di Matteo Castelnuovo | 13/03/2023
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
In Italia, tutto – vita sociale, dinamiche di lavoro, giurisprudenza – dovrebbe essere conseguente all’articolo 3 della Costituzione, che non lascia spazio ad alcuna interpretazione o cavillo. Ma non è così. Per quanto il sentiment su questi principi sia concorde sulla loro centralità e sull’importanza di concretizzarli nella pratica quotidiana, spesso vengono disattesi, nonostante i benefici individuali e collettivi che potrebbero derivare dalla loro applicazione.
Secondo una recente ricerca di Boston Consulting Group, per esempio, le aziende con una maggiore attenzione alla diversity raggiungono risultati economici e di innovazione del 19% superiori rispetto a quelle che la disattendono. Senza contare le ricadute sotto il profilo della reputation e di Net Score Promoter (il “passaparola”). L’analisi di “Diversity Brand 2022”, di Diversity e Focus Mgmt, evidenzia un delta potenziale del +23% tra la crescita dei ricavi delle aziende percepite come più inclusive rispetto a quelle meno inclusive, con un 77.5% dei consumatori più predisposti ad acquistare prodotti e servizi presso le prime piuttosto che presso le seconde. Risultati, peraltro, ben compresi dai manager delle stesse realtà imprenditoriali che, secondo una recente indagine di DNV, nel 79% dei casi, a livello internazionale, affermano come la Diversità e l’Inclusione (D&I) siano parte integrante della strategia della propria impresa, concordando in 6 risposte su 10 sul fatto che un’organizzazione inclusiva raggiunga prestazioni migliori. Nonostante questo, però, solo il 32% dei rispondenti della stessa survey conferma che si tratti di un aspetto critico per il business; e meno di un’azienda su tre ha definito una politica a livello aziendale in questo senso.
Tutti elementi che, nella quarta edizione dell’annuale ricerca dal titolo “Future of Work” (scaricabile a questo link: https://lnkd.in/dRM87mz3), realizzata da INAZ in collaborazione con Business International - Fiera Milano, con il commento di Fabrizio Lepri, Docente di Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane all’Università degli studi Roma Tre, hanno portato a concentrare l’attenzione dell’analisi sul ruolo sempre più importante di Diversity, Equity & Inclusion. Un'analisi di cui abbiamo voluto proporvi una sintesi commentata dai protagonisti, anche in vista della prossima edizione del HR Directors Summit - l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, organizzato da Business International - Fiera Milano e previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2023 presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit.
Dall'analisi, infatti, emerge chiaramente come la D&I sia un fattore imprescindibile, ormai, in questa nuova epoca che misura il successo, non tanto sulla retribuzione proposta ai professionisti da parte delle imprese, quanto sulla capacità di queste ultime di migliorare la qualità della vita della propria forza lavoro a 360 gradi. “Il ruolo centrale assunto da questo tipo di valori in questi ultimi anni – spiega Lepri – è l’espressione di una profonda rivoluzione culturale globale avvenuta nel mondo lavorativo e che già era in atto da tempo, ma su cui indubbiamente la pandemia ha avuto un effetto di accelerazione imprevisto, con conseguenze inaspettate”. Una propulsione positiva che, attraverso quella necessità di sostenibilità sempre più stringente per governi, istituzioni e aziende, si è trasferita nella quotidianità delle persone, producendo un’esigenza di cura e valorizzazione dell’individuo in quanto tale che, ormai, non può più essere ignorata. “Un aspetto – sottolinea Linda Gilli, Presidente e Amministratore Delegato di Inaz – che evidenzia, se ancora ve ne fosse stato bisogno, come le aziende siano composte primariamente da persone. Individui di cui bisogna prendersi cura e che bisogna ascoltare e comprendere con attenzione per poter permettere loro di esprimere a pieno il proprio potenziale, al fine di renderli soddisfatti e felici nell’essere parte dell’impresa in cui operano, offrendo a quest’ultima un reale valore aggiunto di crescita e sviluppo”. Un principio fondamentale su cui le aziende hanno sempre più necessità di concentrarsi. A maggior ragione in un’epoca in cui il mondo del lavoro sta passando dal fenomeno della Great Resignation a quello della Great Realization e dove il vero protagonista non è più il denaro, ma l’unicità delle persone e la loro complessità, vista come un punto di vantaggio in grado di produrre un differenziale quanto mai essenziale per la competitività di un brand.
In un mondo in cui le persone vogliono sentirsi coinvolte e prese in considerazione, dunque, D&I diventano must da non poter più sottovalutare e di cui munirsi per poter guardare al futuro. Asset strategici su cui puntare, proprio come testimoniato anche dalle parole dei manager all’interno delle interviste raccolte nella ricerca, per avere uno spaccato di quel punto di vista che si sta evolvendo e trasformando, al fine di traghettare le imprese verso una nuova dimensione del business: più attenta ai bisogni dei propri stakeholder interni ed esterni e più capace di valorizzare il talento e l’eccellenza, rendendo ogni elemento protagonista di un cambiamento senza precedenti e a cui nessuno potrà sottrarsi nei prossimi mesi e anni. Una vera rivoluzione su cui bisognerà puntare, ma anche lavorare per continuare a migliorare il progresso di questa nuova epoca del lavoro e della socialità, nella quale la diversità, in Italia, non è più solo una questione di genere, ma anche di disabilità e di generazione. Tre fattori che stanno completamente trasformando la quotidianità di ognuno di noi, dentro e fuori dall'ufficio, producendo anche un confronto che, per poter produrre un vero valore aggiunto, deve basarsi su solide fondamenta culturali. Principi di ascolto e di dialogo che devono rappresentare i pilastri di un nuovo modello di fare impresa, dove il comparto economico inizia ad avere un valore sempre meno importante, rispetto alla ricaduta valoriale e sociale delle azioni e dei comportamenti proposti dall'organizzazione stessa nella sua totalità.
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