Gli eventi dell’area Risk Management & Cyber Security sono rivolti ad una community di oltre 15.000 manager che operano nell’ambito Risk Management, Security & Compliance di multinazionali, grandi aziende e PMI italiane che hanno l’opportunità di aggiornarsi professionalmente e confrontarsi in expo internazionali, annual conferences, corsi di formazione ed eventi ad hoc.
Gli eventi flagship dell’area sono 3 tra i più importanti appuntamenti in Italia in ambito Risk Management e Security: Global Risk Forum, Cybersecurity Arena e Strategic Risk & Cybersecurity Summit.
TAG: Risk Management, Legal, Compliance, Sicurezza, ICT, Sostenibilità, Finance, Supply Chain, Data Analysis, Cybersecurity
Le pressioni economiche e le tensioni geopolitiche costringono le organizzazioni europee a esplorare nuove tecnologie e a innovare più velocemente che mai. Tuttavia, devono farlo bilanciando costi, sicurezza ed evoluzione delle normative, sfide che l’automazione può aiutare ad affrontare con successo.
Per rimanere al passo con i tempi, ma soprattutto con la concorrenza, infatti, le aziende devono far evolvere la loro infrastruttura IT passando da silos di automazione a un approccio uniforme che sfrutta gli investimenti esistenti e risponde rapidamente agli eventi end-to-end. In questo modo si abbattono le barriere alla collaborazione e persone di team differenti possono lavorare in modo coerente su strumenti, fornitori e cloud diversi. Un tema di grande attualità, questo, che, in vista della prossima edizione del Global Risk Forum, l'evento dedicato al mondo del Risk Management, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea e organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano -, abbiamo voluto approfondire meglio attraverso l'analisi e il commento di un recente white paper realizzato da Matt Roberts, responsabile piattaforma Ansible, EMEA, Red Hat, che ha cercato di spiegare come: "questa strategia olistica, in realtà, consenta di condividere competenze e best practice, nonché di introdurre linee guida e modelli standardizzati, contribuendo a evitare le duplicazioni".
AUTOMATIZZARE CON L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Secondo l'esperto: "L’AI svolge un ruolo cruciale nel potenziamento delle capacità di automazione e permette alle aziende di passare da processi statici basati su regole a flussi di lavoro dinamici e intelligenti. Poiché questa tipologia di automazione può prevedere i guasti di sistema, distribuire le risorse in tempo quasi reale e persino creare codice specifico, le Ops abilitate all’AI possono supportare eventi per i quali i playbook devono ancora essere scritti, riducendo i carichi di lavoro manuali e accelerando il time-to-market delle nuove soluzioni". L’automazione potenziata dall’intelligenza artificiale, quindi, seguendo il ragionamento del manager: "aiuta le aziende anche ad affrontare la carenza di competenze, semplificando le attività complesse, fungendo da moltiplicatore di forza e occupandosi in autonomia delle attività di routine". La possibilità di generare codice in linguaggio naturale, inoltre, consente agli sviluppatori più giovani di contribuire in maniera più fattiva e concreta. "Man mano che i modelli migliorano - spiega Roberts - e le opzioni di distribuzione diventano più flessibili, l’uso dell’AI per la codifica e lo scripting di automazione aumenterà. I modelli combineranno insiemi di dati più ampi con la conoscenza degli ambienti dei clienti, di modo che la generazione automatica di codice sia più appropriata e personalizzata"
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DORA: L'AUTOMAZIONE IT PUO' FAVORIRE LA RESILIENZA OPERATIVA
Parallelamente ai progressi di AI e automazione, anche il contesto normativo è in continua evoluzione. Tra gli altri, un elemento critico della legislazione UE è l’entrata in vigore di DORA, che ridisegna il modo in cui le aziende gestiranno il proprio ambiente IT nel 2025 e oltre. "DORA - spiega l'esperto - mira a garantire che il sistema finanziario dell’UE possa resistere a interruzioni operative significative e a rafforzare la sicurezza informatica delle istituzioni finanziarie europee, tra cui banche, assicurazioni e investitori. Questi operatori – supportati dall’uso dell’AI - continuano ad ampliare la loro operatività su piattaforme digitali per far fronte a una domanda in costante crescita e a mutevoli condizioni di mercato e lo fanno ospitando sempre più spesso le loro operazioni critiche e dati regolamentati presso fornitori terzi, amplificando così i rischi lungo tutta la catena del valore dei servizi finanziari". La resilienza operativa, però, non è da intendersi solo nella capacità di riprendersi dalle interruzioni del business. "Per essere veramente resiliente - conferma il manager -, un’azienda deve essere abbastanza flessibile da poter integrare il cambiamento come un processo evolutivo, anziché limitarsi a reagire agli eventi nel momento in cui si verificano. Ciò comporta l’implementazione di strutture organizzative, processi operativi e IT aperti, agili e pronti al cambiamento". Come in molti esperti sostengono, infatti, l’automazione può essere un fattore abilitante per il raggiungimento degli obiettivi di DORA, semplificando una rapida implementazione dell’infrastruttura e delle applicazioni in risposta a interruzioni esterne. "I metodi manuali di failover e migrazione - sottolinea Roberts - possono causare ritardi, errori, interruzioni di attività e problemi normativi. L’automazione è in grado di gestire sia le attività di base che gli scenari più complessi con un intervento umano ridotto al minimo, in modo che i team IT possano concentrarsi sulla semplificazione delle implementazioni e delle migrazioni durante le interruzioni impreviste. Inoltre, l’automazione aiuta a garantire la conformità della configurazione e a garantire il rispetto delle norme di sicurezza".
