OLTRE LA PRODUTTIVITA’: LA FORZA SILENZIOSA DEL BENESSERE

di Cecilia Marzolo | 28/10/2025

Al centro dei trend attuali, che guidano il mondo del business, il tema del benessere organizzativo non è più un nice to have, ma una priorità che le imprese non possono più ignorare. Il disagio psicologico e le tensioni emotive sono, ormai, un fenomeno diffuso nelle organizzazioni: secondo l’8° Rapporto Censis-Eudaimon, quasi un terzo dei lavoratori italiani ha sperimentato forme di burnout, mentre oltre il 70% dichiara di aver vissuto ansia o stress legati al lavoro. Numeri, che spiegano perché l’83% dei dipendenti consideri oggi il benessere una priorità assoluta, soprattutto all’interno della GenZ.

Nello scenario attuale, non si tratta più soltanto di garantire stipendi competitivi o benefit materiali: le persone, il nucleo fondante delle imprese e in particolare le generazioni più giovani, chiedono ambienti di lavoro in cui sentirsi ascoltate, valorizzate e in equilibrio con la propria vita privata.

LA RICHIESTA DI FORMAZIONE AUMENTA A DISMISURA

In questo contesto, la formazione diventa una leva strategica per le imprese. Solo nel 2025 Tack TMI Italy ha registrato, nel nostro Paese, un aumento del +244% della domanda di percorsi formativi dedicati al benessere organizzativo. Un dato che non sorprende e che non rappresenta solo una risposta all’emergenza stress e burnout in atto, ma che ci fa riflettere sul cambio di paradigma a cui stiamo assistendo: ridurre il turnover e promuovere la retention dei talenti, sono oggi obiettivi di business tanto quanto l’aumento della produttività aziendale.

LE 5 COMPETENZE CHIAVE PER IL BENESSERE

Ma quali sono, oggi, le competenze che un professionista deve tenere in considerazione per fare davvero la differenza all’interno di un team di lavoro, aiutando a migliorane il clima e quindi la produttività?  Secondo gli esperti internazionali di Learning & Developement, in questo senso, le aree d’azione più importanti, sono cinque:

  1. Intelligenza intrapersonale: un lavoro continuo e approfondito su sé stessi è fondamentale per imparare a conoscersi e gestire emozioni e paure;
  2. Intelligenza interpersonale: avere la capacità di costruire relazioni di fiducia e collaborazione tra colleghi è la chiave per il successo;
  3. Cultura dell’errore: solo chi non fa non sbaglia. Saper trasformare i fallimenti in occasioni di crescita da cui imparare è il primo passo per migliorare, sia come professionista sia come team;
  4. Relazione uomo-macchina: l’abilità di utilizzare al meglio le nuove tecnologie, vedendole come alleate e non come fonti di stress, offre l’opportunità di guardare al futuro in maniera propositiva;
  5. Mindfulness e benessere fisico: mantenere equilibrio tra corpo e mente, diventa una leva concreta per migliorare la concentrazione, ridurre il rischio di burnout e sostenere performance durature.

Queste cinque aree rappresentano un cambio di prospettiva: non più soft skill da affiancare alle hard skill, ma veri e propri pilastri della competitività delle risorse aziendali. In un momento storico segnato da iperconnessione, trasformazioni digitali e crescente attenzione al work-life balance, saper coltivare resilienza, empatia e consapevolezza diventa tanto importante quanto padroneggiare strumenti e processi. Tutte abilità, queste, che non solo migliorano la performance individuale, ma rafforzano la coesione dei team e la capacità dell’impresa di adattarsi ai cambiamenti.

DAL QUIET QUITTING ALLA CULTURA DELLA FIDUCIA

Sotto questo profilo, come sottolinea anche Irene Vecchione, Amministratore Delegato di Tack TMI Italy (Gi Group Holding): “Il ruolo della formazione è essenziale perché una persona che sviluppa le proprie skill in quest’ottica non è solo un collaboratore più motivato, resiliente ed efficace, ma anche più soddisfatto e aperto al cambiamento”.

Un approccio, che, però, in questi anni si è scontrato con fenomeni di portata globale come, grandi dimissioni, quite quitting e sovraccarico cognitivo, che hanno messo a dura prova le imprese ed i lavoratori

Dinamiche che hanno reso evidente come il benessere organizzativo non possa essere affrontato con soluzioni spot o iniziative isolate, ma serva un approccio sistemico, in grado di coinvolgere leadership, processi e cultura aziendale. Da questo punto di vista la formazione, diventa un catalizzatore, in quanto non solo sviluppa competenze, ma contribuisce a creare ambienti in cui le persone si sentono ascoltate, valorizzate e parte di un progetto comune. È proprio questa dimensione di fiducia reciproca che permette alle imprese di superare la logica del “disimpegno silenzioso” e di trasformare le difficoltà in nuove opportunità di crescita condivisa.

BENESSERE ORGANIZZATIVO: LA RADICE DELLA TRASFORMAZIONE

In conclusione, il benessere organizzativo non è un lusso, ma una condizione necessaria e un percorso continuo, capace di far coesistere aspetti tecnici e umani. Solo seguendo questo schema le aziende potranno uscire vittoriose dalle sfide di un mercato in continua trasformazione, rispondendo al task iniziale: trasformare il benessere dei propri collaboratori in vantaggio competitivo.