Supply Chain & Procument è la unit che produce annual e corsi di formazione per 25.000 manager dell’area Acquisti, Supply Chain & Operations. Gli appuntamenti più attesi sono il CPO – Chief Procurement Officer – forum che riunisce il network dei Direttori Acquisti e il Connected Manufacturing, evento di riferimento per l’industria Manufacturing 4.0.
TAG: Acquisti, Certificati di Origine, Dogane, Import-Export, Incoterms, Logistica, Manufacturing, Operations, Process Excellence, Procurement, Produzione, Global Supply Chain
Il Mar Rosso è una rotta che rappresenta il 30% del traffico mondiale di container; da inizio anno, il numero di navi in transito è diminuito del 76%, mentre, il volume delle spedizioni intorno al Capo di Buona Speranza è aumentato del 193%. Negli ultimi sei mesi, il fatturato delle aziende colpite dalla crisi del Mar Rosso è diminuito del 14,2% rispetto al semestre precedente. Il 5,5% delle aziende è stato costretto a ridurre significativamente o addirittura a cancellare gli investimenti previsti per il 2024 a causa della crisi del Mar Rosso. L'aumento medio dei costi - stimato dalle aziende - è del +19% rispetto al periodo pre-crisi: i settori più interessati sono l'energia, la chimica, l'agroalimentare e la metallurgia. Il 30% delle aziende ha già preso in considerazione possibili alternative per evitare le difficoltà logistiche.
Sono queste alcune delle principali evidenze dell'ultimo report prodotto da Allianz Trade, dal titolo “La crisi nel Mar Rosso: effetti sulle imprese italiane e sul commercio internazionale”, che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l'evento dedicato al mondo del Procurement, che si terrà il prossimo 11 e 12 giugno 2024 presso gli spazi dell'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno dell'edizione primaverile del Business Leaders Summit, la grande manifestazione organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, e dedicata ai migliori C-Level dell'impresa contemporanea.
L’indagine, svolta a marzo 2024, su un campione di 500 esportatori italiani, in collaborazione con Format Research, istituto di ricerca specializzato nelle indagini sulle imprese, ha lo scopo di valutare le conseguenze della Crisi nel Mar Rosso che, dalla fine del 2023, ha innescato interruzioni nel settore dei trasporti marittimi. Le compagnie di navigazione sono state, infatti, costrette a optare per rotte più costose e dispendiose intorno all’Africa, per evitare i rischi nella regione del Mar Rosso. Quella del Mar Rosso, però, è una rotta vitale, che rappresenta il 30% del traffico mondiale di container e il 40% del commercio Asia-Europa. Circa il 12% del petrolio trasportato via mare e l’8% del gas naturale liquefatto (GNL) passano attraverso il Canale di Suez. Inoltre, gli attacchi hanno avuto un impatto notevole sul volume delle spedizioni. “Da inizio anno, - ha dichiarato Francoise Huang, senior economist Allianz Trade for Asia Pacific - il numero di navi portacontainer che attraversano lo Stretto di Bab-El-Mandeb e il Canale di Suez è stato rispettivamente inferiore del -76% e del -48% rispetto ai volumi normalmente registrati durante il periodo pre-bellico. Al contrario, il volume delle spedizioni intorno al Capo di Buona Speranza è aumentato del +193% nello stesso periodo”.
“I prezzi di spedizione, - prosegue Huang - in particolare le tariffe di trasporto dei container, sono inizialmente aumentati in modo significativo rispetto ai livelli di novembre 2023 (+87% entro la fine di dicembre e +177% entro la fine di gennaio, quando hanno raggiunto un picco di 3.964 USD/container da quaranta piedi). Da allora i prezzi di spedizione sono diminuiti in modo sequenziale, a un ritmo di circa il -3% ogni settimana (sebbene rimangano 1,9 volte superiori al prezzo pre-pandemia)”. Negli ultimi sei mesi, il fatturato delle aziende colpite dalla crisi del Mar Rosso è diminuito nel 14,2% rispetto al semestre precedente. La riduzione media del fatturato per azienda è stata del -18%. Il 10,6% delle aziende prevede ulteriori cali nel 2024.