BILANCIARE INNOVAZIONE E NORMATIVE
Se da una parte, dunque, l’automazione e l’AI cambiano radicalmente il modo in cui le aziende operano per diventare più produttive e scalabili, allo stesso tempo, dall'altra, le normative europee costringono le organizzazioni a rivalutare la loro sicurezza e resilienza operativa. "Una mentalità orientata all’automazione può aiutare a gestire efficacemente entrambe le sfide - sostiene l'esperto -. E un’automazione basata sull’AI consente di innovare più rapidamente e di gestire carichi di lavoro crescenti, rispettando al contempo gli standard normativi. Insieme, questi approcci offrono alle aziende un percorso per prosperare in un panorama sempre più complesso e competitivo".
Negli ultimi anni, il mondo ha assistito a un’accelerazione senza precedenti nell’espansione delle energie rinnovabili. Secondo il rapporto Renewables 2024 dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (IEA), il 2023 ha segnato un nuovo record con 510 GW di nuova capacità installata a livello globale. E questa crescita non sembra destinata ad arrestarsi: le previsioni indicano un aumento di 2,7 volte entro il 2030, superando del 25% le attuali ambizioni dei governi. Se il trend sarà confermato, entro la fine del decennio si aggiungeranno altri 5.500 GW di impianti rinnovabili in esercizio, portando le nuove installazioni annue a sfiorare i 940 GW nel 2030. Un balzo del 70% rispetto al record stabilito lo scorso anno. Il motore di questa rivoluzione green sarà il fotovoltaico solare, che insieme all’eolico rappresenterà il 95% della nuova capacità rinnovabile nei prossimi anni.
Un tema di grande attualità, questo, che sta assumendo un valore sempre più centrale nelle logiche delle imprese e dei governi a livello globale, date anche le tensioni geopolitiche che stanno ridefinendo le logiche di forza nell'ambito dell'approvvigionamento e stoccaggio energetico in ogni parte del mondo. Un aspetto su cui, in vista della prossima edizione del Global Risk Forum, l'evento dedicato al mondo del risk management, pervisto il 19 e 20 giugno 2025, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione organizzata da Business International, la knowledge unit del Gruppo Fiera Milano, e ideata per riunire in un unico luogo i migliori C-level del momento -, abbiamo voluto ragionare più approfonditamente attraverso l'analisi e il commento, che vi proponiamo di seguito, di un recente white paper a firma di Alessandro Brizzi, General Manager di Renovis, ESCo (Energy Service Company) certificata UNI CEI 11352, che propone e realizza soluzioni per l'efficienza energetica, destinate prevalentemente all'industria.
