di Matteo Castelnuovo | 28/09/2023
“Seppur esistano diversi studi che postulano l’esistenza di una correlazione tra investimenti in innovazione e sostenibilità e over-performance economico-finanziaria del business, è ancora in corso il dibattito riguardo al rapporto causa-effetto. Vale a dire: è l’effort sulla sostenibilità a generare il valore economico oppure il contrario?”. E’ questa la domanda fondamentale da cui Patrizia Savi, Chief Financial & Risk Officer di SEA, parte per spiegare come oggi sia realmente possibile puntare a questi due obiettivi cruciali per la crescita e lo sviluppo dell’impresa, solo se, però, si imposti una strategia concreta, oggettiva e misurabile. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire a latere della presentazione della ricerca "Managing the Uncertainty: la sfida dei CFO tra performance, innovazione e sostenibilità", realizzata da Business International - Fiera Milano, in collaborazione con Board, in occasione della scorsa edizione del CFO Summit, tenutosi nel corso del Business Leaders Summit, svoltosi all'Allianz MiCo di Milano, il 14 e 15 giugno 2023. “Certamente – prosegue la manager –, l’attenzione posta dalle aziende all’innovazione e alla sostenibilità non solo è condivisibile, ma rappresenta anche un percorso obbligato, non solo per esigenze reputazionali, bensì anche per la necessità di adeguarsi alle linee guida Europee che, soprattutto per esempio in settori come quello in cui opera SEA, sono diventate molto stringenti. Per via delle progressive regolazioni, infatti, lo spazio per una declinazione della sostenibilità da parte delle aziende sarà sempre più ridotto e sposterà l’asse della riflessione nelle organizzazioni dalla pura strategia a una maggiore capacità di pianificare e gestire i tempi e le modalità della compliance normativa”. Un elemento di controllo, questo, sempre più importante per ogni realtà a qualsiasi livello. “Sotto questo punto di vista, infatti – prosegue Savi –, sarà importante anche il ruolo della finanza, con la “pressione” delle istituzioni finanziarie e dei fondi di investimento, ormai, sempre più selettivi nell’indirizzare le risorse verso aziende che dichiarano, pubblicano e rendicontano obiettivi ESG”.
Un fenomeno, questo, che sta influenzando, ormai costantemente, i mercati moderni e che risulta essere uno dei principali driver nello sviluppo di una nuova cultura della sostenibilità unita a un nuovo modello del fare impresa a livello globale. “Anche perché – spiega la manager –, queste spinte a effettuare scelte sostenibili, oltre che profittevoli, sono da stimolo per le aziende e impongono loro un approccio inedito alla valutazione degli investimenti e delle azioni manageriali. Tuttavia, per evitare che gli obiettivi di sostenibilità restino solo dei buoni propositi, è necessario che i target dei piani di sostenibilità siano oggettivi e misurabili; questa è condizione necessaria anche per orientare tutto il management nella stessa direzione, inserendo obiettivi di natura ESG nei piani di incentivazione manageriale, alla stregua di quanto avviene con i risultati economico-finanziari”. Solo così, secondo la manager, si otterranno risultati soddisfacenti a cui tutti cercheranno di contribuire senza riserve.
Un aiuto collaborativo che, ovviamente, dovrà coinvolgere ogni livello dell’organizzazione, ma che indubbiamente dovrà partire dai vertici, imponendo in questo modo anche proprio una trasformazione del ruolo del direttore finanziario. “Concordo con l’affermazione che il ruolo del CFO stia assumendo un’importanza sempre maggiore nel supportare il Board nel prendere decisioni consapevoli, pur in una fase di grande incertezza – commenta Savi –. Per raggiungere questo obiettivo, però, è fondamentale che chi ricopre questa posizione ampli il proprio campo di responsabilità con una visione a 360 gradi sul business, includendo, oltre agli ambiti tradizionali di AFC, la pianificazione strategica (non solo quella economica e finanziaria), il risk management e il piano di sostenibilità”. In un contesto mutevole come quello in corso, soggetto a shock esterni solo marginalmente governabili, risulta chiaro, infatti, come la pianificazione economica e finanziaria diventi maggiormente rilevante. “Questa affermazione – conferma la manager – sembrerebbe controintuitiva, considerando il numero di budget e piani che le nostre aziende hanno sviluppato nel periodo covid, ma ritengo personalmente che la fluidità del contesto attuale non mini l’importanza della pianificazione, bensì modifichi le caratteristiche di questo processo. La pianificazione di breve periodo non deve, infatti, individuare un punto “fisso” di atterraggio, ma dovrebbe essere flessibile e adattiva per seguire dinamicamente l’evoluzione del contesto esterno e i risultati progressivi del business”. Un concetto che, per lo stesso motivo, porta a pensare che la pianificazione di medio periodo debba, invece, evolversi verso una pianificazione “per scenari”. “Molto utile, da questo punto di vista – aggiunge Savi –, l’integrazione della pianificazione pluriennale con l’attività di Enterprise Risk Management, che consente di elaborare possibili scenari e individuare tempestivamente piani di mitigazione, orientando le scelte del management alla minimizzazione dei rischi. Se, come detto, le variabili esogene non sono controllabili, è dovere dell’azienda quello di prevenire i loro effetti sul business, mettendo in atto per tempo misure adeguate. Si pensi, ad esempio, al fenomeno dello shortage di personale e all’incremento dei costi energetici”.
