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LA GEN Z NON HA VOGLIA DI LAVORARE? NON È VERO. ECCO GLI 8 CONSIGLI PER COINVOLGERLA AL MEGLIO SUL POSTO DI LAVORO

Si sa, c’è ormai la credenza diffusa che la Gen Z non abbia così tanta voglia di lavorare. Troppo tempo sui social, troppe pretese e poca concentrazione. Ma è veramente così? Trattandosi di una generazione differente da quelle precedenti, un po’ come tutte, del resto, non avrebbe semplicemente bisogno di essere coinvolta e trattata in maniera diversa rispetto ad esempio ai Millennials?

 

Un tema, questo, che attanaglia tanto i Chief Marketing Officer, che guardano all'esterno per capire come coinvolgere un mercato composto da nuove generazioni di utenti e clienti sempre più esigenti, quanto ai Direttori HR, che orientano la propria attenzione verso l'interno per comprendere come valorizzare al massimo i propri talenti più giovani, e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo, attraverso l'analisi e il commento di un recente white paper a cura di MobieTrain. Un documento, realizzato dalla piattaforma di microlearning dedicata alla formazione del personale, che vuole suggerire 8 consigli pratici per coinvolgere al meglio un lavoratore della Gen Z sul posto di lavoro e che vi proponiamo di seguito anche in vista della prossima edizione del HR Directors Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, previsto il prossimo 19 e 20 giugno 2025, presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level del momento, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.

 

GLI 8 CONSIGLI DI MOBIETRAIN

Secondo gli esperti di microlearning, infatti, le parole d’ordine per riuscire a ingaggiare le nuove generazioni si professionisti sono: coinvolgimento, gamification e feedback costanti. Andando nello specifico, inoltre, il primo suggerimento proposto è quello di utilizzare una comunicazione trasparente e dare feedback costantemente: "La Gen Z - sottolineano gli analisti dell'azienda -, abituata ad un flusso di comunicazione e di informazioni continuo e rapido, apprezza la trasparenza e il ricevere feedback costantemente". A testimonianza, quindi, di come fornire loro un riscontro puntuale e costruttivo li aiuti a sentirsi valorizzati e soprattutto allineati con la mission e gli obiettivi dell’organizzazione per cui lavorano. In secondo luogo, poi, le indicazioni proposte si orientano anche sull'offrire un posto di lavoro flessibile e ibrido. Secondo l'azienda, infatti, "i giovani nati tra il 1997 e il 2012 sono cresciuti vedendo intorno a loro la possibilità di lavorare, ma anche studiare, da remoto. Offrire quindi spazi di lavoro flessibili e ibridi può aumentare il loro rendimento e la loro soddisfazione. Specialmente per questa generazione, è importante che il posto di lavoro rispetti l’equilibrio tra vita privata e lavoro, magari con la possibilità di lavorare in smart working per qualche giorno alla settimana". In terza istanza, quindi, anche il fornire strumenti digitali all’avanguardia per i professionisti di nuova generazione ha il peso. In questo senso, "essendo composta nativi digitali - spiegano gli esperti di microlearning -, la Gen Z ha molta dimestichezza con la tecnologia. Fornirgli strumenti digitali all’avanguardia e moderni li renderà sicuramente più produttivi, oltre a velocizzare le attività di lavoro". Un altro aspetto fondamentale risulta essere anche la promozione della diversità e dell’inclusione: "i giovani che fanno parte di questa generazione sono particolarmente vicini a tematiche come l’inclusione e la diversità - sottolineano gli analisti dell'azienda -. Offrire loro un ambiente di lavoro aperto in cui possano sentirsi accettati e valorizzati è fondamentale". In questo contesto, peraltro, è diventato essenziale essere in grado di proporre alla propria forza lavoro anche opportunità di apprendimento e di crescita. "A dispetto di quanto si possa pensare - avverte l'azienda -, non è affatto vero che alla Gen Z non interessa lavorare, anzi. Questa generazione è in cerca di apprendimento continuo e di possibilità di crescita. Potrebbe essere utile offrire loro programmi di formazione, meglio se continua, e possibilità di avanzamento professionale. Ad esempio, MobieTrain offre una applicazione per formarsi in qualsiasi momento e ovunque ci si trovi. Grazie alla web app, ogni dipendente può dedicare qualche minuto al giorno, o quando può, a conoscere meglio la propria azienda, per essere più preparato e allineato alla vision aziendale quando parla con i clienti". Ovviamente, però, al netto di queste opportunità, sembra che le nuove generazioni di professionisti siano le prime a chiedere di rendere il business e la formazione per il business meno statica e tradizionale, portando le aziende a cercare innovazione anche sotto quel punto di vista. Proporre attività di gamification per trasformare in gioco - ad esempio con punti, classifiche interne ed eventuali penitenze - le attività della settimana, così, secondo gli esperti "può aiutare i giovani ad essere più coinvolti e motivati sul lavoro. Ciò stimola il desiderio di competere amichevolmente e li motiva a migliorare costantemente, senza sentirsi eccessivamente sotto pressione". A questo si aggiunge, inoltre, un altro aspetto di valorizzazione, sopratutto in un momento di grande rivoluzione digitale come quello che stiamo vivendo, ovvero, la possibilità di dar vita a progetti di “Reverse Mentorship”. Secondo gli analisti dell'azienda, infatti, "invertire i ruoli tradizionali in azienda può essere una grande risorsa: da una parte i giovani della Gen Z possono aiutare i colleghi più senior con le loro competenze digitali, dall'altra i colleghi possono aiutare i giovani nell’imparare meglio il lavoro, con un occhio di riguardo nei confronti della parte burocratica, amministrativa e perché no, anche più relazionale". E se questo non bastasse, c'è sempre la possibilità di non far annoiare i propri dipendenti su mansioni nelle quali magari non si ritrovano personalmente, dando loro invece di esprimere al massimo le proprie potenzialità. Sotto questo profilo, quindi, secondo gli esperti: "permettere alla Gen Z di cambiare ruolo con un collega, per un breve periodo, consente di assicurarsi una visione d’insieme dell’azienda. Questo approccio consente ai giovani di vedere da vicino anche le attività degli altri, migliorando il lavoro di squadra e potenziando l’approccio empatico nei confronti dell’azienda".

