di Matteo Castelnuovo | 29/08/2023
Carenza di talenti, mancanza di competenze IT, difficoltà nel trovare professionisti con consolidate skill digitali e decisa criticità nell’acquisizione di lavoratori dotati di competenze trasversali, come il time management, l’empatia o la collaborazione. In un mondo sempre più digitalizzato e nel quale il bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa e le priorità delle persone sono in continuo mutamento, il paradigma lavorativo sta conoscendo un’evoluzione che in pochi si aspettavano o avevano previsto.
Alcuni attribuiscono la causa di tutto questo alla pandemia da Covid-19, che ha reso più complessi i processi internazionali e la gestione della sfera personale. Altri, invece, sostengono che l’aumento dello smart working, inteso esclusivamente come telelavoro, unito alla crisi economica, alle nuove esigenze personali e professionali e a una lentezza nell’adattarsi alle nuove richieste dei lavoratori da parte delle aziende abbia impattato negativamente sulle dinamiche dei flussi occupazionali.
Di fatto, però, il problema diventa sempre più concreto e attuale: il fenomeno della talent shortage, ovvero la carenza di talenti, ormai, sta coinvolgendo tutti i tipi di impresa in qualunque settore. A tal punto che, secondo la ricerca realizzata dal World Economic Forum “The Future of work 2023”, due su cinque (41%) degli economisti intervistati si aspettano che i mercati del lavoro rimarranno “contratti” nelle economie avanzate nel corso dell’anno, mentre il 45% degli intervistati ritiene che sia “abbastanza” o “estremamente probabile” che la carenza di talenti eserciti un freno all’attività imprenditoriale nel prossimo futuro. Gli intervistati, inoltre, hanno espresso fiducia nello sviluppo della propria forza lavoro esistente, tuttavia, hanno dimostrato meno ottimismo per quanto riguarda le prospettive di disponibilità di talenti necessari alla crescita aziendale nei prossimi cinque anni. Di conseguenza, le organizzazioni hanno identificato la carenza di competenze e l’incapacità nell’attrarre talenti come le principali barriere per la trasformazione della propria impresa, e del proprio settore di riferimento più in generale.
Dati, questi, che hanno portato Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, a sviluppare il report dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, al fine di comprendere a fondo quali possono essere le strategie da mettere in campo per poter ridurre uno skill gap sempre più marcato e in grado di diminuire drasticamente la competitività delle organizzazioni nel prossimo futuro. L’analisi, curata da Stefano Faccioli, Head of Organizational Development and Training della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, e condotta tra febbraio e aprile 2023 su un campione di oltre 100 direttori HR attivi in aziende di medie e grandi dimensioni, operanti sul territorio italiano, si propone quindi di indagare quale sia lo stato dell’arte delle priorità da affrontare e delle tattiche da adottare per consentire alle imprese di superare questa sfida da non sottovalutare.
“La talent shortage, oggi – ha commentato Faccioli –, è un fenomeno che subisce l’influenza di molteplici fattori, ma probabilmente il miglior modo per fronteggiarla, da parte delle organizzazioni, è capire che lo scenario del lavoro e le esigenze dei lavoratori sono enormemente cambiati. Questo è un processo irreversibile ormai. Ascoltare questa richiesta di soddisfazione personale e necessità di riequilibrio delle dinamiche tra lavoro e vita privata, diventa così una delle chiavi fondamentali per rispondere in maniera efficace alla situazione”. Un paradigma che, per essere messo in atto, però, ha bisogno di un concreto cambio di approccio da parte delle aziende, ma anche da parte dei manager che le guidano, oltre che un nuovo modello organizzativo e culturale che guidi il mondo del business più in generale verso il superamento di frontiere che fino a qualche tempo fa sembravano invalicabili e che ora risultano essere l’unica via da percorrere per poter rimanere competitivi sui mercati, dall’attenzione alla sostenibilità ambientale alla diversity and inclusion e dall’ampliamento del bacino di recruitment per la talent acquisition alla responsabilità sociale delle attività imprenditoriali. “La competizione per i talenti – ha commentato Ilaria Caccamo, Managing Director di Indeed Italia –, la scarsità di competenze, il cambio di preferenze dei candidati dal dopo pandemia, sono alcuni degli elementi che stanno scatenando una tempesta perfetta in cui si trovano coinvolte le aziende alla ricerca di candidati. Oggi per queste aziende l’employer branding rappresenta sia un’opportunità che una sfida. Spesso si ritiene che l’ambito di questo strumento sia la comunicazione, ma il tassello chiave che ne costruisce le fondamenta è il valore. L’employer branding consente alle aziende di rendere il proprio valore concreto, tangibile e differenziante. Così da attrarre nuovi candidati ma anche influenzare i propri dipendenti. Grazie alle gestione attiva della proprio brand aziendale le aziende riescono ad ascoltare, agire e condividere in modo più mirato ed efficace. Il mondo del lavoro sta cambiando, per il meglio”. Un’attività di sicuro impatto, su cui le aziende italiane – come dimostrano i dati della ricerca – si stanno impegnando con grande dedizione, mostrando come, nonostante le difficoltà e le criticità del momento, ci siano già alcuni esempi d’eccellenza che hanno deciso di muoversi con coraggio per offrire nuove opportunità ai professionisti e al contempo una nuova visione del fare impresa.
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