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IL NERO STA BENE CON TUTTO (IL MESE): DAL BLACK FRIDAY AL BLACK MONTH

All’interno di un contesto in cui le logiche comportamentali dei consumatori si evolvono rapidamente. e con loro anche quelle legate agli acquisti online, il Black Friday non fa eccezione. Tradizionalmente considerato l’evento lampo per eccellenza, infatti, il venerdì dopo il thanks giving, sta cambiando volto. Da sprint di 24 ore, ambientate nell'ultimo venerdì del mese di novembre, si è trasformato in una vera e propria maratona di 30 giorni, dando vita al cosiddetto Black Month: una metamorfosi che non solo ridefinisce le dinamiche promozionali, ma impone alle aziende una pianificazione più lunga, dinamica, basata sui dati e in grado di intercettare tutte quelle esigenze dettate dalla trasformazione dei mercati globali.

Un tema questo che, tra l'altro, sarà al centro della prossima edizione del Business Leaders Summit - l'evento dedicato al mondo dei C-level, organizzato da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, previsto a Roma, presso lo Spazio Field di Palazzo Brancaccio, il prossimo 26 e 27 novembre 2025 - su cui abbiamo voluto concentrarci per capire meglio come l'influenza commerciale di questo momentum prettamente americano stia ridefinendo le logiche del business internazionale.

 

NUMERI DA BLACK FRIDAY
La tendenza trova conferma anche nei numeri: secondo il report Global-e 2024, realizzato in occasione dell’ultimo Black Friday e del Cyber Monday (BFCM), le vendite e-commerce nelle due settimane precedenti al Black Friday in tutto il mondo sono cresciute del 45% rispetto all’anno precedente, con un tasso di conversione in aumento fino al 144%, rispetto alla media di ottobre degli anni presi in considerazione. Un segnale chiaro di come l’effetto “picco” si stia trasformando in una performance distribuita lungo tutto il mese.

«Il Black Friday non è morto: ha semplicemente cambiato volto - spiega Pietro Gerolimetto, Co-Founder & CEO di Glint -. Il consumatore è ancora oggi impulsivo, ma più consapevole rispetto al passato e, allo stesso tempo, cerca nuove esperienze coerenti e non solo offerte flash - tant’è che non si fa più abbagliare dal “-60% solo oggi”. Quindi, i brand che riescono a costruire una relazione continua con l’utente, vincono».

 

BLACK FRIDAY 2.0: DA CORSA AL RIBASSO A MARATONA DI VALORE
La trasformazione a cui abbiamo assistito, non riguarda solamente la durata, seppur interessante, delle promozioni, ma anche la loro natura:  «Non si tratta più di comprimere tutta l’offerta in un weekend - sottolinea Enrico Tovaglieri, Co-Founder & CEO di Glint - oggi le campagne marketing si pianificano, si testano e si ottimizzano lungo un periodo esteso. Ogni settimana deve offrire un motivo nuovo per tornare sullo shop».

Nella logica del consumatore moderno, l’importanza della scontistica rimane il gancio inziale, ma non è sempre determinante per il raggiungimento della fase finale del consumer journey: l’acquisto. Sempre più frequentemente, infatti, gli utenti aggiungono al carrello articoli anche a prezzo pieno, contribuendo così a mantenere alto l’Average Order Value (AOV), una metrica fondamentale nell’e-commerce che indica quanto un cliente spende in media per ogni singolo ordine, anche durante il periodo promozionale. «Lo sconto - continua Gerolimetto - è solo l’inizio del viaggio di un potenziale acquirente. Il vero valore nasce dalla capacità di proporre combinazioni intelligenti, upselling e cross-selling mirati e messaggi personalizzati. È dal connubio di queste azioni che si determina la marginalità».

 

LE NUOVE SEI REGOLE DEL GIOCO PER ESSERE COMPETITIVI SUL BLACK FRIDAY
Per affrontare al meglio la sfida del Black Month, gli analisti del report individuano, quindi, sei pilastri strategici che ogni brand dovrebbe considerare. Tutto parte da una pianificazione anticipata, che in alcuni casi comincia già in estate: prepararsi con largo anticipo significa avere proiezioni aggiornate su stock, domanda e obiettivi di lead generation, così da costruire un database qualificato e impostare una comunicazione più mirata. In secondo luogo, poi, l’analisi dei risultati passati diventa uno step fondamentale per capire quali campagne e prodotti abbiano funzionato al meglio e calibrare di conseguenza le scontistiche, ottimizzando margini e budget. Al terzo posto, troviamo segmentazione e personalizzazione: suddividere il database clienti in cluster ad alto potenziale, consente di inviare messaggi e offerte pertinenti, rafforzando il legame con l’utente e valorizzando il lavoro di nurturing fatto nei mesi precedenti. Parallelamente, il Black Month non deve essere visto solo come un’occasione di vendita, ma anche come un momento di crescita: ecco perché nell'analisi viene sottolineata l’importanza di una forte spinta sull’acquisizione, con attività di marketing orientate a intercettare nuovi clienti, aumentare la visibilità e consolidare la brand awareness. Tutto questo si inserisce in una visione a lungo termine, che non si esaurisce a novembre, ma si estende al Natale e ai saldi di gennaio, garantendo coerenza nei messaggi e continuità nei risultati. Infine, un approccio vincente non può prescindere da reattività e ottimizzazione: monitorare costantemente i dati permette di intervenire tempestivamente quando i risultati non sono in linea con le attese, modificando leve promozionali, contenuti o allocazione dei budget per ottimizzare la performance in corso d’opera.

 

IL VERO AFFARE DEL BLACK FRIDAY? LA CONTINUITÀ
Si segna, così, un cambiamento profondo nelle abitudini di consumo e nelle strategie delle organizzazioni: non è più sufficiente concentrare tutte le energie in un solo giorno di offerte lampo. Gli acquirenti si aspettano esperienze coerenti, personalizzate e distribuite lungo un arco temporale più ampio. In questo scenario, la continuità e la coerenza diventano elementi centrali: chi saprà unire pianificazione, personalizzazione e capacità di adattamento potrà affrontare con successo non solo il Black Month, ma l’intero ciclo delle grandi campagne stagionali.

