di Matteo Castelnuovo | 21/10/2025
«I verbi attivi che comunemente usiamo per riferirci al denaro, come sprecare, impiegare, risparmiare, investire, sono esattamente gli stessi che utilizziamo quando parliamo di tempo. Questo parallelismo linguistico non è casuale: ci ricorda che il tempo, al pari del denaro, è una risorsa limitata e strategica, ma con una differenza sostanziale: il tempo non si può recuperare. Ed è proprio per questo che lo considero la risorsa più preziosa a disposizione di un leader, forse persino più del budget». È questa la prima riflessione che Simona Melani, Head of Marketing di Sony Pictures Entertainment Italia ha posto sul piatto di un'intervista raccolta in occasione della nuova edizione del report annuale dal titolo "Keep Time and Manage Leadership", prodotto da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, pensato per indagare alcuni degli aspetti più importanti da considereare per la leadership del mondo dell'impresa contemporanea e presentato lo scorso 19 giugno 2025 in apertura del Business Leaders Summit, tenutosi presso l'Allianz MiCo di Milano. Una conversazione che guarda all’interpretazione di un nuovo concetto di tempo, visto come vera leva strategica del business moderno. «In un mondo accelerato dalla tecnologia e complicato dalla sovrapposizione di crisi – ambientale, geopolitica, economica – il tempo diventa non solo una variabile da gestire, ma un fattore competitivo vero e proprio – sottolinea la manager –. Saper utilizzare il tempo in modo intelligente e intenzionale rappresenta, oggi, una delle capacità chiave per chi guida un’organizzazione». Come per il denaro, però, il tempo va investito con lungimiranza. «Le decisioni che generano valore nel medio-lungo periodo, consolidando visioni, costruendo cultura e stimolando l’innovazione, richiedono tempo – spiega l’esperta –. Tuttavia, questo non significa perdere la capacità di essere veloci. Al contrario, è necessario saper alternare momenti di riflessione strategica a fasi di azione rapida, per riuscire ad anticipare i segnali del mercato e cogliere le opportunità emergenti».
IL TEMPO TRA OTTIMIZZAZIONE ED ESPLORAZIONE
Il tempo, secondo la manager quindi, va gestito in equilibrio tra ottimizzazione ed esplorazione. Dove, ottimizzare significa allocarlo in modo efficiente per garantire produttività e coerenza operativa. Esplorare, invece, implica dedicare porzioni di tempo all’incertezza, alla sperimentazione, all’innovazione. «È in questa dualità – commenta Melani – che si gioca la partita del vantaggio competitivo: un leader capace di proteggere e valorizzare il tempo – proprio e altrui – saprà guidare l’impresa in modo sostenibile, resiliente e orientato al futuro». Una capacità di grande valore, questa, che in un’epoca di trasformazioni continue e spesso repentine, rende chiaro come uno degli aspetti più critici che i leader dovrebbero tenere in considerazione è proprio la gestione consapevole del tempo e delle priorità. «Oggi, molte organizzazioni operano in una costante condizione di urgenza – sottolinea la manager –, dove tutto sembra dover essere fatto “per ieri”, generando un senso di pressione continua che raramente corrisponde a vere esigenze di rapidità. Mentre, la verità è che molte delle richieste che arrivano con l’etichetta dell’urgenza non sono realmente tali, ma derivano da processi poco strutturati, logiche top-down prive di contesto o da una cultura aziendale che premia l’azione immediata più della riflessione strategica». Un approccio reattivo, questo, che porta nel tempo un logoramento diffuso delle energie e delle motivazioni, soprattutto nei team operativi. «La richiesta costante di velocità nell’esecuzione di attività tattiche, infatti – prosegue Melani –, sta lentamente erodendo uno degli elementi chiave per la competitività a lungo termine: la capacità di fare strategia».
UN LAVORO A DOPPIO LIVELLO
D’altronde, però, come detto: una strategia solida richiede tempo, spazio mentale, confronto e soprattutto una visione di medio-lungo periodo. Tutti criteri che non soddisfano le attuali esigenze del business nell’era post-covid. «Certo – aggiunge l’esperta –, ma ovviamente essere strategici non significa ignorare le esigenze del presente, bensì vuol dire saper lavorare su due livelli contemporaneamente: il “qui e ora”, necessario per la continuità, e il “domani”, indispensabile per l’evoluzione. Un modo concreto per abilitare questo doppio livello è creare condizioni affinché le persone possano dedicare parte del proprio tempo a progettualità speculative, non legate esclusivamente al perimetro del loro ruolo quotidiano». Si tratta di incoraggiare i cosiddetti passion projects, quindi, iniziative che trascendono i team verticali e permettono la contaminazione di competenze, la sperimentazione e la nascita di idee innovative. «Questo tipo di spazio, se riconosciuto e valorizzato – precisa la manager –, non solo stimola la collaborazione e l’engagement, ma diventa un fertilizzante per una cultura organizzativa più adattiva, resiliente e creativa». In questo contesto, naturalmente, non è un mistero che la tecnologia, se ben utilizzata, possa rappresentare una leva potente.
