Nel contesto del business internazionale, la resilienza finanziaria delle aziende è diventata un argomento di grande rilevanza, non solo per la stabilità dei singoli mercati, ma anche per l'equilibrio economico globale. Le dinamiche legate ai dazi commerciali, alla nascita di nuove imprese e alle innovazioni tecnologiche stanno mutando il panorama delle insolvenze, con effetti che, secondo le previsioni, si faranno sentire almeno fino al 2027. Questo è quanto emerge dall'ultimo Insolvency Report di Allianz Trade, che delinea un contesto in cui i fallimenti aziendali continuano a salire, con l'Italia come protagonista tra i Paesi più colpiti. Un osservatorio che abbiamo voluto analizzare meglio anche in vista della prossima edizione del Re-Inventing Finance, l'evento dedicato ai CFO italiani, organizzato da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, e previsto il prossimo 27 novembre 2025 presso lo Spazio Field di Palazzo Brancaccio a Roma, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell'impresa contemporanea.
IL BEL PAESE RITORNA AI LIVELLI PRE-PANDEMIA
Secondo il rapporto, infatti, dopo il minimo storico toccato a metà 2023, il numero di insolvenze aziendali del nostro Paese, ha ripreso a crescere in modo significativo. Per quest'anno, si prevedono circa 13.000 casi, con un aumento del +35% rispetto al 2024 (9.612). Questo segna il terzo anno consecutivo di crescita, dopo il +17% del 2024 e il +9% del 2023. Tutti i settori stanno contribuendo a questo innalzamento, con aumenti a doppia cifra nella maggior parte delle aree. I comparti maggiormente interessati, che da soli rappresentano oltre il 65% delle insolvenze, includono: commercio (21%), costruzioni (19%), manifatturiero (16%) e ospitalità (9%). Le previsioni di Allianz Trade indicano che il trend rimarrà elevato anche nel 2026, con circa 13.400 casi (+3%), mentre solo nel 2027 si prevede un lieve miglioramento, con una riduzione stimata del -5%.
UN FENOMENO A MACCHIA D’OLIO: CINQUE ANNI DI “CRESCITA” GLOBALE
A livello globale, l’Osservatorio prevede un aumento delle insolvenze del +6% nel 2025, seguito da un ulteriore +5% nel 2026. Questo porterà a cinque anni consecutivi di crescita delle situazioni di insolvenza, raggiungendo un livello record che supera del 24% la media pre-pandemica. Solo nel 2027 si prevede un'inversione di tendenza, con un calo dell'1%. I dati già disponibili per il 2025 mostrano, infatti, aumenti significativi in Asia e in Europa occidentale, con picchi in Italia (+38%) e Svizzera (+26%). Anche economie chiave, come la Germania (+2.500 casi) e gli Stati Uniti (+2.100), stanno registrando un incremento, mentre il Regno Unito sembra stabilizzarsi.
DAZI E COMMERCIO MONDIALE: IMPATTO RITARDATO
L'introduzione di dazi generalizzati da parte dell'amministrazione statunitense, con un tasso effettivo che arriverà al 14% entro la fine del 2025, non ha ancora scatenato l'ondata di fallimenti temuta negli Stati Uniti. Finora, infatti, gli esportatori esteri hanno assorbito gran parte dei costi, mantenendo i prezzi sotto controllo o dirottando i flussi commerciali verso Paesi terzi come India e Vietnam. Tuttavia, il Report mette in guardia sul fatto che questo effetto protettivo potrebbe esaurirsi nel 2026, quando l'aumento dei prezzi si farà sentire più direttamente sulle imprese e sui consumatori americani. Nel frattempo, le economie che dipendono fortemente dall'export potrebbero affrontare gravi conseguenze in termini di insolvenze: nel peggiore dei casi, Canada (+1.900), Francia (+6.000), Spagna (+2.900) e Paesi Bassi (+700) potrebbero subire i danni maggiori. Al contrario, l'impatto su Germania, Regno Unito, Italia e Belgio sembra essere minimo, grazie a mercati più diversificati e a solide basi interne.
