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Human Resources

L'area Human Resources organizza conferenze e corsi di formazione per una community di 20.000 manager delle Risorse Umane. Gli eventi flagship dell’area sono 2 tra i più importanti appuntamenti in Italia in ambito HR: European HR Directors Summit e HR Business Conference.

TAG: Personale, Comunicazione Interna, Diritto del Lavoro, Employer Branding, Expatriates, HR Director, HR Metrics, Mappatura delle Competenze, Privacy, Sviluppo del Personale, Talent Management, Total Reward.


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eventi futuri
Le sfide della Digital Transformation per CFO and HR Milano, 4 luglio 2023 The Square Milano, Via Alberico Albricci, 2/4
HR Directors Summit 2023 Milano, dal 14 giugno 2023 al 15 giugno 2023 Allianz MiCo, Via Gattamelata, 5 - Gate 14 e 15 www.businessleaders.it
HR Business Conference 2022 Roma, dal 29 novembre 2022 al 30 novembre 2022 Palazzo Rospigliosi, Via XXIV Maggio 43
HR Roundtable: Equity, Diversity and inclusion for sustainable Organization Milano, 17 novembre 2022 Armani Hotel, Via Alessandro Manzoni, 31
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eventi realizzati
Costo del lavoro e budget del personale Live Streaming, dal 22 settembre 2023 al 13 ottobre 2023 iscriviti
Gestire e misurare la performance di un team Live Streaming, 11 ottobre 2023 -9 giorni all'evento iscriviti
Dare feedback efficaci per motivare e sviluppare Live Streaming, 15 novembre 2023 -44 giorni all'evento save the date
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News & Media

NICODEMI (CARPISA): PER RIDURRE LA TALENT SHORTAGE BISOGNA PERMETTERE AI PROFESSIONISTI DI REALIZZARSI DAVVERO IN AZIENDA

