Secondo l’ultimo sondaggio Istat sul commercio estero ad agosto 2013 le
esportazioni italiane verso i paesi extra-Ue sono aumentate dello 0,2% rispetto
al mese di luglio, mentre le importazioni sono diminuite dello 0,5%.
Ad agosto 2013, rivela l’Istat, il surplus commerciale dell’Italia verso i paesi
extra-Ue è stato pari a 559 milioni di euro, a fronte di un disavanzo di 903
milioni dello stesso mese del 2012. La crescita dell’export ha interessato i
beni di consumo (+3,8%) e i prodotti intermedi (+1,2%), ma non l’energia
(-12,3%) e i beni strumentali (-1%).
Sul fronte delle importazioni, invece, i settori che hanno subito un calo sono
energia (-7,0%) e beni di consumo (-2,9%), mentre sono in crescita gli altri
principali raggruppamenti di beni, in particolare quelli strumentali (+22%).
Nel mese di agosto 2013 i principali partner commerciali dell’export italiano
sono stati: MERCOSUR (+16,4%), Cina (+14,4%), Russia (+1,8%) e Stati Uniti
(+1,7%). Le vendite verso Turchia (-29,5%), Svizzera (-24,3%), ASEAN (-15,4%) e
OPEC (-12,2%), invece, sono diminuiti insieme agli acquisti di beni provenienti
dagli Stati Uniti (-14,8%), dalla Russia (-10,9%), dalla Cina (-10,3%), dai
paesi MERCOSUR (-8,7%) e dalla Svizzera (-7,6%).
Fonte: http://www.fasi.biz/
Il comitato esecutivo di Unioncamere ha approvato il Programma 2013-2014 del
Fondo Intercamerale di Intervento per la promozione delle pmi sui mercati
internazionali. Il Programma, articolato in cinque linee d’intervento, sarà
realizzato grazie alla collaborazione tra le Camere di commercio italiane e la
rete delle Camere di commercio italiane all’estero e di quelle miste.
Il piano intende sostenere l’internazionalizzazione delle imprese italiane
attraverso iniziative quali incoming, missioni, partecipazioni fieristiche,
missioni di sistema e governative, studi, workshop, seminari tematici, attività
formative e di sostegno all’export.
Sono previste cinque linee d’intervento:
Nell’ambito della prima linea, sono in programma per le imprese italiane del
comparto tessile, orafo e dell’edilizia sostenibile, attività promozionali, di
formazione e informazione in Francia, Australia, Russia, Germania, Giappone e
America Latina.
Per le imprese del settore nautico, invece, sono previsti incontri B2B e fiere
negli Stati Uniti, in Centro e Sud America, Francia e Gran Bretagna, mentre le
imprese del settore turistico e agroalimentare potranno partecipare a fiere in
est Europa, Kazakistan, India e Centro America.
Per sostenere la collaborazione con la rete degli sportelli d’informazione
camerale per l’internazionalizzazione, sono inclusi nel programma anche
interventi di formazione e promozione in Canada, Russia, Bielorussia, Kazakistan
e Africa.
Fonte: www.fasi.biz
Rispetto al mese precedente, a maggio si registra un contenuto aumento per
l'export (+0,6%) e una diminuzione per l'import (-0,9%). Nell'ultimo trimestre
si rileva una flessione congiunturale tanto per l'export (-0,5%) quanto, in
misura maggiore, per l'import (-3,1%).
L'incremento congiunturale delle esportazioni a maggio 2013 è la sintesi di un
aumento significativo delle vendite verso i Paesi extra Ue (+3,2%) e di una
diminuzione verso i paesi Ue (-1,8%). Sono in crescita i prodotti energetici
(+15,0%) e i beni strumentali (+3,6%).
La diminuzione congiunturale dell'import è più accentuata per gli acquisti dai
paesi extra Ue (-1,6%) rispetto ai mercati Ue (-0,5%). Solo i beni strumentali
sono in crescita (+2,2%).
