiduesima posizione nel 2015 (60,2%).
Qual è però oggi il reale stato dell’arte di questo mercato e come si stanno muovendo enti formatori, istituzioni, università e imprese per guardare davvero in maniera propositiva a quel presente esteso che chiamiamo futuro?
Ne abbiamo parlato approfonditamente, nel corso di questa puntata, insieme a numerosi esperti, come Kevin Giorgis e Stefano Marchese di EFI - Ecosistema Formazione Italia, Roberto Angotti di INAPP, Nicola Neri di Ipsos Italia, Damiano Previtali del Ministero dell’Istruzione e del Merito, i professori Claudio Rorato e Luca Gastaldi del Politecnico di Milano, Mauro Meda di ASFOR, Egidio Sangue di Fonditalia, Nicola Minelli di Confimprese e Servizi, Italo Piroddi di Aruba e Guido Stratta dell’Accademia della Gentilezza, che abbiamo avuto l’opportunità di incontrare nel corso della prima edizione dell’Innovation Training Summit, organizzato a Roma da EFI – Ecosistema Formazione Italia.
In un mondo sempre più digitalizzato, nel quale la trasformazione tecnologica e la necessità di orientare l’attenzione del business verso nuovi valori di sostenibilità stanno influenzando le scelte dei decision maker, l’Intelligenza artificiale non rappresenta più solo un fenomeno in ascesa, ma una realtà concreta e “tangibile” che sta modificando dinamiche e processi dell’impresa e del lavoro.
Secondo una recente ricerca del Politecnico di Milano, oggi in Italia il mercato dell’AI ha un valore di circa 760 milioni di euro, con una crescita degli investimenti pari al 52% anno su anno. Un aumento di capitali e di interesse che ha portato i ricercatori ad analizzare come, nei prossimi 10 anni, questa tecnologia emergente potrebbe arrivare a sostituire le attività odierne di oltre 3,8 milioni di professionisti del nostro Paese.
Un dato che fa riflettere e su cui si è voluto concentrare lo sviluppo della nuova edizione dell’annuale ricerca, realizzata da Inaz, in collaborazione con Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, dal titolo “The AI impact: come l’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo delle risorse umane”, presentata nel corso di HR Directors Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, tenutosi l'11 e il 12 giugno 2024 pressp l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea.
Un’analisi che si è avvalsa del commento di Danila Scarozza, Associate Professor in Organization Studies della Link Campus University, e che è stata condotta su un campione di 200 direttori delle risorse umane di alcune delle più importanti aziende nazionali e internazionali operanti sul territorio italiano, che sono stati intervistati tra il mese di marzo e quello di maggio 2024, al fine di comprendere meglio, e più approfonditamente, quali potrebbero essere gli impatti prodotti da questa tecnologia dirompente sul mondo delle risorse umane, cercando anche di indagare quali saranno le sfide da affrontare, le opportunità da cogliere e le tendenze da seguire, ora e nei prossimi anni, per i professionisti delle HR. Manager che, sicuramente, avranno un ruolo cruciale nell’accompagnare e supportare imprese e lavoratori in questa transizione che modificherà per sempre il lavoro per come oggi lo conosciamo. Basti pensare agli impatti che assistenti vocali, motori di ricerca, traduttori automatici, navigatori automobilistici e chatbot per il customer care hanno sulla nostra vita quotidiana e come le applicazioni di automazione dei processi e di AI generativa stanno già rivoluzionando il nostro modo di lavorare e gestire le dinamiche aziendali. “L’intelligenza artificiale – ha commentato la Professoressa Scarozza – è sicuramente una grande opportunità e uno strumento potente, tanto per le aziende, quanto per i professionisti, siano essi manager o dipendenti, ma risulta oggi sempre più evidente come sia necessario che questa tecnologia debba anche essere approcciata, gestita e sfruttata nel modo giusto. Una nuova realtà che sta permeando ogni ambito e a cui tutti ci stiamo abituando, in alcuni casi forse anche in maniera eccessiva, ma che pone delle responsabilità di carattere etico, valoriale, normativo, regolatorio e culturale che non vanno sottovalutate o tenute in minore considerazione, a vantaggio di una velocizzazione del mondo che ci circonda e dei costanti e crescenti input che ne provengono”.
Un monito fondamentale, questo, che, anche dalle risposte raccolte nel report che leggerete, risulta essere ben chiaro ai direttori HR coinvolti. “I direttori delle risorse umane, oggi – ha aggiunto Fabrizio Armenia, People & Organization Director di Inaz – si trovano al centro di una transizione epocale che da una parte chiede loro con insistenza un adattamento tecnologico di sistemi e processi e dall’altra però gli impone di mantenere sempre il cosiddetto human in the loop. Chi saprà dare vita a un mix di scelte e decisioni, in grado di creare un balance ottimale tra questi due aspetti avrà davvero l’opportunità di cambiare volto alla propria organizzazione rendendola più sostenibile, snella, veloce, ma anche attenta alle esigenze e alla valorizzazione del potenziale vero delle persone che, se liberate correttamente dalle proprie incombenze routinarie, potranno concretamente generare a quel punto un vantaggio competitivo per il business, grazie ad attività di grande valore aggiunto”.
Un obiettivo importante che nei prossimi anni potrebbe rappresentare lo spartiacque tra il successo e il fallimento di strategie orientate a seguire, e in alcuni casi, forse, anche inseguire, una trasformazione massiva e una necessità di digitalizzazione, spesso inconsapevole, che è solo l’anticamera di quella quinta rivoluzione industriale già proiettata sulla Generazione Alpha, ovvero quei futuri cittadini e professionisti che non conosceranno mai un mondo senza la presenza e il supporto dell’intelligenza artificiale. Un’ambientazione, questa, che solo qualche anno fa era presente solo nella cinematografia o nella letteratura fantascientifica e che oggi, invece, diventa una realtà da analizzare, al fine di offrire un contesto quanto più concreto e attuale possibile, per poter valutare lo stato dell’arte del cambiamento in atto. Una fase di transizione sia in termini di innovazione e redesign dei propri processi, ma anche di upskilling e reskilling delle competenze, oltre che di adozione, comprensione e spiegazione delle potenzialità di uno strumento ancora tutto da capire. Una leva di futuro a cui, se è vero che non si potrà più rinunciare, bisognerà anche imparare a dare il giusto valore e la corretta dimensione, trovando il modo appropriato di conviverci e interagirci, senza lasciare troppo spazio a quella voglia di farsi sostituire in virtù di quella naturale tendenza umana a non voler fare fatica per ottenere il risultato desiderato.