Il 5,5% delle aziende è stato costretto a ridurre significativamente o addirittura a cancellare "completamente" gli investimenti previsti per il 2024 a causa della crisi del Mar Rosso. Il 51% delle aziende intervistate ha incontrato qualche tipo di difficoltà nel transito delle merci attraverso il Mar Rosso. Questo dato è più pronunciato tra le aziende dei settori della meccanica strumentale, dell'energia e della metallurgia. Il 56,4% delle aziende ritiene che i costi (spedizione, import/export/transito) aumenteranno a causa delle difficoltà di transito attraverso il Canale di Suez. I settori dell'energia, della chimica, dell'agroalimentare e della metallurgia sono i più preoccupati. L'aumento medio dei costi stimato dalle aziende è del +19% rispetto al periodo pre-crisi.
Il 59,2% delle aziende ritiene che i tempi di spedizione (import/export/transito) aumenteranno a causa delle difficoltà di passaggio attraverso il Canale di Suez. Il 22,6% delle aziende ritiene che ci saranno ritardi nei pagamenti da parte dei clienti nei prossimi tre mesi. Il ritardo medio stimato dalle aziende è di +40 giorni.
Il 23,2% delle aziende ritiene che la concorrenza tra le navi che transitano più facilmente attraverso il Canale di Suez comporterà una perdita di quote di mercato per la propria azienda. Il 6,4% ritiene che l'impatto della crisi sull'andamento della propria attività economica sarà abbastanza significativo. Il 30% delle aziende ha già preso in considerazione possibili alternative per evitare le difficoltà logistiche: il 20,6% vi farà ricorso nel 2024, mentre il 9,4% vi ha già fatto ricorso attraverso l'uso del trasporto aereo (60,5%), del trasporto su strada (9,5%), del trasporto ferroviario (circa 8%), o attraverso l'uso combinato di tali vettori (oltre il 22% circa delle aziende). “La crescente incertezza geo-politica Medio Orientale – afferma Luca Burrafato, Responsabile Paesi Mediterranei Medio Oriente e Africa per Allianz Trade – si innesta in uno scenario di volatilità globale caratterizzata dalla crescita delle insolvenze e dei tassi di interesse che stanno generando elevati fabbisogni finanziari per le imprese.In questo contesto, crediamo che sia ancor più necessaria la definizione di strategie di filiera che – coinvolgendo in maniera allargata la supply-chain – consentano di ottimizzare la gestione del capitale circolante con l’obiettivo di valorizzare quella propensione alla resilienza che il tessuto economico Italiano ha più volte evidenziato nei momenti più critici”.
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Un tema che abbiamo voluto approfondire in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l'evento dedicato al mondo del Procurement, che si terrà il prossimo 11 e 12 giugno 2024 presso gli spazi dell'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno dell'edizione primaverile del Business Leaders Summit, la grande manifestazione organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, e dedicata ai migliori C-Level dell'impresa contemporanea.
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"Forse oggi, dopo i difficili anni del Covid, la recessione non è più così vicina, ma i margini aziendali continuano a essere sotto pressione. La crisi energetica scaturita dalla guerra in Ucraina ha fatto schizzare i costi di produzione costringendo le imprese a scaricarli sul consumatore finale; nel contempo la BCE, per contenere la crescente inflazione, ha progressivamente incrementato i tassi di interesse, con un conseguente aumento esponenziale del costo del denaro. In questo difficile contesto, il commercio non è stato particolarmente avvantaggiato e il 2024 si prospetta un anno complesso per le imprese italiane”. Inizia così, l’analisi prodotta da Gianluca Sacchi, Head of Consumer Goods & Retail di BearingPoint Italia, che in un recente whitepaper ha spiegato perché la pianificazione possa essere una delle vere chiavi di volta a disposizione non solo delle singole aziende, ma proprio delle intere filiere, per poter rimanere flessibili, resilienti e sempre operative anche in un contesto così complesso e difficile da gestire. Un documento che abbiamo voluto analizzare più approfonditamente per capirne gli spunti e il valore, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit – l’evento dedicato al mondo dei Chief Procurement Officer che si terrà il prossimo 11 e 12 giugno 2024 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit, organizzato Business Internaitonal, la business unit di Fiera Milano.