Rispetto allo stesso mese del 2012, si registra una rilevante diminuzione
dell'import (-10,3%), più accentuata per gli acquisti dai paesi extra Ue
(-15,8%). La riduzione dell'export (-1,5%) è la sintesi di un aumento delle
vendite verso i paesi extra Ue (+0,7%) e di una flessione verso i paesi Ue
(-3,4%).
A maggio 2013 il consistente avanzo commerciale (+3,9 miliardi) supera di tre
miliardi il surplus conseguito nel 2012. È il risultato di un surplus sia con i
paesi extra Ue (+3,0 miliardi) sia con quelli Ue (+0,9 miliardi). Al netto
dell'energia, la bilancia risulta in attivo per 7,8 miliardi.
A maggio la diminuzione tendenziale dell'export è particolarmente accentuata
verso Svizzera (-15,8%), Austria (-7,9%) e Stati Uniti (-5,6%). Rilevante è la
diminuzione delle vendite di prodotti petroliferi raffinati (-18,7%), di metalli
di base e prodotti in metallo (-15,6%) e di autoveicoli (-7,0%).
Sono in forte diminuzione le importazioni da Paesi OPEC (-40,5%), Cina (-16,9%)
e Paesi MERCOSUR (-16,2%). In forte contrazione gli acquisti di mezzi di
trasporto (autoveicoli esclusi) (-46,0%), prodotti dell'estrazione di minerali
da cave e miniere (esclusi petrolio e gas) (-40,4%) e petrolio greggio (-32,9%).
Il calo delle vendite di metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine
e impianti, verso Svizzera, Francia e Germania spiega quasi interamente la
flessione tendenziale dell'export, voce fondamentale per la nostra economia.
a cura di Claudio C. Gandolfo
Fonte: www.businesscommunity.it
Rispetto al primo semestre del 2012 si segnala una crescita del 2% dei
viaggi business.
Nella prima parte del 2013 le aziende italiane ricominciano a mandare i propri
dipendenti in viaggio di lavoro, dopo la sfilza di segnali negativi degli ultimi
tempi. Questo quanto emerge dall’Uvet Travel Index, che segnala come nei primi
sei mesi dell’anno, in relazione allo stesso periodo del 2012, la percentuale di
crescita dei viaggi di lavoro sia pari al 2%, anche se la spesa media continua a
ridursi.
Le aziende italiane monitorano infatti molto attentamente le spese, che
nonostante l’aumento dei viaggi business fanno segnare una contrazione del 4%,
seppure la voce capace di far segnare il maggior incremento rispetto alle scorse
rilevazioni sia quella relativa ai viaggi intercontinentali, aumentati del 6%.
Diminuiscono invece sia i viaggi in Europa, che calano del 2%, sia quelli
interni alla penisola, giù dell’8%, a conferma di come si parta alla ricerca di
mercati vivi e dinamici, con Brasile e Russia su tutti gli altri.
Si sceglie di più lo spostamento in treno, con i viaggi sui binari che sono
aumentati del 10% rispetto allo scorso anno, mentre la meta più gettonata in
assoluto dagli italiani diventa Dubai, che ha scalzato dal gradino più alto del
podio New York. Per quel che riguarda l’Europa, i nostri traveller scelgono
Parigi come meta preferita, mentre calano i viaggi d'affari a Francoforte,
Monaco e Bruxelles.
Indicatori condivisi e premi di mercato per promuovere e incentivare la
responsabilità sociale d'impresa.
E' questa la ricetta proposta da Pier Mario Barzaghi, head of corporate
responsabilità Kpmg Network, intervenuto al Csr Italian Summit, giornata di
incontro e dibattito organizzata da Business International e Amref.
