Gli eventi dell’area Finance & Administration (AFC) sono rivolti ad una community di oltre 40.000 manager che operano nella divisione AFC di multinazionali, grandi aziende e PMI italiane che hanno l’opportunità di aggiornarsi professionalmente e confrontarsi in expo internazionali, annual conferences, corsi di formazione ed eventi ad hoc.
Gli eventi flagship dell’area sono 3 tra i più importanti appuntamenti in Italia in ambito AFC: CFO summit, Finance Award e Re-Inventing Finance.
TAG: Amministrazione, Audit, Bilancio, Budget, Cash Flow, CFO, Contabilità, Controllo di Gestione, Corporate Governance, Fatturazione Elettronica, Finanza, Fiscale, IAS-IFRS, Recupero Crediti, Reporting, Tesoreria.
2021: LE PMI FINANZIANO LA CRESCITA
Ciò che emerge con forza dalla quarta edizione dell’Osservatorio è che, rispetto all’anno 2020, che
ha messo in grande difficoltà la maggior parte delle aziende medio-piccole, il 2021 è stato invece un
anno di assestamento in cui le PMI hanno cercato di rimettersi in piedi e tornare solide.
Lo dimostrano i numeri: l’anno scorso sono aumentati gli importi ipotizzati per il prossimo
finanziamento: se nel 2020 solo il 7%
delle imprese richiedeva cifre sopra ai 100.000 euro, nel 2021
ben il 39% delle imprese ha dichiarato che la prossima richiesta supererà quella soglia.
Anche le motivazioni per richiedere un prestito cambiano radicalmente dal 2020 al 2021:
diminuiscono quelle «emergenziali» e aumentano quelle «di prospettiva». Nel 2020 infatti il 42%
delle imprese ha utilizzato i prestiti per coprire esigenze di liquidità e il 34% per pagare i fornitori.
Invece nel 2021 alla domanda sulla destinazione del prossimo finanziamento, solo il 30% delle
imprese ha dichiarato che lo userà per la liquidità e il 28% per pagare i fornitori. Tra le altre
motivazioni che spingono le PMI a richiedere un finanziamento ci sono, appunto, quelle legate alla
crescita, come: il rinnovo del magazzino (29%), l’implementazione dell’e-commerce (27%), nuove
assunzioni (24%) e l’acquisto di macchinari e software (23%).
Cambia anche ciò che gli imprenditori cercano in un finanziamento: resta invariata al primo posto
l’importanza del tasso d’interesse (per il 64% delle imprese), al secondo posto, ma meno rilevante
rispetto al 2020 la «velocità di erogazione» (dal 47% al 40%) e «l’ammontare dell’importo» (dal
42% al 35%), mentre aumentano l’importanza della «durata» del prestito (dal 33% al
38%) e della
presenza di un consulente personale (dal 20% al 25%).
COME SI FINANZIANO LE PMI: GLI STRUMENTI PIU' USATI
Nel 2021 le imprese hanno fatto ricorso a varie forme di finanziamento: dal fido alle carte di credito
– preferite principalmente dalle aziende più piccole - ai capitali propri - soluzione scelta da quelle
più grandi. Infatti, per quanto riguarda le ditte individuali, il 45% di esse ha fatto ricorso allo
strumento del fido e ben il 50% alle carte di credito. Le aziende più grandi invece, quelle con
fatturato tra i 5 e i 20 milioni di euro, hanno in buona parte preferito utilizzare capitali propri: ha
fatto questa scelta il 37% di queste imprese.
Ci sono state anche delle PMI che non hanno avuto bisogno di alcun tipo di finanziamento nel corso
dell’anno: ovvero le società di capitali (56%), quelle con fatturato sopra al milione (46%), ed anche
alcune di quelle con fatturato più basso (nella fattispecie, il 29% di quelle nella fascia 50.000 euro –
1 milione di euro).
I SETTORI:CHI FA PIU' DOMANDE DI FINANZIAMENTO
I settori che hanno fatto maggior ricorso ai finanziamenti sono stati quello dell’industria – il
13%
delle imprese di questo settore ha richiesto un prestito (ma nel 2020 era il 31%) – seguito dal
commercio (9% vs ben 35% l’anno prima), servizi (8% vs 28%) ed edilizia (4% vs
30%). È interessante
anche segnalare che nel 2021 ben il 58% delle imprese intervistate nel mondo dell’edilizia non ha
mai richiesto un finanziamento.
FOCUS SULLE IMPRESE FEMMINILI
Dall’analisi emergono delle importanti differenze tra le imprese a conduzione femminile e le altre,
sia a livello totale che nello specifico delle ditte individuali. Le imprese femminili si sono rivolte
maggiormente al fido (51%) e alle carte di credito (57%) come forme di finanziamento rispetto alle
imprese non femminili (rispettivamente 38% e 43%). Invece la quota di quelle che non hanno avuto
bisogno di un prestito è del 26% per le ditte individuali non femminili, mentre scende al
10% per le
femminili. Le tipologie di finanziamento predilette da queste PMI sono il mutuo (utilizzato dal
60%
delle imprese femminili nell’ultimo anno) e finanziamento a lungo termine (52%). Queste aziende
sembrano più orientate ad un’ottica di investimento: hanno usato il credito per creare o migliorare
l’e-commerce (31% contro 22% delle imprese non femminili) e per assumere nuove risorse (26% vs
16%).
Se si osservano i dati relativi alle intenzioni future di finanziamento, emerge chiaramente un
bisogno “più urgente” da parte delle imprese femminili: il 10% pensa di richiederlo entro 3 mesi, il
33% entro 6 mesi e il 22% entro l’anno – mentre il 28% delle imprese non femminili lo richiederà più
avanti nel tempo e il 39% dichiara di non averne bisogno. Spicca inoltre una forte attenzione alle
risorse umane: infatti il 26% delle aziende femminili utilizzerà il prossimo finanziamento per formare
e assumere dipendenti, contro un 18% delle altre PMI.