 

"Se c’è una cosa che non cambia mai, è il pensiero che la generazione successiva sia “la peggiore di sempre.” Ricordate? I giovani di oggi “non vogliono lavorare” e “non sanno cos’è il sacrificio” – un tormentone che va avanti da sempre. Eppure, tra una battuta e l’altra, è essenziale capire che la Gen Z ha semplicemente prospettive e priorità diverse - commenta Laura Fornaroli, Marketing Manager di Mobietrain - Questa generazione non è “peggio” di quelle precedenti, è semplicemente cresciuta in un contesto diverso, dove la stabilità lavorativa ha meno valore e il benessere personale conta di più. Dall’ascolto attivo al coinvolgimento genuino, fino a capire cosa conta davvero per loro sul posto di lavoro. Sono semplici consigli che però possono aiutare un’azienda e il management nell’interagire lavorativamente al meglio con questa fascia della popolazione, sempre più presente nel contesto lavorativo odierno”.

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GREAT PLACE TO WORK: PER 8 AZIENDE SU 10 IN ITALIA,SE C'E' FIDUCIA DEI COLLABORATORI, IL FATTURATO SALE

L’elevato livello di fiducia dei collaboratori è il segreto alla base della crescita di fatturato dei 75 migliori ambienti di lavoro italiani. Questi ultimi, secondo quanto svelato dall’analisi del ranking Best Workplaces Italia 2025 stilato da Great Place to Work Italia, hanno registrato un Trust Index medio, l’indicatore del clima di fiducia di un’organizzazione, pari all’84%, dato in calo del 5% rispetto al 2024 (89%). Una decrescita che si spiega con il fatto che, per la prima volta, è stata inserita una categoria demografica in più per le grandi aziende, quelle tra 500 e 999 collaboratori. Dato che le aziende più grandi fanno registrare livelli di soddisfazione lavorativa notevolmente più bassi (75%), la media si sposta verso il basso. Se si volesse mantenere un confronto “ceteris paribus” con le categorie dello scorso anno, l’indice del livello di fiducia arretrerebbe comunque ma di circa due punti percentuali. Questo divario s’allarga addirittura al +40% nel confronto con la media delle altre aziende italiane analizzate che hanno fatto registrare un Trust Index medio del 44%. Un altro interessante parametro d’analisi è rappresentato dall’Overall Satisfaction, una valutazione più diretta dell’eccellenza di un ambiente di lavoro che, nel 2025, è risultato essere pari all’87% (-5% nel confronto con il 2024), con una differenza del +44% nel confronto con la media italiana (43%).

 

Una fotografia, questa, a cui abbiamo voluto dare maggiore rilievo attraverso l'analisi e il commento ponderato di questa indagine che da anni ormai misura il polso dello stato dell'arte degli ambienti di lavoro nel nostro Paese. Un approfondimento che vi proponiamo di seguito, anche in vista della prossima edizione del HR Director Summit, l'evento dedicato al mondo delle Risorse Umane, previsto il prossimo 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell'impresa contemporanea e organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera MIlano.