Stabilire degli standard setter internazionali per queste attività "è un lavoro
enorme" spiega all'Adnkronos, Barzaghi ma è anacronistico "parlare di
volontarietà piuttosto che di obbligatorietà di questi temi". A livello
internazionale, però, "alcune direttive, l'ultima è quella di aprile, continuano
a introdurre sempre elementi nuovi per cercare di dare degli indicatori su come
l'azienda si comporta dal punto di vista sociale e ambientale".
Diverso è invece definire dei premi per le aziende. "Ritengo che
defiscalizzazioni, agevolazioni siano delle opportunità che possono essere colte
per arrivare ad una obbligatorietà magari con gradi differenti di preparazione
delle aziende".
Fonte: IGN - Portale del Gruppo Adnkronos
Il ruolo delle catene globali di produzione nella trasformazione del modello di creazione del valore
A cura di
Daniele Langiu, Francesco Morello, Fabio Sdogati
Sono ormai passati quasi sei anni dal famoso 9 agosto 2007, giorno in cui BNP
Paribas ha annunciato la mancanza di liquidità di tre dei suoi fondi di
investimento, motivando tale scelta come la conseguenza necessaria della scarsa
liquidità in certi segmenti del mercato delle cartolarizzazioni statunitensi che
rendeva impossibile valutare correttamente certi titoli. Quest’annuncio, che ha
segnato l’inizio della crisi finanziaria statunitense, si è trasferito presto al
mondo delle imprese non finanziarie. In tal modo la crisi finanziaria è divenuta
crisi dell’economia reale dell’economia statunitense e, data l’elevata
connessione internazionale dei mercati reali e, ancor di più, dei mercati dei
capitali, la crisi iniziata negli Stati Uniti si è propagata a livello globale,
in primo luogo in Europa, ed in particolar modo tra i paesi dell’Eurozona.
La prolungata recessione che ne è conseguita ha alla sua base una
trasformazione del modello di accumulazione della ricchezza nelle economie a più
alto reddito pro-capite. Più precisamente, stiamo assistendo ad un processo di
deindustrializzazione e di finanziarizzazione di queste economie che ha luogo
tramite la concomitanza di alcuni fattori:
Al centro dell’economia reale c’è quindi un cambiamento paradigmatico
dell’organizzazione del processo produttivo. Fino alla metà degli anni settanta
abbiamo sperimentato un modo di produrre basato su un principio fondamentale: il
processo produttivo era integrato nazionalmente. Questo modo di produrre è
necessariamente entrato in crisi quando la riduzione dei costi di coordinamento
di fasi del processo produttivo ha permesso di allocare tali fasi all’estero. Il
processo che ha preso forma è quello della Frammentazione Internazionale della
Produzione.
Con la formazione delle catene globali di produzione, il valore aggiunto nella
produzione non è più direttamente associabile ad un unico paese. Il valore
aggiunto delle esportazioni di un determinato paese è ‘aggiunto’ non solo da
imprese del paese stesso ma anche da imprese localizzate all’estero. È possibile
osservare che per quasi tutti i settori e per quasi tutti i paesi, si sia
verificato un incremento della quota di valore aggiunto estero contenuta nelle
proprie esportazioni. Questo ad indicare che è in atto un processo di
allocazione internazionale della fasi del processo produttivo, il cui obiettivo
è far svolgere ad un costo relativamente più basso fasi del processo produttivo
prima svolte all’interno dei confini nazionali. In particolare sono aumentati i
beni intermedi importati sul totale dei beni importati.
A questo punto, viene da domandarsi:
Alla luce della nostra interpretazione della crisi, queste sono le
prospettive delineate.
In primo luogo, negli Stati Uniti, la ripresa in atto è debole e fragile, in
parte per la recessione in cui si trovano alcuni paesi dell’Eurozona e per la
debole e fragile crescita nei restanti paesi dell’unione monetaria, che finora
erano stati considerati “immuni” dai problemi specifici dei primi. La debolezza
della ripresa implica in primo luogo debolezza della domanda. Per le imprese ciò
è destinato a tradursi in due tendenze: concentrazione dei settori industriali e
ricerca di efficienza tramite innovazioni di prodotto e di processo; tra queste
ultime, l'ottimizzazione della supply chain su scala globale svolgerà
sicuramente un ruolo di primo piano e rappresenterà una delle principali fonti
di vantaggio competitivo.