TRE VULNERABILITÀ CHIAVE PER IL FUTURO
Guardando al futuro, ci sono tre fattori di rischio che potrebbero mantenere alti i livelli di insolvenza:
IL BOOM TECNOLOGICO E IL RISCHIO DELLA “BOLLA AI”
L’ultimo aspetto di vulnerabilità da considerare è la crescita di nuove imprese, stimolata dalla digitalizzazione e dall'avanzamento dell'intelligenza artificiale. Tra il 2021 e il 2024, le nuove registrazioni di organizzazioni sono aumentate del 9% in Europa e del 36% negli Stati Uniti rispetto al periodo 2016-2019. Questa espansione, se da un lato promuove innovazione e occupazione, dall'altro aumenta il rischio di fallimenti, in particolare tra startup e aziende più fragili. Allianz Trade mette in guardia che un possibile scoppio della “bolla AI”, simile a quella delle dotcom, ossia tutte quelle società di servizi che sviluppano la maggior parte del proprio business attraverso un sito web, potrebbe portare a +4.500 insolvenze negli Stati Uniti, +4.000 in Germania, +1.000 in Francia e +1.100 nel Regno Unito.
UN EQUILIBRIO DELICATO DA MANTENERE
Considerando il quadro tracciato da Allianz Trade, per le aziende, la sfida sarà duplice: da un lato, dovranno rafforzare la loro resilienza finanziaria in un contesto di crescita debole e costi del credito elevati; dall’altro, dovranno affrontare le trasformazioni strutturali legate alla tecnologia e al commercio globale. Un equilibrio delicato, che determinerà la loro capacità di sopravvivere e competere nei prossimi anni.
«Rimanere al passo con i tempi, oggi, è ‘già vecchio’. La priorità è proiettarci nel futuro e quindi modellare la nostra agenda basandosi sulle tendenze future, che rimarranno centrali e strutturali». Non è solo una visione di lungo periodo quella proposta da Luca Moroni, CFO di A2A, in occasione della nuova edizione del report annuale dal titolo "Keep Time and Manage Leadership", prodotto da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano, pensato per indagare alcuni degli aspetti più importanti da considereare per la leadership del mondo dell'impresa contemporanea e presentato lo scorso 19 giugno 2025 in apertura del Business Leaders Summit, tenutosi presso l'Allianz MiCo di Milano. Il manager, infatti, nel corso di questa intervista, raccolta a margine dell'evento, ha voluto evidenziare l'importanza di una vera e propria attitudine a lanciare il cuore e la mente oltre l’ostacolo, senza soffermarsi alla singolarità dell’elemento, ma osservando il contesto in maniera olistica, consapevole e strategica. «Il debito tecnologico, i continui stimoli, la velocità di reperimento delle informazioni che cambiano rapidamente, anche come priorità nelle nostre agende ed il continuo proiettarci in una società di servizi, rispetto a una di produzione – aggiunge Moroni – ci spinge a ridare valore al tempo, che è la nostra risorsa più importante e controllabile».
IL TEMPO DELL'ASCOLTO
D’altro canto, fin dai tempi antichi l’importanza dell’utilizzo del tempo in maniera da arrecare beneficio per la comunità circostante è stato un tema di rilievo. «Seneca nel “De brevitàte vitae” – prosegue il CFO – è l’autore latino che più mette in luce questo concetto, inveendo contro l’indolenza dell’epoca che stava vivendo. E allo stesso modo, credo che oggi dobbiamo essere presenti in maniera attiva vicino alle problematiche “operative”, tornando alla dimensione della risoluzione delle “cose di ogni giorno”, ascoltando attivamente ed agendo al fianco del business, anche attraverso l’utilizzo di metriche condivise, e nel pensiero laterale e strategico». In quest’ottica le priorità sono da ricercarsi concentrandosi sulla visione dell’azienda come parte di un ecosistema complesso, nel quale l’impresa non è attore passivo bensì attivo verso il bene comune nel settore in cui opera, allineando i bisogni dei suoi stakeholders interni ed esterni. «In tale ottica – spiega Moroni –, bisogna concentrarsi, internamente, sull’attenzione alle risorse, ovvero le persone, in primo luogo. Poi, si può guardare alle materie che vengono lavorate o ai servizi prodotti e ai sistemi. Le risorse vanno valorizzate in sincronia con ciò che ci propone il futuro: competenze tecnologiche, attenzione ai dati, analisi delle tendenze economiche globali, sempre più interconnesse». Esternamente, invece, l’esigenza di attenzione cambia. «Spostando il focus al di fuori del perimetro aziendale – sottolinea il manager – la necessità di ascolto si modifica, orientandosi, invece, sulle istanze che arrivano da territori e istituzioni, da fornitori e clienti e dalla comunità finanziaria. In questo senso, in A2A abbiamo diverse iniziative di valorizzazione delle risorse interne, come ad esempio la “call for idea” per ingaggiare le nostre risorse attraverso lo stimolo al pensiero laterale che allinei trend e innovazione, accelerando i possibili scenari futuri, mentre per gli stakeholder esterni ci sono modalità