Quello delle diseguaglianze è ormai diventato un tema di confronto ricorrente
non solo nelle sedi istituzionali; sta caratterizzando, infatti, il dibattito
nei vari paesi (anche in forme violente se si pensa a quanto sta capitando da
diversi sabati in Francia) sin da quando la diseguaglianza, per dirla con
J.Stiglitz, è divenuta globale. Da un punto di vista economico rimane di
particolare interesse l’interpretazione offerta nella sezione "The structure
of inequality" offerta da T.Picketty nel suo "Capital in the Twenty-firsy
Centry" ma esistono forme emergenti di diseguaglianza che non fanno ancora
notizia ma sulle quali sarebbe opportuno riflettere per individuare un’adeguata
strategia.
Lontano dai clamori in molte imprese, soprattutto in quelle esposte (e capaci di
reagire) alla competizione internazionale, si sta sviluppando un radicale
processo di trasformazione. Grazie alle opportunità offerte dalle nuove
tecnologie la produzione e le vendite si stanno sofisticando sempre di più dando
vita a servizi knowledge intensive. E’ in corso un ridisegno del sistema,
risulta favorito chi riesce a stare nel loop mentre aumentano le distanze con
chi non sa stare al passo. Più specificatamente la geometria cloud/applicazioni
stimola la progettazione di prodotti e servizi innovativi. La relazione fra
sensoristica e big data sta facendo emergere tecniche predittive in relazione
sia ai mercati sia alla funzionalità delle macchine produttive e degli altri
strumenti tecnici.
La diffusione di algoritmi , il machine learning, l’I.o.T stanno abbattendo i
costi dell’innovazione ed aumentando la reattività e l’adattività delle imprese
, con riduzione degli sprechi e produzioni di tipo sartoriale. Il passaggio dal
B2C al C2B porta a ridisegnare i processi attorno ai clienti
imponendo alle aziende di: smontare i feudi interni, coinvolgere tutto il
personale, costruire una forte governance interna sui processi dati in
outsourcing. L’attenzione, o meglio, l’approccio luddista sulla presunta
sostituzione tecnologica delle persone sta distogliendo invece il focus da
quella che è la vera sfida dei nostri giorni e dei prossimi anni, sfida che in
Germania, partita dieci anni fa, è già stata superata, ossia: l’up-skilling e
il re-skilling delle risorse.
Il reperimento di nuove risorse (meno costose e più adeguate) spesso intrapreso
in passato dopo ristrutturazioni finanziate da un generoso welfare, non è più
percorribile, come confermato dai dati del rapporto Excelsior 2018 secondo il
quale le imprese faticano a trovare il personale per un posto di lavoro su
quattro. In particolare nelle assunzioni under 30 nel 28% dei casi le imprese
non trovano le figure professionali richieste, contro il 26% medio che riguarda
tutte le fasce di età. Questo sta spingendo molte imprese ad intraprendere
processi di cambiamento e di ri-centraggio culturale e delle competenze.
Il processo in corso, però, non mette al riparo dal rischio di obsolescenza che
sta cominciando a riguardare fasce crescenti di persone, soprattutto quelle che
per forza di inerzia non sentono la necessità di aggiornarsi e di cogliere le
opportunità per uno sviluppo formativo. È una nuova forma di diseguaglianza che
sta emergendo, che richiede risposte adeguate e sistemiche anziché vecchie
ricette, tornate alla ribalta in queste settimane, legate a visioni arcadiche di
chi del sistema produttivo e delle imprese mostra di conoscere ben poco e quel
poco per giunta anche datato.
a cura di
Antonio Angioni
Senior Partner
Poliedros Management Consulting
La coesistenza tra persone o gruppi appartenenti a diverse culture e
origini, genere, orientamenti sessuali, generazioni, percorsi professionali e
formativi, costituisce una opportunità o un rischio?
