FERRI (SAMMONTANA): IL GIUSTO RITMO? UNA SERIE DI SCELTE PER DARE VALORE A NOI STESSI E AL CONTESTO IN CUI OPERIAMO

di Matteo Castelnuovo | 04/07/2025

«La più consistente scoperta che ho fatto…è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare». Sono le parole di Jep Gambardella ne “La grande bellezza” a guidare la riflessione di Annalisa Ferri, Chief Marketing Officer di Sammontana Italia, in questa intervista rilasciata in occasione della realizzazione della nuova edizione del report annuale dal titolo "Keep Time and Manage Leadership", prodotto da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, pensato per indagare alcuni degli aspetti più importanti da considereare per la leadership del mondo dell'impresa contemporanea e presentato lo scorso 19 giugno 2025 in apertura del Business Leaders Summit, tenutosi presso l'Allianz MiCo di Milano. Uno spunto importante che, in un mondo sempre più velocizzato dall’avvento dell’intelligenza artificiale e reso complesso dalle policrisi in atto, cerca di proporre un approccio diverso al significato e al valore del concetto di tempo per un leader d’azienda, al fine di poter produrre davvero un beneficio competitivo nei confronti del business. «Ho recentemente assistito all'inizio di una profonda trasformazione della mia azienda che ha reso possibile per me una bella opportunità di carriera e un nuovo inizio – spiega la manager –. Per me, e più in generale per tutti noi dipendenti, il tema del tempo è diventato, così, un fattore centrale. Questa riflessione mi impegna e mi affascina e, da sempre, la mia posizione, in merito a questo aspetto, è quella di voler fare ciò che davvero mi appassiona. Nella citazione cinematografica di poco fa ritrovo il senso del tempo come vera ricchezza». Una risorsa preziosa da trattare con cura e rispetto, ma soprattutto con un’intima serietà, in grado di consentirci di rimanere onesti e coerenti con il nostro essere. «Per fare questo – prosegue l’esperta –, serve disincanto e selettività, capacità di preservare sé stessi da attività inutili da ogni punto di vista, rifuggire la superficialità e dedicarsi a ciò che davvero può fare la differenza». Tutti obiettivi che partono da una grande comprensione, sia esterna, guardando al contesto, sia interna, ponendo un importante focus su se stessi. «Credo che sia utile dedicare tempo e risorse personali a capire chi si è, i propri meccanismi di funzionamento, per trovare la nostra personale modalità di gestione, e, poi, un'analisi spietata di ciò che è davvero importante e ciò che non lo è – sottolinea Ferri –. Credo fortemente nella complessità dell'uomo, nella curiosità e nella capacità di nutrirsi in modo onnivoro degli stimoli che arrivano dalla molteplicità della realtà che ci circonda». Un’esigenza, questa, che, però, va alimentata e allenata, senza mai essere sottovalutata, poiché rappresenta il vero motore della nostra crescita personale e professionale. Una virtù senza cui non potremo mai guidare un team o prendere decisioni realmente consapevoli. «Gli strumenti sono commodities alla portata di tutti – prosegue la manager –. Metterli a disposizione non basta, però, come nemmeno formare a utilizzarli potrà mai essere sufficiente. Ciò che davvero serve e servirà, sarà coltivare l'eccellenza nel pensiero: nella capacità di aggiungere valore da parte dei manager sta la differenza sostanziale e il vero cambio di passo lo fanno solo persone complete, che sappiano unire pragmatismo a spirito visionario». Due facce di una stessa medaglia, che spesso vengono proposte e considerate come alter ego contrapposti di una tipologia di leader che, in questo modo, non potrà mai essere realmente completo nel suo modello aspirazionale. Secondo Ferri, infatti, queste due anime dovrebbero coesistere nella stessa persona per poterla rendere una guida efficace e valida, al fine di raggiungere il successo e abbracciare concretamente il cambiamento. Ma anche il cambiamento, per la manager, ha un suo battere e un suo levare da comprendere e misurare, ottimizzare e massimizzare, rimanendo continuamente alla ricerca di quel bilanciamento che sembra ormai essere il vero mantra dei professionisti moderni e che oggi si articola in quella dicotomia tra il tempo utilizzato per lavorare e quello necessario a produrre risultati, il tempo essenziale per gestire le priorità e quello fondamentale per prendersi cura delle persone, il tempo da concedersi e quello da concedere, il tempo perso e quello da non sprecare. Un contesto complesso da gestire e composto da molteplici stimoli, richieste, distrazioni e necessità, nel quale la tecnologia assume un ruolo essenziale, con relativi rischi da evitare e opportunità da cogliere per riuscire a trovare la giusta dimensione del ritmo da tenere per raggiungere il successo, senza dimenticarsi di mettere sempre al centro le persone e le loro esigenze. «Secondo me – aggiunge l’esperta –, non esiste un ritmo. Esiste il proprio ritmo. Ho sempre pensato che la vita si risolvesse in questo: capire il ritmo di ogni situazione e saperlo interpretare. Chi è fuori ritmo rompe qualcosa o finisce per rompere sé stesso. Accettare il tempo che scorre, invece, utilizzare tutti gli strumenti disponibili con la giusta maestria e il giusto distacco, produce un vantaggio importante nella quotidianità di ognuno di noi. Una dose di opportunismo in questo modello diventa la chiave di volta da sfruttare. Io non so quale sia la risposta corretta, so solo che ho sempre cercato di imparare da ogni situazione e di mettere me stessa in tutto quello che facevo, cercando di tenere nel giusto equilibrio felicità e immancabile dose di frustrazione che ognuno di noi sperimenta ogni giorno. Ho coltivato questo approccio, quello che mi ha insegnato il mio professore di filosofia in terza liceo, e ho cercato di aiutare gli altri a praticarlo». D’altronde non esiste una guida certa in questo campo. Non c’è una mappa, ma al massimo una bussola che ci consenta di guardare avanti, proiettando noi stessi e le nostre speranze in un futuro migliore, costruito su un presente equilibrato e focalizzato su quelli che sono i nostri valori principali, sempre con l’idea di continuare a metterci in dubbio, ponendoci domande e sviluppando il nostro pensiero critico. «Un’attitudine – chiosa la manager – che le nuove generazioni dovranno fare sempre più propria, riuscendo a mixare quella leggerezza dell’essere sia come persona, sia come professionista e come manager, gestendo il tempo, ma anche creandolo e proponendolo al proprio team, in un’esplorazione continua e curiosa che li porti a essere più interessati a imparare che non a dimostrare il proprio sapere come banale esibizione del proprio pensiero o del proprio potere. Perché solo ponendosi le giuste domande, mettendosi sempre in dubbio e dando il giusto ritmo a situazioni, conversazioni, priorità e relazioni noi esseri umani e manager possiamo trarre il meglio dal nostro io e dal mondo che ci circonda».

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Marketing & Innovation

ALGIDA, DA (QUASI) OTTANT’ANNI SIMBOLO SENZA TEMPO DELL’ESTATE ITALIANA, GRAZIE A UNA COMUNICAZIONE CHE PARLA AL CUORE DELLE PERSONE

In un’epoca in cui l’AI regna sovrana, anche e soprattutto nella generazione di contenuti, il mondo del marketing inizia lentamente a risvegliarsi per cercare di differenziare le proprie attività dal resto del mondo e permettere ai brand, in questo modo, di rimanere rilevanti sul mercato al netto di una standardizzazione sempre più sotto gli occhi di tutti.