di ingaggio dedicate, attraverso forum territoriali, nei quali condividiamo con istituzioni e comunità locali le nostre iniziative di investimento, con particolare attenzione agli impatti in termini di sostenibilità. Inoltre, gestiamo road-show con la comunità finanziaria, nei quali raccontiamo la strategia del gruppo orientata verso i due pilastri: transizione energetica ed economia circolare». Uno scenario, questo, nel quale, ovviamente, misurazione, ottimizzazione e massimizzazione rappresentano solo alcune delle azioni che si collegano al concetto di tempo quando lo si rapporta al mondo dell’impresa e dell’area amministrazione, finanza e controllo, imponendo il bilanciamento tra tempo dedicato a formarsi su nuove competenze e lavoro tradizionale. Questa ricerca di equilibrio passa attraverso una forte prioritizzazione tra il tempo da concedere alla costruzione di una strategia futura e quello da concedere alle proprie risorse per la loro crescita in tale direzione.
IL TEMPO DEL DIGITALE E DELLE NUOVE COMPETENZE
In questo contesto, complesso da gestire e composto da molteplici stimoli, richieste, distrazioni e necessità, indubbiamente l’innovazione tecnologica ha ricoperto e ricopre un ruolo sempre più importante, tra rischi e opportunità, per trovare un passo continuo nell’evoluzione delle attività. «La tecnologia, secondo me – commenta Moroni –, non deve mai essere fine a sé stessa. Se non si ha consapevolezza di questo si rischia di spendere tempo a rincorrere delle mode. Per rimanere sempre umani e vicini alle esigenze delle persone e delle organizzazioni è indispensabile, invece, introdurre vari radar con cui ascoltare dipendenti, clienti e investitori, comunità civili e finanziarie. Comprendere tra tutte le esigenze quelle che sono comuni e, quindi, da rafforzare, cui rispondere attraverso la tecnologia, che implica avere sistemi e infrastrutture innovativi». Anche perché, posto l’essere cruciale per ogni tecnologia consolidata nella struttura e nella cultura aziendale, risulta evidente ormai come non ci sia mai una soluzione che vada bene per qualsiasi esigenza, dato che ogni azienda ha il suo DNA e i suoi tempi che vanno rispettati. «Quello che conta davvero, infatti – suggerisce il manager –, è che l’adozione di strumenti di nuova generazione arrivi prima di tutto dalle persone, attraverso lo sviluppo di solide competenze e di un mind-set, in grado di gestire i nuovi assetti di flussi e processi di lavoro che si vengono a creare». A sottolineare come massimizzare e ottimizzare la produttività del tempo implica la conoscenza e la curiosità di fare le cose in maniera diversa, capendone i benefici. «Il nostro ruolo come leader aziendali – ci tiene a specificare Moroni – è ascoltare i bisogni e stimolare il pensiero, affinché si possa comprendere che le cose possono farsi anche diversamente, con l’obiettivo di ottimizzare tempi e massimizzare gli sforzi, accompagnando le nostre persone nell’utilizzo della tecnologia. Come leader dobbiamo indicare la strada dei benefici derivanti dal pensiero critico, applicato ad una produzione di dati e modelli operativi differenti, grazie a un utilizzo di strumenti nuovi quali l’intelligenza artificiale generativa (e non)». Un’abilità di grande valore, questa, orientata alla focalizzazione su quella che probabilmente sarà la vera sfida dell’essere umano nei prossimi anni, ovvero imparare a rapportarsi alla digitalizzazione con lo scopo di generare un vantaggio competitivo sul mercato. «Per fare questo dovremo sviluppare delle skill fondamentali per evolvere la nostra dimensione di professionisti da semplici esecutori ad architetti del valore condiviso. Serve quindi sviluppare le soft skills in noi e nei nostri collaboratori alla pari delle competenze tecniche partendo dallo stimolare una mentalita’ aperta, ovvero non stare in comfort zone e uscire senza paura di cadere perché le cicatrici si riparano e rafforzano. La velocità in cui cambia il mondo esterno alle aziende ci impone di rispondere in maniera sempre più rapida, flessibile e urgente, ma ovviamente con un margine di errore sempre più basso prendendosi un rischio sempre più elevato. Inoltre, risulterà necessario anche capire sé stessi, i propri punti di forza e i “not negotiables”, ovvero ciò che non si farà mai. Per me sono l’etica, l’educazione, l’equilibrio in senso lato, ma naturalmente per ogni persona variano e conoscerli diventa una pratica imprescindibile per governare la propria capacità gestionale, soprattutto sotto pressione e nei momenti di criticità imprevisti che risultano ormai il new normal di quest’epoca complessa che stiamo vivendo. Infine, essere sempre presenti in un mondo in continua evoluzione con un approccio costruttivo, provando a dare risposte ai temi di oggi, ma pensando costantemente a intercettare a trend di domani, sarà la vera chiave di volta per puntare al successo».