 

IL CAMPIONE CHE GUARDA ALLA FIDUCIA IN AZIENDA

A quanto emerge dai dati della ricerca, secondo gli esperti un livello elevato di fiducia dei dipendenti si riflette direttamente sul fatturato aziendale. In questo senso, infatti, i “best workplaces italiani” hanno avuto una crescita media dei ricavi, rispetto all’anno precedente, del +19,48%, un dato che se confrontato con il calo di fatturato dello 0,92% fatto registrare dalle organizzazioni italiane appartenenti a industria e servizi incluse nell’indice Istat fa capire l’importanza, per lo sviluppo del business aziendale, di avere dei collaboratori coinvolti e soddisfatti. Entrando più nel dettaglio, nell’analisi del ranking dei 75 migliori ambienti di lavoro italiani per cui lavorare nel 2025, si scopre che su oltre 203mila collaboratori di 404 organizzazioni italiane, suddivise in 5 categorie in base al numero di collaboratori, dal campione analizzato emerge come il 59% sono maschi e il 41% femmine; uno su due (49%) sono Millennial, quasi 4 su 10 (39%) appartengono alla Generazione X e meno di uno su 10 (7%) sono della Gen Z, e che, oltre a questo, un’organizzazione su 3 (30,67%) appartiene al settore IT, seguita poi da biotecnologie e farmaceutica (14,67%), servizi finanziari e assicurazioni (12%), industria manifatturiera e produzione (10,67%), servizi professionali (6,67%), sanità (5,33%), retail e telecomunicazioni (4%), advertising e marketing, ospedaliero e media (2,67%) e costruzioni, educazione e formazione e trasporti (1,33%). A livello di distribuzione territoriale, invece, quasi 7 aziende su 10 (69,3%) hanno sede in Lombardia (52%) e nel Lazio (17,3%) e in totale sono 11 le regioni italiane rappresentate nel ranking. Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Marche, Umbria, Campania, Basilicata, Calabria e Sardegna non hanno invece “best workplaces” sul territorio. “È importante notare come metà delle organizzazioni in classifica siano italiane, e proprio nel Paese in cui si dice sempre che è formato da piccole e medie imprese, 8 aziende Super Large su 15 (quelle con oltre 1.000 collaboratori) sono italiane, a testimonianza del fatto che si può fare grande impresa ascoltando, responsabilizzando e misurando l’esperienza lavorativa delle persone” – sostiene Beniamino Bedusa, presidente di Great Place to Work Italia.              

 

L'IMPORTANZA DI NON FARSI SCAPPARE I TALENTI DELLA GenZ   

I 75 migliori ambienti di lavoro italiani, nel confronto con il 2024, mostrano indicatori stabili rispetto ad ambiti quali DE&I, flessibilità e welcoming mentre aspetti quali il coinvolgimento nelle decisioni, la visione strategica e la capacità di adattamento ai cambiamenti sono in calo. Le differenze più rilevanti tra i best workplaces e la media italiana rispetto alle tematiche analizzate dal questionario di Great Place to Work riguardano l’orgoglio per il proprio lavoro (+31%), il desiderio di lavorare a lungo all’interno dell’organizzazione (+32%) e la percezione dell’esclusività del proprio impiego (+32%). Analizzando invece il Trust Index medio, registrato sulla base delle dimensioni delle migliori organizzazioni italiane, si evince come vi sia un divario tra l’indice di fiducia fatto registrare dalle piccole aziende presenti nel ranking (96%) rispetto ai dati delle imprese medie (88%), medio-grandi (85%), grandi (78%) e super grandi (75%). Tra i settori dei best workplaces invece quelli a più elevata fiducia sono educazione e formazione, advertising & marketing e media; in fondo alla classifica troviamo invece il settore manifatturiero e produttivo, quello delle costruzioni e quello dei trasporti. Alessandro Zollo, CEO di Great Place to Work Italia ritiene infatti che “nella battaglia dei talenti queste aziende trionfano sul resto del Paese proprio perché hanno collaboratori che vogliono rimanere a lavorare nelle loro aziende, ne parlano bene e invitano i propri conoscenti a mandare le loro candidature. Ricordiamoci – continua Zolloche la Generazione Z diminuisce di numero ed è la generazione con maggior cultura e miglior apertura all’estero che questo Paese abbia mai prodotto, vogliamo farcela scappare?”.   