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MELANI (SONY PICTURES ENTERTAINMENT ITALIA): SOLO CHI AVRÀ UNA MENTE LUCIDA E INTERROGATIVA POTRÀ GUIDARE IL TEMPO DEL CAMBIAMENTO

«I verbi attivi che comunemente usiamo per riferirci al denaro, come sprecare, impiegare, risparmiare, investire, sono esattamente gli stessi che utilizziamo quando parliamo di tempo. Questo parallelismo linguistico non è casuale: ci ricorda che il tempo, al pari del denaro, è una risorsa limitata e strategica, ma con una differenza sostanziale: il tempo non si può recuperare. Ed è proprio per questo che lo considero la risorsa più preziosa a disposizione di un leader, forse persino più del budget». È questa la prima riflessione che Simona Melani, Head of Marketing di Sony Pictures Entertainment Italia ha posto sul piatto di un'intervista raccolta in occasione della nuova edizione del report annuale dal titolo "Keep Time and Manage Leadership", prodotto da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, pensato per indagare alcuni degli aspetti più importanti da considereare per la leadership del mondo dell'impresa contemporanea e presentato lo scorso 19 giugno 2025 in apertura del Business Leaders Summit, tenutosi presso l'Allianz MiCo di Milano. Una conversazione che guarda all’interpretazione di un nuovo concetto di tempo, visto come vera leva strategica del business moderno. «In un mondo accelerato dalla tecnologia e complicato dalla sovrapposizione di crisi – ambientale, geopolitica, economica – il tempo diventa non solo una variabile da gestire, ma un fattore competitivo vero e proprio – sottolinea la manager –. Saper utilizzare il tempo in modo intelligente e intenzionale rappresenta, oggi, una delle capacità chiave per chi guida un’organizzazione». Come per il denaro, però, il tempo va investito con lungimiranza. «Le decisioni che generano valore nel medio-lungo periodo, consolidando visioni, costruendo cultura e stimolando l’innovazione, richiedono tempo – spiega l’esperta –. Tuttavia, questo non significa perdere la capacità di essere veloci. Al contrario, è necessario saper alternare momenti di riflessione strategica a fasi di azione rapida, per riuscire ad anticipare i segnali del mercato e cogliere le opportunità emergenti».

 

IL TEMPO TRA OTTIMIZZAZIONE ED ESPLORAZIONE
Il tempo, secondo la manager quindi, va gestito in equilibrio tra ottimizzazione ed esplorazione. Dove, ottimizzare significa allocarlo in modo efficiente per garantire produttività e coerenza operativa. Esplorare, invece, implica dedicare porzioni di tempo all’incertezza, alla sperimentazione, all’innovazione. «È in questa dualità – commenta Melani – che si gioca la partita del vantaggio competitivo: un leader capace di proteggere e valorizzare il tempo – proprio e altrui – saprà guidare l’impresa in modo sostenibile, resiliente e orientato al futuro». Una capacità di grande valore, questa, che in un’epoca di trasformazioni continue e spesso repentine, rende chiaro come uno degli aspetti più critici che i leader dovrebbero tenere in considerazione è proprio la gestione consapevole del tempo e delle priorità. «Oggi, molte organizzazioni operano in una costante condizione di urgenza – sottolinea la manager –, dove tutto sembra dover essere fatto “per ieri”, generando un senso di pressione continua che raramente corrisponde a vere esigenze di rapidità. Mentre, la verità è che molte delle richieste che arrivano con l’etichetta dell’urgenza non sono realmente tali, ma derivano da processi poco strutturati, logiche top-down prive di contesto o da una cultura aziendale che premia l’azione immediata più della riflessione strategica». Un approccio reattivo, questo, che porta nel tempo un logoramento diffuso delle energie e delle motivazioni, soprattutto nei team operativi. «La richiesta costante di velocità nell’esecuzione di attività tattiche, infatti – prosegue Melani –, sta lentamente erodendo uno degli elementi chiave per la competitività a lungo termine: la capacità di fare strategia».

 

UN LAVORO A DOPPIO LIVELLO
D’altronde, però, come detto: una strategia solida richiede tempo, spazio mentale, confronto e soprattutto una visione di medio-lungo periodo. Tutti criteri che non soddisfano le attuali esigenze del business nell’era post-covid. «Certo – aggiunge l’esperta –, ma ovviamente essere strategici non significa ignorare le esigenze del presente, bensì vuol dire saper lavorare su due livelli contemporaneamente: il “qui e ora”, necessario per la continuità, e il “domani”, indispensabile per l’evoluzione. Un modo concreto per abilitare questo doppio livello è creare condizioni affinché le persone possano dedicare parte del proprio tempo a progettualità speculative, non legate esclusivamente al perimetro del loro ruolo quotidiano». Si tratta di incoraggiare i cosiddetti passion projects, quindi, iniziative che trascendono i team verticali e permettono la contaminazione di competenze, la sperimentazione e la nascita di idee innovative. «Questo tipo di spazio, se riconosciuto e valorizzato – precisa la manager –, non solo stimola la collaborazione e l’engagement, ma diventa un fertilizzante per una cultura organizzativa più adattiva, resiliente e creativa». In questo contesto, naturalmente, non è un mistero che la tecnologia, se ben utilizzata, possa rappresentare una leva potente.

 

SOVRACCARICO E IPERCONNESSIONE: I RISCHI DA EVITARE
Tuttavia, in un ambiente lavorativo sempre più affollato di stimoli, piattaforme e richieste frammentate, il rischio di sovraccarico informativo e iper-connessione è ormai una realtà quotidiana per moltissimi professionisti. Sotto questo punto di vista, peraltro, uno dei fenomeni più critici, spesso sottovalutato, è proprio la moltiplicazione dei touchpoint comunicativi. «Così come avviene nel mondo del marketing, quando si parla di customer journey – analizza Melani –, oggi una richiesta lavorativa può arrivare via WhatsApp, Teams, e-mail o addirittura con una telefonata, a volte tutte contemporaneamente. Questo non solo rende più difficile la gestione delle priorità, ma influisce direttamente sulla qualità della concentrazione, sulla performance e sul benessere delle persone, che si ritrovano costantemente interrotte, disorientate o costrette a “saltare” tra flussi di lavoro paralleli». E il problema si aggrava se si considera che spesso quegli stessi canali digitali sono anche quelli su cui si muove la vita privata, generando un effetto di confusione ancora maggiore tra sfera personale e professionale. «In questo scenario, però – rimarca l’esperta –, il ruolo del leader è fondamentale nel definire una cultura del tempo sostenibile. Essere costantemente disponibili su tutti i canali può sembrare sinonimo di efficienza, ma in realtà rischia di generare aspettative irrealistiche nei confronti del team. Allo stesso modo, l’irreperibilità totale può trasmettere insicurezza o disorientamento. È quindi il leader a dover stabilire il ritmo, i confini e le modalità di comunicazione, diventando un esempio concreto di equilibrio tra efficienza e umanità. Il lato positivo è che la tecnologia offre anche grandi opportunità: può davvero automatizzare attività ripetitive e a basso valore aggiunto, liberando tempo prezioso che può essere reinvestito in compiti più strategici, creativi e relazionali. Tuttavia, perché questo meccanismo funzioni, è necessario che il manager abbia la consapevolezza e l’intenzione di ricollocare le persone su attività che abbiano un impatto reale e significativo, evitando che l’automazione diventi un semplice strumento per “fare di più in meno tempo”, senza una reale crescita del valore».