Oggi il mercato del lavoro è indubbiamente cambiato rispetto a solo pochi anni fa. Le aspettative dei potenziali candidati sono diverse e maggiori rispetto al passato, sia da un punto di vista strettamente economico che sul versante di un complessivo e migliore equilibrio tra vita personale e professionale”. Marco Nicodemi, Chief HR Officer di Carpisa, sottolinea così il meccanismo di trasformazione in atto nel mondo del business che sta portando numerose aziende a ripensare i propri modelli di recruitment per attirare l’attenzione dei migliori talenti sul mercato. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire, in occasione della presentazione della ricerca dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, realizzata da Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, e presentata nel corso dell'ultima edizione del Business Leaders Summit, tenutosi a Milano lo scorso 14 e 15 giugno 2023. “Alcuni fattori – prosegue il manager – incidono più che in passato nella scelta dell’azienda da parte dei candidati: la possibilità di lavorare da remoto, in tutto o in parte (c.d.: lavoro “ibrido”), la distanza tra luogo di lavoro e residenza, la gestione del tempo e, conseguentemente, la possibilità di dedicarsi anche agli interessi personali o alle esigenze di cura verso figli piccoli e genitori anziani, sono tutti elementi importanti nella valutazione di un’opportunità professionale da parte di un candidato”. In questo contesto, ovviamente però, anche le aspettative delle aziende si sono evolute e modificate. “Tra i requisiti attesi dalle imprese – spiega Nicodemi – oggi spiccano, ad esempio, quelle competenze digitali non particolarmente diffuse né tra i giovani italiani attivi nella ricerca di prima occupazione, né tra i professional di maggiore seniority già presenti sul mercato”. Un aspetto, questo, evidenziato da tempo ormai nell’ambito del recruiting nel nostro Paese, che sembra evidenziare come si faccia ancora fatica a cambiare le dinamiche della formazione e, se vogliamo, della rivoluzione culturale che la digital transformation, in modo particolare nell’era post-covid, sta richiedendo in maniera sempre più frenetica e incessante. “La combinazione di queste variabili – continua nella sua analisi il direttore delle risorse umane – ha reso più difficile la possibilità di un più rapido ed efficace incontro tra domanda e offerta, nonostante la disponibilità di strumenti di recruitment ben più veloci e immediati rispetto al passato”. La questione, quindi, pare non sia più essere generata dalla digitalizzazione delle operation da parte delle imprese, ormai, ma verta più su un discorso organizzativo e di evoluzione strutturale dei modelli attualmente in essere. “Per poter progredire in questo senso – avverte Nicodemi –, è più che mai indispensabile per le aziende un investimento organizzativo che favorisca l’adozione di modelli di gestione basati su obiettivi e non su gerarchie verticali di tipo dispositivo. E’ necessario investire su percorsi formativi orientati allo sviluppo di competenze manageriali. E’ importante costruire contesti aperti e trasparenti nei quali le persone si sentano effettivamente parte del progetto aziendale”. Una roadmap chiara, quindi, che Carpisa ha intrapreso già da qualche tempo. “Noi, in azienda – aggiunge il manager – stiamo cercando di raffinare il processo di recruitment, che - per alcune posizioni - è sempre attivo, proprio per costruire attenzione e notorietà intorno al Brand. Stiamo costruendo percorsi di sviluppo manageriale e sistemi di remunerazione per obiettivi altamente incentivanti”. Un set di attività, per così dire, con un unico grande obiettivo. “Facciamo tutto quanto possa aiutarci – racconta Nicodemi – ad uscire dalla logica di un processo di recruitment distante dal resto della nostra impresa, rivedendo i fondamentali del nostro contesto organizzativo per riproporli anche come strumento di attraction verso i nuovi e potenziali candidati”. Una nuova generazione di talenti da conquistare e con cui confrontarsi per raggiungere un risultato comune su cui spesso le organizzazioni che operano nella nostra penisola fanno fatica a puntare per svariati motivi, ma che invece risulta fondamentale nello sviluppo di un rapporto tra dipendente e datore di lavoro che sempre di più deve guardare alla sostenibilità tanto del business quanto della soddisfazione e della vita privata del professionista. “Le aziende italiane sono “nane” e, spesso, a conduzione familiare – commenta Nicodemi –. Investono poco nell’organizzazione e nei sistemi di delega. Quelle che hanno concrete opportunità di intercettare i migliori talenti sono le aziende orientate a crescere, quelle che rischiano sul potenziale dei giovani e i cui titolari sono disponibili ad organizzare contesti trasparenti di crescita ed evoluzione personale, nei quali l’individuo non si senta un accessorio del progetto, ma parte del progetto stesso”. Un modello, questo, per cui però servono nuove competenze da sviluppare, tanto per le aziende, quanto per i propri manager. “Alle imprese di qualunque tipo e in qualunque settore – incalza Nicodemi –, oggi, serve chiarezza di intenti e coerenza sia dell’azienda che di coloro che la rappresentano. Le aziende hanno bisogno di un clima organizzativo e di strumenti a supporto dell’ibridazione dei ruoli organizzativi, attraverso soluzioni di piattaforma che consentano la gestione di progetti da parte di team i cui componenti non vivono quotidianamente nello stesso luogo di lavoro”. Tutte skill nuove, e da costruire, che richiedono un approccio diverso e una visione inedita dell’azienda stessa. “A mio modo di vedere – spiega il manager –, inoltre, è più che mai importante essere chiari rispetto agli obiettivi che l’azienda persegue e agli obiettivi di ruolo dei manager, oltre che ai meccanismi di valutazione in base ai quali si avrà l’opportunità di crescere in azienda per i professionisti. Lunghi processi di scelta non sono più compatibili con un mercato del lavoro fortemente competitivo e, pertanto, è ben meglio avere le idee chiare fin dal principio anziché intraprendere processi di reclutamento durante i quali non siano immediatamente disponibili le risposte alle numerose domande che ciascun candidato, oggi più che in passato, ci porrà sull’azienda, sul proprio ruolo e su come il proprio ruolo si integrerà nell’organizzazione della nostra realtà”. Domande a cui, spesso, ancora oggi le aziende fanno fatica a rispondere in maniera efficace. “Partiamo dal presupposto che tutte le persone che incontriamo desiderano realizzarsi – chiosa il manager – e se non ci organizziamo affinché questo si possa concretizzare, avremo già perso in partenza”.