 

I VINCITORI SUL PODIO

Ecco quali sono, suddivisi per categorie sulla base del numero di collaboratori, i migliori ambienti di lavoro in Italia nel 2025. Nella nuovissima categoria delle aziende con più di 1.000 collaboratori, la migliore organizzazione in cui lavorare è TP (telecomunicazioni), seguita da AbbVie (biotecnologie e prodotti farmaceutici) e Johnson & Johnson (healthcare). Passando alla categoria delle organizzazioni che hanno tra i 500 e i 999 collaboratori trionfa Hilton (hospitality), davanti a Cisco System (Information Technology) e ConTe.it (assicurazioni). Nella categoria delle aziende che hanno tra i 150 e i 499 collaboratori vince Bending Spoons (Information Technology), completano il podio MetLife (servizi finanziari & assicurazioni) e Vianova (telecomunicazioni). Il podio della categoria tra i 50 e i 149 collaboratori vede al primo posto Biogen (biotecnologie) e completano il podio Skylabs (consulenza digitale) e Galileo Life (healthcare). Nella categoria con un numero di dipendenti compreso tra 10 e 49, il primo posto lo conquista Auditel (media) davanti a Mindset (Information Technology) e Eoliann (Information Technology).

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FLESSIBILITA': LE AZIENDE CHE ADOTTANO UN MODELLO DI LAVORO IBRIDO GUARDANDO CON PIU' OTTIMISMO A UNA CRESCITA NEL 2025

In un contesto economico sempre più impegnativo, le aziende che operano con un modello di lavoro ibrido sono significativamente più ottimiste sulla crescita nel 2025 rispetto a quelle che richiedono ai propri dipendenti di recarsi quotidianamente in ufficio. Queste aziende riconoscono inoltre che il lavoro ibrido consente di operare con costi aziendali inferiori, di aumentare la produttività dei dipendenti e di attrarre i migliori professionisti - tutti fattori che alimentano questo ottimismo.

 

E' quanto emerge da un recente studio condotto da International Workplace Group (IWG), il colosso degli “spazi flessibili” (con i marchi Regus, Copernico e Signature) che peraltro ha annunciato recentemente di avere l'intenzione, entro fine 2025, di aprire 20 nuove sedi in 12 città italiane, tra cui anche tre piani in Torre Velasca a Milano. La survey, eseguita su un campione di oltre mille CEO e senior business leader a livello globale, è stata realizzata con l'obiettivo di comprendere quale sia oggi la percezione da parte di organizzazioni e dipendenti nei confronti di uno strumento come quello dell'hybrid working. Un argomento che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del HR Director Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, previsto il prossimo 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, e organizzato da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione pensata per riunire in un unico luogo i migliori C-level dell'impresa contemporanea.

 

I DATI CHE GUARDANO ALLA FLESSIBILITA'

Secondo l'analisi, tre quarti (75%) delle aziende che offrono modalità di lavoro ibrido guardano con ottimismo al 2025, rispetto al 58% delle aziende tradizionali. In questo senso, infatti, il lavoro flessibile ha consentito a molte aziende di ridurre i costi, diminuendo le dimensioni degli uffici in favore di spazi di lavoro flessibili e a breve termine. Più di tre quarti (79%) delle aziende flessibili hanno riportato risparmi sui costi e una percentuale simile (75%) afferma che il lavoro ibrido è incredibilmente utile per mitigare le imminenti sfide economiche provocate dall'aumento delle tasse, dei dazi e dall’andamento dei mercati in generale. La ricerca indica che, poiché la fiducia delle imprese è sempre di più sotto la lente d’ingrandimento, le aziende che danno priorità alla flessibilità sono significativamente più ottimiste. Il 63% delle aziende ibride ha dichiarato di sentirsi più positivo sull'economia rispetto a un anno fa, rispetto ad un 44% delle aziende non flessibili.

 

LA PRODUTTIVITA' DEI DIPENDENTI E' FONDAMENTALE PER UN FUTURO MIGLIORE

Il lavoro flessibile sta migliorando la produttività e la fidelizzazione della forza lavoro. Il 72% delle aziende con un modello flessibile riporta un aumento della produttività dei propri dipendenti e una percentuale simile (71%) ritiene che le proprie politiche abbiano migliorato la capacità di attrarre e trattenere i professionisti più in gamba. Questo dato, tra l'altro, è supportato anche da un recente studio, pubblicato dal professor Nicholas Bloom della Stanford University, che ha scoperto che il lavoro ibrido migliora la soddisfazione lavorativa e riduce di un terzo (33%) le dimissioni, senza compromettere la produttività.

