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ALGIDA, DA (QUASI) OTTANT’ANNI SIMBOLO SENZA TEMPO DELL’ESTATE ITALIANA, GRAZIE A UNA COMUNICAZIONE CHE PARLA AL CUORE DELLE PERSONE

In un’epoca in cui l’AI regna sovrana, anche e soprattutto nella generazione di contenuti, il mondo del marketing inizia lentamente a risvegliarsi per cercare di differenziare le proprie attività dal resto del mondo e permettere ai brand, in questo modo, di rimanere rilevanti sul mercato al netto di una standardizzazione sempre più sotto gli occhi di tutti.

Uno dei modi migliori per attivare questo processo, però, si sa, è quello di studiare la storia e le imprese d’eccellenza, come quelle che hanno reso grande il nostro Made in Italy. Ed è così che, in una delle estati più calde e torride di sempre, mentre il termometro supera i 40°C in tutta Europa e la produttività delle aziende cala, a tal punto da convincere anche il governo a siglare un protocollo con le parti sociali per la salvaguardia dei lavoratori, tra le letture più interessanti da approcciare (anche sotto l’ombrellone) emerge: “Algida. Il cuore dell’estate dal 1947”. Un volume, edito da Treccani, altro brand iconico che proprio quest’anno compie 100 anni, e realizzato dalla giornalista e autrice, Giulia Cavaliere, in forma di saggio autobiografico, che celebra lo storico marchio dell’estate italiana come simbolo culturale di un Paese che, forse, oggi deve ritrovare la strada per tornare ai fasti che lo rilanciarono negli anni del dopoguerra.

Fondata nel 1947 a Roma da Italo Barbiabu e Alfred Wiesner, il “Cuore  rosso su fondo bianco” ha saputo trasformare, fin dai suoi esordi, un prodotto artigianale in un vero e proprio fenomeno pop di portata nazionale e internazionale, grazie alla sua comunicazione entrata a pieno titolo nella tradizione tricolore. Dal jingle che cantava il “Cuore di panna” fino ai “morsi contati” di Cucciolone e ai coloratissimi – e attesissimi – cartelli che, nei bar, annunciavano le novità dei gelati, in questo viaggio di ricordi personali e popolari, ALGIDA racconta la sua straordinaria storia: un intreccio di imprenditorialità, creatività e tradizione, che ha trasformato il gelato in un rito sociale, un gesto familiare, una forma di identità e appartenenza collettiva. Con quasi ottant’anni di storia, infatti, il brand ha accompagnato generazioni intere di italiani, rappresentando non solo un’eccellenza nel settore alimentare, ma anche un punto di riferimento nella vita quotidiana e nella memoria del nostro Paese.

 

UN’ICONA DELL’IMMAGINARIO ITALIANO

Ma ciò che rende unica Algida è la sua capacità di costruire un lessico familiare fatto di sapori, cartelli di latta, riti estivi e scene di vita al bar, come raccontato in maniera toccante da Cavaliere. L’esperienza del gelato Algida non è solo individuale, ma collettiva: un momento che unisce adulti e bambini, crea legami, costruisce ricordi. È la memoria di un’Italia che cresce, che si racconta attraverso i gesti semplici di ogni giorno. Come sottolinea Massimo Bray, Direttore Generale di Treccani, nella prefazione al volume, Algida ha saputo fare della qualità e dell’attitudine a rinnovarsi i suoi punti di forza, diventando un punto di riferimento per intere generazioni. Nata nella Roma del dopoguerra, in un’Italia ancora ferita ma desiderosa di rinascere, Algida ha saputo interpretare i sogni e i gusti degli italiani, attraversando mode e cambiamenti sociali. Ogni gelato ha rappresentato un’epoca, un’immagine, un ricordo, evocando sensazioni di piacere e convivialità, parte integrante dell’immaginario italiano, accanto a icone come la Vespa o la 500. La sua storia è stata celebrata anche in importanti eventi culturali, come la mostra “Identitalia – The iconic italian brands” organizzata presso il MIMIT a Roma, che ha sottolineato il ruolo di Algida tra i marchi più rappresentativi e amati del Paese, testimonianza del suo impatto sulla cultura e sull’economia italiana.

 

LA COMUNICAZIONE IERI E OGGI

 La presenza di Algida nella cultura popolare italiana è radicata da decenni, grazie a una comunicazione capace di evolversi senza mai perdere il proprio tratto distintivo. Fin dagli anni Sessanta, Algida ha saputo farsi amare anche attraverso la televisione, con la partecipazione al Carosello e spot entrati nell’immaginario collettivo, come il celebre “Posso dire una parola?” del 1963. Negli anni Novanta, ha continuato a essere rilevante con claim memorabili come “Le altre merende hanno i morsi contati”, confermando la sua capacità di parlare a generazioni diverse, sempre con uno stile riconoscibile. Questa coerenza nel tempo si riflette nella forza della sua “famiglia” di prodotti Algida: Fior di Fragola, Croccante, Cucciolone, Cremino, Liuk e Solero, tra gli altri, sono gelati tutti diversi tra loro ma uniti da un’anima comune: prodotti che interpretano gusti e desideri eterogenei, dai sapori decisi a quelli più delicati, dalle note esotiche alle sensazioni più rassicuranti.