"Di fronte alla spinta prodotta dalle energie rinnovabili - spiega Brizzi -, la comunità internazionale è chiamata ad aggiornare le proprie strategie in materia. Ad oggi, solo 14 paesi hanno fissato obiettivi espliciti sulle rinnovabili nei loro NDC prima della COP28. Tuttavia, lo scenario attuale mostra segnali di superamento delle previsioni: quasi 70 paesi, che insieme rappresentano l’80% della capacità globale, sono sulla buona strada per raggiungere o addirittura superare i propri target al 2030". In prima fila c’è la Cina, leader indiscussa della transizione, seguita da altre grandi economie emergenti come Brasile e India, oltre agli Stati Uniti. "Tuttavia - prosegue il manager -, la posizione di Pechino solleva un evidente paradosso: se da un lato è il paese che sta investendo di più nelle rinnovabili, dall’altro continua ad aumentare la propria capacità di produzione a carbone, registrando livelli record di emissioni". A tal punto che secondo i recenti dati di Global Energy Motor e CREA (2024), nel 2023 ha avviato la costruzione di centrali a carbone per una capacità totale di 114 gigawatt, con 70 gigawatt già avviati, segnando un'accelerazione rispetto agli anni precedenti. "Dal 2022, inoltre - aggiunge l'esperto -, il paese ha autorizzato complessivamente 218 gigawatt di nuovi impianti, mettendo in discussione il proprio impegno a raggiungere la riduzione delle emissioni prima del 2030". In questo contesto, però, anche negli Stati Uniti la traiettoria della transizione energetica è tutt’altro che lineare. "Se da un lato il paese è tra i principali attori nella crescita delle rinnovabili - sostiene Brizzi -, dall’altro le recenti posizioni dell’amministrazione Trump - con la sospensione per 90 giorni ai finanziamenti e ai prestiti federali dell’USDA (il Dipartimento Americano per l’Agricoltura) previsti fin dal 2022 dall’Inflation Reduction Act e destinati ai progetti per la produzione di energia pulita - hanno creato incertezza nel settore". E l'Unione Europea? "L’UE - sottolinea il manager - ha fissato obiettivi ambiziosi per la transizione energetica, con il Green Deal e il pacchetto Fit for 55, che mirano a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030 e a rendere il continente carbon neutral entro il 2050. Tuttavia, la crescita delle rinnovabili non sta procedendo con la rapidità necessaria per raggiungere questi obiettivi". Secondo Ember, infatti, a un anno dalla COP28, solo 8 governi - tutti europei - su 96 nel mondo hanno aggiornato i loro obiettivi nazionali per il triplicamento delle rinnovabili entro il 2030.
"L’analisi, però - indica l'esperto -, evidenzia una criticità più ampia: la somma complessiva degli obiettivi nazionali al 2030 ammonta attualmente a 7.242 GW, con un incremento minimo di soli 4 GW nell'ultimo anno. Sebbene ciò rappresenti un raddoppio rispetto alla capacità installata nel 2022 (3.379 GW), rimane un divario significativo di 3.758 GW per raggiungere l’obiettivo globale di triplicare le rinnovabili. Inoltre, a livello regionale, nessuna area del mondo sta colmando il gap necessario, in particolare considerando che alcune regioni dovrebbero contribuire in misura maggiore secondo gli scenari IPCC allineati con l'obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro 1,5°C". Sotto questo profilo, risulta chiaro ineffetti come i paesi più ricchi e industrializzati portino sulle spalle una doppia responsabilità che va oltre le apparenze; da un lato tali Nazioni hanno beneficiato infatti di uno sviluppo economico e tecnologico alimentato per decenni da fonti energetiche fossili, accumulando così un'enorme quantità di emissioni di gas serra nell’atmosfera. "Tale impatto storico non è solo una questione quantitativa - commenta Brizzi -, ma rappresenta una forma di “debito climatico” nei confronti dei paesi meno sviluppati, che oggi subiscono le conseguenze del cambiamento climatico pur avendo contribuito in misura marginale al problema". Dall’altro lato, il loro vantaggio in termini di risorse finanziarie, tecnologie avanzate e capacità di innovazione offre loro strumenti unici per guidare il cambiamento. "Attenzione, però - ammonisce il manager -, non si tratta solo di investire di più in energia rinnovabile, ma anche di creare le condizioni per accelerare la ricerca su soluzioni emergenti, come stoccaggio di energia, idrogeno verde e tecnologie di cattura del carbonio. Inoltre, questa capacità non può essere confinata ai confini nazionali: questi paesi devono assumere un ruolo di leadership anche sul piano internazionale, condividendo risorse e competenze per aiutare altre nazioni nella transizione energetica". In sintesi, questa doppia responsabilità non è solo morale o politica, ma strutturale: il ruolo storico e la capacità attuale dei paesi più industrializzati li pongono al centro della lotta al cambiamento climatico, con un mandato preciso per guidare il processo verso un futuro più sostenibile. "In questo scenario - sostiene l'esperto -, sicuramente uno degli ostacoli principali resta la capacità di stoccaggio: solo un terzo dei paesi analizzati sta perseguendo strategie per l'accumulo dell'energia, con una capacità installata di appena 284 GW, ben al di sotto dei 1.500 GW necessari. La carenza di investimenti nei sistemi di accumulo potrebbe rallentare ulteriormente l’integrazione delle rinnovabili nelle reti elettriche, compromettendo la sicurezza energetica europea e l’efficacia della transizione". Un altro elemento critico per molti paesi, poi, è la forte dipendenza tecnologica dalla Cina. "Attualmente - analizza Brizzi -, Pechino produce quasi il 60% della nuova capacità rinnovabile installata a livello mondiale. Da un lato, questa leadership ha permesso di ridurre drasticamente i costi delle tecnologie green - grazie a un effetto combinato di economia di scala, incentivi governativi e investimenti nell’intera catena di approvvigionamento -, dall'altro solleva preoccupazioni geopolitiche sull'approvvigionamento di materie prime e componenti essenziali, come pannelli solari e turbine eoliche".