In questo senso, ovviamente, il 2022 è stato un anno complesso per i mercati finanziari, caratterizzato dall’impatto combinato dell’inflazione elevata e dei continui rialzi dei tassi di interesse: due variabili che hanno determinato un cambio del contesto di riferimento in cui le aziende hanno operato negli ultimi anni, nei quali i tassi di interesse e tassi di inflazione erano stati ridotti. “Pur in una fase di allentamento delle tensioni registrate nel 2022, come per esempio l’andamento delle commodities energetiche e le disruption sulle catene di fornitura – sottolinea la manager –, il 2023 si presenta come un anno tutt’altro che privo di sfide. L’acuirsi delle turbolenze finanziarie del settore bancario che già hanno contraddistinto i primi mesi dell’anno potrebbe portare ad un credit crunch e al rallentamento delle economie dei paesi avanzati, ormai in atto anche in Italia. Accanto a questo, sia l’anno in corso, sia il 2024 saranno ancora caratterizzati dal perdurare di tassi di interesse elevati, da cui l’esigenza di gestire con prudenza le risorse finanziarie delle società”. Per minimizzare il costo del funding, in uno scenario di elevati tassi di interesse e di potenziale credit crunch, secondo Savi, sarà quindi necessario attuare alcune tattiche utili a ridurre possibili impatti negativi. “In primo luogo – indica la manager –, bisognerà efficientare la gestione della liquidità, anche mediante l’utilizzo di strumenti di gestione del working capital e di supply chain finance, che possano supportare la filiera, in parte composta da imprese di minor dimensione e maggiormente esposte alla dinamica avversa dei mercati finanziari, oltre che con minor accesso al credito. Come secondo spunto, sarà importante ridurre o mitigare le esposizioni alla volatilità dei tassi di interesse. In terza istanza, poi, sarà necessario disporre di adeguate linee di finanziamento per gestire eventuali fabbisogni non previsti. Infine, risulterà essenziale continuare a mantenere un posizionamento del profilo di merito di credito adeguato con il mercato finanziario”. In aggiunta a tutto questo, inoltre, bisognerà tenere in considerazione anche che non sarà meno importante l’effetto dell’incremento dei tassi sulla valutazione degli investimenti, con la ricerca di rendimenti sempre maggiori dagli impieghi di capitale, nonché di strutture di finanziamento sempre più efficienti, tanto dal punto di vista del costo, quanto della flessibilità del funding. “In tale contesto di mercato – evidenzia Savi –, gli strumenti messi a disposizione dalle istituzioni nazionali ed europee rimangono centrali per le aziende, a sostegno dei significativi investimenti che le stesse dovranno mettere a terra nei prossimi anni in innovazione e transizione green, anche richiesti dai propri stakeholders”.
Vere e proprie esigenze di mercato che le aziende non possono più sottovalutare e alle quali non basta più semplicemente dare una risposta rapida, ma che necessitano invece della proposizione di un piano di lungo periodo che dia fiducia all’intera community di riferimento. “In questo senso – conclude la manager –, le priorità nei prossimi anni per i CFO e per il board delle aziende per rendere il business sempre più sostenibile e profittevole, continuando a fronteggiare un periodo di grande incertezza saranno principalmente le seguenti. In primo luogo, si dovrà monitorare con attenzione la volatilità dei mercati finanziari e gli impatti sull'economia reale, programmando e pianificando per scenari, dotandoci di strumenti innovativi di previsione e analisi del rischio. Un contesto nel quale la capacità di modificare le proprie scelte in modo adattivo e la velocità di reazione ai cambiamenti saranno il vero punto di forza per le aziende. In secondo luogo, bisognerà affrontare il problema dello shortage di personale, mettendosi all’opera per rendere l'ambiente di lavoro più attrattivo, anche alla luce delle mutate esigenze dei professionisti. Infine, sarà necessario pianificare attentamente, investire e monitorare investimenti e costi associati alla decarbonizzazione e alla transizione energetica, anche attraverso partnership con soggetti specializzati”.
