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Franklin (The Economist): storia, trend e fantascienza, le tre chiavi per prevedere i cambiamenti del futuro

Dalla caduta del muro di Berlino sono ormai passati 30 anni e 20 ne sono trascorsi, invece, dalla firma del protocollo di Kyoto. Tre generazioni di uomini e donne, manager, professionisti, aziende e Capi di Stato si sono alternati alla guida di mercati ed economie globali per innovare, migliorare, sostenere ed evolvere la qualità della vita del mondo. Le sfide oggi come allora sono molteplici e si articolano su differenti filoni di interessi e punti di vista: dalla sostenibilità all’innovazione, dall’economia circolare ai trend da seguire per rimanere al passo con i tempi. Un mix di prospettive, rischi e opportunità da analizzare, anticipare e individuare per rimanere competitivi e, soprattutto, per continuare a esprimere una leadership che sappia toccare i tasti giusti per offrire ispirazione, carisma e visione del futuro a tutti i propri stakeholder. Capacità, queste, da non sottovalutare in un mondo sempre più digitale nel quale il valore umano risulta l’elemento chiave per raggiungere il successo. Ai manager di oggi, infatti, viene richiesta sempre di più un’intelligenza emotiva che si compone di innumerevoli sfaccettature capaci di incontrare le esigenze relazionali, psicologiche e di benessere di collaboratori, partner e clienti. Un universo di persone di ogni tipo, con cui un amministratore delegato, un presidente, team leader, ma anche un semplice professionista deve potersi interfacciare al fine di raggiungere un risultato che ormai si individua sempre meno nella semplice revenue per consolidarsi in maniera più efficace ed efficiente nel benessere del proprio ambiente lavorativo, visto a 360 gradi, e nel territorio in cui la propria realtà imprenditoriale opera. Argomenti, questi, che puntano dritto verso un futuro imminente di cui abbiamo voluto parlare con Daniel Franklin, Executive editor di The Economist ed editor dell’annuale pubblicazione della rinomata rivista inglese che anticipa i trend per l’anno successivo, in vista della sua partecipazione come chairman all’annuale appuntamento dell’Executive Summit, l’evento previsto il 4 dicembre 2019 a Milano e organizzato da Business International (divisione Fiera Milano Media – Gruppo Fiera Milano) per consentire ai CEO e ai Presidenti italiani delle più importanti aziende presenti nel nostro Paese di confrontarsi sui principali temi e le sfide cruciali che li attendono nei prossimi mesi.
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Palomba: dai manager alle aziende, oggi, non c’è reputation senza identità digitale

La reputation è una cosa seria. Può determinare le fortune tanto di un Paese, quanto di un’azienda o di un manager. Mentre una volta era possibile stabilire il valore di una realtà in base alla sua potenza economica o capacità di creare innovazione, sempre di più ai giorni nostri le dinamiche di questa valutazione sono cambiate, lasciando spazio a fattori come la sostenibilità, l’etica, la tempestività e la capacità di comunicare in maniera coerente e trasparente. Elementi che, per esempio, nella recente classifica dei Paesi con la migliore reputazione, stilata a livello globale dal Reputation Institute, hanno portato l’Italia a scendere di due posizioni dal 13° al 15° posto per l’instabilità della sua tenuta economico-politica e la mancanza di un solido e chiaro programma in politiche pubbliche e sociali. Un’evidenza, questa, del fatto che oggi nemmeno i governi possono sottovalutare l’impatto che la nuova comunicazione digitale e la conseguente necessità di trasparenza generata dall’avvento delle fake news hanno prodotto nella popolazione mondiale. Un argomento di grande importanza e attualità che abbiamo voluto comprendere meglio insieme al Founder e CEO di Community Group e Co-Founder di Reputation Science, Auro Palomba, in vista della sua partecipazione al prossimo appuntamento dell’Executive Club, dal titolo “CEO’s Brand Reputation“, previsto presso la ClubHouse Brera di Milano il 22 ottobre 2019 e organizzato da Business International (divisione Fiera Milano Media – Gruppo Fiera Milano) per indagare i segreti e le migliori strategie da impostare al fine di ottenere una buona brand reputation.
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Branca: condivisione, gentilezza e solide radici così si tiene dritto il timone di quella famiglia chiamata azienda

