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UN EMPLOYER BRANDING OLISTICO E INTEGRATO NEL SISTEMA AZIENDALE: LA RISPOSTA ALLE ESIGENZE DI MILLENNIAL E GEN Z

«Se penso che per la prima volta ho approfondito il tema dell’employer branding nella mia tesi di laurea, mi vengono in mente due cose: di passi avanti ne abbiamo fatti pochi sul tema (con i dovuti distinguo del caso); gli eventi di questi ultimi anni sono stati invece un grande acceleratore in questo senso». È questa la prima reazione di Vincenzo Di Marco, Direttore Risorse Umane, Qualità e Sicurezza di Pellegrini, alla domanda: cosa significa oggi per lei employer branding? Una risposta dalle due facce - data a margine della presentazione della ricerca "L'Employer Branding nell’era della Great Resignation: attrarre i talenti nel nuovo mondo del lavoro", realizzata da Business International - Fiera Milano, in collaborazione con Indeed e tenutasi il 14 giugno 2022 nel corso del HR Directors Summit all'interno del Business Leaders Summit - che, da una parte, sottolinea l’impatto propulsivo scatenato dalla pandemia nei confronti di un’attività, che già stava crescendo negli ultimi anni, e, dall’altra però, evidenzia quanto lavoro ci sia ancora da fare per raggiungere l’obiettivo. «Forse abbiamo definitivamente compreso che non è solo una questione di “risorse umane”, ma che l’employer branding è un qualcosa che interessa l’azienda nel suo complesso – rincara il manager –. "La differenza la fanno le persone” e “il dipendente al centro” sono alcuni dei claim che sentiamo spesso, ma che altrettanto spesso restano confinati nella carta dei valori aziendali. Quando davvero si mettono al centro le persone, il processo culturale di employer branding si attiva: marketing, comunicazione, operations e top management convergono su linee di azione comuni, capaci di alimentare il valore del brand e il senso di appartenenza».

IL VALORE DELL'ASCOLTO

Un sentimento complesso da creare e che deve chiaramente essere sostenuto da azioni concrete. «La nostra azienda – prosegue Di Marco –, da sempre, è attenta all’ascolto del cliente e, in questi due anni, si è quindi concentrata per portare questa skill, sempre più fondamentale, anche al suo interno. Ascoltando le nostre persone, abbiamo compreso a fondo come le cose siano cambiate. I professionisti non lavorano soltanto per un’azienda, ma per ciò che quell’azienda rappresenta, la sua storia, la sua cultura, il suo sistema di valori e i messaggi che manda al mondo. Le organizzazioni ora devono saper creare un workplace flessibile e rispondente alle diverse esigenze personali e professionali dei lavoratori».

L'ENZIMA DELLA DIGITALIZZAZIONE CHE CAMBIA IL MONDO DEL LAVORO

Il contesto socio-economico d’altronde è stato sconvolto dagli eventi degli ultimi anni e sono cambiate le regole del gioco. «La famosa piramide dei bisogni – commenta il manager –, almeno quelli lavorativi, è stata stravolta. L’enzima di questa accelerazione è la digitalizzazione. In questo scenario si muovono agevolmente i nativi digitali, le cui regole di ingaggio sono molto differenti anche solo dalla generazione che li precede». In tale condizione, però, employer branding e talent acquisition hanno diversi strumenti per essere migliorati. «lo sviluppo delle persone – indica Di Marco –, in questo senso, rimane l’asset principale su cui puntare, rendendo la formazione continua e l’up-skilling del personale un elemento di attraction e una leva strategica dell’employer branding e inserendole all’interno di una strategia di comunicazione capace di raggiungere i potenziali candidati, ma anche gli stakeholder dell’azienda. Una volta fatto questo, però, bisogna anche pensare allo sviluppo del leadership management. Avere dei manager con un giusto grado di leadership aiuta non solo a selezionare la persona, ma anche ad avviare l’employer branding aziendale. In terza istanza, infine, si deve guardare alla capacità di comunicare con uno storytelling efficace sia internamente, sia esternamente, focalizzandosi concretamente su flessibilità, ascolto e work-life balance».

GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA

Solo così, secondo il direttore HR di Pellegrini, si potranno ridurre gli effetti del fenomeno della great resignation, i cui dati ormai non possono essere sottovalutati, ma d’altra parte è anche pericoloso darne una interpretazione strutturale. «Dobbiamo partire, infatti, dall’assunto che in Italia il mercato del lavoro non è mai stato particolarmente fluido – avverte il manager –. Detto questo, è chiaro come la pandemia abbia avuto effetti traumatici sulle persone a livello globale, modificando gli equilibri emotivi. In concomitanza - e forse in conseguenza - la dimensione collettiva ha poi contribuito a creare un effetto valanga sulla voglia di cambiamento e sul senso di valorizzazione del presente. In tale contesto aderendo alla visione dello psicologo De Carlo è possibile dire che “il trauma psicologico ha esaltato il concetto del carpe diem”, che può aver prodotto l’azione di cambiare e/o migliorare la propria posizione lavorativa. In tale scenario, la way-out più comoda, anche da un punto di vista sociale è il cambio di lavoro. Vi è poi un secondo fattore da considerare, ossia la dimensione valoriale che anima le nuove generazioni di lavoratori che è disancorata dai sentimenti di fidelizzazione e staticità lavorativa. Fino a qualche tempo fa, infatti, ci hanno insegnato che il sinallagma era basato sulla retribuzione. Oggi, invece, sempre più persone riscrivono il loro personale sinallagma, con la retribuzione che perde posizioni, in favore di elementi apparentemente intangibili, ma sempre più importanti nella valutazione del work-life balance. In questo senso Millennials e Z Generation misurano costantemente l’aderenza dei propri valori e principi ai valori e principi dell’azienda per cui lavorano. In caso di disallineamento la prima risposta è la ricerca di un nuovo lavoro, un nuovo mondo ove poter riconcorrere nuove ambizioni professionali (o fuggire da delusioni) e/o di un ambiente armonico rispetto al proprio sistema valoriale. Sono i valori, l’impatto sociale/ambientale/morale/etico del lavoro svolto, lo scopo e la vision dell’azienda che incidono sulle scelte lavorative e quindi anche su quella di rassegnare le dimissioni. La sfida imposta da questo nuovo ordine di priorità e nuova cultura del lavoro è, quindi, prima di tutto tradurre l’employer branding in un processo olistico ed integrato nel sistema aziendale, che ha inizio con la fase di recruiting e talent acquisition e prosegue il suo corso durante tutto il “life cycle” del dipendente».

IL RIBALTAMENTO DEL PARADIGMA AZIENDA-CANDIDATO

Ci si trova così di fronte a un ribaltamento a 180° del paradigma per cui “io, azienda, scelgo te, candidato”. «Oggi – puntualizza Di Marco –, spesso, è il candidato che sceglie la realtà in cui lavorare o non lavorare. Da anni assistiamo a una modifica del paradigma di ingaggio del lavoratore ed è sempre più chiaro come tale cambiamento sia fortemente influenzati dalla modifica del panel di riferimento. Millennials e generazione z diventano protagonisti, mentre si assiste alla progressiva uscita di scena dei baby boomers, la generazione che ha segnato gli ultimi 40 anni con valori quali la realizzazione personale, il sogno americano, la posizione sociale, la gerarchia, il “vivere per lavorare”. Elementi molto differenti dai valori dei giovani di oggi. Diventa chiaro, quindi, che se la prima fase è dunque quella dell’ascolto e della non banalizzazione di bisogni e dei desiderata il passo immediatamente successivo è quello di non concentrarsi solo sulla dimensione lavorativa, ma di guardare a formazione, crescita professionale e cultura del feedback per tradurre la cura del benessere organizzativo e delle persone in azioni e iniziative concrete, ben targettizate e in sintonia con i core value dell’azienda».

