| 17/07/2013
A più di un anno di distanza dalla presentazione dei Google Glass e, a pochi
mesi dall’uscita ufficiale in tutti i mercati del mondo, andiamo a parlare di
una storia che ci ha affascinato particolarmente, la quale racconta come un
prodotto nasca da una vera e propria passione.
Parliamo di Steve Mann (anche soprannominato l’uomo-ciborg) professore
dell’Università di Toronto, considerato uno dei pionieri della tecnologia
indossabile, arrivando al punto di autodefinirsi cyborg da quando indossa in
maniera continua gli EyeTap, un paio di occhiali computerizzati installati in
maniera stabile sul suo cranio dal 2002, i quali possono essere rimossi solo con
l’impiego di specifici strumenti.
Negli anni Mann è stato definito, perlomeno da quelli che non lo prendevano per
matto, sia l’inventore dei wearables che il primo cyborg della storia dell’uomo.
Due concetti radicalmente diversi, che ha però cercato di racchiudere entrambi
nella sua persona: inventore ma anche primo sperimentatore di ciò che inventava,
la qual cosa ha significato lasciare che il lavoro e la vita si fondessero, al
punto che spesso è arrivato a chiedersi dove finivano lui e la sua umanità e
dove iniziava il computer con cui interagiva.
Uno spaesamento interiore che però non è stato né l’unica né la peggiore delle
conseguenze derivate dalla sua decisione di passare il Rubicone che tiene
separati uomo e macchina:
“Non avevo idea di quali potessero essere le dinamiche sociali cui sarei
andato incontro con la mia scelta. Non potevo sapere per esempio che, come
cyborg, sarei diventato oggetto di insulto, derisione e disprezzo; ma anche di
vera e propria aggressione fisica.”
Steve Mann ha avuto così tanta passione e pazienza che ha deciso di continuare
con la sua sperimentazione, andando contro ogni limite, sociale, morale e umano.
Il distacco e il rifiuto del determinismo tecnologico risale probabilmente al
rapporto precocissimo che Steve ha sviluppato con la tecnologia:
“Ho sentito fin da bambino l’impulso irrefrenabile a cimentarmi nella
costruzione di aggeggi elettrici di ogni tipo. Credo di esser stato influenzato
dal rapido incedere delle innovazioni tecnologiche di cui il mondo fu testimone
fra gli anni Sessanta e Settanta, quand’ero bambino e adolescente.”
La passione nacque però da 3 precisi e fondamentali eventi, che molto
probabilmente hanno cambiato la sua e la nostra vita: lo sbarco sulla luna,
l’avvento del microprocessore e l’arrivo sul mercato delle telecamere portatili
per il consumatore comune. Ma nel suo fascino per il circuito c’è certamente un
che di ereditario. Il padre infatti era un appassionato di “bricolage elettrico”
e negli anni Cinquanta costruì un prototipo di radio portatile:
“Mi rivelò i segreti dei circuiti elettrici prima ancora che io fossi in
grado di leggere e scrivere correntemente.”
Le prime applicazioni del suo precoce sapere in quel campo furono orientate alla
strenua difesa della privacy sua e di suo fratello nei confronti dei genitori:
“Inventammo un sistema che ci avvisava quando uno di loro si avvicinava alla
nostra stanza e mettemmo a punto un sistema di microfoni con cui potevamo
sentire quello che dicevano di noi quando pensavano di essere soli”.
Tutto sommato ragazzate; tecnologicamente sofisticate ma pur sempre ragazzate.
La “deriva” tecnologica di Steve ovviamente non si fermò lì, infatti combinando
un pezzo di stereo con un dittafono portatile e un paio di cuffie amplificate
realizzò quello che era forse il primo Walkman della storia, che gli consentiva
di camminare o correre ascoltando musica, ma soprattutto di mettersi al riparo
dalle fastidiose manifestazioni di un mondo che si faceva sempre più ostile.
Erano i prodromi della decisione di mettere un filtro tecnologico fra sé e il
mondo che Steve avrebbe maturato qualche anno dopo, con la costruzione dei primi
prototipi di WearComp, a sua volta propedeutica al definitivo salto nel
cyborgismo, unica possibilità per comprendere fino in fondo le implicazioni del
cosiddetto “progresso tecnologico”:
“Ho passato quasi tutta la mia vita a cercare la fusione fra il computer, la
telecamera, il telefono e …me stesso. All’inizio l’impulso era il desiderio di
alterare ed estendere la mia realtà mediante l’uso della tecnologia, ma poi, man
mano che la sperimentavo capivo che questa tecnologia potente, invasiva, ti
modificava non solo il comportamento ma soprattutto il modo in cui pensi e
senti. Il solo modo per non correre questo pericolo è sapere quanto le macchine
e il loro uso ci condizionano e condizioneranno l’esistenza”.
E’ per questo che Mann da trent’anni vive costantemente con un computer addosso;
e per questo è il primo uomo della storia dell’umanità che ha deciso di farsi
cyborg, sfidando tutto e tutti e cercando di arrivare dove nessuno prima di lui
aveva mai provato a spingersi. E’ grazie a persone come lui che il mondo va
avanti, perché se nessuno avesse avuto il coraggio di provare l’impossibile non
avremmo quel che abbiamo oggi.
Fonte: www.techgenius.it