Uno dei modi migliori per attivare questo processo, però, si sa, è quello di studiare la storia e le imprese d’eccellenza, come quelle che hanno reso grande il nostro Made in Italy. Ed è così che, in una delle estati più calde e torride di sempre, mentre il termometro supera i 40°C in tutta Europa e la produttività delle aziende cala, a tal punto da convincere anche il governo a siglare un protocollo con le parti sociali per la salvaguardia dei lavoratori, tra le letture più interessanti da approcciare (anche sotto l’ombrellone) emerge: “Algida. Il cuore dell’estate dal 1947”. Un volume, edito da Treccani, altro brand iconico che proprio quest’anno compie 100 anni, e realizzato dalla giornalista e autrice, Giulia Cavaliere, in forma di saggio autobiografico, che celebra lo storico marchio dell’estate italiana come simbolo culturale di un Paese che, forse, oggi deve ritrovare la strada per tornare ai fasti che lo rilanciarono negli anni del dopoguerra.

Fondata nel 1947 a Roma da Italo Barbiabu e Alfred Wiesner, il “Cuore  rosso su fondo bianco” ha saputo trasformare, fin dai suoi esordi, un prodotto artigianale in un vero e proprio fenomeno pop di portata nazionale e internazionale, grazie alla sua comunicazione entrata a pieno titolo nella tradizione tricolore. Dal jingle che cantava il “Cuore di panna” fino ai “morsi contati” di Cucciolone e ai coloratissimi – e attesissimi – cartelli che, nei bar, annunciavano le novità dei gelati, in questo viaggio di ricordi personali e popolari, ALGIDA racconta la sua straordinaria storia: un intreccio di imprenditorialità, creatività e tradizione, che ha trasformato il gelato in un rito sociale, un gesto familiare, una forma di identità e appartenenza collettiva. Con quasi ottant’anni di storia, infatti, il brand ha accompagnato generazioni intere di italiani, rappresentando non solo un’eccellenza nel settore alimentare, ma anche un punto di riferimento nella vita quotidiana e nella memoria del nostro Paese.

 

UN’ICONA DELL’IMMAGINARIO ITALIANO

Ma ciò che rende unica Algida è la sua capacità di costruire un lessico familiare fatto di sapori, cartelli di latta, riti estivi e scene di vita al bar, come raccontato in maniera toccante da Cavaliere. L’esperienza del gelato Algida non è solo individuale, ma collettiva: un momento che unisce adulti e bambini, crea legami, costruisce ricordi. È la memoria di un’Italia che cresce, che si racconta attraverso i gesti semplici di ogni giorno. Come sottolinea Massimo Bray, Direttore Generale di Treccani, nella prefazione al volume, Algida ha saputo fare della qualità e dell’attitudine a rinnovarsi i suoi punti di forza, diventando un punto di riferimento per intere generazioni. Nata nella Roma del dopoguerra, in un’Italia ancora ferita ma desiderosa di rinascere, Algida ha saputo interpretare i sogni e i gusti degli italiani, attraversando mode e cambiamenti sociali. Ogni gelato ha rappresentato un’epoca, un’immagine, un ricordo, evocando sensazioni di piacere e convivialità, parte integrante dell’immaginario italiano, accanto a icone come la Vespa o la 500. La sua storia è stata celebrata anche in importanti eventi culturali, come la mostra “Identitalia – The iconic italian brands” organizzata presso il MIMIT a Roma, che ha sottolineato il ruolo di Algida tra i marchi più rappresentativi e amati del Paese, testimonianza del suo impatto sulla cultura e sull’economia italiana.

 

LA COMUNICAZIONE IERI E OGGI

 La presenza di Algida nella cultura popolare italiana è radicata da decenni, grazie a una comunicazione capace di evolversi senza mai perdere il proprio tratto distintivo. Fin dagli anni Sessanta, Algida ha saputo farsi amare anche attraverso la televisione, con la partecipazione al Carosello e spot entrati nell’immaginario collettivo, come il celebre “Posso dire una parola?” del 1963. Negli anni Novanta, ha continuato a essere rilevante con claim memorabili come “Le altre merende hanno i morsi contati”, confermando la sua capacità di parlare a generazioni diverse, sempre con uno stile riconoscibile. Questa coerenza nel tempo si riflette nella forza della sua “famiglia” di prodotti Algida: Fior di Fragola, Croccante, Cucciolone, Cremino, Liuk e Solero, tra gli altri, sono gelati tutti diversi tra loro ma uniti da un’anima comune: prodotti che interpretano gusti e desideri eterogenei, dai sapori decisi a quelli più delicati, dalle note esotiche alle sensazioni più rassicuranti.


Oggi la comunicazione Algida continua questo percorso, trovando nuove forme e nuovi canali per raccontarsi: la campagna estiva 2025 è un progetto integrato che vive tra online e offline, pensato per rinsaldare il legame affettivo con i consumatori storici e raccontare ai più giovani la storia di prodotti nati per intercettare i gusti di tutti. Da un lato, una narrazione social, attraverso video creativi e i contenuti di creator, che valorizza la personalità unica di ciascuno dei gelati protagonisti; dall’altro, uno “Spotted Tour” pensato per portare sul territorio l’amore per i gelati più iconici dell’estate italiana e incontrare dal vivo le persone. Le mascotte saranno infatti protagoniste di quattro tappe del Vertical Summer Tour di Radio Deejay: il 12 e 13 luglio a Bibione, il 2 e 3 agosto a Marina di Massa, il 9 e 10 agosto a Terracina, e infine il 22, 23 e 25 agosto a San Vito Lo Capo. I partecipanti potranno mettersi alla prova nel “cacciare” i loro gelati preferiti, immortalandoli in uno scatto, che permetterà di ricevere un gadget Algida. Un’occasione unica per vivere un momento di leggerezza e condivisione, con giochi ed esperienze interattive, nel segno della spensieratezza estiva e della passione per i gelati.  

 

TUTTO EBBE INIZIO DAL CREMINO ALGIDA: UN SOGNO DI “RESISTENZA”

L’origine di tutto: un semplicissimo – ma delizioso - gelato alla panna e latte fresco su stecco, rivestito di cacao magro. Nato nel 1948 dall’idea di un figlio di Celestino Faccenda, l’uomo che a Morro d’Alba salvò Alfred Wiesner dai nazifascisti durante il suo periodo nella Resistenza marchigiana. Una volta fondata l’Algida, Alfred assunse quattro figli di Celestino. A uno di loro, Mario, si deve il primo gelato mai prodotto da Algida.

 

CROCCANTE ALGIDA: IL DOLCE SUONO DEL GUSTO

Nel 1964, poi, arrivò il Croccante Algida. Un gelato ricco e iconico al gusto di vaniglia, caratterizzato da una cremosità inconfondibile grazie all’uso di panna fresca italiana al 100% e latte fresco italiano di alta qualità. Al cuore del gelato si trova un delizioso ripieno all’amarena, mentre l’esterno è impreziosito da una croccante copertura al cacao magro con granella di nocciole, meringa, biscotti e cialde. A questo gelato Patty Pravo dedicò “Ragazzo triste” o “Qui e là” per la serie “Irresistibile”, siglando quel connubio tra musica e gelato che dagli anni ’60 riunisce gli italiani nelle più belle piazze del Paese per dare vita a concerti senza tempo.

