NEUTRALITÀ DEL CARBONIO: COSì SI TRASFORMANO LE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO PER UNA MAGGIORE SOSTENIBILITÀ

di Matteo Castelnuovo | 28/04/2025

È sempre più evidente, ormai, come per poter combattere il cambiamento climatico, le aziende e i governi debbano ripensare la gestione e le operazioni delle proprie catene di approvvigionamento. Un redesign che deve ovviamente iniziare da quelle tratte e rotte più battute e quindi più inquinanti per il mondo.

 

Un argomento questo che, se unito a quello dei dazi, risulta il vero ago della bilancia per la redefinizione della global supply chain e anche il riposizionamento dei siti produttivi più importanti e strategici. Basti pensare, per esempio, alla rilocalizzazione in India degli stabilimenti di Apple. Un chiaro segno di trasformazione degli equilibri della value chain su cui abbiamo voluto riflettere attraverso l’analisi e il commento di un recente studio di Martin Schleper, ricercatore di NEOMA, che indaga come in questo contesto volatile e in continuo mutamento, l’integrazione di innovazioni sostenibili che portino a emissioni di carbonio negative aiuti enormemente la gestione e la transizione delle catene del valore verso un futuro migliore. Un approfondimento che vi proponiamo di seguito anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo dei Direttori Acquisti, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione pensata per dare valore ai migliori C-level dell’impresa contemporanea, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.

 

IL VERO PUNTO DI PARTENZA

Se ci pensiamo bene, infatti, tutti i nostri prodotti di uso quotidiano percorrono un lungo viaggio prima di arrivare a noi. Le loro complesse catene di fornitura sono accompagnate da impatti economici, sociali e ambientali tutt'altro che marginali. A tal punto che oggi è riconosciuto unanimemente come più della metà dei gas serra del mondo siano emessi da sole otto filiere settoriali, tra cui quella alimentare, edilizia e della moda. In questo senso, inoltre, gli esperti concordano sul fatto che la neutralità delle emissioni di carbonio prevista come risposta al cambiamento climatico non possa essere raggiunta senza il coinvolgimento attivo dei settori più inquinanti e, in quest'ottica, lo studio condotto dal ricercatore di NEOMA e dai suoi collaboratori ha esplorato i diversi approcci adottati dalle aziende e il loro reale impatto sul clima.

 

TRASFORMARE, MA NON TROPPO

Lo studio inizia esaminando l'adattamento e la mitigazione, due approcci comuni utilizzati dalle aziende per cambiare il modo in cui gestiscono le loro catene di approvvigionamento. L'adattamento è una strategia reattiva basata sulla gestione del rischio. Comporta l'adeguamento delle attività per mitigare i danni del clima. Ad esempio, la delocalizzazione dei siti dei fornitori se si trovano in aree critiche. La mitigazione è più proattiva, poiché il suo obiettivo è ridurre o eliminare le emissioni. Come si può ottenere? Alimentando le attività con energia rinnovabile, passando a processi produttivi a basse emissioni di carbonio o utilizzando materiali riciclabili. “Tuttavia – sottolineano gli esperti -, l'obiettivo finale di entrambi questi approcci è mantenere la redditività economica dell'azienda. Sebbene queste azioni siano necessarie potrebbero non essere sufficienti. A lungo termine, potrebbero addirittura danneggiare la reputazione di un'azienda. Infatti, la società e i consumatori potrebbero richiedere un maggiore impegno da parte loro”. Lo studio sottolinea quindi che per diventare attori principali nella lotta al cambiamento climatico, “le catene inquinanti di oggi non devono solo essere adattate, ma trasformate”.

 

TECNOLOGIE NET PLUS ULTRA

I climatologi affermano che sono necessari mezzi più radicali per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, che mira a limitare l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C rispetto alla media

preindustriale. “È qui che – secondo i ricercatori – entrano in gioco le tecnologie a emissioni negative, note anche come NET”. Si tratta di catturare la CO2 dall'atmosfera e di immagazzinarla in modo permanente in serbatoi geologici sulla terraferma o negli oceani, oppure in prodotti. Attualmente si stanno studiando un'ampia varietà di metodi, dai più naturali, come la riforestazione, ai più tecnici.

L'analisi dei ricercatori si è concentrata in particolare sul biochar, un prodotto che sequestra il carbonio per migliaia di anni. “Si forma dalla decomposizione chimica della materia organica ad alte temperature – si legge nello studio –, formando una sorta di carbone. Questo prodotto può essere utilizzato nei fertilizzanti agricoli per migliorare la qualità del suolo”. Sebbene queste soluzioni siano promettenti, gli esperti notano che “esistono grandi incertezze riguardo alla governance, ai costi, all'efficacia e all'accettabilità sociale di tutte le tecnologie a emissioni negative”.

 

RIPENSARE LE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO

Inoltre, “considerando la loro novità, è probabile che alcune di queste tecnologie fatichino a prendere piede a causa di mercati poco definiti e della mancanza di infrastrutture e partnership”. Ad esempio, la cattura della CO2 soffre della sindrome “Not in my backyard (NIMBY)”, che sta rallentando anche la diffusione delle energie rinnovabili. “Si tratta di un problema di accettabilità – sostengono i ricercatori –, con persone che vogliono beneficiare dei vantaggi di una tecnologia ma si oppongono all'installazione di infrastrutture a causa del fastidio che potrebbero causare”. Cosa si può fare, dunque, per garantire che le catene di approvvigionamento si trasformino davvero per il bene del nostro pianeta? Il primo risultato dello studio è che “la transizione non può essere realizzata senza un intervento politico. Senza normative che incoraggino o obblighino le aziende ad adottare queste tecnologie, è improbabile che le grandi imprese investano massicciamente in partnership puramente ecologiche. Anche nuove normative sotto forma di tasse sul carbonio o sistemi di quote potrebbero spronare questi attori ad agire”. In secondo luogo, poi, lo studio evidenzia anche un cambiamento di paradigma per cui “l'ambiente sta diventando una priorità”. In altre parole, “non è più necessario sviluppare attività per la loro redditività economica, ma per i loro benefici ecologici”. Una visione radicalmente opposta agli attuali metodi di gestione.