 

MAGGIORE FIDUCIA NELLA CRESCITA E NELL'AUMENTO DEL PERSONALE

Le aziende flessibili sono più fiduciose sulle proprie prospettive di crescita e sull’aumento del personale. Oltre due terzi (67%) delle aziende ibride sono fiduciose che la loro attività crescerà nel 2025 e quasi la metà (48%) è sicura di poter assumere nuovi dipendenti, mentre nelle aziende tradizionali le percentuali scendono rispettivamente al 51% e 38%. I leader delle aziende ibride hanno citato numerosi vantaggi di questo modello, tra cui una maggiore soddisfazione dei dipendenti (53%), fidelizzazione (43%) e produttività (46%). "Questi tempi difficili spingono i CEO e i leader a riflettere sul percorso da intraprendere - ha commentato Mark Dixon, CEO di International Workplace Group -. Le aziende che puntano alla massima redditività comprendono che la chiave del successo risiede nel trattenere e attrarre i migliori talenti – il loro capitale intellettuale più prezioso. Questo focus strategico è essenziale per mantenere un vantaggio competitivo in un mondo in rapida evoluzione. Adottando il lavoro ibrido le aziende stanno riducendo i costi e migliorando la felicità e la produttività dei propri dipendenti. Non sorprende, quindi, che le organizzazioni che adottano questo modello siano quelle che guardano con ottimismo all'anno a venire".

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TALENT INNOVATION: I 10 PROFILI IT PIÙ RICERCATI NEL 2025

La ricerca e l'inserimento di nuovi talenti in ambito tech rappresenta, oggi, una priorità per molte aziende. Tuttavia, la continua evoluzione delle tecnologie e la successiva necessità di competenze sempre più specializzate, possono rendere complessa la reperibilità delle risorse di settore.

Un tema spinoso, in un momento di sviluppo frenetico e rincorsa delle migliori soluzioni di automazione, che risulta essere ai primi posti tanto delle agende dei direttori del personale quanto di quelle dei Chief Information Officer e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo, attraverso l’analisi e il commento di una recente ricerca realizzata da Randstad Digital. Una fotografia dell’attuale situazione di questo mercato, in Italia e a livello globale, che vi proponiamo di seguito anche in vista della prossima edizione del Business Leaders Summit, prevista il 19 e 20 giugno 2025 all’Allianz MiCo di Milano.

I talenti del settore digital sono spesso i più contesi tra le aziende, sia in Italia che nel resto del mondo, a causa di una domanda di competenze specializzate che supera costantemente l’offerta – dichiara Marco Ceresa, Group CEO di Randstad -. Attraverso un approccio orientato al talento, Randstad Digital si pone l’obiettivo da un lato di creare valore e accelerare il ‘digital journey’ delle imprese, dall’altro di guidare i talenti verso le opportunità del mondo ICT, in un percorso di crescita professionale, realizzando così un efficace link tra le migliori risorse specializzate e le esigenze delle aziende di settore”.

I 10 PROFILI DIGITAL PER IL 2025
 Dall’analisi, dunque, emergono sostanzialmente 10 profili chiave che le aziende ricercheranno nei prossimi mesi per creare innovazione nel proprio business e promuovere così una crescita strutturata sulla base di digitalizzazione, semplificazione e automazione.

Al primo posto di questo speciale elenco troviamo lo sviluppatore di Software. Un professionista in grado di progettare, sviluppare e testare applicazioni software o sistemi operativi, lavorando a stretto contatto con team di progetto per soddisfare i requisiti richiesti dai committenti. Ha competenze in linguaggi di programmazione come Java, Python o C#, strumenti di versioning come Git e metodologie Agile. Un esperto informatico, insomma, ma non solo, anche un IT in grado di rapportarsi con le altri funzioni in modo da poterne intercettare esigenze e migliorarne il lavoro.
Al secondo posto, poi, troviamo il system engineer. Una figura di alto profilo che si occupa della progettazione, implementazione e manutenzione di infrastrutture IT, garantendo prestazioni, sicurezza e scalabilità. È esperto in sistemi operativi (Windows, Linux), gestione di reti, virtualizzazione e configurazione hardware. Spesso lavora anche su automazione e gestione di ambienti complessi come cluster o data center. Il suo ruolo, da tecnico puro, oggi si sta evolvendo in un elemento essenziale di strategia e pianificazione all’interno dei team IT. Con il valore crescente che stanno assumendo le infrastrutture di rete all’interno dei contesti aziendali allargati e con la necessità di costante protezione di un perimetro cibernetico sempre più evoluto e ampliato dalle nuove modalità di smart e remote working, gli ingegneri di sistema diventando oltremodo preziosi nell’impostare una buona strategia di connettività e di digital continuity che risultano fondamentali per poter guardare al futuro.

