Human Resources

L'area Human Resources organizza conferenze e corsi di formazione per una community di 20.000 manager delle Risorse Umane. Gli eventi flagship dell’area sono 2 tra i più importanti appuntamenti in Italia in ambito HR: European HR Directors Summit e HR Business Conference.

TAG: Personale, Comunicazione Interna, Diritto del Lavoro, Employer Branding, Expatriates, HR Director, HR Metrics, Mappatura delle Competenze, Privacy, Sviluppo del Personale, Talent Management, Total Reward.


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eventi futuri
European Hr Directors Summit 2016 Milano, dal 23 novembre 2016 al 24 novembre 2016 Melià Milano Hotel, Via Masaccio, 19 acquista gli atti
HR Technology at the Heart of Innovation Milano, 18 ottobre 2016 StarHotel Rosa Grand, Piazza Fontana 3 acquista gli atti
HR Business Conference 2016 Milano, 22 giugno 2016 Melià Milano Hotel, Via Masaccio, 19
HR Frontiers with Nimalan Nadesalingam Milano, 22 marzo 2016 The Westin Palace Milan, Piazza della Repubblica, 20
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eventi realizzati
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News & Media

OLTRE LA PRODUTTIVITA’: LA FORZA SILENZIOSA DEL BENESSERE

Al centro dei trend attuali, che guidano il mondo del business, il tema del benessere organizzativo non è più un nice to have, ma una priorità che le imprese non possono più ignorare. Il disagio psicologico e le tensioni emotive sono, ormai, un fenomeno diffuso nelle organizzazioni: secondo l’8° Rapporto Censis-Eudaimon, quasi un terzo dei lavoratori italiani ha sperimentato forme di burnout, mentre oltre il 70% dichiara di aver vissuto ansia o stress legati al lavoro. Numeri, che spiegano perché l’83% dei dipendenti consideri oggi il benessere una priorità assoluta, soprattutto all’interno della GenZ.

Nello scenario attuale, non si tratta più soltanto di garantire stipendi competitivi o benefit materiali: le persone, il nucleo fondante delle imprese e in particolare le generazioni più giovani, chiedono ambienti di lavoro in cui sentirsi ascoltate, valorizzate e in equilibrio con la propria vita privata.

LA RICHIESTA DI FORMAZIONE AUMENTA A DISMISURA

In questo contesto, la formazione diventa una leva strategica per le imprese. Solo nel 2025 Tack TMI Italy ha registrato, nel nostro Paese, un aumento del +244% della domanda di percorsi formativi dedicati al benessere organizzativo. Un dato che non sorprende e che non rappresenta solo una risposta all’emergenza stress e burnout in atto, ma che ci fa riflettere sul cambio di paradigma a cui stiamo assistendo: ridurre il turnover e promuovere la retention dei talenti, sono oggi obiettivi di business tanto quanto l’aumento della produttività aziendale.

LE 5 COMPETENZE CHIAVE PER IL BENESSERE

Ma quali sono, oggi, le competenze che un professionista deve tenere in considerazione per fare davvero la differenza all’interno di un team di lavoro, aiutando a migliorane il clima e quindi la produttività?  Secondo gli esperti internazionali di Learning & Developement, in questo senso, le aree d’azione più importanti, sono cinque:

  1. Intelligenza intrapersonale: un lavoro continuo e approfondito su sé stessi è fondamentale per imparare a conoscersi e gestire emozioni e paure;
  2. Intelligenza interpersonale: avere la capacità di costruire relazioni di fiducia e collaborazione tra colleghi è la chiave per il successo;
  3. Cultura dell’errore: solo chi non fa non sbaglia. Saper trasformare i fallimenti in occasioni di crescita da cui imparare è il primo passo per migliorare, sia come professionista sia come team;
  4. Relazione uomo-macchina: l’abilità di utilizzare al meglio le nuove tecnologie, vedendole come alleate e non come fonti di stress, offre l’opportunità di guardare al futuro in maniera propositiva;
  5. Mindfulness e benessere fisico: mantenere equilibrio tra corpo e mente, diventa una leva concreta per migliorare la concentrazione, ridurre il rischio di burnout e sostenere performance durature.

Queste cinque aree rappresentano un cambio di prospettiva: non più soft skill da affiancare alle hard skill, ma veri e propri pilastri della competitività delle risorse aziendali. In un momento storico segnato da iperconnessione, trasformazioni digitali e crescente attenzione al work-life balance, saper coltivare resilienza, empatia e consapevolezza diventa tanto importante quanto padroneggiare strumenti e processi. Tutte abilità, queste, che non solo migliorano la performance individuale, ma rafforzano la coesione dei team e la capacità dell’impresa di adattarsi ai cambiamenti.