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RUSSOMANDO (illimity): ASCOLTO CONCRETO E RACCONTO GENUINO, LE BEST PRACTICE CHE RIDUCONO LA TALENT SHORTAGE

"Il talent shortage è causato da diversi fattori: da una parte, è innegabile ormai come oggi esista una difficoltà per il mondo universitario e formativo nell’adeguarsi a continui e sempre più veloci mutamenti dello skill mix richiesto dalle aziende (sempre più ibridato e multidisciplinare);, dall’altra, è altrettanto evidente come ci sia un diverso approccio al lavoro e alle imprese da parte dei candidati (più) validi che, avendo gran mercato, valutano con maggior attenzione, rispetto al passato, i valori, la mission e le modalità di lavoro delle organizzazioni con cui entrano in contatto”. E’ questa la fotografia che propone Marco Russomando, Chief Human Resources & Organization Officer di Illimity, parlando di un fenomeno come quello della carenza di talenti, soprattutto in ambito Stem, che sta influenzando il mercato del lavoro a livello globale. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire, in occasione della presentazione della ricerca dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, realizzata da Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, e presentata nel corso dell'ultima edizione del Business Leaders Summit, tenutosi a Milano lo scorso 14 e 15 giugno 2023“Al contempo, inoltre – prosegue il manager –, le nuove generazioni di professionisti hanno minore affezione (o se vogliamo un diverso legame) nei confronti del proprio datore di lavoro”.

 

IL PARADOSSO DELL'INVESTIMENTO A TERMINE

Un aspetto empatico, questo, che riflette un po’ la riduzione di quell'“attaccamento alla maglia”, come si dice in gergo sportivo, che rende più delicato il rapporto tra azienda e talento e propone un rischio di ritorno sull’investimento nelle risorse che rende sempre più complesse le scelte da mettere in campo per le organizzazioni. “In questo modo, però – sottolinea Russomando –, si crea il paradosso dell’investimento a termine, ovvero la necessità per le aziende di puntare molto sulla formazione e lo sviluppo dei talenti che poi – spesso – scelgono, magari dopo 3 o 5 anni, di intraprendere altri percorsi lavorativi, perché vedono le aziende come tappe (funzionali se non strumentali) al loro percorso e, dunque, per decidere di “restare o investire” a medio-lungo termine, queste ultime devono essere in grado di offrire loro, periodicamente, nuove opportunità di apprendimento e d’impatto organizzativo”. Una vera e propria sfida da non sottovalutare, questa, anche perché impone alle imprese di mettersi in gioco a 360 gradi, senza filtri e soprattutto con la voglia di trasformarsi profondamente, tanto nei processi, quanto negli approcci e, soprattutto, nella cultura di un nuovo modo sia di fare business, sia di lavorare.

 