Workday, Inc e ANDAF Lombardia hanno lanciato per il quarto anno consecutivo il sondaggio Il Futuro del Finance. Negli ultimi anni il ruolo del CFO. infatti, si è trasformato in modo sostanziale, ampliando il proprio perimetro d’azione e rafforzando l’influenza nei processi decisionali aziendali. Una metamorfosi che trova conferma nei risultati della survey, che restituisce l’immagine di un Finance sempre più orientato all’efficienza operativa e alla qualità del dato, considerati peraltro elementi chiave per un utilizzo maturo dell’intelligenza artificiale.
Secondo quanto emerge dall'analisi, le priorità attuali dei CFO italiani riguardano principalmente l’ottimizzazione dei processi aziendali (59%), evidenziando una forte crescita rispetto al 2022 (quando questo aspetto era stimato al 37%), la gestione della liquidità (43%) e una maggiore attenzione alla data governance (31%), ambito che diventa sempre più centrale con l’ampliarsi della disponibilità di dati e la necessità di condivisione trasversale tra le funzioni. Questo orientamento conferma una spinta decisa verso la digitalizzazione, ma il percorso resta ostacolato da fattori strutturali: il 36% segnala sistemi informativi inadeguati, il 58% lamenta una frammentazione dei dati che richiede continui sforzi di riconciliazione e il 45% evidenzia come la persistenza di una cultura aziendale ancorata a modelli tradizionali rappresenti il principale freno al cambiamento. “Emergono con chiarezza i segnali di un cambio di passo per il CFO, sempre più chiamato a superare il ruolo tradizionale di gestore di numeri per diventare un abilitatore del cambiamento strategico. L'evoluzione tecnologica, l'intelligenza artificiale e la disponibilità sempre maggiore di dati impongono un nuovo paradigma decisionale, in cui la qualità dell’informazione e la capacità di lettura trasversale diventano elementi fondamentali. Per affrontare le sfide dei prossimi anni sarà necessario promuovere una cultura aperta all’innovazione, investire sulle competenze digitali e rafforzare la collaborazione tra le funzioni, rendendo il Finance sempre più centrale nel guidare la crescita e la resilienza aziendale”, ha commentato Vittorio Biassoni, Vicepresidente di ANDAF Lombardia.