La debolezza della domanda aggregata e la persistenza di un elevato tasso di
disoccupazione lasciano presagire che ci sia spazio per un intervento ulteriore
in termini di politica monetaria – non preoccupiamoci della crescita del livello
dei prezzi, dato che c’è così tanta capacità inutilizzata nel sistema produttivo
– e, soprattutto, per un rinnovato intervento di politica fiscale, volto a
stimolare la componente pubblica della domanda aggregata e ad accrescere
l’occupazione tramite delle adeguate politiche industriali. Per le grandi
imprese questo significherà un'inevitabile ingerenza nelle scelte strategiche da
parte dello stato, e per le piccole un diverso contesto di incentivi e vincoli
in cui operare le proprie scelte, in primo luogo quelle di
internazionalizzazione.
Inoltre, nonostante il rinnovato ruolo della politica economica,
l'interdipendenza dell'economia mondiale è oggi tale da non lasciar presagire
alcuna inversione di tendenza nel processo di globalizzazione in atto da ormai
diversi decenni. Qualsiasi scelta di politica economica dovrà ormai tenere
conto, oltre che delle realtà locali, anche delle implicazioni del modello
dell'impresa globalmente integrata, e i maggiori benefici di qualsiasi ulteriore
intervento governativo nell'economia toccheranno sicuramente proprio alle
imprese più internazionalizzate.
Infine, il processo di deindustrializzazione dell’economia statunitense e delle
altre economie a più alto reddito pro-capite evidenzia che per le imprese
industriali di tali paesi, se prima aveva luogo la competizione per allocare
fasi del proprio processo produttivo nei paesi a basso reddito pro-capite, ora
progressivamente la competizione è con l’emergente settore industriale di tali
paesi. Le implicazioni della crescita di un settore industriale nelle economie
emergenti da considerare anche come un’opportunità dal lato della domanda, dato
che, tramite l’industrializzazione di tali paesi, aumenta il reddito pro-capite
dei suoi residenti.
In questo scenario, dal punto di vista macroeconomico, le risposte dei
responsabili di politica economica hanno seguito due percorsi differenti: mentre
la politica monetaria è stata crescentemente e ininterrottamente espansiva sin
dallo scoppio della crisi finanziaria con manovre convenzionali (riduzioni dei
tassi di sconto) e non convenzionali (quantitative easing), i governi hanno
adotta una politica fiscale espansiva nei primi mesi della crisi e restrittiva
da fine 2009 in poi. Dal punto di vista imprenditoriale, è necessario, invece,
sottolineare che il processo di deindustrializzazione e finanziarizzazione delle
economie a più alto reddito pro-capite necessariamente sottrae risorse, in primo
luogo profitti, al settore industriale.
Tali profitti, che progressivamente vengono distribuiti agli azionisti o
utilizzati per l’acquisto di attività finanziarie, non possono essere più
trattenuti dall’impresa per essere investiti nuovamente in essa. Per continuare
ad essere profittevoli, è necessario internazionalizzarsi. La domanda a cui
rispondere non è “se internazionalizzarsi oppure no”, piuttosto la domanda è
“quando intraprendere un processo di internazionalizzazione”. I benefici di tale
processo sono duplici: riduzione dei costi tramite la frammentazione
internazionale della produzione e accesso ad un mercato in crescita, il che
corrisponde ad una domanda aggregata di beni e servizi in crescita.
Ai responsabili della supply chain spetta oggi più che mai il compito di
decifrare il contesto internazionale e di coglierne le opportunità, che pur in
questa prolungata Grande Recessione di certo non mancano.