“Oggi il mercato del lavoro è indubbiamente cambiato rispetto a solo pochi anni fa. Le aspettative dei potenziali candidati sono diverse e maggiori rispetto al passato, sia da un punto di vista strettamente economico che sul versante di un complessivo e migliore equilibrio tra vita personale e professionale”. Marco Nicodemi, Chief HR Officer di Carpisa, sottolinea così il meccanismo di trasformazione in atto nel mondo del business che sta portando numerose aziende a ripensare i propri modelli di recruitment per attirare l’attenzione dei migliori talenti sul mercato. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire, in occasione della presentazione della ricerca dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, realizzata da Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, e presentata nel corso dell'ultima edizione del Business Leaders Summit, tenutosi a Milano lo scorso 14 e 15 giugno 2023. “Alcuni fattori – prosegue il manager – incidono più che in passato nella scelta dell’azienda da parte dei candidati: la possibilità di lavorare da remoto, in tutto o in parte (c.d.: lavoro “ibrido”), la distanza tra luogo di lavoro e residenza, la gestione del tempo e, conseguentemente, la possibilità di dedicarsi anche agli interessi personali o alle esigenze di cura verso figli piccoli e genitori anziani, sono tutti elementi importanti nella valutazione di un’opportunità professionale da parte di un candidato”. In questo contesto, ovviamente però, anche le aspettative delle aziende si sono evolute e modificate. “Tra i requisiti attesi dalle imprese – spiega Nicodemi – oggi spiccano, ad esempio, quelle competenze digitali non particolarmente diffuse né tra i giovani italiani attivi nella ricerca di prima occupazione, né tra i professional di maggiore seniority già presenti sul mercato”. Un aspetto, questo, evidenziato da tempo ormai nell’ambito del recruiting nel nostro Paese, che sembra evidenziare come si faccia ancora fatica a cambiare le dinamiche della formazione e, se vogliamo, della rivoluzione culturale che la digital transformation, in modo particolare nell’era post-covid, sta richiedendo in maniera sempre più frenetica e incessante. “La combinazione di queste variabili – continua nella sua analisi il direttore delle risorse umane – ha reso più difficile la possibilità di un più rapido ed efficace incontro tra domanda e offerta, nonostante la disponibilità di strumenti di recruitment ben più veloci e immediati rispetto al passato”. La questione, quindi, pare non sia più essere generata dalla digitalizzazione delle operation da parte delle imprese, ormai, ma verta più su un discorso organizzativo e di evoluzione strutturale dei modelli attualmente in essere. “Per poter progredire in questo senso – avverte Nicodemi –, è più che mai indispensabile per le aziende un investimento organizzativo che favorisca l’adozione di modelli di gestione basati su obiettivi e non su gerarchie verticali di tipo dispositivo. E’ necessario investire su percorsi formativi orientati allo sviluppo di competenze manageriali. E’ importante costruire contesti aperti e trasparenti nei quali le persone si sentano effettivamente parte del progetto aziendale”. Una roadmap chiara, quindi, che Carpisa ha intrapreso già da qualche tempo. “Noi, in azienda – aggiunge il manager – stiamo cercando di raffinare il processo di recruitment, che - per alcune posizioni - è sempre attivo, proprio per costruire attenzione e notorietà intorno al Brand. Stiamo costruendo percorsi di sviluppo manageriale e sistemi di remunerazione per obiettivi altamente incentivanti”. Un set di attività, per così dire, con un unico grande obiettivo. “Facciamo tutto quanto possa aiutarci – racconta Nicodemi – ad uscire dalla logica di un processo di recruitment distante dal resto della nostra impresa, rivedendo i fondamentali del nostro contesto organizzativo per riproporli anche come strumento di attraction verso i nuovi e potenziali candidati”. Una nuova generazione di talenti da conquistare e con cui confrontarsi per raggiungere un risultato comune su cui spesso le organizzazioni che operano nella nostra penisola fanno fatica a puntare per svariati motivi, ma che invece risulta fondamentale nello sviluppo di un rapporto tra dipendente e datore di lavoro che sempre di più deve guardare alla sostenibilità tanto del business quanto della soddisfazione e della vita privata del professionista. “Le aziende italiane sono “nane” e, spesso, a conduzione familiare – commenta Nicodemi –. Investono poco nell’organizzazione e nei sistemi di delega. Quelle che hanno concrete opportunità di intercettare i migliori talenti sono le aziende orientate a crescere, quelle che rischiano sul potenziale dei giovani e i cui titolari sono disponibili ad organizzare contesti trasparenti di crescita ed evoluzione personale, nei quali l’individuo non si senta un accessorio del progetto, ma parte del progetto stesso”. Un modello, questo, per cui però servono nuove competenze da sviluppare, tanto per le aziende, quanto per i propri manager. “Alle imprese di qualunque tipo e in qualunque settore – incalza Nicodemi –, oggi, serve chiarezza di intenti e coerenza sia dell’azienda che di coloro che la rappresentano. Le aziende hanno bisogno di un clima organizzativo e di strumenti a supporto dell’ibridazione dei ruoli organizzativi, attraverso soluzioni di piattaforma che consentano la gestione di progetti da parte di team i cui componenti non vivono quotidianamente nello stesso luogo di lavoro”. Tutte skill nuove, e da costruire, che richiedono un approccio diverso e una visione inedita dell’azienda stessa. “A mio modo di vedere – spiega il manager –, inoltre, è più che mai importante essere chiari rispetto agli obiettivi che l’azienda persegue e agli obiettivi di ruolo dei manager, oltre che ai meccanismi di valutazione in base ai quali si avrà l’opportunità di crescere in azienda per i professionisti. Lunghi processi di scelta non sono più compatibili con un mercato del lavoro fortemente competitivo e, pertanto, è ben meglio avere le idee chiare fin dal principio anziché intraprendere processi di reclutamento durante i quali non siano immediatamente disponibili le risposte alle numerose domande che ciascun candidato, oggi più che in passato, ci porrà sull’azienda, sul proprio ruolo e su come il proprio ruolo si integrerà nell’organizzazione della nostra realtà”. Domande a cui, spesso, ancora oggi le aziende fanno fatica a rispondere in maniera efficace. “Partiamo dal presupposto che tutte le persone che incontriamo desiderano realizzarsi – chiosa il manager – e se non ci organizziamo affinché questo si possa concretizzare, avremo già perso in partenza”.
Unit 42, il threat intelligence team di Palo Alto Networks, presenta il nuovo report Attack Surface Threat 2023 che contiene alcune recenti analisi dei rischi di sicurezza relativi alla gestione della superficie di attacco. Lo studio confronta la natura dinamica degli ambienti cloud con la velocità con cui gli attori delle minacce sfruttano le nuove vulnerabilità.