In Italia, il 2024 si è aperto con dati record per le rinnovabili. Secondo Terna, la produzione elettrica da fonti rinnovabili ha superato per la prima volta quella da fonti fossili nei primi sei mesi dell’anno. Nel complesso, la domanda elettrica nazionale è stata di 312.285 GWh, in aumento del 2,2% rispetto al 2023, con le rinnovabili che hanno coperto il 41,2% del fabbisogno totale, il valore più alto mai registrato nel nostro Paese. "Il fotovoltaico ha registrato un incremento del 19,3% nel 2024 - ha evidenziato il manager -, raggiungendo un record storico di 36,1 TWh, mentre la produzione idroelettrica è aumentata del 30,4%, attestandosi a 52 TWh. Tuttavia, la capacità installata resta ancora insufficiente per centrare gli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che punta a coprire il 72% della generazione elettrica con fonti rinnovabili entro il 2030". Tra i principali ostacoli alla crescita, in questo senso, Brizzi individua: "la burocrazia complessa che rallenta le autorizzazioni per i nuovi impianti e la mancanza di infrastrutture per l’accumulo di energia, fondamentali per bilanciare la produzione intermittente di fonti come solare ed eolico". Come se non bastasse, a complicare ulteriormente il quadro, secondo il manager, è il contesto geopolitico ed economico: "la crisi energetica globale degli ultimi anni ha messo in evidenza la fragilità dei sistemi energetici nazionali, spingendo diversi governi a rivalutare il ruolo delle fonti fossili come soluzione tampone". Sotto questo profilo, inoltre, secondo il rapporto World Energy Outlook 2024 dell’IEA, il calo previsto dei prezzi dell’energia e l’intensificarsi della competizione tra fornitori potrebbero generare fasi di instabilità, con ripercussioni sugli investimenti nelle rinnovabili. "Se da un lato prezzi più bassi potrebbero liberare risorse per accelerare la transizione verso tecnologie pulite - ha proseguito l'esperto -, dall’altro c’è il rischio che la minore redditività degli impianti porti alcuni operatori a rallentare o rivedere al ribasso i propri piani di sviluppo. Nonostante ciò, è evidente che la transizione energetica non possa essere lasciata solo alle forze del mercato. Servono politiche chiare e incisive, con una forte volontà politica di superare gli ostacoli burocratici e infrastrutturali. L’Italia, in particolare, ha tutte le potenzialità per essere un leader in questo processo, grazie a condizioni climatiche favorevoli e un elevato potenziale di sviluppo tecnologico. Ma senza una strategia più efficace, rischiamo di restare indietro rispetto agli altri grandi player globali. La COP30 di Belém, che si terrà a novembre nel cuore dell’Amazzonia, sarà un appuntamento cruciale per verificare i progressi verso gli obiettivi di decarbonizzazione e rafforzare la cooperazione tra Stati, aziende e società civile. Il 2030 è dietro l’angolo, il tempo per agire è ora".