 

IL TEMPO DI METTERE LE PERSONE AL CENTRO
In ultima analisi, quindi, secondo Melani, ciò che fa la differenza è la scelta consapevole di mettere le persone al centro, promuovendo una cultura in cui il tempo non venga misurato solo in termini di produttività, ma anche di qualità del lavoro, cura delle relazioni e benessere individuale. «Questo, però – risponde la manager –, non può avvenire solo attraverso policy aziendali, ma deve essere il risultato di comportamenti visibili, coerenti e autentici da parte della leadership. Un esempio concreto e più che mai attuale, sotto questo punto di vista, è il fatto che oggi grazie all’AI tutti possiamo avere un assistente personale. L’errore più frequente che vedo, però, è quello di agire come se l’AI dovesse sostituire la nostra capacità di ragionamento. Quindi, il primo consiglio che posso dare alle nuove generazioni di leader nell’utilizzo delle nuove tecnologie è proprio quello di capire come nel proprio ruolo l’AI possa assisterci in maniera reale: può ottimizzare la nostra agenda? Può liberare il tempo impiegato nel prendere appunti durante un meeting? Può mettere a sistema gli spunti emersi durante la riunione? Queste sono tutte attività micro che contribuiscono a generare carico mentale, che occupano “banda” che potrebbe essere impiegata a fare altro. Il secondo consiglio è quello di diventare ambassador dell’impiego dell’AI in azienda: i rischi legati alla privacy e alla proprietà intellettuale sono aggirabili sviluppando modelli interni, ad esempio. Chiaramente, questo è un investimento a lungo termine, ma che nel breve porta dei benefici tangibili: la partecipazione delle persone allo sviluppo del modello e quindi un’adozione più organica della tecnologia. Il terzo consiglio, infine, è quello di non rinunciare, per fretta o pigrizia, al pensiero critico. Il valore di una leader è la capacità di interpretare dati, metterli in discussione e usarli in maniera strategica». Come a dire che in un contesto in cui le macchine saranno sempre più abili nel fornire risposte rapide e complesse, il vero vantaggio competitivo per chi guida un team o un’organizzazione sarà saper fare le domande giuste. «Allenare il pensiero critico – continua l’esperta –, oggi più che mai, diventa quindi una priorità: in un mondo in cui l’intelligenza artificiale rischia di accelerare decisioni meccaniche e impersonali, solo chi saprà affiancare alla tecnologia una mente lucida e interrogativa potrà guidare il cambiamento in modo responsabile e lungimirante».

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IA ED EMPATIA: LA CHIAVE DEL BUSINESS DEL FUTURO? UNIRE TECNOLOGIA E CUSTOMER EXPERIENCE UMANA

Mentre i brand celebrano i miglioramenti in termini di efficienza nell’ambito della customer experience (CX), ottenuti grazie all'intelligenza artificiale (IA), esiste ancora un divario significativo tra i benefici interni all’azienda e il servizio spesso deludente che i consumatori sperimentano concretamente. Secondo il recente rapporto di Verizon, dal titolo CX Annual Insights, infatti, il futuro della customer experience non riguarda solo l'implementazione dell'intelligenza artificiale, ma anche la sua integrazione strategica per rafforzare le interazioni umane e risolvere le principali cause di insoddisfazione dei clienti.

 

Il report, basato su un sondaggio condotto su 5.000 consumatori e 500 dirigenti senior in sette Paesi, ha rivelato una discrepanza critica. A tal punto che leggendo i dati, risulta chiaro come, nonostante l'avvento del digitale in ogni segmento della nostra vita quotidiana, l'empatia e la connessione umana fanno ancora la differenza. Ben l'88% dei consumatori rispondenti si è detto soddisfatto delle interazioni gestite principalmente o interamente da operatori in carne e ossa, mentre solo il 60% prova lo stesso per le interazioni gestite dall'intelligenza artificiale. Questa preferenza evidenzia una verità fondamentale: l'efficienza dell'intelligenza artificiale non può sostituire l'empatia e la fiducia che un essere umano è in grado di offrire. Inoltre, l'analisi evidenzia come la maggiore insoddisfazione si riscontra quando avviene il passaggio di consegne tra IA e operatore. La principale fonte di esperienze negative per i consumatori, sotto il profilo delle interazioni automatizzate, è l'impossibilità di parlare o chattare con un operatore dal vivo quando necessario. Quasi la metà dei consumatori (47%) ha indicato questo aspetto come il motivo di fastidio primario. Le stesse aziende ne sono consapevoli, con una percentuale simile di dirigenti che lo segnala come la più importante lamentela ricevuta riguardo alle interazioni basate sull'intelligenza artificiale.

 

Oltre a questi aspetti prioritari, poi, c'è anche quello che gli esperti chiamano il paradosso della personalizzazione. Nonostante per i brand la personalizzazione sia una delle principali implementazioni dell'IA, la maggior parte dei consumatori non ne vede i vantaggi. Infatti, molti di loro hanno affermato che, nel complesso, la personalizzazione ha peggiorato la loro esperienza d’acquisto (30%) piuttosto che migliorarla (26%). In questo senso, il riferimento in particolare è legato al significativo elemento della privacy. Il 65% dei dirigenti afferma che le norme sulla tutela dei dati limitano la loro capacità di utilizzare l'IA per la personalizzazione. Si tratta di una questione cruciale, poiché il 54% degli acquirenti dichiara di aver perso fiducia nelle aziende per quanto riguarda l'uso corretto dei propri dati personali. “Il futuro della CX non riguarda la sostituzione degli operatori con agenti di intelligenza artificiale, ma l'utilizzo di quest’ultima per migliorare le interazioni umane - afferma Daniel Lawson, SVP, Global Solutions di Verizon Business -. Le aziende che utilizzano l'IA per anticipare le esigenze dei clienti, responsabilizzare i propri dipendenti e migliorare la personalizzazione nel rispetto della privacy saranno i leader di mercato di domani”.