Dall'analisi è emerso che ciò avviene entro poche ore dalla loro divulgazione, e le aziende sono in difficoltà a gestire le superfici di attacco con la rapidità e scalabilità necessarie per combattere l’automazione degli attaccanti. Un alert, questo, che, in vista della prossima edizione della Cyber Security Arena, prevista dal 15 al 17 novembre 2023 all'interno della fiera SICUREZZA, che si terrà in quei giorni negli spazi di Fiera Milano a Rho, abbiamo voluto comprendere meglio attraverso le parole di Matt Kraning, CTO Cortex di Palo Alto Networks, che, commentando la ricerca, ha spiegato perchè oggi le aziende sono o potrebbero essere così fragili di fronte alla crescente aggressività dei cyber criminali.
"La maggior parte delle imprese ha un problema di gestione della superficie di attacco - ha spiegato il manager -, ma non ne è consapevole per la mancanza di visibilità completa degli asset IT e dei rispettivi proprietari". Secondo l'esperto, infatti, uno dei maggiori responsabili di questi rischi sconosciuti sono le esposizioni ai servizi di accesso remoto che, nello studio, rappresentano quasi un problema su cinque. "I difensori - prosegue Kraning - devono essere costantemente vigili perché ogni modifica di configurazione, nuova istanza cloud o vulnerabilità divulgata dà inizio a una nuova corsa contro gli attaccanti".
"Oggi i cyber criminali - ha aggiunto il manager - hanno la possibilità di scansionare l’intero ambiente degli indirizzi IPv4 per trovare bersagli vulnerabili in pochi minuti. Delle 30 vulnerabilità ed esposizioni comuni (CVE) analizzate, tre sono state sfruttate entro poche ore dalla divulgazione pubblica e il 63% entro 12 settimane. Mentre, delle 15 vulnerabilità di esecuzione di codice remoto analizzate, il 20% è stato preso di mira da gang di ransomware entro poche ore dalla divulgazione e il 40% è stato sfruttato entro otto settimane dalla pubblicazione". In questo contesto il cloud è da considerarsi, secondo i dati del report, come la superficie di attacco principale. "L’80% delle esposizioni di sicurezza - sottolinea l'esperto - si trova negli ambienti cloud, rispetto al 19% in quelli on-premise. L’infrastruttura IT basata su cloud, infatti, è in continuo mutamento, con una frequenza mensile di oltre il 20% in ogni settore e quasi il 50% delle esposizioni mensili ad alto rischio in ambienti cloud è dovuto al costante cambiamento dei nuovi servizi ospitati nel cloud che vengono messi online e/o sostituiscono quelli precedenti". Sempre secondo l'analisi, inoltre, oltre il 75% delle esposizioni dell’infrastruttura di sviluppo software accessibili pubblicamente sono state rilevate nel cloud, rendendole bersagli interessanti per gli attaccanti".
In un'era post-covid nella quale lo smart working rimane ormai un'esigenza imprescindibile per i lavoratori, anche dai dati della survey risulta chiaro come le esposizioni di accesso remoto siano ancora molto diffuse tra le aziende, nonostante ormai il lavoro ibrido sia diventato la normalità per le nuove generazioni di professionisti. "Il Remote Desktop Protocol (RDP) di oltre l’85% delle aziende analizzate era accessibile via Internet per almeno una settimana al mese - ha evidenziato Kraning -, lasciando quindi queste realtà esposte ad attacchi ransomware o tentativi di accesso non autorizzati". Otto dei nove settori presi in considerazione da Unit 42, inoltre, avevano un RDP accessibile via Internet e vulnerabile agli attacchi brute-force per almeno una settimana al mese. "Le aziende di servizi finanziari e gli enti statali o locali - ha spiegato il manager - hanno avuto esposizioni all’RDP per l’intero mese". Un problema, questo, che probabilmente deriva dal fatto che le istituzioni finanziarie espongono più frequentemente servizi di condivisione di file (38%), seguite dai settori IT, sicurezza, infrastrutture di rete (28%) e servizi di accesso remoto (16%).
Non solo il mondo finanziario, però, è esposto a forti criticità di sicurezza. "In ambito sanitario, per esempio, un’infrastruttura di sviluppo mal configurata o vulnerabile - ha dichiarato l'esperto -, che è stata la principale esposizione (56%), può portare a violazioni di dati, accessi non autorizzati o addirittura a guasti di sistema. In questo contesto, servizi di accesso remoto sicuro sono essenziali nel settore sanitario e l’accesso remoto non sicuro è stato il terzo esposto, con il 7%". Se poi prendiamo in esame il mondo del manifatturiero, scopriamo che in questo caso l'infrastruttura risulta essere ancora il principale territorio di rischio per la cybersecurity. "L'infrastruttura IT, di sicurezza e di rete - ha commentato il manager -, infatti, si è rivelata la principale esposizione nelle aziende manifatturiere tradizionali, pari al 48%. Oltre l’8% delle esposizioni è legata a IoT e sistemi embedded, che comprendono sistemi informatici e di rete industriali. Questa combinazione di esposizioni può portare a significative interruzioni operative in caso di cyberattacco di successo". Un dato, questo, molto simile a quello rilevato in ambito oil&gas, dove i digital twin stanno diventando ormai un installazione imprescindibile, offrendo numerose opportunità di automazione, manutenzione predittiva e controllo e monitoraggio delle operazioni da remoto. "I pannelli di controllo dell’infrastruttura IT accessibili via Internet - ha aggiunto Kraning - rappresentano quasi una esposizione su due nel settore utility ed energia. I server RDP rappresentano l’11% del totale e sono la causa principale di esposizione del settore. La forte prevalenza di dispositivi IoT ed embedded - che rappresentano il 13% delle esposizioni - è preoccupante, poiché questi sistemi generalmente non rientrano nella sfera di competenza dei team di sicurezza".
