| 25/06/2013
“Il mondo, gli imprenditori, le imprese si dividono in due: quelli molto
impegnati a guardarsi l’ombelico e quelli che puntano a diventare l’ombelico del
mondo”. L’ha detto Vincenzo Perrone, Docente di Organizzazione Aziendale
e Prorettore alla Ricerca all’Università Bocconi, durante la prima edizione del
CEO Summit – organizzato da Business International, divisione
Fiera Milano Media. Per diventare “l’ombelico del mondo” servono business model
efficaci, e leader abili a concretizzarli: due temi, strategie e leadership,
centrali nel dibattito del CEO Summit 2013, su cui vale la pena di soffermarsi
in questo Focus.
Vincenzo Perrone ha inaugurato la giornata con una provocazione: per uscire
dalla crisi, la prima strategia da adottare è “guardare oltre”. “Dobbiamo uscire
da questa nuvola nera che si siamo costruiti, che alimenta un clima che fa male
al Paese e che all’estero non c’è”. I numeri del mondo, in effetti, parlano
chiaro, e mostrano interessanti opportunità strategiche (Video:
http://www.youtube.com/watch?v=Z4WGjHWY1UM. Fonte: Nielsen): i mercati emergenti
crescono in tutto il globo, così come la classe media e il reddito spendibile da
parte di categorie sottovalutate in fase di communication design (come, ad
esempio, gli ispanici negli USA). Al contempo la digitalizzazione prosegue
ovunque senza sosta (impressionanti i dati della diffusione del mobile payment
in Cina e Kenya) – e, come ha ricordato nel suo intervento il CEO Italia di
Google Fabio Vaccaro, in questo ambito l’Italia deve e può fare di più:
soltanto il 17% delle piccole-medie imprese italiane ha una presenza qualificata
su internet, contro Il 30% delle spagnole. Va aggiunto inoltre il cambiamento
rapidissimo della composizione socio-demografica del mercato – con un fortissimo
aumento percentuale dei consumatori over50 in America Latina, Stati Uniti, Cina,
e le donne che divengono sempre più importanti per potenziale di spesa.
Aldilà dei dati, ha sottolineato il Docente, ciò che manca al Belpaese è
l’approccio giusto: le opportunità ci sono, basta vederle. “La parola crisi
deriva dal greco, dal verbo giudicare” – ha ricordato Perrone. “E’ il momento di
giudicare, distinguere. Possiamo uscire da questo clima in cui ci siamo infilati
e vedere realtà che si muovono su una logica diversa, che hanno capito dove i
consumatori globali sono e quali sono le possibilità di crescita per le aziende?
Quando è arrivato Monti, a novembre, con lo Spread a 500, stavate
chiudendo i vostri bilanci. In quel momento il bilancio totale di tutte le
aziende italiane sopra i 100milioni di euro, che valgono il 17% del Pil, stava
crescendo del 12,45% rispetto all’anno precedente. Le aziende erano solide dal
punto di vista finanziario e con ricavi crescenti. Bisogna discriminare,
affinare lo sguardo. Quante banche hanno ancora la capacità di capire se
un’azienda cresce, è solida o meno? Il governo, quando parla di politica
industriale, di cosa sta parlando? Conosce le esigenze di un’azienda
internazionale o di una start-up? E forse, anche Confindustria e ì sindacati
questa capacità di giudizio la dovrebbero sviluppare”.
Secondo Vincenzo Perrone è il momento del “ritorno ai pesi”. Il che significa
sostanzialmente due cose: “1) se non avete un vantaggio competitivo, smettete di
competere; non c’è modo di conseguire un vantaggio competitivo sostenibile
facendo esattamente quello che tutti gli altri fanno, nello stesso modo. I
profitti sono il sovra-prezzo che un cliente è disposto a pagare per una
differenza percepita di valore, dunque bisogna essere differenti (in meglio); 2)
siate resilienti. La resilienza è la proprietà di un materiale di ricevere uno
shock, deformarsi e tornare come prima. Passate attraverso la crisi e uscite più
forti, migliori, con le idee più chiare. E’ la proprietà che ci ha consentito
come specie di sopravvivere”. Quello che conta oggi è la capacità di adattare le
tecniche al mercato, sapendo passare da un’ondata tecnologica all’altra e
mettendo sempre al centro il cliente. “Chi soffre è chi non è capace di produrre
idee e non è ben posizionato sul mercato”, è la sintesi di Perrone, il quale ha
concluso la sua analisi non con una risposta, ma con quattro domande rivolte ai
CEO del futuro: “1) siete davvero competitivi sul mercato? 2) riuscite a mettere
al centro il cliente? 3) sapete accogliere e sviluppare individui innovativi e
fare spazio all’intraprenditorialità? 4) sapete coinvolgere, motivare e fare
partecipare i dipendenti nella sfida quotidiana della resilienza?”.