FINANCE DATA-DRIVEN: SKILL, GOVERNANCE E AI COME LEVE EVOLUTIVE
Guardando poi alle priorità del prossimo triennio, il report sembra tracciare una evidente direzione evolutiva della funzione Finance: per il 57% dei CFO italiani, lo sviluppo delle competenze digitali rappresenta la leva strategica per affrontare sfide sempre più complesse e costruire un Finance più integrato, resiliente e orientato ai dati, capace di governare l’incertezza e valorizzare appieno il potenziale dell’intelligenza artificiale. Una trasformazione che non si limita all’adozione di nuove tecnologie, ma implica una revisione profonda dei ruoli, delle competenze e dei processi. Se, da un lato, si conferma la centralità di figure ibride e specializzate per il futuro del Finance — come il Data Scientist (49%), il Behavioural Scientist e il Roboticist (indicati complessivamente dal 59%) — a testimonianza di una crescente apertura verso approcci interdisciplinari e modelli predittivi avanzati, dall’altro, si rafforza la consapevolezza che la qualità del dato e una data governance condivisa tra le funzioni rappresentano condizioni imprescindibili per superare la frammentazione informativa ancora esistente e garantire coerenza e allineamento nei processi decisionali. “La trasformazione digitale del Finance richiede molto più dell’adozione di nuove tecnologie: il vero fattore abilitante è oggi la qualità del dato. Senza dati affidabili, strutturati e accessibili, nessuna tecnologia, nemmeno l’intelligenza artificiale, può generare reale valore. Non sorprende quindi che, accanto allo sviluppo delle competenze digitali, emerga con forza la necessità di rafforzare la data governance: la crescente disponibilità di informazioni, spesso frammentate, rende evidente la necessità di costruire un approccio condiviso, in grado di superare le logiche a silos che ostacolano la coerenza dei processi decisionali. Il CFO è chiamato a guidare questo cambiamento, sviluppando una visione trasversale del dato e promuovendo un linguaggio comune tra le funzioni. In questo contesto, il salto di qualità è evidente: da custode delle procedure a promotore di una cultura data-driven, in cui l’intelligenza artificiale rappresenta non solo un acceleratore tecnologico, ma uno strumento decisivo per anticipare scenari, mitigare i rischi e abilitare decisioni più rapide e consapevoli”, ha commentato Fabrizio Rotondi, Country Manager di Workday per l’Italia.
LA LUNGA STRADA VERSO LA TRASFORMAZIONE DIGITALE
Una visione che, tuttavia, si confronta con una realtà ancora distante dalla piena maturazione. Il panorama attuale mostra infatti come l’intelligenza artificiale, pur riconosciuta come leva strategica, non sia ancora diffusa in modo capillare: il 50% dei CFO dichiara di non utilizzarne ancora le soluzioni, mentre solo il 5% ha integrato agenti digitali nei processi strategici, segnalando una trasformazione ancora in fase embrionale che richiede maggiore slancio operativo e visione sistemica. Inoltre, solo il 22% delle aziende dispone di una roadmap AI strutturata, basata su benchmark, metriche di maturità e business case: in assenza di un disegno condiviso, molte iniziative si fermano a esperimenti isolati, incapaci di scalare e produrre valore concreto.
LA COLLABORAZIONE TRA CFO E CHRO E' SEMPRE PIU' IMPORTANTE
Ma la trasformazione del Finance non può essere affrontata in solitaria: richiede alleanze trasversali e un rafforzamento del capitale umano, a partire dalla sinergia con il CHRO, che risulta essere sempre più strategica. Il miglioramento della qualità del rapporto, oggi ritenuto positivo dal 57% dei CFO, rispetto al 49% del 2022, riflette una crescente sinergia nella gestione del cambiamento, indicata come area di cooperazione prioritaria dal 73% dei rispondenti. Lavorare insieme per definire una strategia “Talent Finance”, mappare le competenze chiave e monitorare nel tempo l’engagement del team diventa cruciale per sostenere un’evoluzione culturale profonda. È in questo terreno condiviso tra leadership finanziaria e risorse umane che può davvero crescere un Finance capace di attrarre, sviluppare e trattenere i talenti giusti per affrontare le sfide del futuro.
Oggi più che mai, il detto “il tempo è denaro” acquista una nuova dimensione grazie all’Embedded finance, il modello che prevede l’integrazione fluida di servizi finanziari direttamente all’interno dell’esperienza d’uso di un prodotto o servizio non finanziario.
Nell’ambito dei pagamenti, oggi i clienti sono abituati a un’esperienza d’acquisto che sia rapida, immediata e contestuale. La tecnologia abilitante deve consentire alle aziende non solo di accettare i pagamenti, ma anche di effettuare la riconciliazione nel minor tempo possibile, permettendo così di ottimizzare i costi e migliorare la gestione del working capital. Un argomento, questo, di cui si è discusso anche nel corso dell'ultima edizione del CFO Summit, l'evento dedicato al mondo dei direttori finanziari, tenutosi lo scorso 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione pensata per far incontrare i migliori C-level dell'impresa contemporanea e organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano - e che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo a cura di Fabrick.