Un aspetto questo che invece rappresenta proprio la linea di demarcazione tra una buona strategia di difesa e un impostazione inefficace di cybersecurity aziendale secondo l'esperto, che infatti incalza: "Per consentire ai team SecOps di ridurre il tempo medio di risposta in modo significativo, è necessario disporre di visibilità accurata su tutte le risorse aziendali e avere la capacità di rilevare automaticamente la loro esposizione. Le soluzioni di gestione della superficie di attacco offrono una conoscenza completa e accurata delle risorse globali su Internet e delle potenziali configurazioni errate per rilevare, valutare e mitigare continuamente i rischi". Un setting di gestione, quindi, senza il quale è estremamente difficile operare in velocità e che risulterà essere sempre di più, in futuro, uno dei fattori chiave per il successo contro i cyber attacchi.
Secondo quanto emerso dallo studio curato dall’Osservatorio Multicanalità, promosso dalla School of Management del MIP Politecnico di Milano e da NielsenIQ, infatti, nel 2022 in Italia i consumatori multicanale, ossia coloro che nel rapporto con i brand si affidano a una molteplicità di touchpoint, hanno raggiunto i 46,3 milioni, corrispondenti all’89% della popolazione. I digital consumer più maturi sono aumentati del 10% e toccano i 19,7 milioni, rispetto ai 7,1 milioni del 2021.
Ma in questo contesto come si inseriscono anche quei punti di contatto, considerati ormai tradizionali, come la stampa, le newsletter e simili?
In vista della prossima edizione di #SMXLMilan (8-9.11 | Allianz MiCo - Milano Convention Centre), ne parliamo in questa nuova puntata di "One Question" con Simone Puliafito, Amministratore Delegato e Founder di TAEDA Communication.
Secondo un recente studio dell’OCSE il divario tra domanda di competenze in intelligenza artificiale e offerta di professionisti altamente specializzati operanti sul mercato sta aumentando in maniera sempre più significativa. A tal punto da rappresentare già un problema nello sviluppo di questo settore. Anche perché, ben pochi paesi stanno producendo investimenti e realizzando programmi di formazione professionale in questo senso. Un dato che ha portato la sesta edizione di AIXA – Artificial Intelligence Expo of Application a mettersi in gioco per promuovere e supportare concretamente la crescita di una nuova generazione di AI manager. La più grande manifestazione italiana dedicata alle applicazioni di intelligenza artificiale per il mondo del business e organizzata da Business International – Fiera Milano, infatti, annuncia oggi che l’8 e il 9 novembre all’interno degli spazi dell’Allianz MiCo di Milano verranno consegnate tre borse di studio per il Master Lab in Artificial Intelligence Management realizzato dalla The Artificial Intelligence School della Fondazione Ateneo Impresa | The Future School. Un progetto che rafforza la collaborazione tra il polo fieristico milanese e l’ente di alta formazione professionale, già annunciata nei mesi scorsi, ed evidenzia il valore sempre crescente dell’ecosistema di partner che da sempre gravita attorno alla manifestazione che anche quest’anno avrà l’obiettivo di promuovere una cultura dell’innovazione in grado di portare le imprese del nostro Paese ad aumentare i propri investimenti nel settore, per guardare a uno sviluppo di grande importanza e valore per il futuro dell’industria e dell’economia italiana.
CANDIDARSI PER GUIDARE IL FUTURO
Nello specifico le borse di studio che saranno assegnate nel corso di AIXA 2023 saranno tre, di cui una a copertura totale, per un valore di 5.900 euro, e le altre due a copertura parziale, per un valore di 3.000 euro. Candidarsi, per essere selezionati tra i vincitori che saliranno sul palco di questa edizione dell’Artificial Intelligence Expo of Applications per ritirare il premio, sarà estremamente semplice. Basterà infatti accedere alla pagina web dedicata e compilare il form di registrazione a uno dei due Digital Open Day di presentazione del corso, previsti il 26 settembre e il 17 ottobre, assistere all'evento in live streaming e, alla fine, compilare il Test di valutazione fornito dalla Scuola. Il comitato selezionatore di The Artificial Intelligence School (TAIS), sceglierà quindi il gruppo di finalisti, tra i quali saranno individuati i tre vincitori che avranno quindi la possibilità di prendere parte a un percorso formativo progettato per offrire soluzioni avanzate a chi intende ampliare o consolidare le proprie competenze o acquisire una qualificata specializzazione nella gestione di progetti basati sull’intelligenza artificiale fortemente richiesta dal mercato.