I manager e imprenditori relatori al CEO Summit hanno il lusso di poter
rispondere affermativamente: quelli come Francesco Casoli di Elica, Marina
Salamon di Altana, Giorgio Bloggero di Leaf Italia, e gli altri ambasciatori
dell’eccellenza aziendale italiana ospiti alla conferenza. Gente accomunata da
una virtù: la leadership. Che, ricorda Casoli, non deve essere mai sinonimo di
presunzione: “come faccio a competere se penso di essere il re di tutto, se
comando tutto io? Cerchiamo di essere un po’ meno presuntuosi, che è un po’ il
male degli imprenditori italiani”. Della stessa idea Marina Salamon: “non ho una
stanza o una scrivania: vado in giro dai lavoratori, imparo di più. Perché così
entro nelle diverse realtà dell’azienda, senza sentirle però figlie mie da
proteggere”. Per Giorgio Bloggero, poi, essere CEO significa non soltanto
comandare un impresa, ma anche avere delle responsabilità nei confronti del
sistema Paese: “il mio ruolo è far lavorare insieme tutte le persone. Io posso
timonare la nave, essere un facilitatore, uno spronatore, ma ogni approdo è un
punto di partenza. Dobbiamo essere ancora più bravi, più veloci. Il nostro
ruolo, in quanto CEO, è portare investimenti in Italia, essere degli
ambasciatori. E’ un lavoro duro, e ognuno deve fare la sua parte, anche e
soprattutto per il Paese”.
Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di Strategia e Politica Aziendale
in Bocconi, nel suo intervento ha provato a tracciare un identikit del
CEO-leader: deve farsi portatore di edge competences, diventare “scultore” di
strategie, “filosofo” del valore sospeso tra transazioni economiche e relazioni,
“banchiere” dell’integrità aziendale. Più pragmatico lo speech di Luca
Colombo, Country Manager Facebook, per il quale la leadership si
esprime nel tessuto dell’impresa attraverso diversi fattori: 1) tecnologia, la
quale “è imprescindibile: non è più prerogativa degli esperti di IT o degli
specialisti di digital, deve essere qualcosa che sta nella testa dell’azienda”;
2) cultura del fallimento: “sbagliare è parte del nostro dna, l’importante è non
commettere gli errori due volte” 3) approccio “open”: “ognuno in Facebook è
stimolato a sviluppare prodotti e innovarli” 4) centralità del consumatore: “le
aziende dovranno sempre più essere customer center, per adeguarsi ai feedback
dei clienti”.
Gli ospiti hanno descritto la figura del leader, genericamente, come colui
capace di tessere le fila del “discorso impresa”. Una definizione più precisa
l’ha fornita Marcello Veneziani, editorialista de “Il Giornale”:
“Io credo che ci siano due forme di leadership: una è la leadership mimetica, il
tentativo di mimetizzarsi, di adeguarsi all’ambiente, all’habitat, e quindi di
rispondere attraverso forme di galleggiamento e di low profiling, vivendo nella
corrente. In Italia invece serve una leadership distintiva, capace di
distinguersi, di andare controtendenza. Noi non possiamo competere coi grandi
sistemi esteri adeguandoci al loro corso: non possiamo che percorrere una strada
antagonista, alternativa, differente, puntando sulle nostre peculiarità”.
Secondo Veneziani, i leader delle aziende italiane devono riuscire a mettere
insieme due tendenze: da un lato, far tesoro del patrimonio ereditario, di ciò
che siamo, del “Brand Italia”; dall’altro, miscelare questo patrimonio con la
capacità di innovarlo. “La leadership ha solo una possibilità d’uscita:
distinguersi, non mimetizzarsi”.
E ancora: “il dramma del nostro paese è non puntare sui giovani ma sul sistema
di relazioni, e così investiamo sull’immediato, senza rischiare sul futuro”.
Leadership in quanto azzardo, dunque, in quanto strada coraggiosa e
controcorrente: un po’ come nel caso di Enrico Pazzali, Amministratore
Delegato di Fiera Milano, che ha testimoniato il grande prezzo personale
della ristrutturazione aziendale di cui stato protagonista, che ha avuto come
conseguenza intimidazioni e minacce: “il nostro mestiere è riempire i bicchieri
mezzi vuoti” – ha affermato Pazzali – “senza deprimersi”.
Quali sono state le strade vincenti che hanno percorso i leader ospiti di CEO
Summit nelle loro storie virtuose di business? Eccole in sintesi: cura
spasmodica dei bisogni del cliente, flessibilità organizzativa capace di
garantire un’innovazione continua, scelta di un segmento di lusso, costruzione
di un ecosistema aziendale creativo capace di valorizzare la diversità
esperienziale e umana e, soprattutto, internazionalizzazione dell’attività.
Quest’ultimo tema, filo rosso del dibattito al Summit di Business International,
sarà approfondito in un Focus ad hoc: “La sfida dell’internazionalizzazione come
risposta alla crisi”.
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