PIANIFICARE PER OTTIMIZZARE I COSTI
“Complesso, sì, ma non impossibile – prosegue il manager –. Le imprese hanno, infatti, dalla loro parte un’arma che ancora oggi è spesso sottovalutata: puntare sull’ottimizzazione dei costi, che nel contesto attuale diventa un imperativo categorico per cercare di tenere in equilibrio i conti”. Le aziende che avevano strategicamente adottato una pianificazione tesa a questo genere di razionalizzazione, e che hanno investito sui sistemi di fornitura digitalizzati ed integrati, infatti, oggi sono ben posizionate per affrontare questa lunga crisi. “Disporre di un sistema digitale che connetta tutti gli anelli della supply chain – sottolinea Sacchi – permette, infatti, di prevedere le possibili evoluzioni della domanda, e di essere, dunque, più flessibili e agili nell’anticipare colli di bottiglia (bottlenecks) e adottare soluzioni efficaci in caso di imprevisti”. Le imprese che sono ancora indietro sulla strada della digitalizzazione non devono comunque disperare. “Perché hanno la grande opportunità di mettersi al passo sfruttando i fondi del Pnrr – spiega l’esperto –. A disposizione delle realtà che vogliono puntare su questa strategia, infatti, oggi ci sono: 23,89 miliardi di euro per la digitalizzazione e 0,63 miliardi per la logistica integrata. Spesso però il tema del ritardo è imputabile più alla resistenza culturale delle imprese che non a mancanze di risorse. Resistenza dettata dal fatto che spesso questi strumenti sono sconosciuti o di difficile comprensione”.
LA PIANIFICAZIONE DIGITALE INTEGRATA
Facciamo quindi un po’ di chiarezza: cosa intendiamo per strumenti digitali a supporto della pianificazione aziendale integrata? “Facciamo un passo indietro – continua Sacchi – e proviamo a descrivere in maniera più tecnica il sistema di pianificazione a cui abbiamo accennato in precedenza: la "pianificazione aziendale integrata" o "integrated business planning" (IBP). In estrema sintesi è la fusione in un unico piano di: Pianificazione Operativa: che si occupa della gestione quotidiana delle attività aziendali e della definizione degli obiettivi di breve termine; Pianificazione Strategica: che si concentra sulla definizione degli obiettivi di lungo termine; Pianificazione Finanziaria: che si focalizza sulla gestione delle risorse finanziarie – in termini di liquidità nel breve termine e di investimenti e finanziamenti nel lungo termine. Inoltre, la digitalizzazione del processo di pianificazione integrata rappresenta un importante facilitatore, un abilitatore del modello operativo della società, che deve però essere già strutturato nel dettaglio da un punto di vista organizzativo e di processo”. Quali sono però a questo punto i vantaggi della pianificazione integrata e gli ostacoli alla sua attuazione? La risposta del manager è la seguente: “I vantaggi sono evidenti: la pianificazione integrata consente di individuare eventuali rischi di fornitura e subfornitura e di sapere in anticipo quanti volumi sarà necessario produrre in previsione dell’andamento della domanda (con annessi i relativi picchi imprevisti), facendo scattare i “campanelli d’allarme" rispetto all’eventuale situazione di scarcity. A questa proiezione operativa si potranno poi collegare i piani finanziari e garantire il rispetto e la riconciliazione dei margini”. A ben vedere, ineffetti, i benefici dell’integrated business planning sono misurabili e, secondo le stime a disposizione dell’esperto, sono stati anche misurati. “Nei primi due anni dall’implementazione della strategia di pianificazione integrata – continua Sacchi – si evidenzia un aumento del 17% nella profittabilità, del 10% nel margine lordo e del 7,5% in termini di return on net assets (RONA)”. Tuttavia, sebbene le aziende discutano di pianificazione integrata da decenni, la maggior parte non è stata in grado di perseguirla. “Questo perché, per arrivare ad avere una buona pianificazione – sostiene il manager –, bisogna in primo luogo ottimizzare tutti i passaggi delle informazioni lungo la supply chain. Ad oggi, quindi, la pianificazione, anche nelle aziende che dichiarano di attuarla, è lenta, i processi sottostanti sono spesso mal strutturati e le informazioni e i flussi di lavoro vengono ripetutamente interrotti”. Questo avviene perché molto spesso la cultura e i processi aziendali seguono una logica “a silos” (ovvero ogni reparto fa il suo lavoro comunicando poco o per nulla con gli altri), mentre una buona riuscita dell’IBP richiede una cooperazione continua tra le funzioni aziendali. “Per fare un esempio pratico e virtuoso – aggiunge l’esperto –: la funzione Finance in collaborazione con la funzione Sales, dovrebbero interfacciarsi più volte all’anno con la funzione Operations per allineare e riconciliare gli obiettivi di vendita di medio/breve termine in quantità di prodotti/servizi da realizzare. La