LA SCUOLA E IL PERCORSO DI ALTA SPECIALIZZAZIONE
The Artificial Intelligence School (TAIS) è la prima scuola italiana interamente ed esclusivamente incentrata sull’Artificial Intelligence Management. Nasce per dare una risposta alle crescenti richieste di nuove figure professionali manageriali da parte di aziende, agenzie, enti, istituzioni, centri di ricerca, che operano con approcci innovativi ed intendono utilizzare l’Intelligenza Artificiale e le sue principali applicazioni per sviluppare competitivamente le proprie attività e il proprio business. L’approccio didattico dell’istituto di alta specializzazione è caratterizzato da una metodologia basata sull’approccio “learning by doing” che ti consente di mettere subito in pratica quanto appreso grazie all’alternanza costante di sessioni teoriche ed esercitazioni pratiche, da svolgere in gruppo e/o individualmente. Seguendo questa linea di approccio, il Master Lab in Artificial intelligence Management, dunque, si compone di un percorso part-time Intensive da 200 ore (120h lezioni + 40h di Self Learning + 40h Project Work), distribuito in 20 lezioni (venerdì e sabato, 10-13/14-17) nell’arco di circa tre mesi. La sua dimensione sarà Ibrida, in aula a Roma e, in contemporanea, in live streaming sul Campus Virtuale della Scuola. Al termine del percorso formativo verrà, quindi, rilasciato un attestato di qualifica con Certificazione NFT registrata su piattaforma Blockchain. Il completamento del Master Lab darà la possibilità di ottenere, sostenendo un questionario finale di valutazione, 50 Crediti di Educazione Continua Professionale (ECP) spendibili sul mercato del lavoro sia per concorsi che per certificare l’acquisizione di competenze come la comprensione e la selezione delle diverse tipologie di AI, l’utilizzo di sistemi AI in base alle esigenze del business, il design thinking e la creazione di una strategia globale AI-based, l’elaborazione di un Business Model Canvas, l’implementazione operativa e gestione manageriale dei processi. Tutti requisiti sempre più ricercati dalle imprese contemporanee.
Un progetto inedito, quindi, che andrà ad aggiungersi e inserirsi in una serie di incontri dedicati che analizzeranno e testimonieranno come i vari comparti industriali stanno reagendo alla Digital Transformation del proprio business. Un fenomeno ineludibile, questo, che vedrà coinvolti tutti gli operatori del settore in un appuntamento pensato per dare vita a un vero e proprio network di eventi orientati al futuro del business che si terranno all’Allianz MiCo di Milano l’8 e il 9 novembre 2023 e che tra gli altri annovererà anche la nuova edizione di SMXL Milan, il più atteso evento internazionale in Italia dedicato al mondo del digital & search marketing che mostrerà le nuove frontiere dell’innovazione nella SEO, nell’ADV e nella Generative AI a tutti coloro che vorranno conoscerne i segreti, le novità e le future tendenze.
“In un clima di incertezza, il punto di partenza è proprio la scelta delle priorità sulle quali focalizzare una strategia di solidità economica e sociale”. E’ questo il consiglio che Laura Ferrario, Chief Financial Officer di Euronics Italia, vuole dare fin da subito, guardando alle sfide che oggi i direttori finanziari devono affrontare per rendere sostenibile il business e la competitività delle proprie imprese. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire a latere della presentazione della ricerca "Managing the Uncertainty: la sfida dei CFO tra performance, innovazione e sostenibilità", realizzata da Business International - Fiera Milano, in collaborazione con Board, in occasione della scorsa edizione del CFO Summit, tenutosi nel corso del Business Leaders Summit, svoltosi all'Allianz MiCo di Milano, il 14 e 15 giugno 2023. “Le aziende – prosegue la manager – devono agire attraverso un’attenta analisi dell’intera catena del valore e una pianificazione a breve e lungo termine. Agire significherà evitare l’erosione dei margini e l’effetto negativo sui flussi di cassa”.
Un obiettivo quanto mai importante in un periodo storico come quello che stiamo vivendo e che pone i team finance e i loro leader di fronte a una trasformazione necessaria e da non sottovalutare. “Il CFO guiderà questo processo come elemento attivo del Board”, sottolinea Ferrario che, però, poi aggiunge, “L’analisi in questione deve partire dalla supply chain, per verificare a monte sia gli attuali fornitori, sia fornitori alternativi: il processo produttivo verrà ripensato in ottica flessibile, così da avere alternative disponibili in casi di materie prime in shortage o con incremento non scaricabile a valle, senza dimenticare la diversificazione dell'approvvigionamento da fonti sia primarie che secondarie”. Una tattica, questa, che pone il procurement e la value chain sempre più al centro della trasformazione del business. “Spesso – spiega la manager –, le funzioni Operation mantengono immutati i processi anche con alternative valide, ma il rischio di interruzione della produzione ha un riflesso economico e finanziario rilevante sull’impresa. Per questo, l’altro elemento chiave nell’attività dell’area AFC risulta essere indubbiamente la pianificazione finanziaria e, in tal senso, il ruolo del CFO diventa ancora più rilevante”. Sotto il profilo gestionale e previsionale, infatti, l’abilità di saper anticipare eventuali fattori di criticità risulta essenziale per la resilienza dell’organizzazione. “Ci potrebbero essere mutui e fidi da ricontrattare – commenta Ferrario –, piani industriali da rivedere, flussi di cassa attesi che potranno essere fortemente influenzati dal cambio nei tassi di interesse. Occorrerà rivedere il mix di prestiti bancari, crediti a breve termine, credito dai fornitori e convertibilità dei debiti”. Tutti elementi che, se monitorati per tempo, possono essere mitigati senza creare difficoltà. “Per l’aumento dei costi di manodopera, invece – evidenzia la manager –, sarebbe utile collegare l’eventuale aumento alla definizione di obiettivi, in modo da indurre comportamenti virtuosi. Le risorse umane saranno sempre più parte del percorso aziendale: renderle partecipi negli obiettivi di breve e lungo periodo significherà creare il coinvolgimento per raggiungere insieme il successo in un rinnovato scenario competitivo”.
