In molte realtà aziendali, ma non in tutte è bene sottolinearlo per evitare
facili e superficiali generalizzazioni, il diffondersi e l’applicazione delle
nuove tecnologie stanno rivoluzionando l’organizzazione del lavoro, le relazioni
e la gestione delle risorse. Dietro l’apparente enfasi con la quale vengono
salutate le nuove modalità di lavoro cogliamo spesso, in occasione degli
interventi presso le aziende clienti, un sottile, malcelato disagio da parte del
management per la gestione del lavoro a distanza. Non ci riferiamo tanto a
quelle funzioni che da sempre sono esposte alla diffusione sul territorio (si
pensi per es. alle strutture commerciali e di vendita o ai servizi di IT per non
parlare dei centri amministrativi dislocati in altri paesi) ) ma a quelle
funzioni che , per il crescente sviluppo dello smart working , stanno cambiando
radicalmente , determinando nei manager un senso di smarrimento , quasi un
‘horror vacui’ , soprattutto nelle realtà che hanno drasticamente ridotto le
aree personalizzate.
Sarebbe riduttivo immaginare che alla base di questo malessere ci sia la
reazione di chi si sente defraudato di consolidati privilegi anche perché spesso
questo malessere si avverte non solo fra i manager senior. In realtà la gestione
del lavoro a distanza rappresenta un epifenomeno di un processo epocale di
riposizionamento delle aziende alla ricerca di nuovi business model più
corrispondenti alle esigenze di: flessibilità, velocità, reattività.
L’applicazione delle nuove tecnologie sta accelerando il passaggio da strutture
gerarchiche a strutture dove prevalgono i team: stiamo assistendo allo
sgretolamento di una dimensione statica dell’organizzazione ed al
passaggio ad una dimensione molecolare. Dimensione, questa ultima, che
molti preferiscono definire liquida ma la liquidità evoca dispersione
mentre, invece, la molecolarità evoca una struttura articolata (dal latino
scientifico molecula, derivante a sua volta da moles).
Volendo sintetizzare le peculiarità del processo in corso si dovrebbe sostituire
la domanda: for whom do you work? con la domanda with whom do you work.
Una nuova organizzazione sta faticosamente emergendo, sostituendo la struttura
tradizionale con una struttura a rete, speculare all’innovazione tecnologica,
che ridisegna e semplifica: i rapporti, le modalità di relazione, i livelli di
interazione. Il tradizionale processo di rilevazione organizzativa è ormai
superato dall’ONA ( Organizational network analysis) che permette di
studiare non più i flussi ma di identificare tramite mail, instant message,
prossimità logistica, la vera struttura: si sta affermando la #socialorg.
Come precisato in premessa, si tratta di un trend, di una nuova dimensione che
non soppianterà le esistenti ma co-esisterà, contaminando positivamente la
cultura manageriale. La perdita della dimensione fisica accentua l’importanza
della relazionalità, la necessità di costruire momenti di incontro di qualità,
avendo come obiettivi costanti ma non episodici: la satisfaction,
l’engagement, il wellness, l’alignement. La smaterializzazione dello spazio
e la disarticolazione del tempo, impongono di liberarsi di abitudini consolidate
e dai residui tayloristici, di cui sono ancora incrostate molte organizzazioni.
Il tutto per aderire in maniera definitiva e convinta: al lavoro per progetti
ed all’orientamento ai risultati. La gestione molecolare favorirà la
possibilità di liberare potenzialità e talenti, spesso in ombra, purché non si
arrivi a trasformare queste esperienze innovative in nuovi silos !!!Non solo ma
si rende necessaria l’adozione di uno stile di leadership funzionale alle
decisioni operative (delega), organizzative (ingaggio),
prospettiche(facilitazione), immaginative (ispirazione).