Il 2025 si è aperto con il più grande incendio nella storia della California. La carenza di fonti idriche e l’ipersfruttamento delle risorse naturali, unite al cambiamento climatico, infatti, hanno arso quasi completamente la Città degli Angeli americana e le colline circostanti, lasciando senza abitazione centinaia di migliaia di persone e contemporaneamente paralizzando anche qualsiasi tipologia di business e di commercio nell’area geografica limitrofa. In un contest del genere, la prima domanda che ci si è posti è stata: come è stato possible arrivare a questo punto? Nel 2025 è ancora davvero possible non riuscire a prevedre situazioni come queste e soprattutto, come è possible che non esista un piano di disaster recovery in grado di moderare o ridurre gli impatti e le conseguenza di un incendio, portando la situazione a una catastrophe di questa portata?
Tutte domande lecite che, se trasposte invece nel mondo del business, ha fatto interrogare molti sulla propria capacità di gestione di rischi e criticità come queste, facendo conseguentemente sorgere molteplici dubbi e perplessità. Quali sono, però, oggi I principali rischi, realmente percepiti, mappati e anticipate dale aziende, tanto a livello globale, quanto a livello italiano? Abbiamo cercato di comprenderlo meglio, attraverso l’analisi e il commento del consueto Allianz Risk Barometer che, come ogni anno, offer una precisa fotografia dello scenario in cui siamo immerse, sotto questo punto di vista, e che vi proponiamo in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del Business Leaders Summit, prevista il prossimo 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano.
IL REPORT
Dall’analisi, emerge anche quest’ anno che gli incidenti informatici che includono le violazioni dei dati o gli attacchi ransomware e le interruzioni IT, come l'incidente CrowdStrike, sono la maggiore preoccupazione per le aziende a livello globale nel 2025 e ancora una volta, anche l'interruzione dell'attività rimane uno dei timori principali per le aziende di tutte le dimensioni, classificandosi al 2° posto, ma dopo un 2024 ancora caratterizzato da un pesante impatto delle catastrofi naturali, questo rischio, pur rimanendo stabile al 3° posto, si avvicina in maniera sensibile ai valori della “medaglia d’argento” di questa speciale classifica. Inoltre, l’impatto di un super anno elettorale a livello planetario come è stato il 2024, con crescenti tensioni geopolitiche e possibilità di guerre commerciali, ha fatto sì che i cambiamenti nella legislazione e regolamentazione si collochino tra i primi cinque rischi, arrivando al 4° posto. Il rischio che è cresciuto di più però, secondo quanto emerge dalle risposte fornite in questa edizione dell’Allianz Risk Barometer, è il cambiamento climatico, che passa dal 7° al 5° posto, raggiungendo la sua posizione più alta nella graduatoria dei peggiori rischi nell’arco dei 14 anni di sondaggio, nonostante negli ultimi 12 mesi gli investimenti sul team abbiano riscontrato una battuta d’arresto sia nel pubblico, sia nel private..
LE DIFFERENTI VISIONI DEL RISCHIO
Le grandi aziende, proprio come le medie e piccole imprese, percepiscono in egual modo gli incidenti informatici come il loro rischio aziendale numero uno. Tuttavia, ci sono differenze significative nel resto della classifica. Le piccole aziende sono più preoccupate per rischi più localizzati e immediati, come quelli collegati a compliance normativa, sviluppi macroeconomici e carenza di competenze a livello di personale, anche se l’indagine registra come alcuni dei rischi che in passato hanno preoccupato le aziende più grandi, stiano ora iniziando ad interessare anche quelle di piccole dimensioni, con il cambiamento climatico e i rischi politici, che salgono nella classifica.
ITALIA: RISCHIO CYBER, CATASTROFI NATURALI E INTERRUZIONE DELL’ATTIVITÀ LA TOP 3 DEI RISCHI
Anche in Italia, l’Allianz Risk Barometer evidenzia che il rischio cyber si posiziona al primo posto seguito dalle catastrofi naturali - in aumento rispetto all’anno precedente - e dall’interruzione dell’attività produttiva. Marco Vincenzi, Regional Managing Director Southern Europe di Allianz Commercial ha osservato: "I risultati del recente sondaggio riflettono in modo chiaro e inequivocabile le principali preoccupazioni delle nostre aziende nel contesto attuale e rafforzano quanto già emerso nel 2024. Le imprese, di qualsiasi dimensione, oggi più che mai, si trovano ad affrontare sfide complesse e dinamiche che spaziano dall'adozione e utilizzo di nuove tecnologie, alla gestione delle risorse umane, dovendosi adeguare a normative sempre più stringenti. A ciò si aggiunge la preoccupazione che eventi catastrofici possano interrompere la propria attività con un impatto economico potenzialmente significativo. È evidente che per affrontare queste sfide le imprese necessitano di supporto strategico e strumenti adeguati che le aiutino a trasformare le loro preoccupazioni in opportunità di sviluppo e miglioramento. Questo report ci offre anche un prezioso spunto di riflessione su come queste sfide possano essere affrontate in modo proattivo e strategico di risk management".