 

CUCCIOLONE ALGIDA: UNO STORYTELLING GOLOSO E D’AUTORE

“Le altre merende hanno i morsi contati”. Erede del Camillino Eldorado, il Cucciolone Algida nasce alla fine degli anni ‘70 (1976): due biscotti al malto con dentro un gelato trigusto - allo zabaione, cacao magro e vaniglia con latte fresco italiano di alta qualità – con disegnate sopra delle vignette sempre diverse. Oggi possiamo trovare i fumetti di Sio, ma questo amatissimo gelato sui suoi biscotti ha ospitato anche "Paperino”i, “Topolino” e “Pippo” grazie a una collaborazione con la Disney, e poi la mascotte dell’Eldorado, l’”Eldo Leo” di Giorgio Cavazzano e la mucca di Federico Panella.

 

GLI ANNI ’90: UN VIAGGIO AGRUMATO TRA COMPLETEZZA ED ESOTISMO

Arrivano così gli anni ’90, quelli del consumismo sfrenato, del tutto e subito, dei viaggi esotici dal sapore caraibico, ma dal fascino mediterraneo. Un mix di culture, punti di vista, freschezza e colore che Algida fa propri con due prodotti iconici: Liuk e Solero. Il primo è l’originale stecco gelato che può essere mangiato dall’inizio alla fine. Si contraddistingue per la sua freschezza data dal gusto leggero del sorbetto al limone (con Limoni di Sicilia) e dell’iconico stecco alla liquirizia. Mentre, il secondo nasce nel 1995, conquistando fin da subito il palato dei consumatori con la sua irresistibile combinazione di gusto e freschezza. Questo iconico gelato si distingue per l’incontro tra la cremosità del gelato alla vaniglia e la vivace intensità della variegatura e della copertura di sorbetto alla frutta esotica.  

 

LA FELICITA' DI "SCARTARE L'ESTATE" CON CORNETTO

Un viaggio senza tempo, insomma, che rimane ancorato oggi a ricordi, sensazioni ed emozioni che non hanno solo dato vita a un brand iconico, ma hanno trasformato un marchio in un simbolo familiare, nel quale riporre fiducia e a cui poter accostare un sentimento di appartenenza che va oltre il gusto e il piacere di assaggiare qualcosa di buono, ma allarga i suoi confini verso suoni, odori e immagini che rimangono cristallizzate dentro di noi, riportandoci lì dove e come vorremmo essere ogni giorno: felici, in vacanza, con le persone che amiamo. Proprio a questo concetto, peraltro, si rifarà anche la campagna pubblicitaria del più famoso tra i prodotti Algida, l'intramontabile Cornetto, che, nato nel 1959 dall'idea di un gelatiere napoletano, fu brevettato a livello industriale da Unilever sotto l'insegna di Algida nel 1976 e da allora diventò il vero ambasciatore della marca in tutto il mondo, con il claim "Scarta l'estate con Cornetto". Uno slogan che quest'anno si unirà, negli spot televisivi, a un altro classico della musica italiana, come per l'appunto Felicità, al fine di sottolineare ancora una volta come la semplicità della "lunga estate italiana", delle sue tradizioni e dei suoi gesti familiari, continuino a resistere nonostante il passare del tempo e i cambiamenti in atto, dando sicurezza e serenità a chi li ricerca.

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Finance & Administration

BOOM DEL FACTORING INTERNAZIONALE: +20% NEI PRIMI TRE MESI DEL 2025 PER UN MERCATO DEL FACTORING CHE VALE IL 14% DEL PIL ITALIANO

Le nuove politiche di dazi introdotte dagli Stati Uniti nel 2025 con aumenti delle tariffe su tutte le importazioni e misure ancora più severe verso alcuni partner commerciali, hanno profondamente modificato le dinamiche del commercio globale, imponendo nuove sfide alle aziende italiane orientate all’export. In questo scenario di crescente incertezza e volatilità, è emerso fin da subito il potenziale di uno strumento come il factoring internazionale che da anni vive una significativa capacità di crescita e sviluppo del proprio segmento nel nostro Paese e che in questi ultimi mesi si è imposto come uno elemento strategico a supporto delle imprese, registrando nel primo trimestre del 2025 una crescita record del 20% e arrivando a rappresentare circa un quarto del mercato totale del factoring italiano.

 

Il motivo di questa accelerazione, chiaramente, risiede nella necessità delle aziende di gestire meglio i rischi di credito e di liquidità legati alle esportazioni, messe in forte criticità dalle scelte politiche dell'amministrazione Trump e dai conseguenti cambiamenti normativi in atto a livello globale. Il factoring permette infatti di trasformare i crediti commerciali in liquidità immediata, riducendo l’esposizione al rischio di insolvenza e facilitando l’accesso a nuovi mercati, anche in condizioni di maggiore incertezza, offrendo così una maggiore resilienza finanziaria delle imprese, una migliore gestione del cash flow e la possibilità di adattarsi rapidamente alle nuove esigenze delle value chain globali e locali. Tuttavia, questa crescita porta con sé anche nuove sfide da affrontare, come, per esempio, le differenze normative tra Paesi, la complessità delle operazioni cross-border e la necessità di soluzioni contrattuali sempre più personalizzate, che rappresentano ostacoli da superare per garantire la piena efficacia del factoring internazionale. 

 

Un tema di grande attualità, questo, che abbiamo voluto approfondire meglio, attravero i dati proposti negli ultimi giorni da Assifact, l'Associazione Italiana per il Factoring, per comprendere a fondo quale sia l'attuale stato dell'arte del settore e perchè stia assumendo un ruolo sempre più strategico per la resilienza delle nostre imprese e della loro capacità di internazionalizzazione.

 

iL MERCATO DEL FACTORING IN ITALIA

Secondo gli analisti dell'ente, il mercato italiano del factoring, che rappresenta circa il 14% del Pil, continua nel suo andamento positivo anche nel 2025.  Il dato più significativo è la crescita del factoring internazionale, che comprende le operazioni in cui il cedente o il debitore risiedono all’estero: +20% nei primi tre mesi, secondo i dati forniti da Assifact, l’Associazione italiana per il factoring, con oltre 17 miliardi di euro di turnover a fronte di una crescita del turnover complessivo del factoring nel primo trimestre pari al 3,07%.