Questo spiega forse il malessere che registriamo da pare di molti manager che
non si sentono pronti e preparati ad affrontare questa sfida di gestione del
cambiamento. Si tratta di una sfida impegnativa perché comporta il passaggio da
organizzazioni legate all’efficienza ed all’efficacia ad organizzazioni
orientate a favorire l’apprendimento continuo, l’innovazione, la customer
experience. Da organizzazione incentrate sulla gerarchia ad organizzazioni
caratterizzate da agili network, con un elevato livello di condivisione del
sapere e di collaborazione. Da organizzazioni dove le posizioni apicali venivano
raggiunte attraverso itinerari tradizionali ad organizzazioni dove emergono le
persone capaci di creare followers, di influenzare, di essere autorevoli. Molti
di noi si sono formati su una cultura della leadership sintetizzata nel detto:
Lead by direction, forse il nuovo paradigma potrebbe divenire Lead by
orchestration.
a cura di
Antonio Angioni
Senior Partner
Poliedros Management Consulting
La formazione linguistica si conferma prioritaria all’interno delle aziende, soprattutto se
praticata con il supporto di piattaforme innovative di e-learning e
mobile learning. Da una ricerca realizzata da Fluentify, società con
sedi a Torino, Londra, Milano e Roma e attiva nel settore della formazione
aziendale, tramite la sua innovativa piattaforma di tutoring online per
l’apprendimento delle lingue, emerge che oltre l’88% degli intervistati -
HR Manager di medie e grandi dimensioni - attribuisce una elevata priorità
alla formazione linguistica in azienda. Non solo, la competenza linguistica
viene considerata un aspetto abilitante nell’avanzamento della carriera. Il
50% degli HR manager sostiene che saper padroneggiare una o più lingue
straniere è un vantaggio competitivo per chi desidera intraprendere un
percorso di crescita professionale
Si
diffondono nuove modalità di apprendimento: la tradizionale lezione frontale in
aula ha i giorni contati
Il digitale amplifica e potenzia la formazione in
azienda dando una spinta verso l’efficienza e l’efficacia ed è considerato un
fattore abilitante per guidare il cambiamento. Il concetto di aula classica,
sebbene rimanga la soluzione scelta dal 18% degli intervistati, pian
piano viene sostituito una proposta formativa “blended” che abbina alla lezione
in aula il corso on line, fino a lasciare il posto una formazione supportata da
piattaforme digitali, molto più efficace e su misura. Il 72% dei partecipanti
sostiene infatti che la propria azienda stia implementando progetti di mobile
learning, esplorando anche soluzioni aziendali come il gaming (16%)
che puntano a incrementare l’engagement dei dipendenti. Anche il
microlearning, con formazione su contenuti molto verticali, che possono
colmare in breve tempo la mancanza di competenze specifiche, è tra le modalità
innovative su cui le aziende si stanno focalizzando. Flessibilità ed
accessibilità, costo, qualità del tutor, customizzazione
del piano formativo, possibilità di monitorare i progressi,
interattività sono, infatti, nell’ordine le caratteristiche valutate nella
scelta di un fornitore per la formazione linguistica aziendale.
Se il budget è ridotto intervengono i programmi di
formazione finanziata
Nonostante la crescente necessità delle aziende di
investire nelle competenze linguistiche del proprio personale, la percentuale
del budget dedicato alla formazione linguistica rispetto al totale del
budget destinato alla formazione si attesta tra il 15% e il 30%. Il
17% reputa sostenibile un budget a persona superiore a 1000 euro, il
30% una fascia tra i 200 e 500 euro per la formazione di un dipendente,
così come il 30% è disposto a spendere tra i 500 e i 1.000 euro.
Per far fronte alla scarsa disponibilità di budget delle aziende, intervengono
i programmi di formazione finanziata: l’ 80% delle aziende
partecipanti al sondaggio vi aderisce - in particolare a Fondimpresa e
Fondirigenti.
Volgendo lo sguardo al 2020 gli HR nel 68% dei casi
continuano a focalizzare la loro l’attenzione verso il tema della digital
transformation e dell'impatto che questa ha sull’organizzazione aziendale. La
necessità di incrementare l’engagement dei dipendenti risulta inoltre un tema
molto caldo nel 64% dei casi.
