L'area Human Resources organizza conferenze e corsi di formazione per una community di 20.000 manager delle Risorse Umane. Gli eventi flagship dell’area sono 2 tra i più importanti appuntamenti in Italia in ambito HR: European HR Directors Summit e HR Business Conference.
TAG: Personale, Comunicazione Interna, Diritto del Lavoro, Employer Branding, Expatriates, HR Director, HR Metrics, Mappatura delle Competenze, Privacy, Sviluppo del Personale, Talent Management, Total Reward.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
In Italia, tutto – vita sociale, dinamiche di lavoro, giurisprudenza – dovrebbe essere conseguente all’articolo 3 della Costituzione, che non lascia spazio ad alcuna interpretazione o cavillo. Ma non è così. Per quanto il sentiment su questi principi sia concorde sulla loro centralità e sull’importanza di concretizzarli nella pratica quotidiana, spesso vengono disattesi, nonostante i benefici individuali e collettivi che potrebbero derivare dalla loro applicazione.
Secondo una recente ricerca di Boston Consulting Group, per esempio, le aziende con una maggiore attenzione alla diversity raggiungono risultati economici e di innovazione del 19% superiori rispetto a quelle che la disattendono. Senza contare le ricadute sotto il profilo della reputation e di Net Score Promoter (il “passaparola”). L’analisi di “Diversity Brand 2022”, di Diversity e Focus Mgmt, evidenzia un delta potenziale del +23% tra la crescita dei ricavi delle aziende percepite come più inclusive rispetto a quelle meno inclusive, con un 77.5% dei consumatori più predisposti ad acquistare prodotti e servizi presso le prime piuttosto che presso le seconde. Risultati, peraltro, ben compresi dai manager delle stesse realtà imprenditoriali che, secondo una recente indagine di DNV, nel 79% dei casi, a livello internazionale, affermano come la Diversità e l’Inclusione (D&I) siano parte integrante della strategia della propria impresa, concordando in 6 risposte su 10 sul fatto che un’organizzazione inclusiva raggiunga prestazioni migliori. Nonostante questo, però, solo il 32% dei rispondenti della stessa survey conferma che si tratti di un aspetto critico per il business; e meno di un’azienda su tre ha definito una politica a livello aziendale in questo senso.
Tutti elementi che, nella quarta edizione dell’annuale ricerca dal titolo “Future of Work” (scaricabile a questo link: https://lnkd.in/dRM87mz3), realizzata da INAZ in collaborazione con Business International - Fiera Milano, con il commento di Fabrizio Lepri, Docente di Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane all’Università degli studi Roma Tre, hanno portato a concentrare l’attenzione dell’analisi sul ruolo sempre più importante di Diversity, Equity & Inclusion. Un'analisi di cui abbiamo voluto proporvi una sintesi commentata dai protagonisti, anche in vista della prossima edizione del HR Directors Summit - l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, organizzato da Business International - Fiera Milano e previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2023 presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit.
Dall'analisi, infatti, emerge chiaramente come la D&I sia un fattore imprescindibile, ormai, in questa nuova epoca che misura il successo, non tanto sulla retribuzione proposta ai professionisti da parte delle imprese, quanto sulla capacità di queste ultime di migliorare la qualità della vita della propria forza lavoro a 360 gradi. “Il ruolo centrale assunto da questo tipo di valori in questi ultimi anni – spiega Lepri – è l’espressione di una profonda rivoluzione culturale globale avvenuta nel mondo lavorativo e che già era in atto da tempo, ma su cui indubbiamente la pandemia ha avuto un effetto di accelerazione imprevisto, con conseguenze inaspettate”. Una propulsione positiva che, attraverso quella necessità di sostenibilità sempre più stringente per governi, istituzioni e aziende, si è trasferita nella quotidianità delle persone, producendo un’esigenza di cura e valorizzazione dell’individuo in quanto tale che, ormai, non può più essere ignorata. “Un aspetto – sottolinea Linda Gilli, Presidente e Amministratore Delegato di Inaz – che evidenzia, se ancora ve ne fosse stato bisogno, come le aziende siano composte primariamente da persone. Individui di cui bisogna prendersi cura e che bisogna ascoltare e comprendere con attenzione per poter permettere loro di esprimere a pieno il proprio potenziale, al fine di renderli soddisfatti e felici nell’essere parte dell’impresa in cui operano, offrendo a quest’ultima un reale valore aggiunto di crescita e sviluppo”. Un principio fondamentale su cui le aziende hanno sempre più necessità di concentrarsi. A maggior ragione in un’epoca in cui il mondo del lavoro sta passando dal fenomeno della Great Resignation a quello della Great Realization e dove il vero protagonista non è più il denaro, ma l’unicità delle persone e la loro complessità, vista come un punto di vantaggio in grado di produrre un differenziale quanto mai essenziale per la competitività di un brand.