Oggi la comunicazione Algida continua questo percorso, trovando nuove forme e nuovi canali per raccontarsi: la campagna estiva 2025 è un progetto integrato che vive tra online e offline, pensato per rinsaldare il legame affettivo con i consumatori storici e raccontare ai più giovani la storia di prodotti nati per intercettare i gusti di tutti. Da un lato, una narrazione social, attraverso video creativi e i contenuti di creator, che valorizza la personalità unica di ciascuno dei gelati protagonisti; dall’altro, uno “Spotted Tour” pensato per portare sul territorio l’amore per i gelati più iconici dell’estate italiana e incontrare dal vivo le persone. Le mascotte saranno infatti protagoniste di quattro tappe del Vertical Summer Tour di Radio Deejay: il 12 e 13 luglio a Bibione, il 2 e 3 agosto a Marina di Massa, il 9 e 10 agosto a Terracina, e infine il 22, 23 e 25 agosto a San Vito Lo Capo. I partecipanti potranno mettersi alla prova nel “cacciare” i loro gelati preferiti, immortalandoli in uno scatto, che permetterà di ricevere un gadget Algida. Un’occasione unica per vivere un momento di leggerezza e condivisione, con giochi ed esperienze interattive, nel segno della spensieratezza estiva e della passione per i gelati.  

 

TUTTO EBBE INIZIO DAL CREMINO ALGIDA: UN SOGNO DI “RESISTENZA”

L’origine di tutto: un semplicissimo – ma delizioso - gelato alla panna e latte fresco su stecco, rivestito di cacao magro. Nato nel 1948 dall’idea di un figlio di Celestino Faccenda, l’uomo che a Morro d’Alba salvò Alfred Wiesner dai nazifascisti durante il suo periodo nella Resistenza marchigiana. Una volta fondata l’Algida, Alfred assunse quattro figli di Celestino. A uno di loro, Mario, si deve il primo gelato mai prodotto da Algida.

 

CROCCANTE ALGIDA: IL DOLCE SUONO DEL GUSTO

Nel 1964, poi, arrivò il Croccante Algida. Un gelato ricco e iconico al gusto di vaniglia, caratterizzato da una cremosità inconfondibile grazie all’uso di panna fresca italiana al 100% e latte fresco italiano di alta qualità. Al cuore del gelato si trova un delizioso ripieno all’amarena, mentre l’esterno è impreziosito da una croccante copertura al cacao magro con granella di nocciole, meringa, biscotti e cialde. A questo gelato Patty Pravo dedicò “Ragazzo triste” o “Qui e là” per la serie “Irresistibile”, siglando quel connubio tra musica e gelato che dagli anni ’60 riunisce gli italiani nelle più belle piazze del Paese per dare vita a concerti senza tempo.

 

CUCCIOLONE ALGIDA: UNO STORYTELLING GOLOSO E D’AUTORE

“Le altre merende hanno i morsi contati”. Erede del Camillino Eldorado, il Cucciolone Algida nasce alla fine degli anni ‘70 (1976): due biscotti al malto con dentro un gelato trigusto - allo zabaione, cacao magro e vaniglia con latte fresco italiano di alta qualità – con disegnate sopra delle vignette sempre diverse. Oggi possiamo trovare i fumetti di Sio, ma questo amatissimo gelato sui suoi biscotti ha ospitato anche "Paperino”i, “Topolino” e “Pippo” grazie a una collaborazione con la Disney, e poi la mascotte dell’Eldorado, l’”Eldo Leo” di Giorgio Cavazzano e la mucca di Federico Panella.

 

GLI ANNI ’90: UN VIAGGIO AGRUMATO TRA COMPLETEZZA ED ESOTISMO

Arrivano così gli anni ’90, quelli del consumismo sfrenato, del tutto e subito, dei viaggi esotici dal sapore caraibico, ma dal fascino mediterraneo. Un mix di culture, punti di vista, freschezza e colore che Algida fa propri con due prodotti iconici: Liuk e Solero. Il primo è l’originale stecco gelato che può essere mangiato dall’inizio alla fine. Si contraddistingue per la sua freschezza data dal gusto leggero del sorbetto al limone (con Limoni di Sicilia) e dell’iconico stecco alla liquirizia. Mentre, il secondo nasce nel 1995, conquistando fin da subito il palato dei consumatori con la sua irresistibile combinazione di gusto e freschezza. Questo iconico gelato si distingue per l’incontro tra la cremosità del gelato alla vaniglia e la vivace intensità della variegatura e della copertura di sorbetto alla frutta esotica.  