Un panorama decisamente ancora non chiaro e che propone continue trasformazioni di complessa interpretazione. “Il 2023 – conferma Ferrario – rappresenta un anno di transizione verso un triennio di stabilizzazione dei fenomeni che hanno caratterizzato il 2022 come rialzo dei tassi di interesse, inflazione e riduzione del PIL in termini reali. Il periodo di passaggio non deve, però, coincidere con un mantenimento delle posizioni, bensì deve essere un anno di pianificazione degli investimenti, valutazione delle opportunità (anche con azioni di finanza straordinaria) e di adeguamento delle strutture organizzative, per far fronte alle nuove esigenze”. In questo senso, ovviamente, la prospettiva di poter contare su aiuti e agevolazioni governative a livello nazionale e internazionale, che consentano di guardare al futuro, sembra essere un elemento di forza per le imprese del nostro Paese, secondo la manager. “Il PNRR – sottolinea la CFO – rappresenta lo strumento per attuare il Quadro Finanziario Pluriennale per il 2021-2027: è l’esempio concreto della necessaria pianificazione che caratterizzerà i prossimi anni. E’ un piano ambizioso, ma necessario, approvato in un momento particolare con tempi strettissimi. Chiaramente, ha bisogno di un riallineamento per sanare alcune incoerenze, ma in uno scacchiere mondiale in cui la Cina è in ripresa e gli States sono in espansione, l’Unione Europea deve restare al passo e, quindi, la partita non è solo italiana, ma di tutta l’Eurozona”.
Detto questo, però, l’aiuto delle istituzioni non è la panacea a ogni male. In un contesto di incertezza, caratterizzato dalla necessità di abbracciare la trasformazione digitale e la transizione ecologica in atto, oggi, alle organizzazioni a livello globale viene chiesto un deciso cambio di marcia su più fronti per rimanere competitivi e resilienti agli imprevisti. “Per essere sostenibile – avverte Ferrario – un’azienda deve trovare nuovi modelli di operatività che permettano la creazione di valore sia dal punto di vista economico, sociale ed ambientale, preservando il valore delle risorse naturali. Per fare ciò, occorre partire dalla definizione di strategie e obiettivi, così da avere chiaro il percorso da compiere e le tempistiche per raggiungerlo. Solo in tale modo si rende concreto un proposito che potrebbe essere visto come solo di tendenza”. Un impegno, quello contro il green washing, ovvero le azioni realizzate solo a scopo reputazionale e non concretamente operative, che ormai accomuna molteplici realtà in tutto il mondo e che sempre di più fa comprendere come anche la cultura e l’attenzione per la sostenibilità stia evolvendo in qualcosa di molto più consapevole e strutturale anche nel mondo del business. “Trasformare gli obiettivi in azioni – prosegue la manager – permette all’azienda di stabilire i processi e gli strumenti con cui lavorare. In questo senso, inoltre, nell’ambito della sostenibilità, l’innovazione riveste un rilievo fondamentale che trasforma processi e prodotti tradizionali, consentendo nuovi modelli di consumo e di business sostenibili indirizzati all’armonizzazione dei tre pillar ovvero People, Planet e Profit. Per rendere fattiva la realizzazione della strategia volta alla sostenibilità e all’innovazione, occorre definire una governance intesa come la precisa attribuzione delle responsabilità in relazione allo sviluppo di obiettivi, gli indicatori come strumenti di monitoraggio delle performance sociali, ambientali, economiche e la rendicontazione delle attività svolte”. Un percorso chiaro e articolato che necessita anche un nuovo set di skill necessarie al raggiungimento di questi nuovi sfidanti Kpi. “In questo senso –conferma Ferrario –, ritengo che per le imprese in generale, e per i team finance in particolare, sia indispensabile oggi concentrarsi su tre priorità fondamentalmente. In primis, creare un gruppo di lavoro con competenze trasversali che possano adattarsi a scenari complessi e mutevoli. In secondo luogo, poi, definire una pianificazione economico-finanziaria-gestionale condivisa con i livelli manageriali dell’azienda e volta ad obiettivi sostenibili, ponendo quindi una precisa attenzione ai fattori ambientali, sociali e di buona governance, laddove la valutazione dei potenziali rischi, con le eventuali azioni correttive, e delle opportunità rappresenterà il cuore della pianificazione. In terza istanza, infine, adeguarsi alle nuove tecnologie per affrontare l’incertezza, così che la trasformazione digitale possa supportare il team nelle nuove sfide”.