 

Già nel 2024 il factoring internazionale, con un turnover di quasi 73 miliardi di euro e una crescita del 13,79% sul 2023, era arrivato a rappresentare circa un quarto del mercato totale del factoring in Italia. Ora l’ulteriore accelerazione nel primo trimestre di quest’anno, con un incremento dell’1% rispetto all’anno precedente, al netto dell’operatività degli acquisti di crediti fiscali derivanti da bonus edilizi che risulta in esaurimento causa di decreti legislativi che nel corso del 2024 hanno di fatto bloccato la cessione di questo tipo di crediti da imprese a banche o intermediari finanziari. “I dati – ha affermato il Presidente di Assifact, Massimiliano Belingheri - confermano il ruolo sempre più rilevante del factoring per la liquidità delle imprese e nel sostenere l’economia reale: in un contesto di debole domanda di credito, la domanda di factoring continua a crescere. Il mercato italiano si distingue per volumi consistenti, con un ruolo rilevante nel supporto alle PMI e all’export: il segmento internazionale rappresenta ormai un quarto dei volumi e cresce a doppia cifra. La qualità del credito rimane molto elevata sul settore privato e rischi sostanziali contenuti sul settore pubblico. Serve ora una semplificazione normativa coerente con queste evidenze”. Il volume d’affari 2024 del factoring italiano corrisponde all’8% del mercato mondiale e all’11,5% di quello europeo. Nel 2024 hanno fatto ricorso al factoring oltre 32.400 imprese italiane, delle quali circa il 63% sono PMI, a testimonianza del continuo allargamento dello strumento finanziario a realtà di minori dimensioni. Sempre nel 2024 le operazioni di Supply Chain Finance (finanziamento della catena di fornitura) si sono consolidate al 10% circa del mercato totale italiano, con un turnover cumulativo pari a 28,03 miliardi di euro (+0,89% rispetto al 2023).  Il turnover del factoring delle imprese fornitrici del settore pubblico, da sempre caratterizzato da persistenti ritardi nei pagamenti (anche se in miglioramento negli ultimi anni), si è attestato nel 2024 a quasi 21 miliari di euro.

 

LA QUALITA' DEL CREDITO DEL FACTORING

La qualità del credito, con riferimento alle esposizioni lorde verso imprese private, si conferma molto elevata: i crediti deteriorati ammontano solo al 2% del totale, le sofferenze all’1,03%. “Per sostenere efficacemente le imprese – ha sostenuto il Segretario Generale di Assifact e professore all’Università di Roma Tor Vergata, Alessandro Carretta - serve un sistema che faciliti l’accesso al credito tramite lo smobilizzo dei crediti commerciali, anche e soprattutto quando parliamo di imprese fornitrici della PA. È fondamentale un quadro normativo europeo semplificato e proporzionato, che riconosca la specificità e il basso rischio del factoring. La revisione della definizione di default rappresenta un importante tassello”.

 

IL FACTORING INTERNAZIONALE

Alla base della forte crescita del factoring internazionale ci sono l’incremento delle esportazioni di merci italiane, la crescente domanda di transazioni in open account (quando il venditore invia la merce senza chiedere il pagamento anticipato, spesso concedendo una dilazione) da parte degli acquirenti internazionali e quindi la domanda crescente di soluzioni flessibili e sicure per le transazioni commerciali globali. Come evidenziato d auna ricerca di Assifact, le società di factoring portano a termine anche operazioni legate a forniture complesse verso acquirenti in Paesi in via di sviluppo, adattando contratti e operatività alle caratteristiche peculiari della fornitura e ricorrendo a specifiche forme di garanzia. Resta tuttavia la criticità delle differenze di natura legale fra i diversi Paesi, in particolare riguardo alle modalità per rendere opponibile la cessione al debitore e ai terzi. “Il factoring internazionale – ha sottolineato Diego Tavecchia, Direttore Operativo Assifact - rappresenta già oggi un valido alleato per le imprese vocate all'export, grazie a soluzioni flessibili capaci di adattarsi alle diverse caratteristiche delle filiere produttive. In prospettiva, il suo ruolo sarà sempre più strategico nel sostenere le aziende italiane nell’espansione verso nuovi mercati, contribuendo a rendere più sicuro ed efficiente l’accesso al commercio globale”.

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Marketing & Innovation

PIATTAFORME LOW-CODE NO-CODE E GENAI: L’INTEGRAZIONE CHE STA RISCRIVENDO LE REGOLE DELLO SVILUPPO SOFTWARE

Tradizionalmente, creare software richiedeva competenze di programmazione avanzate e tempi di sviluppo lunghi. In questo scenario, le piattaforme low-code/no-code (LCNC) consentono già da tempo a utenti aziendali non tecnici di costruire applicazioni attraverso interfacce visive e strumenti drag-and-drop, e così a sempre più persone, anche senza formazione informatica, di contribuire alla digitalizzazione di processi aziendali, sperimentare soluzioni innovative o automatizzare attività ripetitive.

Con l'arrivo dell'intelligenza artificiale, però, le regole del gioco sono cambiate e stanno cambiando in maniera radicale, da una parte, sendendo ancora più immediato e facile dare vita a nuovi progetti digitali e dall'altra riducendo ancora di più la necessità di competenze informatiche. Tuttavia, come ogni nuova grande opportunità, anche questa nuova dimensione della trasformazione digitale deve avere un controllo e una corretta gestione e integrazione nei sistemi aziendali per evitare una concatenzazione di errori e criticità che possono verificarsi a seguito dell'utilizzo improprio dell'AI e delle sue applicazioni. Così, per comprendere meglio lo scenario in cui ci stiamo immergendo, spesso, senza nemmeno accorgercene, abbiamo chiesto un parere ad Antonio D’Agata, Director Strategic Accounts & Partner di Axiante, che ha cercato di spiegare il reale stato dell'arte della situazione attuale e dei possibili sviluppi futuri.

 

"L’intelligenza artificiale - spiega D'agata - sta ora amplificando questa trasformazione e questo cambiamento, e in modo significativo. Gli strumenti di Generative AI (GenAI), ad esempio, sono in grado di scrivere codici, suggerire miglioramenti, automatizzare test o personalizzare l’esperienza utente in tempo reale. In combinazione con le piattaforme LCNC, l’AI non solo ne semplifica ulteriormente l’utilizzo, ma riduce in egual misura la soglia di competenza necessaria per creare soluzioni sofisticate".

È quindi prevedibile che l'adozione di queste piattaforme raggiungerà un punto di svolta grazie proprio alla spinta dell’AI, che aumenterà l'utilizzo di sistemi low-code e no-code tra gli utenti aziendali che non sono programmatori o tecnici e, secondo numerosi esperti del settore, potrebbe portare alla nascita di una nuova classe di strumenti di sviluppo. "Secondo le previsioni di Gartner - prosegue l'esperto - entro il 2029, l'80% delle applicazioni aziendali sarà generato utilizzando piattaforme low-code no-code, rispetto al 15% del 2024 grazie alla crescente disponibilità di strumenti potenziati dall’intelligenza artificiale". Inoltre, possiamo vedere già ora come l’integrazione tra AI e LCNC si traduce in benefici significativi: "Maggiore agilità, prototipazione rapida, capacità di adattamento ai cambiamenti di mercato e sviluppo di soluzioni personalizzate senza dover necessariamente dipendere al 100% da team IT interni o da fornitori esterni", conferma il manager. "La combinazione fra piattaforme low-code/no-code e AI – sottolinea D'Agata - non sostituirà iteam IT o gli sviluppatori, ma li aiuterà. Queste tecnologie permetteranno agli utenti aziendali di generare prototipi e costruire soluzioni più velocemente, alleggerendo il carico di lavoro degli sviluppatori che potranno così concentrarsi su compiti più complessi e critici. Inoltre, si favorirà una collaborazione più stretta tra business e IT, accelerando l’innovazione e la penetrazione della Digital Transformation. "Ciò grazie a un’accelerazione dei tempi di sviluppo, una riduzione dei costi, una maggiore inclusività nei processi di innovazione e una maggiore capacità di sperimentazione - aggiunge l'esperto -. Ma tutto questo comporta anche nuove sfide per i team tecnici. Lo sviluppo con piattaforme LCNC e GenAI da parte degli utenti aziendali può infatti incontrare limiti in termini di scalabilità, sicurezza, integrazione con sistemi complessi e qualità del codice. Senza una supervisione adeguata, si rischiano soluzioni frammentate, difficili da manutenere o non conformi agli standard aziendali. Per evitare questi rischi, è fondamentale che l’IT definisca linee guida chiare, promuova la governance centralizzata, fornisca formazione e mantenga un coinvolgimento attivo per garantire coerenza, sicurezza e sostenibilità nel tempo".