 

LA FELICITA' DI "SCARTARE L'ESTATE" CON CORNETTO

Un viaggio senza tempo, insomma, che rimane ancorato oggi a ricordi, sensazioni ed emozioni che non hanno solo dato vita a un brand iconico, ma hanno trasformato un marchio in un simbolo familiare, nel quale riporre fiducia e a cui poter accostare un sentimento di appartenenza che va oltre il gusto e il piacere di assaggiare qualcosa di buono, ma allarga i suoi confini verso suoni, odori e immagini che rimangono cristallizzate dentro di noi, riportandoci lì dove e come vorremmo essere ogni giorno: felici, in vacanza, con le persone che amiamo. Proprio a questo concetto, peraltro, si rifarà anche la campagna pubblicitaria del più famoso tra i prodotti Algida, l'intramontabile Cornetto, che, nato nel 1959 dall'idea di un gelatiere napoletano, fu brevettato a livello industriale da Unilever sotto l'insegna di Algida nel 1976 e da allora diventò il vero ambasciatore della marca in tutto il mondo, con il claim "Scarta l'estate con Cornetto". Uno slogan che quest'anno si unirà, negli spot televisivi, a un altro classico della musica italiana, come per l'appunto Felicità, al fine di sottolineare ancora una volta come la semplicità della "lunga estate italiana", delle sue tradizioni e dei suoi gesti familiari, continuino a resistere nonostante il passare del tempo e i cambiamenti in atto, dando sicurezza e serenità a chi li ricerca.

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PIATTAFORME LOW-CODE NO-CODE E GENAI: L’INTEGRAZIONE CHE STA RISCRIVENDO LE REGOLE DELLO SVILUPPO SOFTWARE

Tradizionalmente, creare software richiedeva competenze di programmazione avanzate e tempi di sviluppo lunghi. In questo scenario, le piattaforme low-code/no-code (LCNC) consentono già da tempo a utenti aziendali non tecnici di costruire applicazioni attraverso interfacce visive e strumenti drag-and-drop, e così a sempre più persone, anche senza formazione informatica, di contribuire alla digitalizzazione di processi aziendali, sperimentare soluzioni innovative o automatizzare attività ripetitive.

Con l'arrivo dell'intelligenza artificiale, però, le regole del gioco sono cambiate e stanno cambiando in maniera radicale, da una parte, sendendo ancora più immediato e facile dare vita a nuovi progetti digitali e dall'altra riducendo ancora di più la necessità di competenze informatiche. Tuttavia, come ogni nuova grande opportunità, anche questa nuova dimensione della trasformazione digitale deve avere un controllo e una corretta gestione e integrazione nei sistemi aziendali per evitare una concatenzazione di errori e criticità che possono verificarsi a seguito dell'utilizzo improprio dell'AI e delle sue applicazioni. Così, per comprendere meglio lo scenario in cui ci stiamo immergendo, spesso, senza nemmeno accorgercene, abbiamo chiesto un parere ad Antonio D’Agata, Director Strategic Accounts & Partner di Axiante, che ha cercato di spiegare il reale stato dell'arte della situazione attuale e dei possibili sviluppi futuri.

 

"L’intelligenza artificiale - spiega D'agata - sta ora amplificando questa trasformazione e questo cambiamento, e in modo significativo. Gli strumenti di Generative AI (GenAI), ad esempio, sono in grado di scrivere codici, suggerire miglioramenti, automatizzare test o personalizzare l’esperienza utente in tempo reale. In combinazione con le piattaforme LCNC, l’AI non solo ne semplifica ulteriormente l’utilizzo, ma riduce in egual misura la soglia di competenza necessaria per creare soluzioni sofisticate".

È quindi prevedibile che l'adozione di queste piattaforme raggiungerà un punto di svolta grazie proprio alla spinta dell’AI, che aumenterà l'utilizzo di sistemi low-code e no-code tra gli utenti aziendali che non sono programmatori o tecnici e, secondo numerosi esperti del settore, potrebbe portare alla nascita di una nuova classe di strumenti di sviluppo. "Secondo le previsioni di Gartner - prosegue l'esperto - entro il 2029, l'80% delle applicazioni aziendali sarà generato utilizzando piattaforme low-code no-code, rispetto al 15% del 2024 grazie alla crescente disponibilità di strumenti potenziati dall’intelligenza artificiale". Inoltre, possiamo vedere già ora come l’integrazione tra AI e LCNC si traduce in benefici significativi: "Maggiore agilità, prototipazione rapida, capacità di adattamento ai cambiamenti di mercato e sviluppo di soluzioni personalizzate senza dover necessariamente dipendere al 100% da team IT interni o da fornitori esterni", conferma il manager. "La combinazione fra piattaforme low-code/no-code e AI – sottolinea D'Agata - non sostituirà iteam IT o gli sviluppatori, ma li aiuterà. Queste tecnologie permetteranno agli utenti aziendali di generare prototipi e costruire soluzioni più velocemente, alleggerendo il carico di lavoro degli sviluppatori che potranno così concentrarsi su compiti più complessi e critici. Inoltre, si favorirà una collaborazione più stretta tra business e IT, accelerando l’innovazione e la penetrazione della Digital Transformation. "Ciò grazie a un’accelerazione dei tempi di sviluppo, una riduzione dei costi, una maggiore inclusività nei processi di innovazione e una maggiore capacità di sperimentazione - aggiunge l'esperto -. Ma tutto questo comporta anche nuove sfide per i team tecnici. Lo sviluppo con piattaforme LCNC e GenAI da parte degli utenti aziendali può infatti incontrare limiti in termini di scalabilità, sicurezza, integrazione con sistemi complessi e qualità del codice. Senza una supervisione adeguata, si rischiano soluzioni frammentate, difficili da manutenere o non conformi agli standard aziendali. Per evitare questi rischi, è fondamentale che l’IT definisca linee guida chiare, promuova la governance centralizzata, fornisca formazione e mantenga un coinvolgimento attivo per garantire coerenza, sicurezza e sostenibilità nel tempo".