"Il talent shortage è causato da diversi fattori: da una parte, è innegabile ormai come oggi esista una difficoltà per il mondo universitario e formativo nell’adeguarsi a continui e sempre più veloci mutamenti dello skill mix richiesto dalle aziende (sempre più ibridato e multidisciplinare);, dall’altra, è altrettanto evidente come ci sia un diverso approccio al lavoro e alle imprese da parte dei candidati (più) validi che, avendo gran mercato, valutano con maggior attenzione, rispetto al passato, i valori, la mission e le modalità di lavoro delle organizzazioni con cui entrano in contatto”. E’ questa la fotografia che propone Marco Russomando, Chief Human Resources & Organization Officer di Illimity, parlando di un fenomeno come quello della carenza di talenti, soprattutto in ambito Stem, che sta influenzando il mercato del lavoro a livello globale. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire, in occasione della presentazione della ricerca dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, realizzata da Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, e presentata nel corso dell'ultima edizione del Business Leaders Summit, tenutosi a Milano lo scorso 14 e 15 giugno 2023. “Al contempo, inoltre – prosegue il manager –, le nuove generazioni di professionisti hanno minore affezione (o se vogliamo un diverso legame) nei confronti del proprio datore di lavoro”.
Un aspetto empatico, questo, che riflette un po’ la riduzione di quell'“attaccamento alla maglia”, come si dice in gergo sportivo, che rende più delicato il rapporto tra azienda e talento e propone un rischio di ritorno sull’investimento nelle risorse che rende sempre più complesse le scelte da mettere in campo per le organizzazioni. “In questo modo, però – sottolinea Russomando –, si crea il paradosso dell’investimento a termine, ovvero la necessità per le aziende di puntare molto sulla formazione e lo sviluppo dei talenti che poi – spesso – scelgono, magari dopo 3 o 5 anni, di intraprendere altri percorsi lavorativi, perché vedono le aziende come tappe (funzionali se non strumentali) al loro percorso e, dunque, per decidere di “restare o investire” a medio-lungo termine, queste ultime devono essere in grado di offrire loro, periodicamente, nuove opportunità di apprendimento e d’impatto organizzativo”. Una vera e propria sfida da non sottovalutare, questa, anche perché impone alle imprese di mettersi in gioco a 360 gradi, senza filtri e soprattutto con la voglia di trasformarsi profondamente, tanto nei processi, quanto negli approcci e, soprattutto, nella cultura di un nuovo modo sia di fare business, sia di lavorare.
Una modalità, tutta da scoprire, che richiede l’attivazione di nuove strategie per rimanere competitivi sotto il profilo della talent attraction e della talent retention. “Le strategie per affrontare il fenomeno della talent shortage – suggerisce il manager –, idealmente, dovrebbero tenere in considerazione tre asset fondamentali. In primis, le aziende dovrebbero adottare una logica o modello identitario ed ecosistemico che consenta di definire e comunicare cosa si è e cosa si offre in ottica di People Value Proposition. Solo così si può dare vita ai presupposti per un rapporto di followership evoluta e di fellowership”. Due concetti di assonanza valoriale (oltre che linguistica) e di prospettiva, orientati alla cura e alla guida o mentorship, ma anche a una libertà responsabile che offra l’opportunità di generare un terreno fertile dove supportare l’espressione del potenziale individuale. “In secondo luogo, poi – prosegue Russomando –, è fondamentale plasmare tutti i processi sulla base della PVP, con un’attenzione particolare alle performance e al training. In terza istanza, infine, l’aspetto più importante da valorizzare rimane quello di ascoltare costantemente le proprie risorse, adottando le micro e le macro correzioni che favoriscono un ambiente di lavoro sano, sostenibile e generativo”. Tre fattori essenziali, questi, a cui si aggiunge poi un ultimo elemento da non sottovalutare se si vuole generare quell’affezione all’impresa che consenta un percorso condiviso di lungo periodo tra datore di lavoro e talent. “In questo contesto di generazione di valore e di valorizzazione delle nuove generazioni di professionisti e non solo – evidenzia il manager –, sicuramente, l’Employer Branding, se genuino, ovvero se improntato al racconto di chi si è e non di cosa si vorrebbe o dovrebbe essere, è un volano potentissimo per la talent acquisition. Per renderlo efficace, però, è necessario puntare sempre di più sul dar voce alle proprie persone, mettendo al centro il loro “sentire”, il loro “immaginare e innovare”, e investendo sulla narrazione della propria storia”. Già, perché ogni organizzazione ha un passato da descrivere e spiegare.
Un percorso di successi e sperimentazioni che ha portato all’acquisizione di nuove competenze e risultati. “Se guardiamo oggi – continua Russomando – alle competenze più efficaci che le aziende devono fare proprie attraverso l’ingresso di nuovi talenti, in questo contesto digitale, fluido e incerto, possiamo notare come empatia, agilità di pensiero e di azione, apertura alle diversità, lungimiranza, pazienza, autoregolazione emotiva e antifragilità (che va oltre la “semplice” resilienza, perché è la caratteristica di chi impara, o meglio, evolve da situazioni avverse) siano le skill più importanti su cui concentrare la propria ricerca e la propria attenzione. Per attrarre le risorse giuste in questo senso, però, le organizzazioni dovranno saper comunicare e trasmettere la propria identità e il proprio impegno verso le persone, riuscendo a essere consistenti ed esemplari nel dire quel che si pensa e – soprattutto – fare quel che si dice, anche perchè ormai il fact checking è un’attività sempre più diffusa a tutti i livelli e questo, dal punto di vista dei professionisti, screma alla base, e quasi automaticamente, le realtà meritevoli da quelle che non lo sono”.