 

COLMARE IL DIVARIO: ESEMPI REALI DI IA CHE FUNZIONA

Dalla ricerca, quindi, risulta chiaro come, oggi, l'intelligenza artificiale debba essere sfruttata con successo dalle imprese per potenziare le capacità dei team e migliorare l'esperienza dei clienti, piuttosto che per sostituire il contributo umano. E sotto questo profilo, in Italia, ci sono già alcuni casi d'eccellenza da cui prendere spunto, come quello proposto dal report, parlando del fornitore di servizi energetici Exelon, che viene citato nell'analisi come valida espressione del concetto di aiuto proattivo. Durante i lockdown dovuti alla pandemia di COVID-19, l'azienda infatti ha utilizzato l'intelligenza artificiale e l'analisi predittiva per identificare le famiglie a reddito medio che avrebbero potuto avere difficoltà a pagare le bollette energetiche. Ciò ha consentito loro di contattare in modo proattivo questi clienti con raccomandazioni personalizzate sui programmi di assistenza, guadagnandosi la loro gratitudine e dimostrando che l'IA può risolvere problemi reali con un approccio incentrato sull'uomo. Inoltre, sempre facendo riferimento a questo caso di studio, il rapporto suggerisce anche di sfruttare l'IA come assistente degli operatori. Secondo gli esperti, infatti, se invece di essere impiegata per sostituire il personale, l'AI viene adoperata per renderli più efficaci, come fatto da Exelon per l'appunto, grazie alle funzionalità di GenAI si potrebbe aiutare i dipendenti del servizio clienti a gestire le chiamate in modo più efficiente, fornendo i dati giusti al momento giusto e riassumendo il contenuto delle conversazioni, alleggerendo così il carico di lavoro degli operatori. Un obiettivo questo che sottolinea come in futuro per le imprese sarà fondamentale tanto investire sulle interzioni basate sugli essere umani, quanto su quelle basate sull'AI.

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7 AZIENDE SU 10 COMUNICANO ONLINE SENZA REGOLE E PERDONO CREDIBILITÀ: IL DANNO DELL’IMPROVVISAZIONE DIGITALE

Nel mercato iperconnesso di oggi, ogni interazione è un pezzo del puzzle che costruisce l’identità del brand. Eppure, molte aziende sottovalutano il danno che una comunicazione incoerente può causare. Il punto non è il singolo contenuto, ma l’assenza di una visione comune. Senza una regia, anche i post più creativi possono diventare boomerang.

Da dove nasce il problema? Solo il 25% delle aziende ha linee guida chiare su come comunicare, il resto va a braccio. Basti pensare che sono sufficienti 5–7 interazioni tra una persona e un brand per essere riconosciuti. Ma se ogni messaggio ha uno stile diverso, queste interazioni si annullano. Secondo Renderforest, una comunicazione coerente può aumentare i ricavi del 23%, mentre il 71% delle aziende ammette che l’incoerenza crea confusione nei clienti. E il danno si sente: 1 cliente su 3 abbandona un marchio dopo una sola esperienza negativa.

E allora succede quello che tutti vediamo: addetti alle vendite che fanno balletti in divisa su TikTok, scaffalisti che pubblicano reel sui propri profili mescolando vita privata e promozioni aziendali, post ironici e fuori tono che fanno ridere ma lasciano il segno (quello sbagliato). Tutto questo, anche se non parte dai canali ufficiali, finisce comunque per raccontare il marchio e spesso lo fa in modo stonato.

La verità è che il problema non sono i singoli contenuti, ma è la mancanza di una visione comune. Senza una regia, anche i post più creativi possono diventare boomerang.

 

IL DANNO (VERO) DELL'IMPROVVISAZIONE DIGITALE

Nel net-marketing, che si tratti di franchising, punti vendita locali o affiliati, assicurazioni ed agenti, la forza dovrebbe stare nella moltiplicazione del messaggio. Invece, senza regole condivise, si rischia l’effetto opposto: ogni voce dice la sua e nessuno ascolta davvero. “Il digitale non perdona l’improvvisazione, soprattutto quando si è presenti in tanti luoghi e con tante persone coinvolte”, spiega Arianna Ruzza, founder di Isual, realtà che ha come obiettivo quello di rendere più semplice e coordinata la comunicazione nelle reti commerciali. “Quando mancano indicazioni chiare, anche i contenuti più simpatici rischiano di danneggiare l’immagine complessiva. Servono strumenti facili, che aiutino chi lavora sul territorio a sentirsi parte della stessa narrazione, senza dover inventare tutto da capo ogni giorno”..

 

COORDINARE LA COMUNICAZIONE, NON CONTOLLARLA

Coordinare non significa mettere il bavaglio, significa dare strumenti concreti. Il 90% dei consumatori si aspetta coerenza tra sito, social, negozio fisico. Anche visivamente: l’uso costante di colori e font può aumentare l’impatto del brand fino all’80%. Ed è importante considerare che il 73% delle persone si fida di più di un marchio che ha un’immagine curata e riconoscibile. Non servono budget stellari, basta un metodo: linee guida semplici, contenuti pronti all’uso, piattaforme intuitive. Perché un brand non è solo un logo ma è tutto quello che si dice, si mostra e si pubblica ogni giorno. E in un mondo dove ogni cellulare può essere una vetrina, ogni contenuto è una scelta strategica. Un marchio forte si costruisce insieme, non in solitaria. Quando ogni punto vendita comunica per conto suo, il messaggio si disperde. Quando però tutti parlano con una voce diversa ma armonizzata, allora sì che la rete diventa davvero rete.