In definitiva, non si tratta solo di una rivoluzione tecnologica. "Assolutamente - conferma il manager -, piuttosto stiamo parlando di un cambiamento culturale che riscrive non solo chi può costruire software e come, ma anche le basi stesse della trasformazione digitale all’interno delle imprese".

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GENTA (ACQUA SANT'ANNA): ASCOLTO, PROTEZIONE DELLE RISORSE NATURALI E INNOVAZIONI, LE 3 CHIAVI SENZA TEMPO DI UN BRAND DI SUCCESSO

Rimanere al passo con i tempi, anzi anticiparli è da sempre l’obiettivo di una realtà, come Acqua Sant’Anna che fin dalla sua fondazione ha promosso una visione differente e un approccio strategico chiaro e innovativo per il suo business.

 

Un’attitudine che ha riportato, al centro dell’attività imprenditoriale, la cura per la persona, ancora quando non se ne parlava così tanto come ora. Un vero e proprio caso studio che in soli dieci anni è diventato leader di settore nel nostro Paese, e che, dopo decenni di attività, non smette di stupire con nuove offerte, sempre improntate al benessere dell’individuo. Un’attenzione apparentemente in totale controtendenza rispetto a un tempo completamente permeato dall’intelligenza artificiale, su cui abbiamo volute ragionare insieme a Cristiana Genta, Marketing & Communication Director, Acqua Sant’Anna, anche in vista della prossima edizione del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell’impresa contemporanea, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, prevista il prossimo 19 e 20 giugno 2025 all’Allianz MiCo di Milano e nella quale, tra l’altro, proprio il brand piemontese sarà partner tecnico, fornendo oltre 2000 bottiglie di acqua alla manifestazione.

 

Cristiana Genta, secondo gli archivi di Acqua Sant’Anna era il 1995 quando Alberto Bertone veniva a conoscenza della qualità superiore dell’acqua che sgorgava nelle valli che sovrastavano Vinadio. Da allora sono passati 30 anni e oggi Acqua Sant’Anna è leader di settore, con una storia imprenditoriale che ha fatto scuola e che rappresenta un esempio del made in Italy. Quali sono i valori che hanno guidato e continuano a guidare questa “impresa”, in tutti i sensi, e come è riuscito un brand del food & beverage come il vostro, così profondamente legato al territorio e alla sua tradizione, a rimanere al passo con i tempi?

«Acqua Sant’Anna nasce da un’intuizione imprenditoriale forte, visionaria e profondamente umana. Il nostro fondatore Alberto Bertone – Presidente e AD di Acqua Sant’Anna - ha saputo riconoscere il valore unico di un’acqua che sgorga da un ambiente incontaminato, sulle montagne sopra Vinadio, e ha deciso di trasformare questa eccellenza naturale in un progetto industriale. Fin dall’inizio, il nostro cammino è stato guidato da alcuni valori irrinunciabili: la qualità, il rispetto per il territorio, l’attenzione per la salute e il benessere della persona, la trasparenza, la responsabilità sociale, l’impegno sostenibile e l’innovazione. Abbiamo sempre creduto che la tradizione non sia un limite, ma una base solida da cui partire per affrontare il cambiamento. Il nostro radicamento al territorio non è mai stato un ostacolo, anzi: è una forza che ci ha permesso di mantenere un rapporto autentico con i consumatori, anche mentre ci espandevamo a livello nazionale e internazionale. Abbiamo introdotto innovazioni profonde nel settore, sia di prodotto (come la Bio Bottle, realizzata in un materiale compostabile) che di processo (logistica su rotaia, automazione spinta, digitalizzazione aziendale), sempre mettendo al centro la sostenibilità e la persona. Essere un brand profondamente italiano, familiare, ma al tempo stesso innovativo, ci ha consentito di costruire una fiducia solida con il pubblico e di anticipare i tempi, restando fedeli a ciò che siamo».

 

In un mondo sempre più digitale e digitalizzato nel quale la persona fatica a ritrovare la sua centralità e la sua dimensione, la vostra strategia di comunicazione riparte ancora una volta proprio dalla cura e dal benessere fisico dell’essere umano e del mondo che lo circonda, senza per questo sottrarsi all’innovazione tanto nei prodotti quanto nelle strategie di marketing e comunicazione, ma quali sono le sfide che oggi un brand come il vostro si trova ad affrontare e quali invece le opportunità da non lasciarsi sfuggire per continuare a crescere?

«Viviamo in un’epoca caratterizzata da una profonda trasformazione culturale, tecnologica e sociale. In questo scenario fluido e talvolta incerto, un’azienda come la nostra è chiamata a fare scelte sempre più consapevoli. La prima sfida è quella dell’ascolto: capire davvero i bisogni di un consumatore sempre più attento, informato, esigente. La seconda è il cambiamento climatico e ambientale: un’impresa come la nostra, che opera nel settore delle acque minerali, ha una responsabilità enorme verso la tutela delle risorse naturali. L’innovazione, per noi, non è solo tecnologica, ma anche culturale. Significa pensare e ripensare costantemente i prodotti, i materiali, i canali di comunicazione. Per esempio, la scelta di nuove linee funzionali come Sant’Anna PRO, oppure la spinta decisa verso la digitalizzazione con lo shop online e una presenza social coerente e attenta, nascono dall’osservazione attenta delle nuove abitudini di consumo. Ma ogni sfida è anche un’opportunità. Oggi possiamo creare un dialogo continuo con i nostri clienti, costruire community, promuovere uno stile di vita sano, sostenibile e consapevole. La nostra ambizione è non smettere mai di innovare, rimanendo fedeli ai nostri valori».