Un’aquila ad ali spiegate sorvola il globo terraqueo con una bottiglia tra gli artigli. Fiera e serena, forte e pacifica. Un animale nobile e allo stesso tempo un essere terreno a cui la Fratelli Branca Distillerie si ispirò ormai quasi 175 anni fa per la creazione del logo di un brand e anche di un amaro che sono diventati uno dei migliori simboli di quel “made in Italy” che ancora oggi il mondo ci invidia e che questa impresa familiare italiana non vuole smettere di far conoscere ovunque possa. Un’azienda dalle grandi qualità non solo in termini di business, ma anche di comunicazione e di pensiero. Un’eccellenza a tuttotondo che oggi è presente in più di 160 Paesi con la distribuzione dei suoi prodotti e che continua a interessarsi tanto del futuro, quanto del passato. «Perché dare seguito alle proprie tradizioni è fondamentale», ci racconta Niccolò Branca, pro-pro-pro nipote di quel Bernardino che inventò il famoso Fernet Branca nel 1845, che il prossimo 26 giugno a Milano, sarà protagonista di uno dei nuovi appuntamenti dell’Executive Club dedicati alla creazione di un vero e proprio percorso verso l’Executive Summit 2019 del prossimo 4 dicembre, organizzato da Business International (divisione Fiera Milano Media – Gruppo Fiera Milano). «Io, per esempio – aggiunge il presidente della Fratelli Branca Distillerie – nel 1999, entrando alla guida dell’azienda di famiglia, ho voluto come prima cosa capire bene e a fondo qual era stato il sogno che aveva spinto il mio bis-bis nonno a dare vita a questa impresa di successo».
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Crepet: l’impresa non ha bisogno di manager, ma di “intraprenditori” come Olivetti e Mattei

«Non siamo più negli anni ’70. È finito il tempo in cui si decidevano le strategie di business in base ai gusti delle persone. Oggi ci vuole il coraggio di anticipare i bisogni degli individui e non rispondere alle necessità partendo dai volumi di vendita di un determinato prodotto». Inizia così la nostra chiacchierata con Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e autore di successo, che il prossimo 23 maggio interverrà in un nuovo appuntamento del Club Executive Meeting, intitolato “Il carisma del leader” e organizzato da Business International (divisione di Fiera Milano Media – Gruppo Fiera Milano) presso ClubHouse Barberini di Roma, per consentire al top management italiano di confrontarsi sull’importanza di ritrovare quella passione e quel carisma fondamentali ai leader del futuro per guidare la crescita delle proprie imprese e del sistema Paese. Un momento di confronto su «temi concreti», come sottolinea spesso lo studioso, che cercherà di aprire una nuova discussione di valore su argomenti reali, attuali e decisamente cruciali per la buona governance di un’impresa. «Sono convinto che rovesciare le prospettive porti sempre un vantaggio – prosegue Crepet, classe 1951 – il fatto è che, secondo me, ci vuole molto coraggio oggi per non avere coraggio di prendere decisioni, lasciando magari morire un’azienda che altri hanno sudato per costruire e che ha una sua storia e una tradizione da rispettare».
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Canegrati (HP Italy): la sostenibilità non è solo un buon principio, ma un asset cruciale per la crescita del business

Il 61% dei professionisti moderni considera la sostenibilità un aspetto imprescindibile per le aziende. A tal punto che il 56% dei lavoratori a livello globale ritiene che trascurare l’impatto ambientale sul lavoro sia grave quanto ignorare la diversity e l’inclusione. E’ quanto emerge da un recente studio promosso da HP per sottolineare l’importanza delle pratiche di business sostenibili e il valore aggiunto che queste rappresentano nella fase di selezione, assunzione e fidelizzazione dei migliori talenti presenti sul mercato.
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Ceper: il successo di un manager passa dall’intelligenza emotiva e dall’educazione civica

A pochi giorni dall’annuale celebrazione del 1 maggio e della festa dei lavoratori, la scuola torna al centro dell’attenzione del governo italiano, dei media e soprattutto dell’opinione pubblica. Dal 2 maggio, infatti, con il “si” pronunciato dalla Camera dei Deputati è iniziato il percorso per il reinserimento obbligatorio nelle scuole del Belpaese dell’educazione civica (almeno un’ora a settimana per un totale minimo di 33 ore annuali). Un passo indietro, da un certo punto di vista, che secondo molti farà bene a tutti. Da tempo si discuteva, ormai, della necessità sempre più stringente di reintrodurre questa materia nel monte orario delle scuole primarie e secondarie per ridare struttura a un rispetto degli altri e della res publica che stava andando perdendosi.
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