In un mondo in cui le persone vogliono sentirsi coinvolte e prese in considerazione, dunque, D&I diventano must da non poter più sottovalutare e di cui munirsi per poter guardare al futuro. Asset strategici su cui puntare, proprio come testimoniato anche dalle parole dei manager all’interno delle interviste raccolte nella ricerca, per avere uno spaccato di quel punto di vista che si sta evolvendo e trasformando, al fine di traghettare le imprese verso una nuova dimensione del business: più attenta ai bisogni dei propri stakeholder interni ed esterni e più capace di valorizzare il talento e l’eccellenza, rendendo ogni elemento protagonista di un cambiamento senza precedenti e a cui nessuno potrà sottrarsi nei prossimi mesi e anni. Una vera rivoluzione su cui bisognerà puntare, ma anche lavorare per continuare a migliorare il progresso di questa nuova epoca del lavoro e della socialità, nella quale la diversità, in Italia, non è più solo una questione di genere, ma anche di disabilità e di generazione. Tre fattori che stanno completamente trasformando la quotidianità di ognuno di noi, dentro e fuori dall'ufficio, producendo anche un confronto che, per poter produrre un vero valore aggiunto, deve basarsi su solide fondamenta culturali. Principi di ascolto e di dialogo che devono rappresentare i pilastri di un nuovo modello di fare impresa, dove il comparto economico inizia ad avere un valore sempre meno importante, rispetto alla ricaduta valoriale e sociale delle azioni e dei comportamenti proposti dall'organizzazione stessa nella sua totalità.
Secondo i dati di alcune recenti ricerche sul tema del gender gap e della D&I, in Italia oggi ci sono più donne laureate (58,7%) rispetto agli uomini (41,3%), ma una volta entrate nel mercato del lavoro, nella maggior parte dei casi lo svolgono in modalità part time 49% contro il 26,2% della componente (Inapp, 2022), dimostrando ancora le difficoltà che affrontano: stereotipi, discriminazione e la difficoltà di conciliare vita lavorativa e personale, in particolare dopo l’esperienza del covid-19. Infatti, è stato proprio il covid a rivoluzionare completamente il mondo del lavoro odierno: continua a crescere il lavoro da remoto e l’uso dell’intelligenza artificiale nell’automazione. Per sviluppare questa tecnologia serve tanta ricerca, in particolare nelle materie scientifiche e tecnologiche. In Italia il 24,9% dei laureati (tra i 25 e i 34 anni) ha un titolo di studi in STEM, ma il divario di genere è molto marcato: la quota sale al 36,8% tra gli uomini (oltre un laureato su tre) e scende al 17% tra le donne (una laureata su sei). Allarmanti quindi anche i dati riguardo le professioni digitali più richieste del 2022, che includono robotics engineer, data scientist e cloud architect, ma nel nostro Paese solo il 12% dei professionisti in cloud computing sono donne, e rappresentano il 15% dei data analysts e il 26% dei professionisti in intelligenza artificiale (Rome Business School, ER 2022). Secondo l'Osservatorio E-Work (2018), le lavoratrici italiane hanno uno stipendio mediamente inferiore del 27,8% rispetto a quello dei colleghi maschi, con una retribuzione oraria di 15,2 euro rispetto i 16,2 euro per gli uomini (Istat, 2022). Inoltre, nel Mezzogiorno, è occupato solo un terzo delle donne tra i 15 e i 64 anni e il World Economic Forum (2021) mette l’Italia al terzo posto, solo dopo la Grecia e la Costa Rica, nella classifica della disoccupazione delle giovani donne.
Questi sono solo alcuni dei consueti dati che la cronaca, la statistica e forse anche il luogo comune tricolore (e non solo), si portano dietro da anni, figli di un retaggio culturale complesso da scardinare, al netto di esempi eclatanti di cui il nostro territorio si è recentemente reso protagonista, come la prima premier donna nella storia della nostra repubblica o la prima presidente della Cassazione e simili. Tutti simboli di un'opportunità che ormai è chiara a tutti: non possono e non devono più essere solo gli uomini a ricoprire posizioni di potere.