 

Spesso lo scorrere dell’acqua, soprattutto quella di fonte, è una metafora usata per indicare anche il passare del tempo e il suo incedere costante e mutevole. Un elemento in continua trasformazione che trova nella velocità e nella trasparenza due delle sue caratteristiche più importanti. Fattori questi che, tra l’altro oggi, sono anche alla base di quel rapporto di fiducia da instaurare con i consumatori a 360 gradi. In questo senso, quali sono gli asset fondamentali da considerare secondo lei per poter impostare una buona strategia di engagement con il proprio pubblico ai tempi della trasformazione digitale, dell’AI e dei social per un brand fisico come il vostro?

«L’acqua è un elemento in continuo movimento, trasparente, essenziale, vitale. E così dovrebbe essere anche il rapporto tra brand e consumatori. In Acqua Sant’Anna, il nostro impegno è quello di costruire un legame basato sulla fiducia, e questo si ottiene solo con coerenza, qualità e autenticità. Negli anni, abbiamo costruito una cultura dell’acqua, educando il consumatore alla lettura delle etichette, alle differenze tra le varie acque minerali, ai benefici legati alla leggerezza, alla purezza, al basso residuo fisso. La nostra comunicazione, da sempre, si fonda sulla trasparenza: abbiamo scelto la pubblicità comparativa quando nessuno osava farlo, abbiamo messo in primo piano i dati oggettivi. Il nostro rapporto con i consumatori si caratterizza per l’approccio e la volontà di far conoscere le qualità dell’Acqua Sant’Anna, di cui raccontiamo i valori, i benefici, i diversi formati e le molteplici possibilità di consumo nella quotidianità. Negli anni il nostro approccio è diventato sempre più multicanale: non solo media tv e stampa, ma un vero e proprio mix con l’inserimento di campagne digital e una forte presenza sui social del Gruppo, da Instagram a LinkedIn, al canale di YouTube. Questa strategia ha permesso di ottenere una phisycal evidence consolidata, di mantenere la Top of Mind e di rafforzare la Brand Awareness del marchio Sant’Anna. Oggi, l’engagement passa anche attraverso l’intelligenza artificiale, i social network, il content marketing e l’e-commerce. Abbiamo sviluppato contenuti capaci di raccontare chi siamo in modo immediato ma profondo: immagini, storytelling, video, esperienze interattive. Eppure, anche nella tecnologia, cerchiamo sempre il tocco umano: i nostri contenuti parlano alle persone. In fondo, anche nel digitale, l’autenticità e il dialogo vincono sempre».

 

Guardando al futuro, invece, quali saranno i prossimi passi o trend che vorrete seguire e intraprendere per proseguire in questa corsa verso l’innovazione e l’evoluzione nel mondo del food & beverage e del dialogo con il vostro pubblico?

«Guardiamo al futuro con entusiasmo, consapevoli che ogni innovazione ha senso solo se porta valore alle persone e all’ambiente. Continueremo a investire su tre assi strategici: internazionalizzazione, innovazione di prodotto e sostenibilità. L’acquisizione della francese Eau Neuve rappresenta una svolta importante: non solo ci consente di entrare in modo più forte nel mercato europeo, ma ci permette di farlo in modo coerente con i nostri valori, portando avanti un modello industriale rispettoso, green e orientato alla qualità. Dal punto di vista dell’offerta, proseguiremo con lo sviluppo di bevande funzionali e naturali, attente ai trend nutrizionali e alle nuove esigenze del consumatore: meno zuccheri, più benessere, ingredienti funzionali. A livello tecnologico, stiamo lavorando per perfezionare ulteriormente l’automazione degli impianti, ridurre l’impatto ambientale e completare la gamma prodotto con referenze dal packaging riciclabile. Abbiamo inoltre individuato nell’arte un nuovo canale di comunicazione: abbiamo iniziato un progetto di “culturalizzazione” dell’impresa con importanti contaminazioni tra artisti e azienda. Il progetto è nato con la realizzazione di alcuni scatti di Silvano Pupella allo stabilimento di Vinadio e sta coinvolgendo importanti artisti del panorama internazionale come Marco Lodola, Alessandro Ciffo, Gérard Courbouleix–Dénériaz, in arte Razzia e Ugo Nespolo. Relativamente all’attenzione per le persone, ogni anno destiniamo importanti risorse ad iniziative di welfare volte a sostenere i collaboratori dell’azienda: nel 2022 si è deciso di erogare a favore dei dipendenti una mensilità aggiuntiva con l’obiettivo di offrire a tutte le famiglie un aiuto concreto per far fronte al periodo economicamente difficile a causa dell’aumento dell’inflazione e la recessione generato dalla pandemia; l’anno seguente è stata offerta una serie di incontri gratuiti con consulenti specializzati per intervenire concretamente e supportarli a 360° (psicologo, nutrizionista, esperti in economia e finanza, pronti a fornire quanto più sostegno alle persone nella loro quotidianità) e più di recente sono state attivate per i dipendenti iniziative di prevenzione come la mammografia ed ecografia gratuita in collaborazione con la società WelfareCare».