DAL QUIET QUITTING ALLA CULTURA DELLA FIDUCIA

Sotto questo profilo, come sottolinea anche Irene Vecchione, Amministratore Delegato di Tack TMI Italy (Gi Group Holding): “Il ruolo della formazione è essenziale perché una persona che sviluppa le proprie skill in quest’ottica non è solo un collaboratore più motivato, resiliente ed efficace, ma anche più soddisfatto e aperto al cambiamento”.

Un approccio, che, però, in questi anni si è scontrato con fenomeni di portata globale come, grandi dimissioni, quite quitting e sovraccarico cognitivo, che hanno messo a dura prova le imprese ed i lavoratori

Dinamiche che hanno reso evidente come il benessere organizzativo non possa essere affrontato con soluzioni spot o iniziative isolate, ma serva un approccio sistemico, in grado di coinvolgere leadership, processi e cultura aziendale. Da questo punto di vista la formazione, diventa un catalizzatore, in quanto non solo sviluppa competenze, ma contribuisce a creare ambienti in cui le persone si sentono ascoltate, valorizzate e parte di un progetto comune. È proprio questa dimensione di fiducia reciproca che permette alle imprese di superare la logica del “disimpegno silenzioso” e di trasformare le difficoltà in nuove opportunità di crescita condivisa.

BENESSERE ORGANIZZATIVO: LA RADICE DELLA TRASFORMAZIONE

In conclusione, il benessere organizzativo non è un lusso, ma una condizione necessaria e un percorso continuo, capace di far coesistere aspetti tecnici e umani. Solo seguendo questo schema le aziende potranno uscire vittoriose dalle sfide di un mercato in continua trasformazione, rispondendo al task iniziale: trasformare il benessere dei propri collaboratori in vantaggio competitivo.

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 ITALIA CONTROCORRENTE: MENTRE IL MONDO SI CHIUDE, I PROFESSIONISTI TRICOLORE PUNTANO ALL’ESTERO

L’Italia si conferma poco attrattiva sul mercato del lavoro internazionale. Cresce, invece, il numero di professionisti italiani che cercano opportunità all’estero. È quanto emerge da un’analisi di Indeed che ha analizzato le tendenze dell'immigrazione per motivi di lavoro in Europa e nel mondo rilevando un calo generale dell’interesse a lavorare al di fuori del proprio paese di residenza.

 

CALA L’INTERESSE PER POSIZIONI DI LAVORO ALL’ESTERO

A livello mondiale, la quota di persone interessate a nuove opportunità professionali in Paesi diversi da quello di residenza è aumentata costantemente negli anni immediatamente successivi alla pandemia, raggiungendo il picco nell'estate del 2023 e mantenendosi elevata per gran parte dell'anno successivo. A partire da agosto 2024 e fino all'inizio del 2025, l'interesse per opportunità all'estero è calato significativamente, in concomitanza con il raffreddarsi dei mercati del lavoro mondiali e con lo sviluppo di orientamenti politici più inclini a politiche di immigrazione più restrittive. L'interesse di chi cerca lavoro all’estero (misurato come percentuale di clic totali sugli annunci di lavoro di Indeed da parte di persone con indirizzi IP esterni a quel paese) è salito dal 2,2% nel marzo 2020 a un picco globale del 3,5% a metà 2023. Tra agosto 2024 e marzo 2025, invece, la percentuale è precipitata da un 3,4% relativamente stabile a un minimo post-pandemia del 2,3%. Nonostante le mutevoli dinamiche globali - spiega Alexandre Judes, economista Hiring Lab di Indeed -, la ricerca di lavoro all'estero si è mantenuta vivace nel post-pandemia. Tuttavia, dopo una spinta iniziale alimentata dalla ripresa economica e dalla revoca delle restrizioni di viaggio, l’interesse ha recentemente iniziato a diminuire in modo significativo. Questo declino globale potrebbe essere attribuibile al rallentamento dei mercati globali e a politiche migratorie più stringenti. I prossimi anni saranno determinanti per comprendere se questo calo rappresenti una flessione temporanea o un cambiamento a lungo termine negli atteggiamenti verso il lavoro all'estero". 