funzione Operations, considerando le risorse a disposizione e le tempistiche necessarie, dovrebbe poi tradurre questi obiettivi per la funzione Produzione. Questo processo integrato, se attuato con un certo dinamismo e allineato all’evoluzione di mercato, consente di abbattere gli sprechi – perché ottimizza le scorte a magazzino, in modo che siano sufficienti a far fronte alla domanda just in time – e agisce sui capex (le spese in conto capitale) che possono essere ottimizzati in base a questi flussi”. Dall’altra parte, invece, secondo Sacchi, di solito i maggiori ostacoli all’attuazione dell’IBP sono riconducibili a sei casi: “dalle vendite ai ricavi: quando la funzione Sales non riesce a trasformare i piani della domanda in un piano di ricavi, chi si occupa di costi non può pianificare un utilizzo delle risorse orientato alla domanda; dalle vendite alla produzione: quando si verificano deviazioni involontarie dei volumi di domanda presunti rispetto alla pianificazione della produzione e delle vendite, aumenta il costo della capacità inattiva (volume di produzione > volume della domanda) o si genera una perdita di quote di mercato (volume di produzione < volume della domanda); dalla produzione alle risorse: il disallineamento dei piani produttivi avviene quando le funzioni relative alle risorse (HR o procurement) hanno difficoltà a trovare professionalità o materiali in base ai volumi di produzione; l’allocazione dei costi del prodotto ai centri di costo: se non effettuata precisamente, spreca risorse e crea inefficienze nella produzione; investimenti in ambito finanziario: le spese in conto capitale (capex) nell'ambito della pianificazione degli investimenti devono essere armonizzate ed allineate all’evoluzioni del mercato in cui opera l’azienda e alle risorse disponibili; allineamento inter-organizzativo: i dati trasmessi all’interno del gruppo devono essere aggiornati e accessibili alle funzioni di riferimento, altrimenti il consolidamento del piano sarà più difficile”.
DIGITALIZZARE LE FILIERE: IL VALORE DELLE PMI
Guardando però all’ossatura economica del nostro Paese, la domanda sorge spontanea: qual è in questo meccanismo evolutivo il ruolo delle piccole e medie imprese che rappresentano la maggioranza dei fornitori che supportano le aziende nello sviluppo delle proprie attività e strategie? La risposta di Sacchi, però, è pronta e veloce: “È un tema cruciale: sono proprio le pmi la chiave di volta per rendere l’intero ecosistema efficiente sul fronte della pianificazione integrata”. D’altronde, come si diceva, le pmi sono una colonna portante della nostra economia. Secondo uno studio del Politecnico di Milano, su 4,4 milioni di imprese attive in Italia, le microimprese con meno di 10 addetti sono quelle numericamente più importanti, rappresentando il 95,13% del totale, contro un 0,09% di grandi imprese. Le pmi sono invece circa 211mila, vale a dire il restante 4,78% del tessuto imprenditoriale italiano, e sono responsabili, da sole, del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese. Quanto al tema digitalizzazione, l’Italia ha fatto importanti passi in avanti negli ultimi 5 anni passando da fanalino di coda a 18esima sui 27 Paesi analizzati dall’indice Desi della Commissione Europea, ma ancora non basta. “I maggiori progressi – evidenzia l’esperto – sono stati in particolare nella connettività e integrazione delle tecnologie digitali, mentre siamo sotto la media, nel capitale umano e nei servizi pubblici digitali: in particolare, le pmi soffrono la mancanza di professionisti da assumere per gestire le tecnologie digitali di cui pure si sono dotate”. In questo contesto, il tema della resistenza culturale a cui abbiamo accennato è probabilmente l’ostacolo maggiore, legato alla mancanza di strumenti per comprendere l’importanza dell’implementazione di alcuni cambiamenti nella propria azienda. “Nelle imprese – spiega il manager –, solitamente il budget si riferisce all’anno successivo in cui viene elaborato, e la sua predisposizione avviene generalmente nei mesi tra settembre e dicembre. Ma spesso nelle aziende più piccole questo passaggio non c’è, in quanto non si ritiene possibile o necessario “prevedere costi e ricavi”. Il budget non è, infatti, una previsione, bensì una simulazione basata su ipotesi. “Tuttavia – chiosa Sacchi –, senza quella simulazione non si può avere una previsione e di conseguenza è più difficile procedere in modo razionale. Dalla nostra esperienza come consulenti in BearingPoint possiamo vedere che anche qui qualcosa si sta muovendo e specialmente gli imprenditori e le imprenditrici più giovani stanno cercando di dotarsi di quegli strumenti che possano aiutarli a pianificare in modo efficace e a mettersi al riparo dagli imprevisti. La strada è ancora lunga, i tempi sempre più difficili, ma la direzione è quella giusta”.