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CONSUMER EDUCATION: LA VERA CHIAVE PER UN BUSINESS DI SUCCESSO

In questo nuovo episodio di Question From the Club - lo spazio virtuale prodotto da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano nel quale, come di consueto, cerchiamo di comprendere meglio i trend da seguire, le sfide da affrontare e le opportunità da cogliere che guidano e influenzano il mondo del business -, parleremo di come il mondo della consumer education rappresenti ormai un segmento del business sempre più importante per il successo dell’impresa contemporanea.

 

Infatti, anche se non è ancora quantificato con dati specifici pubblici come un vero e proprio settore a sé stante, risulta evidente come questo ambito assuma un ruolo fondamentale nella creazione di un rapporto di fiducia, e quindi di coinvolgimento propositivo, tra brand e clienti.

 

Una relazione che propone un chiaro vantaggio competitivo per le marche in un contesto di forte trasformazione digitale e di sviluppo  dell’ambiente eCommerce, che nel 2025 supererà i 62 miliardi di euro nel nostro Paese, con oltre 35 milioni di nuovi consumatori e una crescita del +6% rispetto all’anno precedente, e che favorisce in questo modo, da parte delle organizzazioni, anche l’adozione di nuove strategie, utili alla generazione di efficaci leve per l’incremento delle vendite, soprattutto in industry ad alta innovazione, come quelle del Food&Grocery, dell’hospitality e del Beauty&Pharma. Comparti che, secondo i recenti dati dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, prevedono un tasso di crescita composito annuo sotto questo punto di vista pari al +7%.

 

Un argomento di grande attualità, questo, che abbiamo voluto approfondire meglio insieme ad Alberto Pirrone, Direttore Generale di Altroconsumo, e che vi proponiamo di ascoltare di seguito, in vista della prossima edizione del CMO Summit, l'evento dedicato al mondo dei Chief Marketing Officer che si terrà il prossimo 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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WELFARE: IL VALORE DEGLI INSIGHT PER UNA COMUNICAZIONE HR PIÙ AUTOREVOLE, LA GUIDA DI ALTROCONSUMO B2YOU CON SATISPAY

Nel panorama attuale del lavoro, dove le persone chiedono sempre più attenzione alla propria qualità di vita, anche i benefit aziendali più consolidati meritano di essere raccontati e valorizzati meglio. Tra questi, i buoni pasto rappresentano uno degli strumenti di welfare più diffusi, ma spesso comunicati in modo frettoloso o riduttivo. Eppure, la loro portata è tutt’altro che marginale.

 

Basti pensare che secondo una recente ricerca di Secondo Welfare, in Italia l'intero segmento dei benefit aziendali per i dipendenti nel 2025 potrebbe raggiungere gli 8 miliardi di euro, triplicando così i valori ottenuti nel 2023 e proponendo un tasso di crescita pari a oltre il 300% in soli due anni. Un contesto nel quale i buoni pasto rappresentano quasi la metà del valore totale. Dati significativi, questi, che mostrano come, nel nostro Paese, l'attenzione delle imprese sul tema stia cambiando e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo realizzato da Altroconsumo B2YOU, in vista della sua partecipazione alla prossima edizione del CMO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso gli spazi dell'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit

 

UN MERCATO DA 4 MILIARDI DI EURO

Secondo gli analisti il valore di mercato dei buoni pasto, oggi, in Italia è pari a circa 4 miliardi di euro e sta vivendo uno sviluppo in continua evoluzione, con un incremento del 10%, anno su anno, delle aziende tricolore che sfruttano questo strumento e un aumento costante dei milioni di dipendenti che ne usufruiscono ogni giorno. A tal punto che, secondo una recente indagine condotta da Altroconsumo, l’81% dei lavoratori utilizza i buoni pasto per fare la spesa, il 51,7% li impiega per il pranzo quotidiano e circa il 75% si dichiara soddisfatto di questo strumento. Ma accanto a questi dati positivi emergono anche frizioni nell’esperienza d’uso quotidiana: problemi di resto, scadenze, mancata chiarezza sulle modalità di utilizzo. E, sullo sfondo, un dato ancora più rilevante: il 60% della Gen Z sarebbe disposto a cambiare lavoro entro un anno se insoddisfatto, rendendo il benessere percepito una leva strategica anche nella retention.

 

L'ESPERIENZA DI B2YOU E SATISPAY

Per questo, ogni strumento di welfare richiede un impegno comunicativo proporzionato al suo impatto. Ed è qui che entra in gioco B2YOU, la divisione B2B di Altroconsumo: un partner capace di affiancare le imprese nella costruzione di contenuti chiari, credibili e utili, partendo dall’ascolto delle reali esigenze delle persone. La collaborazione tra Altroconsumo e Satispay nasce proprio con questo obiettivo: dare ai responsabili HR uno strumento agile per comprendere e raccontare in modo efficace i cambiamenti in atto nel mercato dei buoni pasto. Il risultato è stata la guida "Buoni Amici", un prodotto editoriale co-branded pensato per informare, orientare e valorizzare il ruolo di questo benefit all’interno del contesto aziendale. La guida (che può essere scaricata e consultata a questo link) integra il know-how normativo ed editoriale di Altroconsumo con gli insight raccolti attraverso la propria community di consumatori ACmakers, offrendo una sintesi efficace dei trend in corso e delle innovazioni introdotte da Satispay come nuovo operatore digitale.