Nell’ambito delle catastrofi naturali, nel 2024 in Italia si sono registrati 351 eventi climatici con un incremento di 5 volte in soli dieci anni. In particolare, rispetto al 2023, le esondazioni fluviali sono cresciute del 24%, gli allagamenti da piogge eccezionali per intensità del 12% e i danni da siccità prolungata del 55%, come emerso anche dai dati dell’Osservatorio Nazionale Città Clima del 2024.
IL RANKING DEI RISCHI A LIVELLO GLOBALE
Vanessa Maxwell, Chief Underwriting Officer di Allianz Commercial, ha commentato: “Il 2024 è stato un anno straordinario in termini di risk management e i risultati dell’Allianz Risk Barometer riflettono l'incertezza che molte aziende in tutto il mondo stanno affrontando in questo momento. Ciò che emerge è l'interconnessione dei rischi principali. Il cambiamento climatico, le tecnologie emergenti, la regolamentazione e i rischi geopolitici sono sempre più interconnessi, determinando una complessa rete di causa ed effetto. Le aziende devono adottare un approccio olistico nel risk management e impegnarsi costantemente per migliorare la loro resilienza al fine di riuscire ad affrontare questi rischi in rapida evoluzione”. In questo contest, come anticipato, gli incidenti informatici (38% delle risposte complessive) si classificano come il rischio più importante a livello globale per il quarto anno consecutivo, con il margine più alto di sempre (7 punti percentuali). È il pericolo principale in 20 paesi, tra cui Argentina, Francia, Germania, India, Sud Africa, Regno Unito e Stati Uniti. Più del 60% degli intervistati ha identificato i data breach come il rischio informatico che le aziende temono di più, seguite dagli attacchi alle infrastrutture critiche e alle proprietà materiali, con il 57%. "Per molte aziende, il rischio informatico esacerbato dallo sviluppo rapido dell'intelligenza artificiale (AI) è il rischio più sentito, che prevale su tutto il resto. È probabile che possa essere considerato un Top Risk anche in futuro, data la crescente dipendenza dalla tecnologia. L’incidente di CrowdStrike nell'estate del 2024 ha nuovamente sottolineato quanto siamo tutti dipendenti da sistemi IT sicuri e affidabili," ha aggiunto Rishi Baviskar, Global Head of Cyber Risk Consulting di Allianz Commercial.
IL GIOCO DELLE INTERCONNESSIONI DEL RISCHIO
L'interruzione dell'attività (Business Interruption, BI) si è classificata al primo o secondo posto in ogni Allianz Risk Barometer nell'ultimo decennio e mantiene la sua posizione al secondo posto nel 2025 con il 31% delle risposte. Anche se, a ben Vedere, l'interruzione dell'attività è tipicamente una conseguenza di eventi come disastri naturali, attacchi informatici o guasti, l'insolvenza o rischi politici come conflitti o disordini civili, che possono tutti influire sulla capacità di un'azienda di operare normalmente. Nonostante questo, però, diversi esempi del 2024 evidenziano perché le aziende vedono ancora l'interruzione dell'attività come una minaccia importante per il loro modello di business. Gli attacchi Houthi nel Mar Rosso, per esempio, hanno portato a interruzioni della catena di approvvigionamento a causa del dirottamento delle navi portacontainer, mentre incidenti come il crollo del Francis Scott Key Bridge a Baltimora hanno avuto un impatto diretto sulle supply chain globali e locali. Secondo un’analisi di Circular Republic, in collaborazione con Allianz e altri, le interruzioni delle supply chain con effetti globali si verificano approssimativamente ogni 1,4 anni e la tendenza è in aumento. Queste discontinuità causano danni economici significativi, variando dal 5% al 10% dei costi dei prodotti e provocando ulteriori impatti dovuti ai tempi di inattività. "La spinta verso il progresso e l’efficienza tecnologica sta influenzando la resilienza delle catene di approvvigionamento. L'automazione e la digitalizzazione hanno accelerato significativamente i processi, che a volte sopravanzano gli individui a causa del ritmo rapido e della complessità della tecnologia moderna. Tuttavia, quando vengono implementate efficacemente, queste tecnologie possono anche potenziare la resilienza delle imprese, fornendo migliori analisi dei dati, intuizioni predittive e capacità di risposta più agili. È per questo che costruire e investire nella resilienza sta diventando fondamentale per ogni azienda a livello globale", ha confermato Michael Bruch, Global Head of Risk Advisory Services di Allianz Commercial.
