Storicamente la mobilità del mercato occupazionale di un Paese ha un valore positivo per la salute economica dello stesso. La capacità di
cambiare posto di lavoro dei professionisti di una nazione, infatti, denota innanzitutto l’opportunità di farlo e, poi, anche la presenza concreta di migliori situazioni professionali potenziali in cui inserirsi e che, naturalmente, contribuiscono alla crescita economica personale e sociale dell’intero sistema Paese. Questi aspetti basilari di economia, però,
ai tempi del Covid-19, purtroppo denotano anche molto altro. Se, infatti, è indubbio che nel 2021 il comparto finanziario italiano abbia vissuto momenti positivi, anche dovuti al rimbalzo strutturale causato da una ripartenza produttiva ferma da mesi, dall’altra parte, è altrettanto vero che il tasso di dimissioni ha avuto un’evoluzione così forte da far rilevare
2 milioni di dimissioni solo nel 2021 (fonte: Nota trimestrale delle tendenze dell’occupazione, Ministero Del lavoro e delle politiche sociali, 2021), che sottolineano come il fenomeno non riguardi solo una maggiore mobilità delle posizioni professionali e non sia dovuto esclusivamente alle riorganizzazioni aziendali dettate dalla
digital transformation e dalla pandemia, ma inizino a seguire quel trend tutto americano denominato “
Great Resignation” . A conferma di questo, infatti, secondo gli ultimi dati dell’
Osservatorio del Politecnico di Milano, il
44% delle aziende del Bel Paese ha perso la sua capacità di attrarre nuovi talenti, vivendo un turnover di
oltre il 73% negli ultimi dodici mesi e con il
45% degli attuali occupati italiani che dichiara di aver cambiato o di voler cambiare lavoro nei prossimi 18 mesi. Numeri forti, questi, che inevitabilmente sottolineano un malessere da non sottovalutare, ma anzi da comprendere a fondo per poterlo gestire, arginare e magari ridurre. Anche perché, come indicato da una recente analisi di
PwC, il
45% della Gen Z e
il 47% dei dipendenti Millennial rinuncerebbe al 10% o più dei propri guadagni futuri per l’opportunità di
lavorare da remoto, evidenziando così come la criticità per le nuove generazioni di professionisti non sia rappresentata dal salario, come appariva in passato, ma da un set di valori e criteri completamente differenti.
UN NUOVO SET DI VALORI GUIDA IL LAVORO DEL FUTURO
Quali sono, però, questi fattori distorsivi che si trasformano in motivi di insoddisfazione? Come evitare che sopraggiungano? Come ridurre il loro impatto qualora si presentino? Tutte domande a cui
Business International –
Fiera Milano, in collaborazione con
Indeed, ha cercato di rispondere attraverso i risultati della ricerca “
Employer Branding nell’era della Great Resignation: attrarre i talenti nel nuovo mondo del lavoro”, realizzata con il commento e l’analisi di
Stefano Faccioli, Head of Organizational Development, Training & Change Management della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli ed Adjuct Professor di Human Resources & Competency Management presso l’Università La Sapienza. Un report, presentato in occasione della nuova edizione dell’
HR Director Summit (la manifestazione tenutasi presso il
Museo Diocesano di Milano, il
14 e 15 giugno 2022, all’interno di
Business Leaders, la settimana di eventi dedicata ai
C-Level del futuro), di cui nelle prossime settimane approfondiremo le principali evidenze emerse e che ha l’obiettivo di fare chiarezza sulle nuove dinamiche del mondo del lavoro e sul grande valore che sta acquisendo, anno dopo anno, il segmento dell’employer branding, non solo in termini di talent acquisition, ma anche di brand reputation e soprattutto talent retention.
UNA RIVOLUZIONE DA CUI NON SI POTRA’ TORNARE INDIETRO
«Le aziende oggi si devono rendere conto – commenta Faccioli – che la rivoluzione innescata dal Covid-19 è al pari di quella introdotta da internet alla fine degli anni ’90, che poi diede vita a una nuova serie di aziende digitali in grado di portare con sé una nuova cultura del lavoro. Allo stesso modo, le aziende, che potremmo definire “native covid”, stanno già producendo un cambio strutturale delle abitudini e delle attitudini lavorative su scala globale e questa è una trasformazione radicale da cui non si potrà più tornare indietro». Un
cultural change che va interpretato con attenzione e che deve porre al centro un focus cruciale sulla cura delle persone, sempre più strategica per il futuro sviluppo del business. «I talenti di oggi – aggiunge
Ilaria Caccamo, head of sales di Indeed Italia - cercano prima di tutto un luogo di lavoro stimolante e sano. Un ambiente piacevole, con la cultura della gentilezza e della flessibilità dell’orario, che miri all’effettiva realizzazione dei progetti e alla crescita delle persone, non al controllo del tempo lavorato. Uno spazio professionale che sia inclusivo e sia inserito all’interno di logiche e dinamiche di condivisione sempre più orizzontali e meno gerarchiche. Il futuro delle aziende risiede nel rispetto e nella fiducia». Un obiettivo che, in Italia, potrebbe richiedere ancora del lavoro da fare, ma che già propone anche nel nostro Paese alcuni validi esempi raccolti anche net report per offrire a tutti gli interessati una visione prospettica reale di come si stanno muovendo le aziende tricolore e che vi proponiamo di leggere, scaricando la ricerca al link indicato qui sotto.