Un altro dato interessante riguarda i canali che le imprenditrici pensano di utilizzare per informarsi
su un finanziamento futuro: sono decisamente meno le ditte femminili (48%) che pensano di
utilizzare il consulente in banca rispetto a quelle maschili (70%). La banca diventa, quindi, non più il
canale principale d’informazione di questa categoria, ma resta alla pari della ricerca online (44%) e
del consiglio del commercialista (41%).
“La quarta edizione del nostro osservatorio ci racconta di un’Italia imprenditoriale che è stata
piegata da due anni di pandemia, ma oggi solleva la testa e comincia a ipotizzare un futuro fatto di
investimenti per ripartire e tornare a crescere, anche se in un contesto geopolitico e macroeconomico
incerto come quello attuale – ha dichiarato Ignazio Rocco, Founder e CEO di Credimi.
– Sono infatti
diminuite le motivazioni più strettamente emergenziali per richiedere un finanziamento e aumentate
quelle che riflettono una prospettiva sul futuro. Credo che le imprenditrici e gli imprenditori italiani
abbiano capito che per affrontare i momenti di crisi sia importante investire in tecnologia, risorse
umane, magazzino per farsi trovare pronti quando si vivono periodi incerti come quello appena
trascorso e, purtroppo, come quello attuale. Un cambio di passo importante che va sostenuto e
continuamente promosso perché le PMI sono l’ossatura della nostra economia. Come durante il
periodo del lockdown Credimi è stata al fianco delle imprese, aiutandole con lo strumento dei
finanziamenti, allo stesso modo oggi lavoriamo per aiutarle a navigare, e a crescere, anche durante
questo periodo complesso, attraverso l’ascolto continuo delle loro reali esigenze.”
“Questa nuova edizione dell’osservatorio ci restituisce il quadro di un tessuto industriale delle PMI
desideroso di ripartire e convinto che ci siano le condizioni per farlo – afferma Bruno Lagomarsino,
Direttore di ricerca di Nextplora. – Il dato appare ancora più promettente tenendo conto che sono
proprio le aziende di dimensioni minori, quelle individuali e con un fatturato inferiore al milione, a
prevedere un maggiore ricorso al finanziamento. Si tratta pertanto della quota numericamente
prevalente, spinta senza dubbio dalla necessità, ma, leggendo le motivazioni, anche dal desiderio di
supportare interventi orientati alla crescita. Una fotografia di speranza che, ci auguriamo tutti, possa
non essere del tutto vanificata dagli eventi geopolitici e macroeconomici che
stiamo vivendo.”
LE OPPORTUNITA' DI UNA BUONA STRATEGIA ESG
Diventa chiaro, pertanto, quanto sia imprescindibile per il CFO nell’era post covid-19 avere un focus sulla governance ESG. «Sotto questo profilo, una buona strategia ESG – prosegue Agasso – supporta una crescita della top-line. Una forte proposta ESG aiuta le aziende ad indentificare nuove opportunità di business: accedendo a nuovi mercati,
espandendosi in quelli esistenti, guidando la preferenza dei consumatori». Un investimento e un’attenzione di questo tipo, però, per poter portare vantaggio al business deve permettere anche una riduzione dei costi. «Un’esecuzione efficace dei criteri ESG – risponde la CFO – può aiutare a combattere l’aumento di alcune tipologie di costi, consentendo, inoltre, una più efficace gestione degli investimenti, tramite l’allocazione di capitale ad iniziative innovative e sostenibili e aiutando concretamente anche l’organizzazione a dare ai dipendenti un senso di scopo, attraendo e trattenendo i migliori talenti e creando in questo modo un reale vantaggio competitivo per l’azienda».
LA STRADA SOSTENIBILE PER LA CRESCITA
Un vantaggio che, chiaramente, deve poi essere consolidato attraverso una riorganizzazione fluida e flessibile dei processi operativi, che garantisca una comunicazione interconnessa tra i vari dipartimenti aziendali e che allo stesso tempo offra anche opportunità di promozione dell’attività stessa verso gli stakeholder esterni all’impresa per spiegare il valore aggiunto prodotto da queste nuove strategie sostenibili. «Generalmente – sottolinea la manager –, gli attuali processi e sistemi di reporting non sono in grado di acquisire con precisione i dati necessari per misurare i benefici finanziari dei programmi di sostenibilità. Le aziende dovrebbero pertanto concentrarsi sulla costruzione di solidi processi e sistemi per la raccolta ed il reporting di dati ESG, simili ai loro attuali meccanismi per la raccolta ed il reporting dei dati finanziari».
LA VERA SFIDA NON E' METTERE AL CENTRO I DATI, MA LE PERSONE
Una sfida complessa da affrontare, questa, e su cui le aziende italiane dovranno ancora lavorare molto, ma che può essere superata abbracciando un cambiamento che metta al centro le persone e i loro valori, orientando la leadership e l’organizzazione intera verso una nuova modalità di fare business. «Insieme alla parte ‘’hard’’ è importante che le organizzazioni garantiscano il giusto focus sulla parte ‘’soft’’ – chiosa Agasso –. È infatti fondamentale che l’ESG diventi una parte integrante della cultura e dei valori dell’organizzazione, in modo da costituire un framework condiviso ed essere naturalmente incorporato in tutti i processi aziendali. Solo in questo modo, i modelli ESG diventeranno la nuova spina dorsale delle imprese e creeranno quell’appartenenza essenziale per costruire il futuro sulle basi della sostenibilità a 360 gradi».