IL MODELLO EMBEDDED FINANCE
Con il modello dell’Embedded Finance e la sua capacità di rispondere a esigenze trasversali, infatti, i pagamenti sono diventati sempre più “invisibili” per i clienti e parte integrante della customer journey, migliorando l’esperienza di acquisto e, allo stesso tempo, abilitando nuovi modelli di business per le imprese basati sulla condivisione dei dati e l’integrazione di nuovi servizi. In questo senso, il pagamento non è più una semplice transazione, ma diventa un momento di relazione che lega il cliente all’azienda.
L'ESPERIENZA DI FABRICK
Un contesto nel quale Fabrick, player attivo a livello internazionale nell’Open Finance con oltre 450 dipendenti tra Italia, Spagna, UK e Germania, opera da anni. con la mission di aiutare istituzioni, banche, fintech e corporate a migliorare i processi e innovare la customer experience attraverso l’integrazione di servizi finanziari digitali. Grazie a un modello di piattaforma aperta, infatti, Fabrick semplifica la catena del valore delle aziende con soluzioni Open Finance facili da integrare.
Le nuove politiche di dazi introdotte dagli Stati Uniti nel 2025 con aumenti delle tariffe su tutte le importazioni e misure ancora più severe verso alcuni partner commerciali, hanno profondamente modificato le dinamiche del commercio globale, imponendo nuove sfide alle aziende italiane orientate all’export. In questo scenario di crescente incertezza e volatilità, è emerso fin da subito il potenziale di uno strumento come il factoring internazionale che da anni vive una significativa capacità di crescita e sviluppo del proprio segmento nel nostro Paese e che in questi ultimi mesi si è imposto come uno elemento strategico a supporto delle imprese, registrando nel primo trimestre del 2025 una crescita record del 20% e arrivando a rappresentare circa un quarto del mercato totale del factoring italiano.
Il motivo di questa accelerazione, chiaramente, risiede nella necessità delle aziende di gestire meglio i rischi di credito e di liquidità legati alle esportazioni, messe in forte criticità dalle scelte politiche dell'amministrazione Trump e dai conseguenti cambiamenti normativi in atto a livello globale. Il factoring permette infatti di trasformare i crediti commerciali in liquidità immediata, riducendo l’esposizione al rischio di insolvenza e facilitando l’accesso a nuovi mercati, anche in condizioni di maggiore incertezza, offrendo così una maggiore resilienza finanziaria delle imprese, una migliore gestione del cash flow e la possibilità di adattarsi rapidamente alle nuove esigenze delle value chain globali e locali. Tuttavia, questa crescita porta con sé anche nuove sfide da affrontare, come, per esempio, le differenze normative tra Paesi, la complessità delle operazioni cross-border e la necessità di soluzioni contrattuali sempre più personalizzate, che rappresentano ostacoli da superare per garantire la piena efficacia del factoring internazionale.
Un tema di grande attualità, questo, che abbiamo voluto approfondire meglio, attravero i dati proposti negli ultimi giorni da Assifact, l'Associazione Italiana per il Factoring, per comprendere a fondo quale sia l'attuale stato dell'arte del settore e perchè stia assumendo un ruolo sempre più strategico per la resilienza delle nostre imprese e della loro capacità di internazionalizzazione.
iL MERCATO DEL FACTORING IN ITALIA
Secondo gli analisti dell'ente, il mercato italiano del factoring, che rappresenta circa il 14% del Pil, continua nel suo andamento positivo anche nel 2025. Il dato più significativo è la crescita del factoring internazionale, che comprende le operazioni in cui il cedente o il debitore risiedono all’estero: +20% nei primi tre mesi, secondo i dati forniti da Assifact, l’Associazione italiana per il factoring, con oltre 17 miliardi di euro di turnover a fronte di una crescita del turnover complessivo del factoring nel primo trimestre pari al 3,07%.