Sul terzo gradino del podio, quindi, compare l’ERP Analyst. Un professionista capace di analizzare le esigenze aziendali per implementare, personalizzare e ottimizzare sistemi ERP (Enterprise Resource Planning). Conosce piattaforme come SAP, Oracle o Microsoft Dynamics ed è esperto in processi aziendali come contabilità, supply chain e HR. Possiede capacità analitiche e di comunicazione per interfacciarsi con stakeholder tecnici e non. La sua dimensione prende forza dall’analisi dei dati reali più che digitali, per quanto poi l’output sia orientato al miglioramento di piattaforme e meccanismi informatici di pianificazione e controllo. Anticipare rischi e risolvere criticità negli snodi principali dei processi amministrativi aziendali è il suo mantra e, in un contesto moderno nel quale la semplificazione, l’automazione e la riduzione di processi, tempi e costi la fanno da padrona, sapersi muovere in questo dedalo di necessità risulta cruciale.

In quarta posizione, poi, arriva l’IT Help Desk. Una figura spesso molto sottovalutata che, invece, in uno scenario di grande evoluzione di strumenti e tool digitali, fornisce un supporto tecnico fondamentale agli utenti per risolvere problemi hardware e software, configurare dispositivi e mantenere la continuità operativa. Un professionista abile nel problem solving che ha familiarità con strumenti di ticketing e conosce sistemi operativi, applicazioni aziendali e reti di base, e che abbia anche importanti capacità relazionali, essenziali per poter rappresentare il primo punto di contatto per quelle criticità IT che ancora mettono in difficoltà i professionisti moderni.

Al centro di questa particolare classifica, ecco poi il Cloud Specialist. Un esperto nella progettazione, implementazione e gestione delle infrastrutture cloud che risultano essere uno dei principali trend IT di questo 2025, garantendo sicurezza, scalabilità e ottimizzazione dei costi. Grazie alle competenze su piattaforme cloud come AWS, Azure o Google Cloud, containerizzazione (Docker, Kubernetes) e strumenti DevOps, questa figura è in grado, quindi, di monitorare le performance per assicurare continuità e ridondanza dei sistemi al fine di garantire un’esperienza utente ottimale anche in mobilità e da remoto. Aspetti, questi, sempre più importanti nell’era dello smart working.

Al sesto posto, poi, si trova il data engineer. Un professionista in grado di occuparsi della progettazione e manutenzione di pipeline per l’elaborazione e l’integrazione dei dati, assicurando qualità e disponibilità per analisi e modelli predittivi. Nell’era dell’intelligenza artificiale, infatti, risulta chiaro come l’ingegneria del dato sia una branca strategica del reparto IT e dotarsi di un esperto in big data, ETL, database relazionali (SQL) e non relazionali (NoSQL) e strumenti come Hadoop o Spark è quanto mai importante oggigiorno. Inoltre, l’ingegnere dei dati è una figura che collabora strettamente con Data Scientist e analisti alla fine di consentire a tutti gli utenti aziendali, ma soprattutto a manager ed executives di avere sempre la possibilità di prendere decisioni rapide, efficaci ed efficienti.

Una volta progettata l’ingegneria del dato, che è il cuore pulsante di tutto il sistema di raccolta e gestione delle fonti d’informazione, l’attenzione della lista dei professionisti più ricercati si sposta, in fine, su quattro figure che, ormai da qualche anno, sono nella top 10 dei professionisti più richiesti dalle imprese ovvero: il machine learning Engineer, l’AI developer, l’embedded software developer e il data scientist. Dall’ideazione, sviluppo e ottimizzazione di modelli di machine learning, lavorando con librerie come TensorFlow e PyTorch, per rendere il tutto scalabile e integrandolo in sistemi aziendali, alla creazione di applicazioni basate su intelligenza artificiale, come chatbot, sistemi di riconoscimento visivo o predittivo, usando strumenti avanzati come OpenCV, spaCy e framework AI per sviluppare soluzioni innovative, e dalla realizzazione di software ottimizzati per sistemi embedded utilizzati nell' IoT, automazione industriale, elettronica di consumo e centraline elettroniche, all’analisi e interpretazione di grandi volumi di dati per identificare tendenze, modelli e soluzioni strategiche, questi esperti saranno sempre più importanti per le aziende di oggi e di domani, al fine di poter rendere sempre più automatizzate le operation, snellire i processi, semplificare le decisioni e presentare insight utili a supporto dell’intero ecosistema aziendale.