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AI E OMNICHANNEL CUSTOMER EXPERIENCE: LA NUOVA DIMENSIONE DEL RAPPORTO TRA BRAND E CONSUMATORI

In un mondo nel quale gli stimoli proposti ai consumatori da parte delle aziende, anche grazie all’utilizzo di nuove tecnologie, come l’intelligenza artificiale, sono sempre più frequenti, mirati, rapidi e multicanale, le esigenze di utenti e clienti si trasformano a un ritmo ancora più veloce e con una profondità e delle necessità quanto più capillari e diversificate possibile. In questo scenario, risulta chiaro, ormai, come la Customer Experience (CX) assuma un nuovo ruolo, in grado di trasportarla fuori dal semplice ambiente digitale, nel quale era stata contestualizzata negli ultimi anni, con l’avanzare dell’innovazione e dell’eCommerce, per porla in una dimensione liquida che, da una parte, è caratterizzata dalle strategie di azione e dai messaggi valoriali e comunicativi trasferiti attraverso la moltitudine di touchpoint oggi disponibili, ma, dall’altra, vede nella gestione relazionale tra brand e consumatori, nella fidelizzazione e, soprattutto, nella valorizzazione di fattori fondamentali come la trasparenza e la coerenza, la vera chiave di volta per avere successo su mercato in continua evoluzione.

 

Una tendenza, questa, su cui si è ragionato molto anche nel corso dell’ultima edizione del CMO Summit – organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano e realizzata all’interno del Business Leaders Summit, tenutosi lo scorso 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz Mico di Milano – al fine di analizzare e comprendere a fondo come le tecnologie emergenti stiano modificando lo scenario attuale e quali siano concretamente gli impatti prodotti sia per le aziende, sia per i loro clienti. “D’altronde – ha sottolineato durante il summit anche Benedetta De Michelis, Manager Business Development, B2You – Altroconsumo anche una realtà come la nostra, attenta per definizione ai bisogni dei consumatori e all’importanza del rapporto diretto con le imprese, considera la digitalizzazione un driver per la realizzazione di prodotti e servizi sempre più personalizzati e di qualità. E pensiamo che in particolare, l’Intelligenza artificiale permetterà di garantire un livello di esperienza per i clienti mai visto prima. In questo panorama, però, è fondamentale che non ci siano gap informativi e disallineamenti tra i consumatori, che devono essere in grado di interagire in maniera consapevole in questi nuovo contesto, e le aziende che devono riuscire a creare un rapporto continuativo, trasparente e valoriale con il proprio pubblico. E’ quindi essenziale per le imprese ascoltare, comprendere e integrare nella propria strategia la voce del consumatore, contribuendo così a creare consapevolezza nei clienti rispetto al nuovo contesto digitale”. Una visione precisa, sulle dinamiche da mantenere per salvaguardare la sostenibilità a 360 gradi del rapporto tra marchi e persone, che sottolinea come la Customer Experience oggi stia vivendo un momento di profonda trasformazione e rivoluzione su cui porre estrema attenzione da entrambe le parti.

 

LO STATO DELL’ARTE DELLA CUSTOMER EXPERIENCE

Un aspetto questo confermato anche dai dati, sia a livello nazionale, sia a livello internazionale. Basti pensare che, secondo l’istituto di ricerca Precedence, il mercato della Customer Experience a livello globale, oggi, sta crescendo velocemente, con una previsione incrementale che potrebbe portare il segmento a passare dagli attuali 17,36 miliardi di dollari, registrati nel 2024, a un valore pari a 64 miliardi di dollari, con un aumento totale di circa il 312% entro il 2034. Uno sviluppo che, come detto, non è solo quantitativo, ma riflette un’evoluzione strategica ben precisa, seguita anche dalle aziende tricolore che, per esempio, nella maggior parte dei casi, nel 2024, hanno implementato i loro investimenti nel campo dell’Omnichannel Customer Experience. Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio della School of Management del Politecnico di Milano, infatti, negli ultimi 12 mesi, due terzi delle grandi imprese italiane (69%) hanno aumentato il budget dedicato all’integrazione dell’Intelligenza Artificiale nelle proprie strategie OCX. Un dato che, rispetto al 2023 ha visto un aumento dell’11% sul totale, con un focus particolare sui progetti di Customer Care, che sono stati selezionati per l’implementazione di applicazioni di AI nel 49% dei casi. “D’altronde – ha ricordato Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience –, negli ultimi dieci anni, l’Omnichannel Customer Experience si è affermata come una leva strategica e fondamentale per numerose aziende; tuttavia, il cammino verso una piena maturità omnicanale rimane costellato da sfide complesse, sia organizzative sia tecnologiche. L’accresciuta consapevolezza delle imprese emerge dall’indice di maturità misurato dall’Osservatorio che ha registrato nel 2024 tassi di crescita ben superiori al passato. Tuttavia, oggi solo l’11% delle grandi aziende italiane si può considerare a uno stadio di maturità avanzato. In questo scenario, l’Intelligenza Artificiale – in particolare l’AI generativa – rappresenta un potenziale impulso alla trasformazione, offrendo da un lato un miglioramento dell’efficienza operativa e dall’altro facilitando esperienze personalizzate che, grazie a contenuti dinamici basati sulle preferenze individuali, accrescono la propensione all’acquisto e promuovono la fidelizzazione”. Nonostante questo, però, per cogliere appieno il valore dell’AI, già ora per le aziende, risulta fondamentale aver costruito solidi pilastri dell’omnicanalità: processi chiari, dati strutturati, infrastrutture tecnologiche adeguate e competenze specializzate. Tutti fattori su cui le imprese italiane sembrano dover ancora lavorare per raggungere un livello funzionale alle necessità del business. Senza questi elementi, però, il potenziale dell’AI e le possibilità di offrire un’esperienza realmente omnicanale, personalizzata e fidelizzante, rischiano di rimanere inespressi. Sotto questo profilo, un altro aspetto essenziale sono poi le competenze, tanto nella gestione dei dati, quanto nella creazione e nella gestione dei contenuti proposti ai clienti, della loro veicolazione coerente e della strategia trasparente cheli deve supportare. Anche per questo, tra l’altro, se il Customer Care è, indubbiamente, l’area su cui si concentra il maggior numero di investimenti, il marketing costituisce il secondo più importante ambito di applicazione dell’AI Generativa (40%), con progetti di AI discriminativa consolidati nel tempo, come il targeting, in grado di supportare le aziende nella scelta di indirizzo di una campagna, così come anche le segmentazioni più o meno avanzate. La GenAI ha, quindi, un impatto significativo, come si diceva, sulle attività di content management, consentendo l’analisi delle informazioni sui prodotti (sia testuali sia visive), la categorizzazione automatica e la generazione di descrizioni di prodotto dettagliate. Aspetti, questi, che, se gestiti con cura, offrono all’impresa la reale possibilità di instaurare un rapporto coerente e trasparente, per l’appunto, con i propri consumatori, confermando così la visione secondo cui per competere in un mercato dinamico, le aziende devono trasformare ogni interazione in un’opportunità di fidelizzazione. E in un’epoca in cui proprio il concetto di fidelizzazione non può più basarsi solo su prodotti e servizi, ma deve concentrare il suo focus su esperienze personalizzate e relazioni autentiche, il vero obiettivo dei brand deve essere quello di costruire relazioni a lungo termine tra professionisti e clienti, in grado, da una parte, di soddisfare i bisogni immediati delle persone, ma dall’altra, anche di dare vita a un rapporto duraturo di fiducia, coerenza e trasparenza. Anche perché, come ha spiegato De Michelis, nel corso del CMO Summit: “In un contesto sempre più digitale e tecnologico rimettere al centro la persona, i suoi valori e le sue esigenze sta diventando imprescindibile. Altroconsumo da sempre guarda al “consumo” non solo nella sua dimensione funzionale ma anche e soprattutto come manifestazione dei bisogni e delle abitudini della persona, e la relazione tra azienda e cliente sta andando in questa direzione, superando il puro atto di acquisto e diventando bidirezionale. Per questo, noi per esempio lavoriamo per un mercato più trasparente, giusto e sostenibile, nel quale gli interessi di tutti gli attori (cittadini, imprese e istituzioni) non siano in contrasto, ma in dialogo continuo e, a conferma di questo obiettivo sfidante, negli ultimi anni, con la creazione di B2You – Altroconsumo, abbiamo affiancato alla nostra mission più tradizionale una più generale attenzione alla società e alla sua evoluzione. Quindi, da un lato forniamo ai consumatori gli strumenti per fare scelte più consapevoli. Dall’altro, puntiamo a mettere a sistema, a beneficio di tutti gli stakeholders, insights e know-how che partono proprio dai bisogni e dai comportamenti dei consumatori”.