Già nel 2024 il factoring internazionale, con un turnover di quasi 73 miliardi di euro e una crescita del 13,79% sul 2023, era arrivato a rappresentare circa un quarto del mercato totale del factoring in Italia. Ora l’ulteriore accelerazione nel primo trimestre di quest’anno, con un incremento dell’1% rispetto all’anno precedente, al netto dell’operatività degli acquisti di crediti fiscali derivanti da bonus edilizi che risulta in esaurimento causa di decreti legislativi che nel corso del 2024 hanno di fatto bloccato la cessione di questo tipo di crediti da imprese a banche o intermediari finanziari. “I dati – ha affermato il Presidente di Assifact, Massimiliano Belingheri - confermano il ruolo sempre più rilevante del factoring per la liquidità delle imprese e nel sostenere l’economia reale: in un contesto di debole domanda di credito, la domanda di factoring continua a crescere. Il mercato italiano si distingue per volumi consistenti, con un ruolo rilevante nel supporto alle PMI e all’export: il segmento internazionale rappresenta ormai un quarto dei volumi e cresce a doppia cifra. La qualità del credito rimane molto elevata sul settore privato e rischi sostanziali contenuti sul settore pubblico. Serve ora una semplificazione normativa coerente con queste evidenze”. Il volume d’affari 2024 del factoring italiano corrisponde all’8% del mercato mondiale e all’11,5% di quello europeo. Nel 2024 hanno fatto ricorso al factoring oltre 32.400 imprese italiane, delle quali circa il 63% sono PMI, a testimonianza del continuo allargamento dello strumento finanziario a realtà di minori dimensioni. Sempre nel 2024 le operazioni di Supply Chain Finance (finanziamento della catena di fornitura) si sono consolidate al 10% circa del mercato totale italiano, con un turnover cumulativo pari a 28,03 miliardi di euro (+0,89% rispetto al 2023). Il turnover del factoring delle imprese fornitrici del settore pubblico, da sempre caratterizzato da persistenti ritardi nei pagamenti (anche se in miglioramento negli ultimi anni), si è attestato nel 2024 a quasi 21 miliari di euro.
LA QUALITA' DEL CREDITO DEL FACTORING
La qualità del credito, con riferimento alle esposizioni lorde verso imprese private, si conferma molto elevata: i crediti deteriorati ammontano solo al 2% del totale, le sofferenze all’1,03%. “Per sostenere efficacemente le imprese – ha sostenuto il Segretario Generale di Assifact e professore all’Università di Roma Tor Vergata, Alessandro Carretta - serve un sistema che faciliti l’accesso al credito tramite lo smobilizzo dei crediti commerciali, anche e soprattutto quando parliamo di imprese fornitrici della PA. È fondamentale un quadro normativo europeo semplificato e proporzionato, che riconosca la specificità e il basso rischio del factoring. La revisione della definizione di default rappresenta un importante tassello”.
IL FACTORING INTERNAZIONALE
Alla base della forte crescita del factoring internazionale ci sono l’incremento delle esportazioni di merci italiane, la crescente domanda di transazioni in open account (quando il venditore invia la merce senza chiedere il pagamento anticipato, spesso concedendo una dilazione) da parte degli acquirenti internazionali e quindi la domanda crescente di soluzioni flessibili e sicure per le transazioni commerciali globali. Come evidenziato d auna ricerca di Assifact, le società di factoring portano a termine anche operazioni legate a forniture complesse verso acquirenti in Paesi in via di sviluppo, adattando contratti e operatività alle caratteristiche peculiari della fornitura e ricorrendo a specifiche forme di garanzia. Resta tuttavia la criticità delle differenze di natura legale fra i diversi Paesi, in particolare riguardo alle modalità per rendere opponibile la cessione al debitore e ai terzi. “Il factoring internazionale – ha sottolineato Diego Tavecchia, Direttore Operativo Assifact - rappresenta già oggi un valido alleato per le imprese vocate all'export, grazie a soluzioni flessibili capaci di adattarsi alle diverse caratteristiche delle filiere produttive. In prospettiva, il suo ruolo sarà sempre più strategico nel sostenere le aziende italiane nell’espansione verso nuovi mercati, contribuendo a rendere più sicuro ed efficiente l’accesso al commercio globale”.
Il 2025? Un anno cruciale in cui i direttori finanziari saranno chiamati a reinventare il proprio ruolo, trasformandosi da custodi dei numeri a veri strateghi e architetti del cambiamento aziendale.
E’ questa la sintesi di un’annata complessa e caratterizzata da incertezza e volatilità dei mercati globali, che, in vista della prossima edizione del CFO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit, abbiamo voluto comprendere meglio attraverso l’analisi e il commento di un recente white paper realizzato da Sap Concur per indagare più da vicino una trasformazione che passa necessariamente dall'adozione di tecnologie innovative e dalla capacità di integrare nuove competenze, come l'ESG reporting, nel DNA finanziario dell'impresa contemporanea.