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IL 40% DELLE GRANDI AZIENDE HA SISTEMI DI ROBOTIC PROCESS AUTOMATION, MA SOLO IL 23% USA L’AI NELL’AUTOMAZIONE DEI PROCESSI

Oggi per le organizzazioni sono disponibili soluzioni sempre più sofisticate in grado di automatizzare interi processi complessi, completamente ripensabili attraverso la collaborazione uomo – macchina, e le aziende italiane stanno cogliendo questa opportunità. Già il 40% delle grandi imprese del nostro Paese utilizza sistemi di Robotic Process Automation (RPA), tecnologie che automatizzano compiti ripetitivi attraverso software robot o "bot". Un dato che ci posiziona al terzo posto tra i principali Paesi europei (analizzando anche Spagna, Germania, Francia e Regno Unito), subito dietro Regno Unito (48%) e Germania (41%). Molto diffuse anche soluzioni di workflow automation (56%), che eliminano attività manuali e ripetitive tramite software che consentono di gestire e monitorare i processi (tendenzialmente applicate in contesti più semplici), mentre sono più rare quelle di process mining, la tecnica che utilizza i log degli eventi per migliorare la comprensione e l'efficienza dei processi, o quelle di process intelligence, che analizzano dati storici e in tempo reale per identificare inefficienze, ottimizzare le attività e migliorare la produttività (38%). Se si analizzano però le soluzioni di Intelligent Process Automation, quelle più avanzate in cui per l’automazione dei processi è utilizzata l’Intelligenza Artificiale, queste oggi sono utilizzate solo dal 23% delle grandi aziende del nostro Paese. E l’Italia si colloca all’ultimo posto tra gli stati europei analizzati, ben distante dal Regno Unito (32%), ma dietro anche a Spagna (26%), Germania (26%) e Francia (25%).

 

Questi sono solo alcuni dei risultati della ricerca dell'Osservatorio Intelligent Business Process Automation della School of Management del Politecnico di Milano, che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CIO Summit, l'evento dedicato al mondo dei Chief Information Officer, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea e organizzata da Business Internaitonal, la knowledge unit di Fiera Milano. In un'epoca in cui la digitalizzazione sta trasformando ogni logica, dinamica e processo dentro e fuori dalle organizzazioni di ogni genere e dmensione, infatti, i direttori IT diventano i veri abilitatori del cambiamento, evolvendo il proprio ruolo da gestori di infrastrutture, dispositivi e software a veri e propri promotori della rivoluzione industriale in atto. Un cambio di passo di grande attualità e da non sottovalutare, questo, tanto per le aziende, quanto per gli stessi professionisti del settore che devono assumere un nuovo ruolo, inedite responsabilità e soprattutto una visione e una strategia d'azione completamente differenti.
 

L'OSSERVATORIO

Secondo il rapporto, i principali settori in cui sono diffuse queste tecnologie sono finanza, servizi alle imprese, utility, telco e manufacturing. Le soluzioni più diffuse sono l’Intelligent Document Processing, che permette di aumentare la flessibilità delle soluzioni RPA estraendo informazioni da dati non strutturati (come documenti, brevi comunicazioni su strumenti di collaboration, immagini), l’RPA conversazionale e le logiche decisionali intelligenti. “Nell’automazione dei processi aziendali oggi la sfida principale per le aziende sta nella capacità di governare la trasformazione in atto – aggiunge Giovanni Miragliotta, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Intelligent Business Process Automation -. Bisogna navigare in un’offerta tecnologica in velocissima evoluzione, evitando l’esplosione della complessità e dei costi. Bisogna poi identificare correttamente i processi in cui le opportunità offerte dall’Intelligenza Artificiale possono portare valore, e, laddove necessario, approfittare dell’automazione per migliorare e snellire processi e workflow. Infine, vi è un cambio culturale, la Process Automation non è una tematica unicamente IT. Democratizzare lo sviluppo mantenendo il governo delle iniziative è necessario per evitare di creare colli di bottiglia e nuove inefficienze”.

 