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EMPLOYER BRANDING NELL’ERA DELLA GREAT RESIGNATION: ATTRARRE I TALENTI NEL NUOVO MONDO DEL LAVORO

Storicamente la mobilità del mercato occupazionale di un Paese ha un valore positivo per la salute economica dello stesso. La capacità di cambiare posto di lavoro dei professionisti di una nazione, infatti, denota innanzitutto l’opportunità di farlo e, poi, anche la presenza concreta di migliori situazioni professionali potenziali in cui inserirsi e che, naturalmente, contribuiscono alla crescita economica personale e sociale dell’intero sistema Paese. Questi aspetti basilari di economia, però, ai tempi del Covid-19, purtroppo denotano anche molto altro. Se, infatti, è indubbio che nel 2021 il comparto finanziario italiano abbia vissuto momenti positivi, anche dovuti al rimbalzo strutturale causato da una ripartenza produttiva ferma da mesi, dall’altra parte, è altrettanto vero che il tasso di dimissioni ha avuto un’evoluzione così forte da far rilevare 2 milioni di dimissioni solo nel 2021 (fonte: Nota trimestrale delle tendenze dell’occupazione, Ministero Del lavoro e delle politiche sociali, 2021), che sottolineano come il fenomeno non riguardi solo una maggiore mobilità delle posizioni professionali e non sia dovuto esclusivamente alle riorganizzazioni aziendali dettate dalla digital transformation e dalla pandemia, ma inizino a seguire quel trend tutto americano denominato “Great Resignation” . A conferma di questo, infatti, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, il 44% delle aziende del Bel Paese ha perso la sua capacità di attrarre nuovi talenti, vivendo un turnover di oltre il 73% negli ultimi dodici mesi e con il 45% degli attuali occupati italiani che dichiara di aver cambiato o di voler cambiare lavoro nei prossimi 18 mesi. Numeri forti, questi, che inevitabilmente sottolineano un malessere da non sottovalutare, ma anzi da comprendere a fondo per poterlo gestire, arginare e magari ridurre. Anche perché, come indicato da una recente analisi di PwC, il 45% della Gen Z e il 47% dei dipendenti Millennial rinuncerebbe al 10% o più dei propri guadagni futuri per l’opportunità di lavorare da remoto, evidenziando così come la criticità per le nuove generazioni di professionisti non sia rappresentata dal salario, come appariva in passato, ma da un set di valori e criteri completamente differenti.

UN NUOVO SET DI VALORI GUIDA IL LAVORO DEL FUTURO

Quali sono, però, questi fattori distorsivi che si trasformano in motivi di insoddisfazione? Come evitare che sopraggiungano? Come ridurre il loro impatto qualora si presentino? Tutte domande a cui Business InternationalFiera Milano, in collaborazione con Indeed, ha cercato di rispondere attraverso i risultati della ricerca “Employer Branding nell’era della Great Resignation: attrarre i talenti nel nuovo mondo del lavoro”, realizzata con il commento e l’analisi di Stefano Faccioli, Head of Organizational Development, Training & Change Management della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli ed Adjuct Professor di Human Resources & Competency Management presso l’Università La Sapienza. Un report, presentato in occasione della nuova edizione dell’HR Director Summit (la manifestazione tenutasi presso il Museo Diocesano di Milano, il 14 e 15 giugno 2022, all’interno di Business Leaders, la settimana di eventi dedicata ai C-Level del futuro), di cui nelle prossime settimane approfondiremo le principali evidenze emerse e che ha l’obiettivo di fare chiarezza sulle nuove dinamiche del mondo del lavoro e sul grande valore che sta acquisendo, anno dopo anno, il segmento dell’employer branding, non solo in termini di talent acquisition, ma anche di brand reputation e soprattutto talent retention.