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SPECIALE FORMAZIONE: QUAL E' LO STATO DELL'ARTE DEL SETTORE IN ITALIA?

In un mondo del lavoro nel quale l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando dinamiche e processi, a tal punto che, secondo una recente ricerca Ipsos, l’87% dei professionisti italiani ritiene che l’IA trasformerà significativamente il modo in cui funziona l’azienda in cui opera e il 43% si dice disposto a seguire un corso di aggiornamento per acquisire nuove e necessarie competenze digitali, risulta chiaro come il comparto della formazione diventi sempre più strategico e sia anche chiamato a trasformare la logica lavorativa da "workfare" a "learnfare". Un’evoluzione che, in Italia, non è ancora a pieno regime, ma che offre già spunti di miglioramento con una quota di imprese con almeno 6 addetti che ha investito nel 2021 nell’aggiornamento e nello sviluppo delle conoscenze del proprio personale che è stata pari al 60,3% - come indicato dalla IV edizione dell’Indagine INDACO-Imprese (rilevazione campionaria svolta da INAPP che ha coinvolto oltre 20mila aziende) che conferma come la propensione a realizzare interventi formativi cresca all’aumentare della dimensione aziendale e sia tendenzialmente più ridotta nelle regioni meridionali e insulari. Il tasso di incidenza delle imprese formatrici (sul totale delle imprese italiane) è infatti pari al 50,2% fra le microimprese e sale al 66% fra le piccole imprese, all’83,4% fra le medie fino al 92,8% fra le grandi imprese. Il divario territoriale Nord-Sud rimane però importante con circa 10 punti percentuali.

 

Una tendenza che evidenzia anche un miglioramento notevole del posizionamento dell’Italia nella formazione continua delle imprese. Il quale, pur rimanendo a livello intermedio e non arrivando alle eccellenze dei paesi scandinavi, in Europa occupava nel 2020 la quindicesima posizione per la percentuale di imprese con 10 addetti e oltre che forniscono formazione ai propri dipendenti, con un valore del 68,9% (in un range che va dal 17,5% della Romania al 96,8% della Lettonia) e con un guadagno di ben sette posizioni rispetto a cinque anni prima: nel ranking UE28 l’Italia occupava, infatti, la ventiduesima posizione nel 2015 (60,2%).

 

Qual è però oggi il reale stato dell’arte di questo mercato e come si stanno muovendo enti formatori, istituzioni, università e imprese per guardare davvero in maniera propositiva a quel presente esteso che chiamiamo futuro?

 

Ne abbiamo parlato approfonditamente, nel corso di questa puntata, insieme a numerosi esperti, come Kevin Giorgis e Stefano Marchese di EFI - Ecosistema Formazione Italia, Roberto Angotti di INAPP, Nicola Neri di Ipsos Italia, Damiano Previtali del Ministero dell’Istruzione e del Merito, i professori Claudio Rorato e Luca Gastaldi del Politecnico di Milano, Mauro Meda di ASFOR, Egidio Sangue di Fonditalia, Nicola Minelli di Confimprese e Servizi, Italo Piroddi di Aruba e Guido Stratta dell’Accademia della Gentilezza, che abbiamo avuto l’opportunità di incontrare nel corso della prima edizione dell’Innovation Training Summit, organizzato a Roma da EFI – Ecosistema Formazione Italia.

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THE AI IMPACT: COME L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE STA TRASFORMANDO IL MONDO DELLE RISORSE UMANE

In un mondo sempre più digitalizzato, nel quale la trasformazione tecnologica e la necessità di orientare l’attenzione del business verso nuovi valori di sostenibilità stanno influenzando le scelte dei decision maker, l’Intelligenza artificiale non rappresenta più solo un fenomeno in ascesa, ma una realtà concreta e “tangibile” che sta modificando dinamiche e processi dell’impresa e del lavoro.

 

Secondo una recente ricerca del Politecnico di Milano, oggi in Italia il mercato dell’AI ha un valore di circa 760 milioni di euro, con una crescita degli investimenti pari al 52% anno su anno. Un aumento di capitali e di interesse che ha portato i ricercatori ad analizzare come, nei prossimi 10 anni, questa tecnologia emergente potrebbe arrivare a sostituire le attività odierne di oltre 3,8 milioni di professionisti del nostro Paese.