In definitiva, non si tratta solo di una rivoluzione tecnologica. "Assolutamente - conferma il manager -, piuttosto stiamo parlando di un cambiamento culturale che riscrive non solo chi può costruire software e come, ma anche le basi stesse della trasformazione digitale all’interno delle imprese".

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Human Resources

LAVORO IBRIDO: PER 7 CEO E CFO SU 10 E' PILASTRO FONDAMENTALE NELLE STRATEGIE DI RIDUZIONE DEI COSTI AZIENDALI

In un contesto economico globale segnato da instabilità e incertezza, i leader aziendali stanno abbracciando il lavoro ibrido come una soluzione strategica per navigare le sfide e garantire la crescita a lungo termine. Un nuovo studio di International Workplace Group (IWG), leader mondiale negli spazi di lavoro flessibili con brand come Regus, Copernico, Spaces, evidenzia come questa tendenza stia trasformando il modo in cui le aziende operano e gestiscono le proprie risorse.

 

Secondo la ricerca, l'87% dei CEO e CFO coinvolti nell’indagine si dichiara preoccupato per l'impatto dell'instabilità macroeconomica sulle proprie attività e l'86% sta implementando misure proattive per proteggere le proprie aziende. Tra queste, il lavoro ibrido emerge come una delle strategie più efficaci, con l'83% dei dirigenti che lo considera cruciale per la riduzione dei costi. In un contesto in cui il 67% delle aziende sta ridimensionando o pianificando di ridurre i costi operativi a causa dell'aumento delle tariffe, il lavoro ibrido offre una soluzione concreta.

 

I VANTAGGI DEL LAVORO IBRIDO: UNA TRASFORMAZIONE COMPLETA DEL BUSINESS

Il lavoro ibrido non consente solo di risparmiare ma ha anche un impatto significativo sul business. Il 77% dei CEO e CFO concorda sul fatto che il lavoro ibrido ha contribuito a ridurre significativamente le spese generali, liberando risorse preziose per investimenti strategici e creando un cuscinetto essenziale contro le imprevedibili fluttuazioni del mercato. Inoltre, il modello ibrido si dimostra un fattore chiave per la resilienza aziendale, permettendo alle aziende di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato e garantendo la continuità operativa anche in tempi incerti. Non a caso, il 79% delle aziende sta attivamente esplorando ulteriori spazi di lavoro flessibili. L'adozione del lavoro ibrido ha portato anche a un aumento della produttività dei dipendenti, con l'83% dei dirigenti che ha riscontrato un miglioramento tangibile grazie alla flessibilità offerta da questo modello. Parallelamente, l'88% dei leader aziendali riconosce che il lavoro ibrido migliora la soddisfazione dei dipendenti, rendendolo un fattore cruciale per attrarre e fidelizzare i migliori talenti. Infine, il 74% dei CEO e CFO afferma che il lavoro ibrido ha aperto nuove opportunità di espansione geografica, ampliando il potenziale di crescita delle loro aziende. In un contesto in cui la produttività (37%), il benessere dei dipendenti (23%) e il rafforzamento della fidelizzazione dei talenti a lungo termine (17%) sono considerati elementi essenziali per il successo, il lavoro ibrido si rivela uno strumento fondamentale per raggiungere questi obiettivi.

"In un'epoca di volatilità economica, i CEO stanno valutando attentamente come affrontare l'incertezza, guidando al contempo l'efficienza e la crescita delle loro aziende," afferma Mark Dixon, CEO e fondatore di International Workplace Group. "Riconoscono che la flessibilità non è solo cruciale per salvaguardare le operazioni, ma anche per migliorare la produttività dei team. Consentendo ai dipendenti di lavorare più vicino a casa, in spazi di ufficio locali, le aziende che adottano il modello ibrido possono ridurre significativamente i costi e migliorare l'equilibrio tra lavoro e vita privata."

Il lavoro ibrido si conferma così come una strategia vincente per le aziende che desiderano affrontare l'incertezza economica, ridurre i costi, aumentare la produttività, attrarre i migliori talenti e, soprattutto, prendersi cura del benessere dei propri dipendenti. 

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Supply Chain & Procurement

IN ITALIA, LA GESTIONE DIGITALE DEI DOCUMENTI VALE 2,3 MILIARDI, MA SENZA OBBLIGO NORMATIVO MANCA LA SPINTA ALLA DIGITALIZZAZIONE B2B

Il mercato della gestione digitale dei documenti aziendali (Digital Document Management & Exchange) vale 2,3 miliardi, +13% rispetto al 2021. Un segmento industriale maturo, cresciuto in media del 4% l’anno, ma in grado di svilupparsi ancora: il 41% delle imprese prevede una crescita moderata nei prossimi 3-5 anni, con un incremento del fatturato nell'ordine del 5-9%. Il 54% del valore viene da soluzioni per la gestione documentale interna, che comprende la creazione, acquisizione, archiviazione, ricerca e conservazione dei documenti. Il 39% da soluzioni per lo scambio elettronico dei documenti con i partner di business, includendo tecnologie come EDI e PEC.

 

Tra le principali soluzioni per digitalizzazione i progetti interni c’è il Document Management System (DMS, un sistema software che crea, archivia, organizza e gestisce documenti digitali), oggi adottato dal 42% delle grandi aziende e Pmi. Nei processi di interfaccia, però, lo scambio documentale con clienti e fornitori avviene prevalentemente tramite strumenti tradizionali come email, PEC, SFTP, FTP, utilizzati dal 55% delle imprese.

 

La principale priorità per le imprese di tutte le dimensioni nella digitalizzazione dei processi B2b interni è la Gestione Elettronica Documentale (GED), su cui però gli investimenti restano limitati: il 50% delle aziende dedica meno dell’1% del fatturato a questi progetti. L’AI è strategica per il 63% delle aziende, ma solo il 13% la sfrutta già nei processi documentali interni ed esterni.

 

Questi sono solo alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Digital B2b del Politecnico di Milano, uno degli oltre 50 differenti filoni di ricerca degli Osservatori Digital Innovation della POLIMI School of Management che affrontano tutti i temi chiave dell'Innovazione Digitale nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione. 