NUOVE STRATEGIE DI ATTRACTION E RETENTION

Una modalità, tutta da scoprire, che richiede l’attivazione di nuove strategie per rimanere competitivi sotto il profilo della talent attraction e della talent retention. “Le strategie per affrontare il fenomeno della talent shortage – suggerisce il manager –, idealmente, dovrebbero tenere in considerazione tre asset fondamentali. In primis, le aziende dovrebbero adottare una logica o modello identitario ed ecosistemico che consenta di definire e comunicare cosa si è e cosa si offre in ottica di People Value Proposition. Solo così si può dare vita ai presupposti per un rapporto di followership evoluta e di fellowership”. Due concetti di assonanza valoriale (oltre che linguistica) e di prospettiva, orientati alla cura e alla guida o mentorship, ma anche a una libertà responsabile che offra l’opportunità di generare un terreno fertile dove supportare l’espressione del potenziale individuale. “In secondo luogo, poi – prosegue Russomando –, è fondamentale plasmare tutti i processi sulla base della PVP, con un’attenzione particolare alle performance e al training. In terza istanza, infine, l’aspetto più importante da valorizzare rimane quello di ascoltare costantemente le proprie risorse, adottando le micro e le macro correzioni che favoriscono un ambiente di lavoro sano, sostenibile e generativo”. Tre fattori essenziali, questi, a cui si aggiunge poi un ultimo elemento da non sottovalutare se si vuole generare quell’affezione all’impresa che consenta un percorso condiviso di lungo periodo tra datore di lavoro e talent. “In questo contesto di generazione di valore e di valorizzazione delle nuove generazioni di professionisti e non solo – evidenzia il manager –, sicuramente, l’Employer Branding, se genuino, ovvero se improntato al racconto di chi si è e non di cosa si vorrebbe o dovrebbe essere, è un volano potentissimo per la talent acquisition. Per renderlo efficace, però, è necessario puntare sempre di più sul dar voce alle proprie persone, mettendo al centro il loro “sentire”, il loro “immaginare e innovare”, e investendo sulla narrazione della propria storia”. Già, perché ogni organizzazione ha un passato da descrivere e spiegare.

 

IL VALORE DELL'ESPERIENZA

Un percorso di successi e sperimentazioni che ha portato all’acquisizione di nuove competenze e  risultati. “Se guardiamo oggi – continua Russomando – alle competenze più efficaci che le aziende devono fare proprie attraverso l’ingresso di nuovi talenti, in questo contesto digitale, fluido e incerto, possiamo notare come empatia, agilità di pensiero e di azione, apertura alle diversità, lungimiranza, pazienza, autoregolazione emotiva e antifragilità (che va oltre la “semplice” resilienza, perché è la caratteristica di chi impara, o meglio, evolve da situazioni avverse) siano le skill più importanti su cui concentrare la propria ricerca e la propria attenzione. Per attrarre le risorse giuste in questo senso, però, le organizzazioni dovranno saper comunicare e trasmettere la propria identità e il proprio impegno verso le persone, riuscendo a essere consistenti ed  esemplari nel dire quel che si pensa e – soprattutto – fare quel che si dice, anche perchè ormai il fact checking è un’attività sempre più diffusa a tutti i livelli e questo, dal punto di vista dei professionisti, screma alla base, e quasi automaticamente, le realtà meritevoli da quelle che non lo sono”.

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L'EVOLUZIONE DELL'EMPLOYER BRANDING PER FRONTEGGIARE LA TALENT SHORTAGE

Carenza di talenti, mancanza di competenze IT, difficoltà nel trovare professionisti con consolidate skill digitali e decisa criticità nell’acquisizione di lavoratori dotati di competenze trasversali, come il time management, l’empatia o la collaborazione. In un mondo sempre più digitalizzato e nel quale il bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa e le priorità delle persone sono in continuo mutamento, il paradigma lavorativo sta conoscendo un’evoluzione che in pochi si aspettavano o avevano previsto.

Alcuni attribuiscono la causa di tutto questo alla pandemia da Covid-19, che ha reso più complessi i processi internazionali e la gestione della sfera personale. Altri, invece, sostengono che l’aumento dello smart working, inteso esclusivamente come telelavoro, unito alla crisi economica, alle nuove esigenze personali e professionali e a una lentezza nell’adattarsi alle nuove richieste dei lavoratori da parte delle aziende abbia impattato negativamente sulle dinamiche dei flussi occupazionali.