 

Un dato che fa riflettere e su cui si è voluto concentrare lo sviluppo della nuova edizione dell’annuale ricerca, realizzata da Inaz, in collaborazione con Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, dal titolo “The AI impact: come l’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo delle risorse umane”, presentata nel corso di HR Directors Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, tenutosi l'11 e il 12 giugno 2024 pressp l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea.

 

Un’analisi che si è avvalsa del commento di Danila Scarozza, Associate Professor in Organization Studies della Link Campus University, e che è stata condotta su un campione di 200 direttori delle risorse umane di alcune delle più importanti aziende nazionali e internazionali operanti sul territorio italiano, che sono stati intervistati tra il mese di marzo e quello di maggio 2024, al fine di comprendere meglio, e più approfonditamente, quali potrebbero essere gli impatti prodotti da questa tecnologia dirompente sul mondo delle risorse umane, cercando anche di indagare quali saranno le sfide da affrontare, le opportunità da cogliere e le tendenze da seguire, ora e nei prossimi anni, per i professionisti delle HR. Manager che, sicuramente, avranno un ruolo cruciale nell’accompagnare e supportare imprese e lavoratori in questa transizione che modificherà per sempre il lavoro per come oggi lo conosciamo. Basti pensare agli impatti che assistenti vocali, motori di ricerca, traduttori automatici, navigatori automobilistici e chatbot per il customer care hanno sulla nostra vita quotidiana e come le applicazioni di automazione dei processi e di AI generativa stanno già rivoluzionando il nostro modo di lavorare e gestire le dinamiche aziendali. “L’intelligenza artificiale – ha commentato la Professoressa Scarozza – è sicuramente una grande opportunità e uno strumento potente, tanto per le aziende, quanto per i professionisti, siano essi manager o dipendenti, ma risulta oggi sempre più evidente come sia necessario che questa tecnologia debba anche essere approcciata, gestita e sfruttata nel modo giusto. Una nuova realtà che sta permeando ogni ambito e a cui tutti ci stiamo abituando, in alcuni casi forse anche in maniera eccessiva, ma che pone delle responsabilità di carattere etico, valoriale, normativo, regolatorio e culturale che non vanno sottovalutate o tenute in minore considerazione, a vantaggio di una velocizzazione del mondo che ci circonda e dei costanti e crescenti input che ne provengono”.

 

Un monito fondamentale, questo, che, anche dalle risposte raccolte nel report che leggerete, risulta essere ben chiaro ai direttori HR coinvolti. “I direttori delle risorse umane, oggi – ha aggiunto Fabrizio Armenia, People & Organization Director di Inazsi trovano al centro di una transizione epocale che da una parte chiede loro con insistenza un adattamento tecnologico di sistemi e processi e dall’altra però gli impone di mantenere sempre il cosiddetto human in the loop. Chi saprà dare vita a un mix di scelte e decisioni, in grado di creare un balance ottimale tra questi due aspetti avrà davvero l’opportunità di cambiare volto alla propria organizzazione rendendola più sostenibile, snella, veloce, ma anche attenta alle esigenze e alla valorizzazione del potenziale vero delle persone che, se liberate correttamente dalle proprie incombenze routinarie, potranno concretamente generare a quel punto un vantaggio competitivo per il business, grazie ad attività di grande valore aggiunto”.

 

Un obiettivo importante che nei prossimi anni potrebbe rappresentare lo spartiacque tra il successo e il fallimento di strategie orientate a seguire, e in alcuni casi, forse, anche inseguire, una trasformazione massiva e una necessità di digitalizzazione, spesso inconsapevole, che è solo l’anticamera di quella quinta rivoluzione industriale già proiettata sulla Generazione Alpha, ovvero quei futuri cittadini e professionisti che non conosceranno mai un mondo senza la presenza e il supporto dell’intelligenza artificiale. Un’ambientazione, questa, che solo qualche anno fa era presente solo nella cinematografia o nella letteratura fantascientifica e che oggi, invece, diventa una realtà da analizzare, al fine di offrire un contesto quanto più concreto e attuale possibile, per poter valutare lo stato dell’arte del cambiamento in atto. Una fase di transizione sia in termini di innovazione e redesign dei propri processi, ma anche di upskilling e reskilling delle competenze, oltre che di adozione, comprensione e spiegazione delle potenzialità di uno strumento ancora tutto da capire. Una leva di futuro a cui, se è vero che non si potrà più rinunciare, bisognerà anche imparare a dare il giusto valore e la corretta dimensione, trovando il modo appropriato di conviverci e interagirci, senza lasciare troppo spazio a quella voglia di farsi sostituire in virtù di quella naturale tendenza umana a non voler fare fatica per ottenere il risultato desiderato.

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