In occasione della Festa della Donne e in un mondo del business in continuo mutamento, però, ci siamo chiesti: come poter rompere, finalmente e concretamente, un soffitto di cristallo che per decenni è apparso infrangibile? Ciò che abbiamo compreso, dopo un'analisi approfondita di vari studi di ricerca, è che anche in questo caso tanto le aziende, quanto le professioniste, si trovano davanti a una strada a doppio senso, dove l'impegno deve essere reciproco e solo con fiducia e collaborazione si possono raggiungere grandi obiettivi. Così, anche in vista della prossima edizione di HR Directors Summit - la manifestazione dedicata al mondo delle risorse umane, organizzata da Business International - Fiera Milano e prevista il prossimo 14 e 15 giugno 2023 presso Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit -, abbiamo cercato di trovare quanto meno un'indicazione di massima per percorrere questa roadmap in entrambe le direzioni, attraverso una sintesi approfondita di due whitepaper realizzati da CoachHub e Indeed per offrire dei consigli sia al management aziendale, sia alle professioniste sui passi da compiere al fine di trovare la giusta interpretazione di questa sfera lavorativa che non può più essere sottovalutata, ma anzi va tenuta sempre più in considerazione per ridurre le diseguaglianze e rendere le organizzazioni sempre più sostenibili a 360 gradi.
Come abbiamo capito, dunque, sebbene molti passi in avanti siano stati fatti per ridurre il gender gap sul luogo di lavoro, raggiungere la piena parità di genere è un obiettivo ancora lontano. Per andare sempre più in questa direzione, l’analisi delle varie tappe del percorso professionale può aiutare i responsabili HR e il management ad attuare le giuste misure per colmare il divario vissuto in particolar modo dalle donne. Così, per favorire un maggiore sostegno alle donne in azienda e incentivarne l'empowerment, gli esperti di CoachHub hanno elaborato alcuni consigli pratici legati alle fasi chiave dell'employee experience, in cui il supporto alle esigenze specifiche di ogni donna può essere il punto di partenza per la loro crescita come leader.
Una visione del mercato, quella proposta da CoachHub, che è stata confermata anche in un recente sondaggio di Indeed che ha sottolineato come i pregiudizi o le discriminazioni siano stati il principale ostacolo che le donne italiane hanno ritenuto di dover affrontare nella ricerca di un lavoro. In occasione della Giornata Internazionale della Donna, quindi, gli esperti del sito per chi cerca e offre lavoro, hanno voluto raccogliere il racconto di chi è riuscito a “rompere il soffitto di cristallo” per proporre 10 consigli di buon senso, frutto di anni di confronto con numerose donne che hanno saputo raggiungere posizioni di successo:
10 step fondamentali, questi, per costruire la propria figura e la propria dimensione profassionale, che non rappresentano solo un vade mecum, ma possono diventare la struttura portante di una cultura di approccio personale al mondo del lavoro, in grado non solo di essere funzionale alla singola professionista, ma anche a un'intera generazione di lavoratrici a cui trasferire valori ed esempi pratici per superare e abbattere quelle barriere ancora oggi presenti negli uffici di tutto il mondo e che sempre di più raffigurano un'immagine sbiadita e in bianco e nero del concetto di lavoro. Un disegno in cui nessuno può e potrà più riconoscersi se davvero si vuole e si vorrà rimanere al passo con i tempi e magari anche guardare a un futuro diverso, dove crescita, innovazione e sostenibilità, non risultino solo bei sostantivi - per altro tutti femminili - ma siano i veri goal da raggiungere.
La capacità di curare e valorizzare ogni individuo presente in azienda – espressa con la formula Diversity, Equity & Inclusion – è un asset strategico irrinunciabile per raggiungere risultati superiori in termini economici, di innovazione e di fiducia della business community. Eppure le imprese italiane sembrano non averlo ancora capito, o quantomeno non riescono a concretizzare le generiche “buone intenzioni” (che pure si diffondono sempre di più) in azioni realmente incisive, anche a breve termine.
È quanto emerge da “Future of Work” (scaricabile a questo link), la ricerca curata da Inaz – Osservatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano, che per l’ultima edizione si è concentrata sui temi della D&I con un sondaggio fra circa 100 HR Director di aziende italiane (settembre-ottobre 2022), curato da Fabrizio Lepri, docente di Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Un'analisi di cui sono stati presentati in anteprima i risultati nell'ultima edizione di HR Business Directors, a Roma, e di cui abbiamo voluto proporvi di seguito una sintesi, anche in vista del prossimo appuntamento di HR Directors Summit, previsto all'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, il 14 e 15 giugno 2023, all'interno di Business Leaders Summit.