 

I TREND DELL’OCX: DALL’APPROCCIO CLIENTE-CENTRICO AGLI AI VOCAL ASSISTANT

Una tattica che, oltre a dare un concreto supporto alle aziende nell’interpretazione e nell’adattamento al cambiamento culturale e sociale in atto, intercetta anche una tendenza crescente messa in atto da parte del mondo del business. Secondo i dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, infatti, le aziende italiane stanno iniziando a dare sempre più valore anche al fattore organizzativo e umano, oltre che a quello tecnologico. Le rilevazioni, infatti, mostrano come, per esempio, la presenza di figure responsabili della trasformazione OCX risulti stabile, con il 41% delle aziende italiane che ha già istituito tali professionalità e il 17% che ne è alla ricerca, dimostrando una necessità ormai consolidata di ruoli capaci di guidare il cambiamento. Allo stesso modo, l’Employee Experience assume un ruolo sempre più rilevante: il 40% delle aziende organizza programmi formativi per i propri dipendenti, e circa il 25% ha introdotto iniziative per sensibilizzare il personale sull’importanza di un approccio cliente-centrico. Una strategia che, tra l’altro sta portando sempre più aziende a cercare di rendere anche l’esperienza di acquisto digitale più realistica, sfruttando proprio le applicazioni di intelligenza artificiale basate su assistenti vocali con i quali poter conversare a voce. Un’opportunità che si sta trasformando in un vero e proprio trend di mercato globale, reso possibile anche dalla grande penetrazione che questa tecnologia emergente sta riscontrando. Basti pensare che, solo in Italia, per esempio, secondo i dati dell’Osservatorio di Indigo.ai, l’Intelligenza Artificiale è sempre più protagonista della quotidianità dei consumatori, tanto che oltre la metà della nostra popolazione (53%) dichiara di utilizzarla ormai regolarmente e ben il 68% ne riconosce l’impatto positivo nella vita di tutti i giorni. Come supporto allo studio e alle attività lavorative (45%) o come ispirazione per il tempo libero (39%) e i viaggi (26%), ma non solo. 1 italiano su 3, infatti, secondo l’analisi, si rivolge all’AI anche per ricevere assistenza prima di un acquisto (33%). Un dato che corrisponde quasi al doppio rispetto al 2024 (18%), mentre nel post-vendita il loro utilizzo sale al 49%, rispetto al 36,5% dell’anno precedente. Oltre a questo, è importante sapere anche che, se è vero che l’AI diventa fonte di consigli, è altrettanto vero, come emerge dall’analisi, che i consumatori dello Stivale sanno bene cosa vogliono e si aspettano un servizio clienti all’altezza, che non tradisca valori consolidati nel tempo e fornisca livelli adeguati di efficienza e chiarezza. Sotto questo profilo, quindi, cortesia e disponibilità (47%) – apprezzate soprattutto dai Millennials (50%) –, accanto a rapidità nel risolvere i problemi urgenti (47%), facilità nel trovare i contatti (43%), tempi di attesa limitati (40%) e precisione nelle risposte (40%) diventano gli elementi essenziali per creare un buon rapporto di fiducia con i clienti tricolore. 

 

LE SFIDE DELL’INNOVAZIONE NELLA CUSTOMER EXPERIENCE DEL FUTURO

Analogamente, gli italiani non sono disposti a scendere a compromessi e possono arrivare a interrompere l’acquisto se il servizio clienti non fornisce risposte veloci (65%), se non è raggiungibile 24/7 (48%), oppure a fronte di risposte non esaustive (86%) e di mancata coerenza tra i vari canali (82%). Proprio l’omnicanalità, dunque, come già detto, rappresenta una delle maggiori sfide in termini di Customer Experience, oggi sempre più ibrida, fluida e distribuita. Oltre che tramite gli assistenti virtuali (60%), infatti, i brand vengono contattati dai consumatori anche via email (91%), call center (77%) e direttamente in negozio (69%): si tratta di touchpoint multipli, il cui allineamento mette ancora in difficoltà più della metà delle aziende italiane (53%). A questo, poi, si aggiunge anche l’urgenza di rispondere tempestivamente alle richieste critiche si annovera tra le sfide principali, indicata dal 79% dei professionisti e in netto aumento rispetto al 68% dell’anno precedente. A questo si aggiungono richieste poco chiare (76%), carichi di lavoro elevati dovuti alla quantità delle richieste stesse (65%) e difficoltà nel reperire rapidamente le informazioni corrette (62%), problemi che evidenziano una necessità sempre più stringente di integrazione tra sistemi, canali e knowledge base.