La presenza di valide ricerche a valenza globale e locale, ma anche la nostra
esperienza sul campo nell’assistere aziende clienti nazionali e internazionali
ci fa affermare che quando diversi punti di vista, valori, comportamenti,
esperienze si incontrano in un corretto e strutturato percorso di inclusione, la
società e le organizzazioni ne beneficiano. Migliorano i dati
economico-finanziari, la creatività, la innovazione, le capacità relazionali, la
flessibilità, la ricchezza di stili, le competenze manageriali e la “rotondità”
della leadership.
Nel caso della diversità di genere, vale la pena ricordare ad esempio, i
risultati positivi indotti dalla presenza delle donne nei board così come
riportato negli studi proposti da società di consulenza e istituti di ricerca
internazionali, ma anche nelle analisi prodotte recentemente da Consob. Una
ricerca condotta da MRG Institute su più segmenti della Diversità (genere,
etnia, età…) fa emergere quanto l’efficacia nelle varie categorie della
Leadership (creazione della visione, consenso, capacità di attuazione,
monitoraggio, gioco di squadra...), si differenzi a seconda dei diversi segmenti
della diversità, declinando lo stile migliore nelle varie situazioni.
I progressi riscontrabili nelle imprese italiane relativamente alla
valorizzazione della diversità, in particolare di genere, sono significativi: la
presenza di più del 35% di donne nei cda delle aziende quotate per effetto della
legge Golfo-Mosca è tra i migliori risultati in Europa. Ciò nonostante non si
può ritenere superato il problema della disparità di genere nel nostro paese se
l’Italia si posiziona ancora al 70esimo posto su 144 paesi nella classifica del
Global Gender Gap, se la differenza nei salari nel privato è superiore al 17%,
se il tasso di fertilità è tra i più bassi in Europa.
Dove risiede il problema
Il sistema paese presenta ancora degli ostacoli nel percorso verso la parità
di genere, quali ad esempio la mancanza di adeguati supporti alla conciliazione
vita-lavoro, ma molte delle nostre imprese non sono da meno. Spesso si
incontrano aziende e imprenditori che non hanno tra le loro priorità la
valorizzazione dei talenti femminili, resistono al cambiamento, e sono incapaci
di confrontarsi e di accettare nuovi schemi e nuovi modelli. I rischi di questi
comportamenti sono l’incapacità di rispondere in modo efficace alle richieste di
una nuova mentalità necessaria per affrontare le discontinuità presenti ai
giorni nostri.
Il nostro approccio : inclusione come un vantaggio competitivo
Il valore che una dimensione organizzativa inclusiva può generare è per noi
coerente con gli studi e le esperienze fatte sul campo.
Ma affinchè questo valore possa emergere è necessario che il viaggio verso
l’inclusione si affronti con tutto il bagaglio necessario, seguendo un percorso
prestabilito, con un obiettivo di arrivo (traguardo) chiaro e determinato. Il
viaggio verrà declinato secondo le dimensioni della diversità più opportune
(genere, cultura, età…) per il contesto come risultato di una preliminare
analisi.
Il viaggio verso l’inclusione
L’itinerario che proponiamo si articola su più piani : parte da un
disallineamento iniziale (gap), prevede uno step di sensibilizzazione , un
secondo step di comprensione del problema, un terzo step di costruzione delle
skills necessarie (il bagaglio), un quarto di allenamento e consapevolezza
rivisitando modelli e archetipi classici e contemporaneamente attuali.
Una organizzazione imprenditoriale nostra cliente sta percorrendo questo viaggio
per includere al meglio la componente e i talenti femminili presenti al suo
interno: l’approccio e le soluzioni innovative che stiamo sviluppando insieme,
coerenti con la strategia dell’organizzazione, saranno utili per abilitare il
cambiamento culturale della stessa verso un nuovo stile inclusivo e un
arricchimento della leadership, per valorizzare il contributo delle donne.
a cura di
Stefania Celsi
Talent Management Leader