UNA RIVOLUZIONE DA CUI NON SI POTRA’ TORNARE INDIETRO

«Le aziende oggi si devono rendere conto – commenta Faccioli – che la rivoluzione innescata dal Covid-19 è al pari di quella introdotta da internet alla fine degli anni ’90, che poi diede vita a una nuova serie di aziende digitali in grado di portare con sé una nuova cultura del lavoro. Allo stesso modo, le aziende, che potremmo definire “native covid”, stanno già producendo un cambio strutturale delle abitudini e delle attitudini lavorative su scala globale e questa è una trasformazione radicale da cui non si potrà più tornare indietro». Un cultural change che va interpretato con attenzione e che deve porre al centro un focus cruciale sulla cura delle persone, sempre più strategica per il futuro sviluppo del business. «I talenti di oggi – aggiunge Ilaria Caccamo, head of sales di Indeed Italia - cercano prima di tutto un luogo di lavoro stimolante e sano. Un ambiente piacevole, con la cultura della gentilezza e della flessibilità dell’orario, che miri all’effettiva realizzazione dei progetti e alla crescita delle persone, non al controllo del tempo lavorato. Uno spazio professionale che sia inclusivo e sia inserito all’interno di logiche e dinamiche di condivisione sempre più orizzontali e meno gerarchiche. Il futuro delle aziende risiede nel rispetto e nella fiducia». Un obiettivo che, in Italia, potrebbe richiedere ancora del lavoro da fare, ma che già propone anche nel nostro Paese alcuni validi esempi raccolti anche net report per offrire a tutti gli interessati una visione prospettica reale di come si stanno muovendo le aziende tricolore e che vi proponiamo di leggere, scaricando la ricerca al link indicato qui sotto.




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GIGANTINO (VMWARE): DALLA GEN Z AI BABY BOOMER, NELL'ERA POST-COVID L'IMPORTANTE SONO LE CONNESSIONI

Quando si parla del modo in cui lavoriamo nella nuova era del lavoro ibrido, si deve necessariamente considerare non solo la tecnologia che lo consente, ma anche la cultura che lo definisce. Oltre a investire nelle più recenti tecnologie di esperienza digitale per supportare i dipendenti ovunque scelgano di lavorare, le organizzazioni devono infatti oggi anche ripensare la cultura di una forza lavoro che non è più confinata in un ufficio.

Un tema, questo, molto delicato e di grande attualità che abbiamo voluto approfondire attraverso le parole e l'esperienza di Raffaele Gigantino, Country Manager VMware Italia, anche in vista della prossima edizione di HR Business Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane che si terrà il prossimo 29 e 30 novembre 2022 all'interno di Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai C-Level del futuro, organizzata da Business international - Fiera Milano e prevista, nella sua edizione autunnale, dal 21 novembre all'1 dicembre 2022 a Roma, presso gli spazi di Palazzo Rospigliosi. "Se la decisione tra il lavoro ibrido permanente e il ritorno in ufficio non fosse già abbastanza difficile- spiega il manager -, i datori di lavoro devono anche considerare i punti di vista diversi e spesso opposti dei dipendenti e devono farlo bilanciando una serie di questioni culturali, aziendali ed economiche come la produttività, la destinazione di uffici vuoti e costosi e il modo per aumentare la collaborazione o ridurre il senso di isolamento".

Non sempre, però, c'è accordo all’interno dei gruppi di età differenti su dove e come le persone vorrebbero o dovrebbero lavorare, e questo porta a grandi differenze nell'esperienza e nelle prestazioni. "Secondo una nostra recente ricerca dal titolo “The Virtual Floorplan: New Rules for a New Era of Work”- prosegue Gigantino -, dall'inizio della pandemia, il 62% dei giovani tra i 18 e i 25 anni ha ottenuto una promozione, contro appena il 13% delle persone con più di 56 anni. Le aziende devono rispondere a queste differenze nel contesto di obiettivi più ampi e di aspirazioni volte a rendere l'ambiente di lavoro più inclusivo e, anche, flessibile". Dare vita a un processo come questo, però, non sembra essere così semplice. "Il modo in cui le organizzazioni scelgono di affrontare questo ostacolo generazionale e la differenza di visione - sottolinea il manager - sarà uno dei principali fattori che decideranno chi avrà successo e chi no nella nuova era del lavoro ibrido".