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO TOCCA UN NUOVO RECORD
Se poi pensiamo che il 2024 è stimato essere stato l'anno più caldo di sempre e che è stato anche un anno di terribili catastrofi naturali con uragani e tempeste estreme in Nord America, alluvioni devastanti in Europa e Asia e siccità in Africa e Sud America, è semplice notare anche come, dopo essere sceso in classifica durante gli anni della pandemia, poiché le aziende dovevano affrontare sfide più immediate, il cambiamento climatico sia risalito quest’anno di due posizioni, entrando al 5° posto nella Top 5 dei rischi globali, il livello più alto di sempre, con le catastrofi naturali, strettamente collegate, che si posizionano al 3° posto con il 29%, anche se più intervistati hanno identificato questo come rischio principale negli ultimi anni. A livello globale, per la quinta volta consecutiva nel 2024, le perdite assicurate hanno ampiamente superato i 100 miliardi di dollari, rendendo ancora più chiaro ed evidente come, nonostante la Medaglia di bronzo ufficiale, le catastrofi naturali siano il vero grande rischio di questi ultimi anni, come indicato anche esplicitamente da paesi come Austria, Croazia, Grecia, Hong Kong, Giappone, Romania, Slovenia, Spagna e Turchia. Nazioni nelle quali si sono verificati alcuni degli eventi più significativi del 2024. Il Giappone, poi, ha affrontato un terremoto di magnitudo 7.5 nella Penisola di Noto solo pochi mesi. Uno dei più forti della sua storia sismografica.
LA GEOPOLITICA E IL PROTEZIONISMO SONO SOTTO OSSERVAZIONE
Un altro elemento interessante da notare, poi, all’interno del report è il fatto che, nonostante continui a persistere l'incertezza geopolitica ed economica in luoghi come il Medio Oriente, l’Ucraina e il Sud-est asiatico, i rischi politici siano scesi di un posto nel ranking globale, piazzandosi alla 9° posizione sebbene con la stessa percentuale di intervistati del 2024 (14%). Di fatto, però, l’aspetto politico è un fattore tenuto in considerazione principalmente dalle grandi aziende, che li classificano al 7° posto, mentre le piccole aziende lo collocano al 10° posto. In questo senso, la paura delle guerre commerciali e del protezionismo è in aumento e l'analisi di Allianz e altri, mostra che nell'ultimo decennio le restrizioni all'esportazione di materie prime critiche sono aumentate di cinque volte. I dazi e il protezionismo potrebbero essere in cima all’agenda del nuovo Governo degli Stati Uniti, ma c'è anche il rischio di un 'far west normativo', in particolare rispetto all'IA e alle criptovalute. Nel mentre, gli obblighi di comunicazione e rendicontazione sulla sostenibilità saranno al centro dell'agenda in Europa nel 2025, con l’ulteriore rischio di portare molte realtà imprenditoriali ad abbandonare gli investimenti previsti sul tema a causa di ritardi o proprio dell’impossibilità di seguire e mantenere la compliance nei confronti delle direttive in vigore ormai da qualche mese. "L'effetto dei nuovi dazi sarà più o meno lo stesso delle (sovra)regolamentazioni: un aumento dei costi per tutte le aziende coinvolte", ha sottolineato Ludovic Subran, Chief Investment Officer and Chief Economist di Allianz SE. "Tuttavia, non tutte le normative sono intrinsecamente negative. E il più delle volte, è l'attuazione delle regole a rendere difficile la vita aziendale. L'obiettivo non è solo la numerosità delle norme, ma anche una gestione efficiente che renda più semplice la compliance. È urgente una digitalizzazione completa dell’amministrazione. Tuttavia, anche nel 2025, probabilmente aspetteremo ancora invano una strategia digitale corrispondente. Al contrario, sono in arrivo le guerre commerciali. Le prospettive non sono rosee”.