 

EMPATIA E VALORE UMANO: IL SEGRETO DI UNA FIDELIZZAZIONE DI SUCCESSO

Eppure, quando i consumatori riscontrano un servizio clienti personalizzato ed empatico, le dinamiche cambiano: se prima di procedere all'acquisto sapessero di poter contare su una chat per chiedere informazioni (64%) e se avessero a disposizione un customer care efficiente e facile da raggiungere (64%), secondo l’analisi di Indigo.ai, gli italiani spenderebbero addirittura di più. A tal punto che quasi 1 utente su 5 (19%), oggi, dichiara di essere molto propenso a premiare un’assistenza clienti efficace con una recensione positiva, mentre ben il 50% conferma di essere pronto a lasciare un riscontro negativo dopo un’esperienza deludente. Un aspetto culturale, questo, che si sta evolvendo anche dal punto di vista delle aziende. Secondo la ricerca, infatti, la consapevolezza del valore delle possibili recensioni da parte dei clienti, nella costruzione della reputazione del brand e nel condizionamento delle scelte d’acquisto, sta aumentando. Tanto che, nel 2025, 1 professionista su 3 (34%) ritiene che le recensioni rappresentino un elemento centrale del posizionamento competitivo, portando così il 49% dei rispondenti a mantenere una posizione più prudente, ritenendo che l’AI possa migliorare l’esperienza utente in maniera decisamente rilevante, ma che non sia sufficiente da sola a modificare significativamente l’opinione dei clienti su un prodotto o sul valore di un brand e delle sue attività. 

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Marketing & Innovation

ALGIDA, DA (QUASI) OTTANT’ANNI SIMBOLO SENZA TEMPO DELL’ESTATE ITALIANA, GRAZIE A UNA COMUNICAZIONE CHE PARLA AL CUORE DELLE PERSONE

In un’epoca in cui l’AI regna sovrana, anche e soprattutto nella generazione di contenuti, il mondo del marketing inizia lentamente a risvegliarsi per cercare di differenziare le proprie attività dal resto del mondo e permettere ai brand, in questo modo, di rimanere rilevanti sul mercato al netto di una standardizzazione sempre più sotto gli occhi di tutti.

Uno dei modi migliori per attivare questo processo, però, si sa, è quello di studiare la storia e le imprese d’eccellenza, come quelle che hanno reso grande il nostro Made in Italy. Ed è così che, in una delle estati più calde e torride di sempre, mentre il termometro supera i 40°C in tutta Europa e la produttività delle aziende cala, a tal punto da convincere anche il governo a siglare un protocollo con le parti sociali per la salvaguardia dei lavoratori, tra le letture più interessanti da approcciare (anche sotto l’ombrellone) emerge: “Algida. Il cuore dell’estate dal 1947”. Un volume, edito da Treccani, altro brand iconico che proprio quest’anno compie 100 anni, e realizzato dalla giornalista e autrice, Giulia Cavaliere, in forma di saggio autobiografico, che celebra lo storico marchio dell’estate italiana come simbolo culturale di un Paese che, forse, oggi deve ritrovare la strada per tornare ai fasti che lo rilanciarono negli anni del dopoguerra.

Fondata nel 1947 a Roma da Italo Barbiabu e Alfred Wiesner, il “Cuore  rosso su fondo bianco” ha saputo trasformare, fin dai suoi esordi, un prodotto artigianale in un vero e proprio fenomeno pop di portata nazionale e internazionale, grazie alla sua comunicazione entrata a pieno titolo nella tradizione tricolore. Dal jingle che cantava il “Cuore di panna” fino ai “morsi contati” di Cucciolone e ai coloratissimi – e attesissimi – cartelli che, nei bar, annunciavano le novità dei gelati, in questo viaggio di ricordi personali e popolari, ALGIDA racconta la sua straordinaria storia: un intreccio di imprenditorialità, creatività e tradizione, che ha trasformato il gelato in un rito sociale, un gesto familiare, una forma di identità e appartenenza collettiva. Con quasi ottant’anni di storia, infatti, il brand ha accompagnato generazioni intere di italiani, rappresentando non solo un’eccellenza nel settore alimentare, ma anche un punto di riferimento nella vita quotidiana e nella memoria del nostro Paese.

 

UN’ICONA DELL’IMMAGINARIO ITALIANO

Ma ciò che rende unica Algida è la sua capacità di costruire un lessico familiare fatto di sapori, cartelli di latta, riti estivi e scene di vita al bar, come raccontato in maniera toccante da Cavaliere. L’esperienza del gelato Algida non è solo individuale, ma collettiva: un momento che unisce adulti e bambini, crea legami, costruisce ricordi. È la memoria di un’Italia che cresce, che si racconta attraverso i gesti semplici di ogni giorno. Come sottolinea Massimo Bray, Direttore Generale di Treccani, nella prefazione al volume, Algida ha saputo fare della qualità e dell’attitudine a rinnovarsi i suoi punti di forza, diventando un punto di riferimento per intere generazioni. Nata nella Roma del dopoguerra, in un’Italia ancora ferita ma desiderosa di rinascere, Algida ha saputo interpretare i sogni e i gusti degli italiani, attraversando mode e cambiamenti sociali. Ogni gelato ha rappresentato un’epoca, un’immagine, un ricordo, evocando sensazioni di piacere e convivialità, parte integrante dell’immaginario italiano, accanto a icone come la Vespa o la 500. La sua storia è stata celebrata anche in importanti eventi culturali, come la mostra “Identitalia – The iconic italian brands” organizzata presso il MIMIT a Roma, che ha sottolineato il ruolo di Algida tra i marchi più rappresentativi e amati del Paese, testimonianza del suo impatto sulla cultura e sull’economia italiana.

 

LA COMUNICAZIONE IERI E OGGI

 La presenza di Algida nella cultura popolare italiana è radicata da decenni, grazie a una comunicazione capace di evolversi senza mai perdere il proprio tratto distintivo. Fin dagli anni Sessanta, Algida ha saputo farsi amare anche attraverso la televisione, con la partecipazione al Carosello e spot entrati nell’immaginario collettivo, come il celebre “Posso dire una parola?” del 1963. Negli anni Novanta, ha continuato a essere rilevante con claim memorabili come “Le altre merende hanno i morsi contati”, confermando la sua capacità di parlare a generazioni diverse, sempre con uno stile riconoscibile. Questa coerenza nel tempo si riflette nella forza della sua “famiglia” di prodotti Algida: Fior di Fragola, Croccante, Cucciolone, Cremino, Liuk e Solero, tra gli altri, sono gelati tutti diversi tra loro ma uniti da un’anima comune: prodotti che interpretano gusti e desideri eterogenei, dai sapori decisi a quelli più delicati, dalle note esotiche alle sensazioni più rassicuranti.