 

La digitalizzazione del B2b in Italia si trova in una ‘terra di mezzo’: dopo l’obbligo di fatturazione elettronica del 2019, non ci sono più stati impulsi significativi - afferma Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Digital B2b. L’AI avanza, ma nel B2b i progetti di impatto significativo sono ancora pochi, la sostenibilità resta spesso una buzzword, l’automazione è ferma da anni e le startup che si occupano di gestione documentale faticano ad attrarre investimenti. Nei prossimi cinque anni l’evoluzione del quadro normativo europeo in materia digitale spingerà certamente la digitalizzazione, ma le imprese non possono permettersi di attendere così a lungo per avviare o consolidare i processi di digitalizzazione: è il momento di agire, per il bene e la competitività delle nostre imprese”. D'altro canto, però, l’attenzione dell’Europa alla digitalizzazione e alla creazione di un mercato unico digitale offre un’occasione preziosa da non perdere. "Normative e regolamenti, infatti – spiega Paola Olivares, Direttrice dell’Osservatorio Digital B2b -, si moltiplicano: eIDAS 2.0 introduce l’eArchiving come nuovo servizio fiduciario, eFTI mira a digitalizzare i documenti logistici entro il 2027 e la Direttiva ViDA rivoluzionerà la fatturazione elettronica intra-UE dal 2030. In ambito nazionale, viene introdotto l’invio digitale dei corrispettivi via software, la piena operatività della lettera di vettura internazionale e l’obbligo di digitalizzazione dei documenti sui rifiuti. Ma non possiamo limitarci ad attendere le normative: serve una spinta decisa da parte delle imprese e delle associazioni di categoria. Occorre favorire l’adozione delle tecnologie digitali più consolidate, specialmente tra le imprese meno digitalizzate e nelle diverse filiere produttive e serve esplorare i benefici concreti che le tecnologie più innovative potrebbero portare”.

 

SOLUZIONI DIGITALI DEI PROCESSI AZIENDALI

Tra le principali soluzioni per la digitalizzazione dei processi interni figurano i Document Management System, offerti dal 41% delle imprese del mercato. Quasi tutti i fornitori di DMS integrano funzionalità come la digitalizzazione di documenti cartacei, l’acquisizione di documenti elettronici, l’indicizzazione e la classificazione, oltre a funzioni di ricerca e recupero. Meno diffuse sono invece le funzionalità relative ad annotazioni e collaborazione in tempo reale (55% dei fornitori di DMS) e sistemi di sicurezza avanzata (51%), ovvero soluzioni che vanno oltre le misure di sicurezza di base – come la semplice autenticazione tramite password o la crittografia dei dati – e includono strumenti proattivi come il monitoraggio in tempo reale e l’analisi comportamentale. Il 50% dei fornitori dichiara inoltre di integrare funzionalità potenziate da Intelligenza Artificiale e Machine Learning. Dal lato della domanda, i DMS sono oggi adottati dal 42% di grandi aziende e PMI italiane. Altre soluzioni diffuse per la digitalizzazione dei processi interni sono i sistemi di conservazione digitale a norma, adottati dal 69% delle imprese, e le soluzioni di firma elettronica, utilizzate dal 63%. Tra i principali benefici rilevati dall’adozione di queste soluzioni emergono una maggiore accuratezza e qualità dei dati (60% degli utilizzatori) e una riduzione del tempo di gestione dei processi interni (33%). Gli ostacoli principali riguardano invece la resistenza al cambiamento da parte del personale interno (34%) e la difficoltà di adattare le soluzioni alle specifiche esigenze aziendali (25%). Per quanto riguarda i processi di interfaccia, lo scambio documentale con clienti e fornitori avviene prevalentemente tramite strumenti tradizionali come email, PEC, SFTP, FTP, ecc., utilizzati dal 55% delle imprese italiane. Tra le soluzioni digitali più diffuse si collocano al primo posto le piattaforme di B2B Digital Commerce (al 26%) e l’EDI (Interscambio di dati elettronico, 25%). I benefici riscontrati sono simili a quelli osservati nella digitalizzazione dei processi interni: il 45% delle imprese segnala un aumento di accuratezza e qualità dei dati, mentre il 24% evidenzia una riduzione dei tempi nella gestione della relazione con i partner di business. Tra gli ostacoli più comuni figurano ancora una volta le resistenze interne al cambiamento (29% delle imprese), seguite dalla difficoltà di adattare le soluzioni alle specifiche esigenze aziendali o ai processi dei partner (23%). L’EDI gioca un ruolo significativo: è offerto dal 16% dei provider di mercato ed è adottato dal 25% delle organizzazioni (con una quota del 57% nelle grandi imprese, 25% nelle PMI e un ruolo di primo piano giocato dai settori farmaceutico, ELDOM e agroalimentare). I documenti maggiormente scambiati restano la fattura (78% di coloro che hanno EDI), che mantiene il primato nonostante l’obbligo introdotto nel 2019, seguita dall’ordine (70%). Meno diffusi sono invece i messaggi logistici (29%), la cui digitalizzazione potrebbe portare significativi incrementi di efficienza anche a livello di sistema Paese. Tra coloro che non hanno ancora l’EDI, l’8% prevede di introdurlo entro i prossimi tre anni, mentre il 65% non ne ha ancora valutato l’opportunità. L’EDI sembra aver raggiunto un plateau di maturità con diverse grandi aziende che lo utilizzano in modo efficace da moltissimi anni, ma che faticano a coinvolgere maggiormente il proprio indotto sia per nuove attivazioni, sia per l’estensione della tipologia di documenti gestiti.

 

L’INNOVAZIONE DEL DIGITAL DOCUMENT MANAGEMENT & EXCHANGE 

La Gestione Elettronica Documentale (GED) si conferma la principale priorità per le imprese di tutte le dimensioni, nell’ambito della digitalizzazione dei processi B2b interni e di interfaccia. Tuttavia, gli investimenti restano limitati, con il 50% delle aziende che dedica meno dell’1% del fatturato a questi progetti. Le 159 startup internazionali censite riflettono questa prudenza, con un totale di soli 400 milioni di euro in finanziamenti raccolti. Secondo le imprese italiane, l’Intelligenza Artificiale (AI) rappresenterà il principale trend in grado di influenzare il mercato del Digital Document Management & Exchange nei prossimi tre anni. Questa convinzione è condivisa dall’82% dei provider del settore e dal 63% delle imprese utilizzatrici, con un’adesione più marcata tra le grandi e medie aziende (75%), rispetto alle piccole imprese (61%). Tuttavia, solo il 13% delle aziende dichiara di impiegare l’AI in modo ricorrente all’interno dei propri processi di gestione documentale, sia interna sia esterna. Tra gli utilizzi più diffusi ci sono l’analisi e la classificazione dei testi, l’esecuzione di traduzioni automatiche, l’esplorazione e previsione dei dati.