«Abbiamo scelto un tema stimolante, complesso, che mette a confronto le generazioni e rientra nell’ambito più ampio della sostenibilità – commenta Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro, presidente e AD di Inaz –. Tema che, soprattutto, comporta un forte commitment da parte dei vertici aziendali. La diversità, infatti, spaventa. Nel tempo si sono accumulati molti strati di pregiudizio. E sul pregiudizio sono stati costruiti muri di diffidenza. Senza ricorrere a giri di parole, vanno abbattuti. Perché la diversità delle persone è un valore prezioso, che arricchisce le imprese e chi nelle imprese lavora». Sembra esserci ancora molto da fare, quindi, per portare l’Italia su posizioni competitive per quanto riguarda l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. La ricerca Future of Work 2022 conferma quanto da anni viene indicato dalle classifiche internazionali investigando per prima cosa sulle ragioni che spingono i vertici aziendali italiani a occuparsi di D&I: spicca la grande importanza che al tema viene attribuita sul piano etico (84% delle risposte), ma sono poco compresi i suoi risvolti in termini pratici, cioè di business (50% delle risposte) e fiducia della comunità finanziaria (42%). D’altra parte, una percentuale interessante di risposte viene però raccolta dalla voce “Engagement, attraction e retention” (64%): questo significa che sta crescendo nelle aziende l’attenzione alle generazioni più giovani, che sono più sensibili alle tematiche D&I. Per quanto riguarda poi le differenti aree di diversity, emerge che la maggiore attenzione viene posta su disabilità (78% delle risposte) e genere (76%), seguite dalle differenze generazionali (62%) e poi, a maggiore distanza, da orientamento sessuale, origine geografica e religione.
Arriviamo poi alla domanda sul livello di strutturazione dei piani D&I e delle azioni messe in atto. Qui meno della metà delle aziende intervistate (46%) risponde di avere una pianificazione già presente; di quelle che hanno risposto di no, il 63% prevede però di elaborarne una nel prossimo futuro.
Fra le azioni messe in campo dalle aziende spiccano quelle dedicate a contrastare la disparità di genere (76% delle preferenze), disparità che si manifesta principalmente nello sbilanciamento di responsabilità e retribuzioni fra uomini e donne. In questo ambito salta all’occhio però che solo il 44% delle aziende intervistate monitora in modo sistematico il gender pay gap e solo il 38% fa effettivamente qualcosa per ridurlo; per contro, le aziende dichiarano di concentrarsi di più nell’incrementare il numero di donne in ruoli manageriali (il 60% ha azioni in corso in questo senso). «Complessivamente – riassume il Prof. Fabrizio Lepri – i dati che emergono dalla survey sembrano indicare un importante ritardo nei risultati sulla parità di genere nelle aziende, in linea con i dati pubblicati in un report del 2022 dal World Economic Forum, in cui l’Italia figura al 63° posto nella graduatoria basata sul ranking conseguito nel KPI denominato Global Gender Gap Index. Al tempo stesso, però è abbastanza o molto diffusa la consapevolezza sulla necessità di mettere in campo azioni specifiche finalizzate ad attenuare gradualmente il gap riscontrato».
La ricerca di Inaz e Business International – Fiera Milano prosegue approfondendo anche tematiche come l’inclusione delle persone con disabilità, il valore dei processi HR come leve per la D&I, l’utilità degli HR Data Analytics e l’utilizzo del welfare aziendale come strumento di inclusione e miglioramento del work-life balance.
La conclusione è abbastanza netta: «L’indagine – commenta il Prof. Lepri in chiusura del report – restituisce nell’insieme un’immagine di vivacità delle aziende italiane sui temi Diversity & Inclusion ma, al tempo stesso, mostra che siamo ancora lontani da una condizione generalizzata di maturità sul piano dell’ampiezza e della profondità delle azioni messe in atto. (…) Se volgiamo lo sguardo anche fuori dal mondo del lavoro, si può intuire che in uno scenario sociale, politico e geostrategico come quello attuale, in cui i temi della diversità e dell’inclusione sono interpretati in modo altalenante, controverso e talvolta regressivo, la spinta di cui le imprese hanno ancora bisogno, per una più completa assunzione di responsabilità e chiarezza di prospettive, sembra poter venire nei prossimi anni dalla graduale crescita di protagonismo delle nuove generazioni».
Dunque, anche in ragione dei profondi cambiamenti portati dalla pandemia – che ha per certi versi aumentato l’attenzione delle persone verso il benessere e la realizzazione in ambito lavorativo – pur tra incertezze e battute d’arresto il futuro sarà modellato dalla spinta di nuove leve, i Millennials e la Gen-Z, che portano nuovi valori: «Un aspetto – conclude Linda Gilli – che evidenzia, se ancora ve ne fosse bisogno, come le aziende siano composte primariamente da persone. Individui di cui bisogna prendersi cura e che bisogna ascoltare e comprendere con attenzione per poter permettere loro di esprimere a pieno il proprio potenziale, al fine di renderli soddisfatti e felici nell’essere parte dell’impresa in cui operano, offrendo a quest’ultima un reale valore aggiunto di crescita e sviluppo».