 

ITALIA: INTERESSE STAGNANTE DAL 2020

A differenza di quanto è avvenuto a livello internazionale, l'interesse dei candidati stranieri per le posizioni lavorative in Italia è stagnante dal 2020. Complessivamente, dal 2018 al 2025, la quota di ricerche di lavoro verso l’Italia effettuate da persone residenti in altri Paesi è scesa dal 2,6% al 2,1%. Un dato che contrasta con la tendenza osservata con la vicina Francia, che distinguendosi come unicum a livello internazionale, registra un interesse in continua crescita dalla pandemia. La quota di ricerche di lavoro in Francia effettuate dall'estero è salita dal 2,1% di maggio 2020 a quasi il 3,8%. Parallelamente, sempre più professionisti italiani guardano oltre confine. Dopo il calo registrato tra il 2018 e il 2021 - fino al minimo del 2,7% di maggio 2021 - le ricerche di lavoro all’estero da parte di persone basate in Italia sono aumentate in maniera costante, attestandosi al 4,4% del totale delle ricerche effettuate su Indeed ad aprile 2025. “La stagnazione nell'attrattiva di professionisti dall'estero indipendentemente dalle tendenze registrate a livello internazionale e, in contrasto, la vivace ricerca di posizioni all'estero da parte degli italiani - Continua Judes -, sono fenomeni strettamente correlati alle sfide strutturali del mercato, in particolar modo alla questione retributiva. I livelli salariali in Italia si posizionano tra i più bassi nell'Eurozona, un fattore che penalizza fortemente in termini di attrattiva e che può incentivare una parte della forza lavoro a esplorare orizzonti professionali internazionali in cerca di condizioni più competitive e di maggiori opportunità di crescita, come emerge anche dagli ultimi studi sulla questione”. Una recente indagine commissionata da Indeed a Censuswide, coinvolgendo 1000 persone di età maggiore di 18 anni interessate a nuove possibilità di occupazione, infatti, ha evidenziato come il 45% dei lavoratori italiani ritenga di essere pagato meno di quanto dovrebbe, con il 44% che sarebbe disposto a trasferirsi anche all’estero per uno stipendio migliore.

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GIOVANI, È ALLARME “SOFT SKILLS”: 4 GEN Z SU 10 FATICANO A COMUNICARE CORRETTAMENTE CON I COLLEGHI SUL LAVORO

Quello delle competenze è un tema sempre più importante per i ragazzi e le ragazze che si affacciano su un mercato del lavoro ultra-competitivo, in particolare quelli della Gen Z, cioè i nati tra il 1995 e il 2012. Giovani che, secondo un recente studio britannico pubblicato dal magazine di settore HrNews dimostrano maggiore preparazione dal punto di vista tecnico e delle hard skills ma meno rispetto a quelle che sono le cosiddette soft skills.

 

LA DIFFICOLTA' DI COMUNICARE

L’indagine, svolta su oltre 2mila persone, tra le quali 590 datori di lavoro, ha infatti evidenziato come studenti e lavoratori nella fascia di età tra i 18 e i 25 anni registrino le maggiori difficoltà in quest’area. In particolare, secondo la ricerca, quasi 4 su 10 (37%) hanno difficoltà nella comunicazione interpersonale, quasi 3 su 10 (28%) nella resilienza e nel problem solving (27%). Le difficoltà comunicative possono avere un impatto diretto sulle competenze chiave richieste in ogni ufficio, dato che quasi un quarto (24%) dei Gen Z non ama le conversazioni telefoniche e a volte addirittura le evita del tutto. Anche i millennial, tuttavia, sono restii a rispondere al telefono, con il 21% che ne fa volentieri a meno, quando possibile.

 

IL RISCHIO DEL BASHING GENERAZIONALE

Tuttavia, a fronte di questi dati, quello che, secondo gli esperti, va assolutamente evitato è il cosiddetto “Gen Z bashing” e, in generale, il bashing generazionale, ovvero la tendenza a colpevolizzare i ragazzi e le ragazze delle nuove generazioni, affermando che gli appartenenti alle generazioni precedenti non facciano, non abbiano mai fatto e non farebbero mai così, perchè le nuove generazioni sono peggiori di quelle passate. “Non possiamo permetterci di leggere questi dati come una colpa da imputare alla Gen Z. È una narrazione non utile e fuorviante”, afferma Francesca Verderio, Training & Development Practice Leader di Zeta Service. “Queste fragilità – aggiunge - non sono un tratto anagrafico, ma il risultato di un sistema educativo e formativo che ha fatto il possibile ma non abbastanza e non aveva gli strumenti per evolvere con la stessa velocità del mercato del lavoro. Il Covid-19, con le sue lezioni a distanza e l’isolamento sociale, ha rallentato momenti di contatto fisico proprio in una delle fasi in cui si impara, a stare in relazione”.