L'IMPORTANZA DELLE CONNESSIONI

Quali sono, quindi, queste differenze e qual è l'impatto sulle aziende che stanno già lottando per accedere alle competenze critiche in seguito alle "Grandi Dimissioni" e alle "Grey Resignation", di cui si parla meno ma che non hanno meno impatto? "Il divario più netto tra le opinioni generazionali - indica Gigantino - si riscontra nel modo in cui i gruppi di età considerano lo sviluppo delle connessioni personali. Dalla nostra ricerca è emerso che il 70% della Generazione Z (18-25 anni) ritiene che il cambiamento delle circostanze lavorative abbia migliorato i legami personali con i colleghi, mentre solo il 30% dei Baby Boomers (56+ anni) può dire lo stesso". Forse si tratta semplicemente di ciò a cui sono abituati: i Baby Boomer hanno lavorato in ufficio per tutta la loro carriera lavorativa, ma il mantenimento e la creazione di legami per promuovere team collaborativi devono essere al centro dell'attenzione dei datori di lavoro. "Le connessioni non solo sono positive dal punto di vista dell'apprendimento e della socialità - conferma il manager -, ma contribuiscono anche ad aumentare il rendimento del lavoro e i livelli di performance del team e di coinvolgimento dei dipendenti. Ecco perché, secondo il VMware Forrester Digital Employee Experience Report 2022, il 60% delle aziende a livello globale sta dando priorità a un investimento medio di 500.000 dollari in una piattaforma digitale completa per l'esperienza dei dipendenti nei prossimi 24 mesi, e l'80% cita la produttività dei dipendenti come uno dei principali fattori alla base dell'investimento. I lavoratori intervistati per la BCG COVID-19 Employee Sentiment Survey che si sono sentiti meno connessi socialmente con i colleghi durante la pandemia sono stati meno produttivi nelle attività di collaborazione rispetto a prima della pandemia e solo il 30% dei Baby Boomers ritiene che la produttività dei dipendenti sia aumentata con l'introduzione del lavoro a distanza". Risulta chiaro, quindi, come, indipendentemente dal fatto che siano in ufficio o che lavorino altrove, i datori di lavoro devono considerare come offrire maggiori opportunità di connessione sociale tra le generazioni. "Esempi di questo nuovo approccio, in realtà, già esistono - commenta Gigantino -. Basti pensare, ad esempio, che il fondatore della banca britannica Monzo, Tom Bloomfeld, ha recentemente annunciato di aver investito in un'applicazione per il benessere per superare la solitudine del lavoro ibrido e aiutare a creare connessioni tra colleghi basate su interessi extra-lavorativi".

ACCORDO GENERAZIONALE SUL VALORE DELLE PRESTAZIONI

Sebbene i gruppi generazionali possano essere divisi sulle loro esperienze di lavoro a distanza, però, tutti sembrano essere d'accordo su due cose importanti: in primo luogo, il fatto che lavorare in un ambiente remoto o distribuito abbia portato i dipendenti a essere valutati più in base alle prestazioni e meno in base a parametri tradizionali come il tempo trascorso in ufficio. Il secondo punto riguarda le capacità di leadership necessarie per creare team ad alte prestazioni in un ambiente remoto o distribuito. "Tutti - aggiunge il manager - riconoscono l’importanza delle capacità di comunicazione, seguite dalla capacità di fidarsi dei dipendenti, dalla fluidità digitale su una serie di piattaforme e dall'adattabilità a nuove modalità di misurazione delle prestazioni dei dipendenti". La vera sfida, così, diventa saper abbracciare la flessibilità per supportare tutti i dipendenti. "Uno dei tratti distintivi del lavoro ibrido - prosegue il manager - è la flessibilità. Per questo motivo, anche se possono esserci dei divari di esperienza tra le diverse generazioni di dipendenti, i datori di lavoro devono cogliere l'opportunità di colmare questi divari durante la transizione verso il nuovo modello di lavoro ibrido, per assicurarsi di costruire una forza lavoro realmente inclusiva e diversificata. Le imprese oggi operano in un mercato del lavoro difficile. Riuscire a trovare un equilibrio tra le esigenze di diversi tipi ed età di lavoratori sarà fondamentale per trattenere e attrarre nuovi talenti - giovani e meno giovani - in azienda. Sebbene trovare questo equilibrio possa sembrare difficile da raggiungere, la ricerca mostra che c'è una correlazione molto importante che, se risolta, avrà un effetto positivo a catena. Si tratta della correlazione tra l'aumento dei legami personali e il conseguente aumento della produttività e delle prestazioni del team".