 

LE NORMATIVE EUROPEE

Raramente, l’innovazione nel B2b si sviluppa in modo organico, ma continua a essere trainata dagli obblighi normativi con diverse novità nate dall’evoluzione del contesto europeo e nazionale. A livello europeo, il Regolamento (UE) ha introdotto l’eArchiving, che abilita ricezione, conservazione, consultazione e cancellazione dei dati e dei documenti elettronici con l’obiettivo di preservarne l’integrità, la riservatezza e la prova dell’origine per tutto il periodo di archiviazione. Le imprese italiane prevedono che il nuovo quadro normativo avrà un impatto positivo sul loro business, in linea con il 37% dei provider che vede un’importante apertura verso il mercato europeo. Rimane però irrisolto il nodo relativo all’attuale requisito di capitale sociale minimo di 5 milioni di euro per potersi proporre come Qualified Trust Service Provider e operare come conservatore. Questa condizione esclude 61 dei 75 provider attualmente iscritti al marketplace dei servizi di conservazione AgID. Se tale limite non verrà abbassato il mercato italiano subirà forti contraccolpi favorendo l’ingresso dei colossi stranieri e portando le nostre imprese a sviluppare business all’estero. L’Electronic Freight Transport Information (eFTI) punta a digitalizzare entro il 2027 le comunicazioni tra operatori economici e autorità preposte ai controlli, con riferimento al trasporto di merci all’interno dell’UE. Nel 2029, la Commissione Europea valuterà se rendere obbligatoria la digitalizzazione per gli operatori economici. Le imprese italiane, tuttavia, mostrano scarsa consapevolezza delle opportunità offerte da questo quadro normativo: il 49% delle aziende che esportano non ne conosce nemmeno l’esistenza. Il Pacchetto ViDA, con la Direttiva (UE) 2025/516 entrata in vigore il 14 aprile 2025, indica la fatturazione elettronica come sistema ufficiale per emettere le fatture e impone un obbligo per le operazioni intra-UE a partire 1° luglio 2030.

 

LA NORMATIVA NAZIONALE

Sul fronte nazionale, una novità importante riguarda la trasmissione telematica dei corrispettivi tramite procedura software. Dopo l’obbligo introdotto nel 2019, questa nuova opportunità consente agli esercenti di avere indubbi vantaggi, come un aggiornamento centralizzato senza intervento in loco, e servizi, come la possibilità di analisi dei dati e facilitazione nell’adottare lo “scontrino digitale”. Per i documenti logistici, da settembre 2024 è pienamente operativo in Italia l’eCMR, la lettera di vettura internazionale elettronica, ancora poco conosciuta e sentita sia dagli spedizionieri internazionali sia dalle imprese che esportano: il 38% non è nemmeno a conoscenza dell’esistenza del protocollo addizionale alla convenzione sul contratto di trasporto internazionale di merci su strada (CMR). È arrivato l’obbligo di digitalizzare il registro cronologico di carico e scarico dei rifiuti, meglio conosciuto come RENTRI, che consente il controllo e la tracciabilità dei rifiuti. Con decorrenza dal 13 febbraio 2025 (prorogato al 14 aprile 2025) riguarda le grandi e medie imprese, i grandi impianti e i trasportatori. Tutta la documentazione dovrà essere prodotta e trasmessa in formato digitale, consentendo un monitoraggio in tempo reale dei flussi dei rifiuti e migliorando la sicurezza ambientale. Dal prossimo anno l’obbligo riguarderà anche il Formulario di Identificazione dei Rifiuti, un passo importante verso la digitalizzazione e la trasparenza nella gestione dei rifiuti, con impatti positivi sulla tutela ambientale e sul rispetto delle normative vigenti.

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Top Management

AI TEMPI DELL’AI, IN ITALIA, 8 MANAGER SU 10 GESTISCONO ANCORA TEMPO E PRIORITÀ CON TO-DO-LIST SCRITTE A MANO E AGENDE CARTACEE

Rapidità, continuità e contemporaneità, visione di lungo periodo, capacità di anticipare gli scenari e di reagire alle criticità. Queste sono solo alcune delle skill che, secondo la nuova ricerca dal titolo “Keep Time and Manage Leadership”, realizzata da Business Internaional, la knowledge unit di Fiera Milano, con il contributo di Federico Ceschel, Ricercatore del Dipartimento di Economia Aziendale, Università Roma Tre, oggi un leader deve avere per poter capire come utilizzare nel modo migliore anche solo una brevissima frazione di secondo utile a prendere la decisione che farà la differenza tra il successo e il fallimento.

Il report, presentato all’Allianz MiCo, il 19 giugno 2025, nel corso dell’apertura della nuova edizione del Business Leaders Summit – la grande manifestazione dedicata ai C-level dell’impresa contemporanea – ha analizzato, inoltre, come, in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale spinge l’essere umano a non avere tempo per pensare, ma a dover concentrare tutta la sua attenzione unicamente sull’azione immediata, ogni attività generata proponga inevitabilmente il rischio costante di errori frammentati che, a causa delle loro interdipendenze, possono produrre discontinuità dannose al funzionamento di un’organizzazione se non gestite nel modo migliore. Nonostante la trasformazione digitale in atto, però, a sorpresa stupisce come, secondo i risultati dell’analisi, la maggior parte dei manager italiani (81%) gestisca ancora la propria agenda e le proprie priorità attraverso strumenti analogici, come calendari, agende cartacee e block notes. A sottolineare quanto, in uno scenario complesso come quello che stiamo vivendo, la gestione e la cura del proprio tempo e soprattutto l’impostazione strategica dei punti focali su cui concentrarsi assumano un valore e un ruolo tale da doverne mantenere il saldo controllo manuale e personale.

D’altronde l’esigenza della gestione del tempo per i leader – ha commentato Ceschel – è un elemento che, come abbiamo potuto verificare anche nella survey, non si pone più solo come una semplice tecnica organizzativa, ma come una sorta di pratica esistenziale per governare il nuovo ritmo di una quotidianità sempre più artificiale e sempre meno umana, nella quale la vera sfida non è trovare più tempo, ma usare quest’ultimo come uno spazio strategico per costruire futuro”

 

LA SURVEY

L’analisi è stata condotta su un campione di oltre 100 tra HR Director, Chief Financial Officer, Chief Procurement Officer, Chief Risk Officer, Chief Information Officer e Chief Marketing Officer, attivi in alcune delle più importanti aziende nazionali e internazionali operanti sul territorio italiano, che sono stati intervistati tra il mese di febbraio e quello di aprile 2025. Obiettivo del questionario somministrato è stato, quindi, quello di comprendere meglio, e più approfonditamente, come oggi i professionisti alla guida delle imprese sappiano gestire il proprio tempo e quello dei propri collaboratori, facendo fronte alle sfide proposte dai mercati e dai cambiamenti in atto, non solo in termini di trasformazione digitale, ma anche di nuove esigenze culturali, sociali, organizzative e valoriali che influenzano in maniera sempre più significativa il mondo del business. Un tema di grande attualità che, tra l’altro, ha fatto anche da filo conduttore alle conversazioni dei sei eventi verticali che hanno composto il palinsesto del Business Leaders Summit e che hanno permesso ai C-level intervenuti di confrontarsi e capire l’importanza di una risorsa così preziosa in scenari di grande complessità e incertezza, come quelli che stiamo vivendo. Basti pensare infatti che, secondo una recente ricerca di Forbes, se fino a qualche anno fa in cima ai desiderata dei recruiter erano presenti skill tecniche e tecnologiche, legate principalmente alla gestione dei dati e all’adozione di nuove applicazioni di AI, oggi la tendenza è decisamente cambiata e le soft skill, come la comunicazione efficace, l’intelligenza emotiva, l’ascolto continuo e, per l’appunto, la gestione del tempo, hanno raggiunto la vetta delle priorità delle organizzazioni alla continua ricerca di nuovi leader che le sappiano traghettare nel futuro. Una richiesta di talenti che, però, secondo una recente indagine di LinkedIn, sembra essere tutt’altro che semplice. L’analisi, inoltre, sottolinea come, a livello globale, più di 8 professionisti su 10 (82%) non siano in grado di gestire il tempo in maniera efficace sul posto di lavoro e più del 40% nel 2024 si sia iscritto o abbia partecipato a un corso di time management.