DARE VITA AI PIANI DI CRESCITA DEL 2024
Secondo gli analisti internazionali, infatti, molti CFO nel 2024 hanno lavorato a strategie di crescita e reinventato i loro modelli di business. Nel 2025, quindi, il loro focus dovrà essere concentrato sull’esecuzione di questi piani, in collaborazione con CEO e stakeholder interni ed esterni. Costruire una leadership forte e investire nella comunicazione aziendale sarà essenziale per queste figure, al fine di garantire l’allineamento strategico e affrontare condizioni di mercato sempre più complesse.
INVESTIRE IN TECNOLOGIE CON VISIONE STRATEGICA
Secondo un’indagine Orgvue, l’82% delle aziende ha investito in intelligenza artificiale nel 2024, nonostante il 50% non fosse certo del suo impatto. Partendo da questo presupposto, quindi, nel documento, gli esperti sottolineano come: “Nel 2025, i CFO dovranno valutare con attenzione le tecnologie più efficaci, assicurandosi che siano in linea con gli obiettivi aziendali e con le normative internazionali sull’uso responsabile dell’AI”. L’adozione consapevole dell’innovazione, che tra l’altro è un tema di grande attualità in questi giorni anche in Italia, dopo che la premier Meloni ha rinnovato ieri l’intenzione del governo nel continuare a lavorare a stretto contatto con il Vaticano per la realizzazione di un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale, secondo gli analisti internazionali, “garantirà benefici tangibili in termini di efficienza e compliance”.
PRIORITÀ ALLA SICUREZZA INFORMATICA
Con un costo medio globale di una violazione dei dati stimato in 4,88 milioni di dollari nel 2024 (fonte: IBM), la cybersecurity è diventata ormai la priorità assoluta per qualunque tipo di organizzazione. In questo contesto, secondo il rapporto di Sap Concur: “I CFO, grazie alla loro visione olistica del rischio aziendale, sono i più indicati per collaborare con i CISO nella valutazione degli investimenti in sicurezza e nella formazione del personale per ridurre il rischio di errori umani, principale causa di attacchi informatici”.
ESG: DA OBBLIGO NORMATIVO A LEVA DI CRESCITA
L’integrazione dei criteri ESG (ambientali, sociali e di governance) è sempre più centrale per attrarre investitori e migliorare la reputazione aziendale. Sotto questo profilo, continuando a scorrere il documento, si capisce come: “I CFO, grazie alla loro competenza nella gestione dei dati, possono trasformare il reporting ESG in un vantaggio competitivo, definendo obiettivi misurabili e utilizzando i dati per ottimizzare le performance aziendali”. Una vera e propria mission questa che, tra l’altro, si accompagna anche alle sempre più stringenti normative europee entrate in vigore da tempo, ormai, e che, nei prossimi anni, orienteranno maggiormente l’attenzione delle imprese verso tematiche di sostenibilità finanziaria e non finanziaria, che rappresentano fattori essenziali per lo sviluppo e la crescita delle organizzazioni, anche sotto un profilo reputazionale e di opportunità di innovazione e visibilità.
AFFRONTARE IL TALENT CRUNCH
Con il ritiro dei baby boomer e l’evoluzione delle aspettative dei giovani professionisti, il mercato del lavoro sarà sempre più competitivo. Una vera e propria corsa che porterà i leader dell’impresa contemporanea a dover trovare nuovi metodi per gestire e trattenere i propri talenti. Una sfida su cui gli analisti internazionali hanno riflettuto attentamente in questa analisi, arrivando sottolineare come anche “i CFO dovranno collaborare con le risorse umane per sviluppare programmi di formazione continua e adattare le politiche aziendali alle nuove esigenze generazionali”. Inoltre, l’automazione di attività ripetitive tramite AI permetterà ai dipendenti di concentrarsi su mansioni a maggior valore aggiunto, aumentando la soddisfazione e la retention. Ma questo sarà possibile, chiaramente, solo se ci saranno opportuni investimenti su nuove tecnologie e anche su differenti e inediti modelli e processi di lavoro e di gestione manageriali. Aspetti su cui i C-level dovranno confrontarsi e a cui andrà prestata sempre più attenzione.