Oggi la comunicazione Algida continua questo percorso, trovando nuove forme e nuovi canali per raccontarsi: la campagna estiva 2025 è un progetto integrato che vive tra online e offline, pensato per rinsaldare il legame affettivo con i consumatori storici e raccontare ai più giovani la storia di prodotti nati per intercettare i gusti di tutti. Da un lato, una narrazione social, attraverso video creativi e i contenuti di creator, che valorizza la personalità unica di ciascuno dei gelati protagonisti; dall’altro, uno “Spotted Tour” pensato per portare sul territorio l’amore per i gelati più iconici dell’estate italiana e incontrare dal vivo le persone. Le mascotte saranno infatti protagoniste di quattro tappe del Vertical Summer Tour di Radio Deejay: il 12 e 13 luglio a Bibione, il 2 e 3 agosto a Marina di Massa, il 9 e 10 agosto a Terracina, e infine il 22, 23 e 25 agosto a San Vito Lo Capo. I partecipanti potranno mettersi alla prova nel “cacciare” i loro gelati preferiti, immortalandoli in uno scatto, che permetterà di ricevere un gadget Algida. Un’occasione unica per vivere un momento di leggerezza e condivisione, con giochi ed esperienze interattive, nel segno della spensieratezza estiva e della passione per i gelati.  

 

TUTTO EBBE INIZIO DAL CREMINO ALGIDA: UN SOGNO DI “RESISTENZA”

L’origine di tutto: un semplicissimo – ma delizioso - gelato alla panna e latte fresco su stecco, rivestito di cacao magro. Nato nel 1948 dall’idea di un figlio di Celestino Faccenda, l’uomo che a Morro d’Alba salvò Alfred Wiesner dai nazifascisti durante il suo periodo nella Resistenza marchigiana. Una volta fondata l’Algida, Alfred assunse quattro figli di Celestino. A uno di loro, Mario, si deve il primo gelato mai prodotto da Algida.

 

CROCCANTE ALGIDA: IL DOLCE SUONO DEL GUSTO

Nel 1964, poi, arrivò il Croccante Algida. Un gelato ricco e iconico al gusto di vaniglia, caratterizzato da una cremosità inconfondibile grazie all’uso di panna fresca italiana al 100% e latte fresco italiano di alta qualità. Al cuore del gelato si trova un delizioso ripieno all’amarena, mentre l’esterno è impreziosito da una croccante copertura al cacao magro con granella di nocciole, meringa, biscotti e cialde. A questo gelato Patty Pravo dedicò “Ragazzo triste” o “Qui e là” per la serie “Irresistibile”, siglando quel connubio tra musica e gelato che dagli anni ’60 riunisce gli italiani nelle più belle piazze del Paese per dare vita a concerti senza tempo.

 

CUCCIOLONE ALGIDA: UNO STORYTELLING GOLOSO E D’AUTORE

“Le altre merende hanno i morsi contati”. Erede del Camillino Eldorado, il Cucciolone Algida nasce alla fine degli anni ‘70 (1976): due biscotti al malto con dentro un gelato trigusto - allo zabaione, cacao magro e vaniglia con latte fresco italiano di alta qualità – con disegnate sopra delle vignette sempre diverse. Oggi possiamo trovare i fumetti di Sio, ma questo amatissimo gelato sui suoi biscotti ha ospitato anche "Paperino”i, “Topolino” e “Pippo” grazie a una collaborazione con la Disney, e poi la mascotte dell’Eldorado, l’”Eldo Leo” di Giorgio Cavazzano e la mucca di Federico Panella.

 

GLI ANNI ’90: UN VIAGGIO AGRUMATO TRA COMPLETEZZA ED ESOTISMO

Arrivano così gli anni ’90, quelli del consumismo sfrenato, del tutto e subito, dei viaggi esotici dal sapore caraibico, ma dal fascino mediterraneo. Un mix di culture, punti di vista, freschezza e colore che Algida fa propri con due prodotti iconici: Liuk e Solero. Il primo è l’originale stecco gelato che può essere mangiato dall’inizio alla fine. Si contraddistingue per la sua freschezza data dal gusto leggero del sorbetto al limone (con Limoni di Sicilia) e dell’iconico stecco alla liquirizia. Mentre, il secondo nasce nel 1995, conquistando fin da subito il palato dei consumatori con la sua irresistibile combinazione di gusto e freschezza. Questo iconico gelato si distingue per l’incontro tra la cremosità del gelato alla vaniglia e la vivace intensità della variegatura e della copertura di sorbetto alla frutta esotica.  

 

LA FELICITA' DI "SCARTARE L'ESTATE" CON CORNETTO

Un viaggio senza tempo, insomma, che rimane ancorato oggi a ricordi, sensazioni ed emozioni che non hanno solo dato vita a un brand iconico, ma hanno trasformato un marchio in un simbolo familiare, nel quale riporre fiducia e a cui poter accostare un sentimento di appartenenza che va oltre il gusto e il piacere di assaggiare qualcosa di buono, ma allarga i suoi confini verso suoni, odori e immagini che rimangono cristallizzate dentro di noi, riportandoci lì dove e come vorremmo essere ogni giorno: felici, in vacanza, con le persone che amiamo. Proprio a questo concetto, peraltro, si rifarà anche la campagna pubblicitaria del più famoso tra i prodotti Algida, l'intramontabile Cornetto, che, nato nel 1959 dall'idea di un gelatiere napoletano, fu brevettato a livello industriale da Unilever sotto l'insegna di Algida nel 1976 e da allora diventò il vero ambasciatore della marca in tutto il mondo, con il claim "Scarta l'estate con Cornetto". Uno slogan che quest'anno si unirà, negli spot televisivi, a un altro classico della musica italiana, come per l'appunto Felicità, al fine di sottolineare ancora una volta come la semplicità della "lunga estate italiana", delle sue tradizioni e dei suoi gesti familiari, continuino a resistere nonostante il passare del tempo e i cambiamenti in atto, dando sicurezza e serenità a chi li ricerca.

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