Di fatto, però, il problema diventa sempre più concreto e attuale: il fenomeno della talent shortage, ovvero la carenza di talenti, ormai, sta coinvolgendo tutti i tipi di impresa in qualunque settore. A tal punto che, secondo la ricerca realizzata dal World Economic Forum The Future of work 2023”, due su cinque (41%) degli economisti intervistati si aspettano che i mercati del lavoro rimarranno “contratti” nelle economie avanzate nel corso dell’anno, mentre il 45% degli intervistati ritiene che sia “abbastanza” o “estremamente probabile” che la carenza di talenti eserciti un freno all’attività imprenditoriale nel prossimo futuro. Gli intervistati, inoltre, hanno espresso fiducia nello sviluppo della propria forza lavoro esistente, tuttavia, hanno dimostrato meno ottimismo per quanto riguarda le prospettive di disponibilità di talenti necessari alla crescita aziendale nei prossimi cinque anni. Di conseguenza, le organizzazioni hanno identificato la carenza di competenze e l’incapacità nell’attrarre talenti come le principali barriere per la trasformazione della propria impresa, e del proprio settore di riferimento più in generale.

Dati, questi, che hanno portato Business InternationalFiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, a sviluppare il report dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, al fine di comprendere a fondo quali possono essere le strategie da mettere in campo per poter ridurre uno skill gap sempre più marcato e in grado di diminuire drasticamente la competitività delle organizzazioni nel prossimo futuro. L’analisi, curata da Stefano Faccioli, Head of Organizational Development and Training della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, e condotta tra febbraio e aprile 2023 su un campione di oltre 100 direttori HR attivi in aziende di medie e grandi dimensioni, operanti sul territorio italiano, si propone quindi di indagare quale sia lo stato dell’arte delle priorità da affrontare e delle tattiche da adottare per consentire alle imprese di superare questa sfida da non sottovalutare.

La talent shortage, oggi – ha commentato Faccioli –, è un fenomeno che subisce l’influenza di molteplici fattori, ma probabilmente il miglior modo per fronteggiarla, da parte delle organizzazioni, è capire che lo scenario del lavoro e le esigenze dei lavoratori sono enormemente cambiati. Questo è un processo irreversibile ormai. Ascoltare questa richiesta di soddisfazione personale e necessità di riequilibrio delle dinamiche tra lavoro e vita privata, diventa così una delle chiavi fondamentali per rispondere in maniera efficace alla situazione”. Un paradigma che, per essere messo in atto, però, ha bisogno di un concreto cambio di approccio da parte delle aziende, ma anche da parte dei manager che le guidano, oltre che un nuovo modello organizzativo e culturale che guidi il mondo del business più in generale verso il superamento di frontiere che fino a qualche tempo fa sembravano invalicabili e che ora risultano essere l’unica via da percorrere per poter rimanere competitivi sui mercati, dall’attenzione alla sostenibilità ambientale alla diversity and inclusion e dall’ampliamento del bacino di recruitment per la talent acquisition alla responsabilità sociale delle attività imprenditoriali. “La competizione per i talenti – ha commentato Ilaria Caccamo, Managing Director di Indeed Italia , la scarsità di competenze, il cambio di preferenze dei candidati dal dopo pandemia, sono alcuni degli elementi che stanno scatenando una tempesta perfetta in cui si trovano coinvolte le aziende alla ricerca di candidati. Oggi per queste aziende l’employer branding rappresenta sia un’opportunità che una sfida. Spesso si ritiene che l’ambito di questo strumento sia la comunicazione, ma il tassello chiave che ne costruisce le fondamenta è il valore. L’employer branding consente alle aziende di rendere il proprio valore concreto, tangibile e differenziante. Così da attrarre nuovi candidati ma anche influenzare i propri dipendenti. Grazie alle gestione attiva della proprio brand aziendale le aziende riescono ad ascoltare, agire e condividere in modo più mirato ed efficace. Il mondo del lavoro sta cambiando, per il meglio”. Un’attività di sicuro impatto, su cui le aziende italiane – come dimostrano i dati della ricerca – si stanno impegnando con grande dedizione, mostrando come, nonostante le difficoltà e le criticità del momento, ci siano già alcuni esempi d’eccellenza che hanno deciso di muoversi con coraggio per offrire nuove opportunità ai professionisti e al contempo una nuova visione del fare impresa.

 

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