 

SOFT SKILL QUESTE SCONOSCIUTE

Parole che trovano riscontro in ulteriori dati dell’indagine inglese: quasi metà (il 43%) delle persone intervistate ha infatti dichiarato di non aver ricevuto insegnamenti sulle competenze trasversali durante la più giovane età. Una tendenza che, però, proseguirebbe anche nel mondo del lavoro, con oltre un quarto (27%) dei partecipanti al sondaggio che ha riferito di non ricevere alcun supporto nello sviluppo delle competenze trasversali e il 43% che non partecipa ad alcuna formazione esterna o attività di team building. Eppure le soft skills nel lavoro sono fondamentali: anche in era di intelligenza artificiale i datori di lavoro, nello studio, hanno attribuito un’importanza maggiore alla capacità di svolgere un lavoro in squadra (55%) piuttosto che alle competenze informatiche, fondamentali solo per il 26%. Ma non tutto è perduto, le competenze relazionali si formano e si fondano fin dai primi anni di vita e possono essere certamente “risvegliate e riallenate”. Inoltre non possiamo dimenticare che, questa fase di fatica che queste generazioni hanno attraversato, ha certamente sviluppato capacità e punti di vista differenti dei quali le aziende e il contesto sociale devono fare tesoro.

Oggi il contesto competitivo ci impone una riflessione strutturale: servono piani formativi che affianchino lo sviluppo tecnico a quello umano– continua Francesca Verderio di Zeta Service -. In un’epoca di AI, sono proprio le competenze che le macchine non replicano – ascolto, empatia, visione sistemica – a generare valore. Non solo, anche l’utilizzo efficace dell’AI è necessariamente connesso alla capacità umana di discernere, avere spirito critico e saperla usare come strumento ponendosi al di sopra e non lasciandosi influenzare o guidare da essa.  Come professionisti e professioniste lo vediamo ogni giorno, sia internamente sia nelle consulenze che offriamo alle aziende per un più efficace e sostenibile sviluppo organizzativo: dai percorsi di coaching che aiutano le figure manager a integrare KPI e intelligenza emotiva, ai training blended per ruoli tecnici dove il problem solving convive con il pensiero empatico, fino ai progetti di team coaching che risolvono conflitti strutturali facilitando la collaborazione tra funzioni diverse. Anche per questo abbiamo deciso di formare le nostre persone, a partire dalle figure più junior, su soft skill come l’ascolto, la comunicazione per cooperare, lo spirito critico, il pensiero divergente, la propensione all’autosviluppo”.

 

LE 10 QUALITA' COMPORTAMENTALI DEL FUTURO

Ecco allora quali sono, secondo le figure esperte di Zeta Service, le 10 caratteristiche comportamentali che chi oggi entra nel mondo del lavoro dovrebbe allenare maggiormente, accompagnato anche dall’azienda nella formazione:

  1. Focus su obiettivi singoli, costanza e coerenza: la capacità di concentrazione prolungata su un task va allenata accanto ad un multitasking che non va dimenticato.
  2. Comunicazione verbale e la capacità di integrare la relazione in modo multicanale: saper parlare con efficacia, integrando i contributi e conoscendo e governando le caratteristiche dei canali di comunicazione.
  3. La chiarezza espositiva e la capacità di trasmettere concetti in modo razionale e relazionale: e-mail chiare, dirette e pertinenti sono fondamentali per una performance che mira a fare squadra e a risolvere problemi complessi.
  4. Accountability e Decision making: esercitare il potere e la competenza ad attivarsi rispetto al proprio livello di padronanza e sfidarsi ad andare oltre.
  5. Spirito critico: capacità di governare e farsi un’opinione propria e se serve divergente rispetto alla realtà che si affronta è la via per l’innovazione e la crescita, oltre che per un utilizzo davvero efficace dell’AI.
  6. Resilienza e locus of control bilanciato: avere la capacità di pesare i propri contributi e contestualizzarli, analizzando tutte le variabili in gioco, riconoscendosi azioni positive e mettendosi in discussione in ottica di miglioramento continuo.
  7. Negoziazione sostenibile, in logica sempre di reciproco vantaggio: una competenza chiave in ogni relazione professionale, interna o esterna.
  8. Ascolto attivo, empatia e cura autentica della relazione: comprendere, non solo sentire, è il prerequisito di ogni relazione sana. E comprendere i bisogni dell’altro è ciò che conferisce leadership e fiducia.
  9. Propensione all’autosviluppo: accogliere il feedback come leva di apprendimento, non come attacco personale.
  10. Pensiero positivo: non “pensare positivo” a tutti i costi, ma coltivare la capacità di leggere le opportunità anche nelle criticità.
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