SOVRACCARICO E IPERCONNESSIONE: I RISCHI DA EVITARE
Tuttavia, in un ambiente lavorativo sempre più affollato di stimoli, piattaforme e richieste frammentate, il rischio di sovraccarico informativo e iper-connessione è ormai una realtà quotidiana per moltissimi professionisti. Sotto questo punto di vista, peraltro, uno dei fenomeni più critici, spesso sottovalutato, è proprio la moltiplicazione dei touchpoint comunicativi. «Così come avviene nel mondo del marketing, quando si parla di customer journey – analizza Melani –, oggi una richiesta lavorativa può arrivare via WhatsApp, Teams, e-mail o addirittura con una telefonata, a volte tutte contemporaneamente. Questo non solo rende più difficile la gestione delle priorità, ma influisce direttamente sulla qualità della concentrazione, sulla performance e sul benessere delle persone, che si ritrovano costantemente interrotte, disorientate o costrette a “saltare” tra flussi di lavoro paralleli». E il problema si aggrava se si considera che spesso quegli stessi canali digitali sono anche quelli su cui si muove la vita privata, generando un effetto di confusione ancora maggiore tra sfera personale e professionale. «In questo scenario, però – rimarca l’esperta –, il ruolo del leader è fondamentale nel definire una cultura del tempo sostenibile. Essere costantemente disponibili su tutti i canali può sembrare sinonimo di efficienza, ma in realtà rischia di generare aspettative irrealistiche nei confronti del team. Allo stesso modo, l’irreperibilità totale può trasmettere insicurezza o disorientamento. È quindi il leader a dover stabilire il ritmo, i confini e le modalità di comunicazione, diventando un esempio concreto di equilibrio tra efficienza e umanità. Il lato positivo è che la tecnologia offre anche grandi opportunità: può davvero automatizzare attività ripetitive e a basso valore aggiunto, liberando tempo prezioso che può essere reinvestito in compiti più strategici, creativi e relazionali. Tuttavia, perché questo meccanismo funzioni, è necessario che il manager abbia la consapevolezza e l’intenzione di ricollocare le persone su attività che abbiano un impatto reale e significativo, evitando che l’automazione diventi un semplice strumento per “fare di più in meno tempo”, senza una reale crescita del valore».
IL TEMPO DI METTERE LE PERSONE AL CENTRO
In ultima analisi, quindi, secondo Melani, ciò che fa la differenza è la scelta consapevole di mettere le persone al centro, promuovendo una cultura in cui il tempo non venga misurato solo in termini di produttività, ma anche di qualità del lavoro, cura delle relazioni e benessere individuale. «Questo, però – risponde la manager –, non può avvenire solo attraverso policy aziendali, ma deve essere il risultato di comportamenti visibili, coerenti e autentici da parte della leadership. Un esempio concreto e più che mai attuale, sotto questo punto di vista, è il fatto che oggi grazie all’AI tutti possiamo avere un assistente personale. L’errore più frequente che vedo, però, è quello di agire come se l’AI dovesse sostituire la nostra capacità di ragionamento. Quindi, il primo consiglio che posso dare alle nuove generazioni di leader nell’utilizzo delle nuove tecnologie è proprio quello di capire come nel proprio ruolo l’AI possa assisterci in maniera reale: può ottimizzare la nostra agenda? Può liberare il tempo impiegato nel prendere appunti durante un meeting? Può mettere a sistema gli spunti emersi durante la riunione? Queste sono tutte attività micro che contribuiscono a generare carico mentale, che occupano “banda” che potrebbe essere impiegata a fare altro. Il secondo consiglio è quello di diventare ambassador dell’impiego dell’AI in azienda: i rischi legati alla privacy e alla proprietà intellettuale sono aggirabili sviluppando modelli interni, ad esempio. Chiaramente, questo è un investimento a lungo termine, ma che nel breve porta dei benefici tangibili: la partecipazione delle persone allo sviluppo del modello e quindi un’adozione più organica della tecnologia. Il terzo consiglio, infine, è quello di non rinunciare, per fretta o pigrizia, al pensiero critico. Il valore di una leader è la capacità di interpretare dati, metterli in discussione e usarli in maniera strategica». Come a dire che in un contesto in cui le macchine saranno sempre più abili nel fornire risposte rapide e complesse, il vero vantaggio competitivo per chi guida un team o un’organizzazione sarà saper fare le domande giuste. «Allenare il pensiero critico – continua l’esperta –, oggi più che mai, diventa quindi una priorità: in un mondo in cui l’intelligenza artificiale rischia di accelerare decisioni meccaniche e impersonali, solo chi saprà affiancare alla tecnologia una mente lucida e interrogativa potrà guidare il cambiamento in modo responsabile e lungimirante».