Employee engagement needs to increase and it needs to increase now. According
to Gallup, only 13 percent of employees worldwide are engaged. Every HR
professional knows low engagement numbers are bad for business. That’s why so
many are focused on finding ways to increase opportunities for employees to
connect with the company, its mission and its brand.
Do a quick Google search and the results will be full of different strategies
and theories as to how to increase engagement across the workforce. For the
purposes of this article, we will look at five different ways to accomplish this
goal. Offering employees an opportunity to set and design their own schedule
feels counterintuitive at first glance. Most HR leaders are conditioned to
believe giving an employee the ability to set their own work hours will cause a
decrease in productivity. A fair amount of research suggests the opposite is
true. Employees given the freedom to set their own schedules are often more
productive and happier employees. They are also more engaged in the workplace.
Advanced workforce analytics (otherwise known as human capital analytics),
believe it or not, can be used to help manage talent. From predicting future top
performers to grooming successors for key positions and identifying internal
threats before they strike, today’s workforce analytics are powerful tools for
employers. Generally speaking, workforce analytics is a combination of software
and methodology that applies statistical models to worker-related data, allowing
enterprise leaders to optimize Human Resource Management (HRM).
The main idea behind this concept is to provide greater visibility into employee
data which can then help enterprise leaders to develop and improve recruiting
methods, make better-informed hiring decisions, and retain the top talent within
a company. With huge amounts of data being generated by the various applications
used by organizations, workforce analytics tools can provide critical insights
into different aspects of the organization’s human resources. These insights can
be leveraged to make better-informed decisions.
La quiete agostana è stata scossa dal documento di Business Roundtable
siglato da 180 CEO, per una doverosa lettura del quale rinviamo al link (https://opportunity.businessroundtable.org/ourcommitment/).
Tale iniziativa ha suscitato una vasta eco ed ha il merito di aver accelerato
riflessioni, dibattiti, confronti avviati, a dire il vero, già da tempo. Grazie,
infatti, ai contributi di N.Piketty, J.E.Stiglitz , F. Fukuyama, Papa Francesco
( con l’enciclica Laudato sii) ci si sta interrogando se il business model
adottato nel XX secolo non debba essere rivisto; business model di cui la
devastante crisi del 2007 ha indubbiamente contribuito a metterne in evidenza i
limiti ed pesanti squilibri.
Non è nostra intenzione entrare nel merito alla scelta dei tempi ed alle reali
intenzioni dei promotori della dichiarazione di Business Roundtable, in
particolar modo sulla scelta dei tempi per la quale alcuni dei nostri referenti
in US ci hanno messo a parte di perplessità legate a questioni interne di
politica economica americana. Riteniamo più utile domandarci quali implicazioni
possano emergere per le imprese e per i manager, in particolare se la teoria
lanciata da Friedman nel 1970 dello sharesholder value , sulla
quale si sono formati intere generazioni di imprenditori e di manager, e che
tanto ha contribuito ad influenzare lo short-termism ,non abbia
esaurito la sua forza propulsiva.
Cominciamo intanto col ricordare che da alcuni anni la teoria liberista di
Friedman era stata diversamente declinata in molte aziende con l’introduzione
della Service profit chain (soddisfazione dei collaboratori = impegno
=soddisfazione dei clienti = fidelizzazione dei clienti = profitto) e di forme
di CSR sempre più autenticamente orientate ai fabbisogni dei contesti. Non solo
ma nella lista di Fortune delle "100 best companies to work for", le
aziende con maggiore attenzione al capitale umano hanno sempre mostrato, negli
ultimi anni, una redditività superiore alle altre aziende quotate al NYSE.