 

Se a livello internazionale la fotografia è questa, però, in Italia il polso della situazione è leggermente differente con il 60% degli intervistati che dichiara di essere soddisfatto della propria gestione del tempo. In questo scenario, inoltre, la maggior parte dei rispondenti conferma di riuscire a gestire le scadenze proposte dal proprio lavoro attraverso l’identificazione di chiari obiettivi (21%), la creazione di obiettivi multilivello di breve e lungo periodo (21%) o la scomposizione dei compiti in attività più ridotte (13%), ma in pochi (solo il 9%) indicano di monitorare con costanza l’avanzamento dei propri risultati nella gestione di obiettivi e scadenze. Questo sottolinea come spesso la pianificazione non trovi il riscontro necessario alla sua funzionalità, rendendo molto diffuse, per esempio, skill di adattamento e flessibilità agli imprevisti e alle emergenze, che vengono indicate dai professionisti nel 35% dei casi come capacità di ricalibrazione delle proprie priorità, sottolineando una grande propensione all’improvvisazione momentanea, che sembra emergere più come reattività anziché come capacità deliberata di riformulare strategie in maniera proattiva.  E in questo scenario, il rischio maggiore è quello di incappare in errori tecnici che rendono impossibile la gestione delle priorità stesse. Tra gli sbagli più comuni, sotto questo punto di vista, figurano l’interruzione per attività non pianificate (44%) e l’incapacità di dire di no a richieste esterne (42%). Questi comportamenti segnalano una vulnerabilità organizzativa legata alla permeabilità dei confini lavorativi e all’assenza di norme condivise sulla protezione del tempo che, in questo modo, non viene identificato come risorsa scarsa e preziosa di cui prendersi cura. Una sottovalutazione resa ancora più forte da due aspetti che, in quest’era post-Covid, rendono ancora più complesso il panorama e che sono molto più frequenti di quanto ci si aspetterebbe, ovvero: l’emergere continuo di urgenze non pianificate (37%) e la bassa qualità delle riunioni organizzate (30%).  Oltre a questo, poi, risulta chiaro anche che se, da un lato, l’utilizzo di calendar digitali, ormai, nel nostro Paese è abbastanza diffuso (73%), l’utilizzo di piattaforme per la collaboration, invece, non è ancora così considerato. Solo il 7% dei rispondenti, infatti, lo identifica come strumento funzionale alla gestione del proprio tempo e di quello dei propri collaboratori, rafforzando quindi l’impressione rilevata in precedenza e relativa a una scarsa considerazione del tempo di tutti, come risorsa fondamentale per gestire flussi e processi di lavoro. Come detto all’inizio, però, il gap tecnologico non si fa sentire solo negli strumenti di collaboration, ma proprio anche nell’uso di strumenti necessari alla gestione delle proprie priorità. In questo senso, infatti, solo il 19% degli intervistati ha dichiarato di utilizzare strumenti digitali per il time management, mentre la maggior parte del campione (35%) conferma che lo strumento migliore per gestire le proprie attività e la definizione della loro importanza è la creazione di una to-do-list scritta  a mano e il 28% afferma che nulla può sostituirsi all’agenda cartacea. A dimostrazione di quanto sia importante oggi per i manager avere proprio un controllo fisico del tempo e delle loro priorità. Un’esigenza che tra l’altro spesso si traduce anche in una forma di incapacità nella delega che porta quasi 1 manager su 5 (18%) a gestire in prima persona le urgenze e le questioni più critiche. Una tendenza, questa, che comprometterebbe, poi, il raggiungimento dei quattro principali benefici prodotti da una buona strategia di gestione del tempo e individuati dai manager coinvolti nella survey in fattori come: una maggiore capacità di pianificazione strategica (21%), una riduzione dello stress decisionale (17%), una migliore prioritizzazione delle attività (23%) e un incremento del tempo dedicato alla riflessione (22%). Asset fondamentali per poter ottenere il massimo dalla propria quotidianità professionale che richiedono, però, anche delle competenze specifiche da acquisire necessariamente, come per esempio l’automazione dei processi, che il 19% degli intervistati vede come una hard skill su cui bisogna lavorare per il futuro, o l’attivazione di un decision making più rapido, che il 19% dei rispondenti vede come una soft skill di grande valore, a cui si unisce anche l’abilità di comunicare in modo efficace (13%), o la gestione del cambiamento (22%) e delle emergenze (18%), che sono skill tipiche degli ambienti ad alta complessità.

 

I QUATTRO TIPI DI MANAGER ALLA PROVA DEL TEMPO

Dati, quelli emersi nella ricerca, che hanno portato infine a identificare anche quattro tipologie di manager moderni, elaborate in base alla capacità di gestire il tempo e le priorità, proprie e dei propri team. Attraverso una cluster analysis è stato possibile, così, evidenziare una suddivisione dei principali idealtipi di leader che oggi guidano le imprese e che definiscono l’approccio al concetto di tempo da parte di ogni professionista.

Il primo profilo è quello dell’”Orchestratore Strategico”. Figura manageriale di riferimento nei contesti complessi, questo tipo di manager è colui che riesce a trasformare il tempo in uno strumento di leadership. Rappresenta il vertice dell’intenzionalità e della strutturazione: guida il proprio team con una visione chiara, una pianificazione accurata e una capacità di delega ben consolidata. È il tipo di manager che non solo governa il tempo, ma lo progetta, attribuendogli valore strategico nel disegno organizzativo.

Il secondo profilo, poi, è quello dell’”Equilibrista Riflessivo”. Un manager che unisce sensibilità e capacità gestionale. Si muove con consapevolezza tra struttura e flessibilità, tra visione e operatività. È riflessivo, osserva sé stesso, apprende dall’esperienza e valorizza la coerenza tra azioni e valori. Non punta tanto all’efficienza quanto alla sostenibilità del proprio ruolo nel tempo. La sua forza sta nella capacità di adattarsi con consapevolezza, ma questo equilibrio è fragile e necessita di riconoscimento e supporto.

Il terzo profilo, invece, è quello dell’”Esecutore Organizzato”. Figura concreta, operativa, centrata sull’efficienza, questo tipo di manager incarna l’idealtipo del manager che tiene le redini del tempo grazie alla pianificazione meticolosa e all’utilizzo sistematico di strumenti. Il suo approccio è pragmatico: struttura, controlla, misura. Rappresenta la certezza della continuità organizzativa ma può rischiare di irrigidirsi, perdendo contatto con l’evoluzione e con il senso più profondo delle azioni che svolge.

Il quarto e ultimo profilo, infine, è quello del “Navigatore Reattivo”. Il manager esposto al caos, all’urgenza continua, alle interruzioni. Il suo tempo è costantemente frammentato, la sua attenzione sotto attacco. Si difende come può: improvvisa, reagisce, incassa. Spesso opera in PMI o in ruoli operativi dove mancano strumenti, delega, supporti organizzativi. È resiliente, capace di affrontare pressione e incertezza. Ma il rischio di burnout è alto, così come quello di perdita di direzione. Il navigatore reattivo ha bisogno di formazione, strumenti e riconoscimento per trasformare la sopravvivenza in capacità di guida.

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