L'ADOZIONE DELLA BUSINESS PROCESS AUTOMATION

Un tema estremamente importante, questo, anche pensando alla necessità di allargare lo spettro di nuove competenze digitali a ogni settore e livello professionale. Uno standard, si potrebbe dire, a cui tutte le aziende dovrebbero aspirare e che, però, ovviamente impone di aver, prima di tutto, investito in nuove infrastrutture di rete e architetture di dati, al fine di poter avere davvero un abbattimento dei silos informativi a 360 gradi. “Anche se la Process Automation non è una tematica nuova di per sé, sono una minoranza le aziende pronte ad introdurre nei propri processi le tecnologie più innovative. Bisogna aver già lavorato sulle componenti abilitanti, sia tecnologiche come la digitalizzazione di base e l’interoperabilità di dati e sistemi, sia culturali.  – aggiunge Irene Di Deo, Direttrice dell’Osservatorio Intelligent Business Process Automation -. L’automazione dei processi non può essere vista come una mera sostituzione del lavoro umano, ma come un’opportunità per comprendere le leve di creazione di valore per i clienti e le competenze e qualità irrinunciabili delle persone. Per questo, il titolo della ricerca di quest’anno pone l’accento sulla necessità di conoscere i propri processi, specifici di ogni realtà aziendale”. Sotto questo profilo, peraltro, i dati sottolineano come, complessivamente, il 51% delle grandi aziende italiane utilizzi la Business Process Automation, con un qualche approccio tecnologico. Tra quelle che hanno avviato almeno una sperimentazione, il 58% ha attivato casi d’uso trasversalmente su diversi dipartimenti e processi, ma soltanto l’8% ritiene di aver implementato la Process Automation su larga scala. Tra queste, ci sono quasi esclusivamente grandissime realtà multinazionali. La Process Automation tradizionale viene utilizzata nel 76% dei casi in area amministrazione, finanza e controllo, seguono le aree Operations (65%) e Acquisti (61%). Guardando, invece, all’Intelligent Process Automation, tra le aziende che l’hanno già introdotta, l’area aziendale più citata è il customer service (28%). In quest’ambito, la gestione delle richieste dei clienti (ad es. sullo status di una pratica o un chiarimento su un servizio su abbonamento) spesso implica il reperimento di dati, il compimento di specifiche azioni e una risposta quanto più fluida e rapida possibile: qui sia soluzioni di RPA Conversazionale sia soluzioni che introducono logiche decisionali intelligenti possono portare grandi benefici. Seguono come adozione Operations (22%) e Amministrazione, Finanza e Controllo (18%).
 
PROFILI E COMPETENZE

Per quanto riguarda le scelte organizzative, tra le grandi aziende che hanno avviato almeno una sperimentazione di automazione dei processi, solo il 17% si appoggia esclusivamente all’esterno, mentre il 43% ha definito figure di riferimento interne e un ulteriore 40% ha un vero e proprio team dedicato. Il 54% delle organizzazioni ha attivato programmi di formazione su competenze tecniche e/o di analisi dei processi per espandere la platea di persone coinvolte, ma a dedicarsi all’automazione ci sono principalmente esperti IT. Tra chi ha professionisti interni, in un’azienda su due sono presenti esperti di analisi e di ottimizzazione dei processi, mentre è più limitata la presenza di Data Scientist o esperti verticali, come specialisti di User Experience o di Robotic Process Automation. Il 74% delle aziende ha implementato un sistema di monitoraggio dei benefici raggiunti. Le metriche più utilizzate sono riduzione dei costi operativi tramite risparmio di tempo su attività manuali (62%), miglioramento della qualità dei processi (48%) e tempi di ciclo più rapidi e quindi riduzione dei tempi di completamento (45%). Tra le aziende già attive in ambito Process Automation tradizionale, il 45% vuole introdurre competenze di Intelligenza Artificiale nei prossimi 12 mesi. Quelle che invece si sono già mosse in ambito Intelligent Process Automation vogliono ampliare il numero di processi automatizzati (62%) e integrare sempre di più sia l’AI sia la Process Intelligence (47%). Un campanello d’allarme viene dalla scarsa attenzione posta sulla formazione (citata solo dal 12% delle aziende) e sulla creazione di una roadmap dedicata all’automazione a livello aziendale (7%).
 
LA VISIONE DELLE PMI 

Le piccole e medie imprese mostrano una scarsa adozione di tecnologie di Process Automation, sia tradizionale sia intelligente. Solo il 9% dichiara di utilizzare soluzioni di Robotic Process Automation e in meno dell’1% dei casi sono state attivate sperimentazioni di utilizzo dell’AI per l’automazione. Il mercato è però in una fase di cambiamento, che fa ben sperare: già negli scorsi anni sono nate soluzioni pensate anche per le esigenze delle PMI e sempre di più le evoluzioni tecnologiche permetteranno di semplificare la creazione di piccole automazioni, riducendo i costi associati e le competenze necessarie per lo sviluppo. In questo senso, le soluzioni proposte dal mondo dell'innovazione e in modo particolare delle startup sta contribuendo significativamente a offrire un boost al sistema. Nell’offerta di soluzioni di Process Automation, infatti, sono già molte le startup attive anche nel nostro Paese e secondo gli esperti dell'osservatorio queste realtà potranno avere un ruolo determinante, se riusciranno a tradurre le opportunità offerte dai modelli di AI e Generative AI in applicazioni concrete o in piattaforme che ne facilitino la governance per le aziende. Sono state censite a livello internazionale 312 startup che propongono soluzioni con forti capacità di Artificial Intelligence con finalità di automazione, capaci di raccogliere complessivamente 2,3 miliardi di dollari, con un finanziamento medio di quasi 9 milioni di dollari. Ancor più che singole applicazioni verticali (ad esempio agenti specializzati nel customer service, nelle vendite o nelle attività di amministrazione e controllo), di particolare interesse per gli investitori risultano quelle startup che offrono soluzioni di sviluppo, orchestrazione e monitoraggio degli agenti, abilitando un nuovo modo di fare automazione dei processi, capaci di raccogliere il 52% dei finanziamenti totali.

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