Oggi viene proposto, però, un cambio di paradigma molto impegnativo. Per
evitare, infatti, che il tutto si esaurisca in una semplice dichiarazione di
intenti, occorre che tale paradigma venga declinato con tangibili cambiamenti in
tema di strategie aziendali, con particolare riferimento a: il rispetto per
l’ambiente, il rispetto per le persone, la riduzione delle diseguaglianze
interne ed esterne all’impresa. Non bisogna dimenticare un convitato di pietra
ossia lo Stato, chiamato comunque ad assicurare un ruolo di promozione e
vigilanza sulla res pubblica .
Rimanendo però nell’ambito di nostra competenza, ossia l’impresa, è nostra
convinzione che alcune scelte possano e debbano essere operate già
nell’immediato. Partiamo, per esempio, dai sistemi di remunerazione sin qui
adottati, in alcuni casi le retribuzioni percepite a livelli apicali sono
sproporzionate rispetto al resto della popolazione aziendale e gli stessi
sistemi incentivanti sono ancora influenzati dallo short-termism.
Ben lungi da impostazioni collettivistiche, riteniamo che si possano ridurre
progressivamente certi gap salariali, impostare programmi retributivi che
attirino e trattengano i giovani e premino le competenze. Per quel che concerne
i sistemi incentivanti, si dovrebbe intervenire per orientarli su lassi
temporali ulteriori l’anno fiscale, proprio per favorire un impegno proiettato
nel tempo nel produrre valore, lavoro, stabilità della stessa impresa, oltre che
una remunerazione per il capitale investito.
Considerando poi il poco invidiabile trend demografico del nostro paese, diventa
improcrastinabile, per evitare nel giro di pochi anni una paralisi del sistema
produttivo, rivoluzionare la gestione delle risorse, cercando di valutare non
solo le competenze acquisite nel tempo ma anche quelle che potenzialmente
potrebbero essere acquisite, trasformando così le imprese in aziende
skills-based . Al di là di certe riforme pensionistiche dettate da miopi ed
iniqui calcoli elettoralistici (destinate a rivelare presto non solo
l’insostenibilità economica ma anche la pericolosità sociale), è possibile oggi,
grazie anche all’avvento delle nuove tecnologie, disegnare percorsi di sviluppo
delle competenze nei quali ingaggiare anche quelle persone, spesso
marginalizzate, perché stanche e demotivate anche dalla mancanza di investimenti
nei loro confronti.
C’è il tema poi della partecipazione dei collaboratori, del così detto "capitalismo
inclusivo" anticipato in Italia da Adriano Olivetti, in merito al quale c’è
sempre stata una certa idiosincrasia da parte di molti imprenditori, anche se
poi nella realtà si tratta, in base alla nostra esperienza ed alla
frequentazione assidua con gli imprenditori, di un’avversione più terminologica
che reale, visto che in molte delle loro imprese, questo sta diventando una
realtà. Non ci riferiamo solo ai sistemi di welfare ma anche a certi accordi che
premiano la collaborazione ed il contributo per il raggiungimento dei target
aziendali.
L’Italia, per la caratteristica delle imprese e del sistema produttivo, può,
nonostante gli endemici problemi e le ricorrenti contraddizioni, recuperare un
ruolo guida perché nelle piccole e medie imprese certi programmi sono più facili
da realizzare che nelle grandi corporation, grazie alla presenza fisica ed alla
testimonianza quotidiana dell’imprenditore e/o della famiglia, anche se spesso
emergono alcune difficoltà relative la leadership e la governance.
Rimane la curiosità di vedere quali saranno gli sviluppi e soprattutto le
politiche che saranno adottate da 180 CEO che hanno firmato la dichiarazione di
Business Roundtable , se alle parole seguiranno i fatti . Sino ad oggi la
cronaca non sembra registrare ancora eclatanti novità, visto che si preferisce
in certi casi perseguire ancora politiche di disinvestimento piuttosto che
operare scelte, indubbiamente più costose, ma coerenti con tale dichiarazione.
Così come non si elimina la povertà per decreto, è vero anche che non si può
cambiare la cultura per decreto ma occorrono quella vision e quella leadsership
che hanno solo gli imprenditori autentici.
a cura di
Antonio Angioni
Senior Partner
Poliedros Management Consulting