LA VALORIZZAZIONE DELLA PERSONA ATTRAVERSO LA TECNOLOGIA

Sebbene ciò sia particolarmente vero per le generazioni meno giovani, le connessioni di tutte le età sono ciò che aiuta le persone (e l'azienda) a prosperare. "Nella nuova era digitale e ibrida - sottolinea Gigantino - i dipendenti vogliono sentirsi apprezzati, connessi, sostenuti e incoraggiati, indipendentemente da dove e come lavorano. Per i datori di lavoro, questa è un'opportunità per evolvere la cultura della propria forza lavoro in modo da prendere in considerazione le esigenze di ogni generazione e diventare più forti, più competitivi e un posto di lavoro migliore per tutti. E sfruttare le tecnologie per l'esperienza digitale che possono trasformare la "forza lavoro ovunque" in una realtà ricca di contenuti".
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Finance & Administration

Al Business Leaders Summit, premiati i migliori c-level dell’impresa italiana in ambito Finance e Procurement

Più di 1000 manager in presenza, oltre 200 mila utenti coinvolti online, 18 C-level premiati in ambito Procurement e Finance, 5 giorni di eventi e networking non stop con 120 relatori di fama nazionale e internazionale provenienti dal mondo dell’impresa e dell’università. L’edizione primaverile del Business Leaders Summit, la settimana di eventi, tenutasi dal 13 al 17 giugno 2022 presso il Museo Diocesano di Milano, organizzata da Business InternationalFiera Milano e dedicata a CPO, HR Director, CFO e CRO, si conferma ancora una volta come una kermesse di grande successo, in grado di riunire al tavolo i principali decision maker dell’industria moderna per offrire una visione di futuro che guardi alla crescita e alla sostenibilità.

QUALITA’ E VALORI GUIDANO IL FUTURO DEL BUSINESS
Una serie di sessioni di confronto che in oltre 60 ore di keynote speech e tavole rotonde non stop hanno saputo unire esperti, come Colin Mayer, Emeritus Professor of Management Studies, Saïd Business School University of Oxford, Maurizio Dallocchio, Professore Ordinario di Finanza Aziendale all’Università Bocconi di Milano, Stefano Faccioli, Head of Organizational Development, Training & Change Management della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli ed Adjuct Professor di Human Resources & Competency Management presso La Sapienza Università di Roma, Romeo Orlandi, Economista e Professore di Globalizzazione, nuovi mercati ed Economie asiatiche e Vice Presidente della Italy-Asean Associaton, Massimo Temporelli, Presidente e co-founder di The FabLab, e Marco Crespi, già allenatore della nazionale italiana e svedese di basket femminile.

Tutti intervenuti per raccontare la propria esperienza e confrontarsi su tematiche quali la necessità di rendere sostenibili i bilanci, l’importanza di promuovere una nuova cultura della trasparenza e della coerenza tra l’interno e l’esterno dell’organizzazione, il valore sempre crescente di nuove modalità di lavoro flessibile e la capacità essenziale di prendersi cura ed educare la propria community, composta tanto dai dipendenti quanto dai partner della filiera e dai clienti.

In un contesto in continua evoluzione, infatti, dove i rischi climatici, geopolitici e sanitari o cibernetici la fanno da padroni, la capacità di collaborare per la creazione di un valore condiviso e di analizzare, interpretare e anticipare i nuovi trend del mercato diventano elementi cruciali, come anche le nuove competenze digitali, per poter dare vita a un nuovo sviluppo del business. Un set di skill su cui, in questa settimana di incontri e networking, la knowledge unit di Fiera Milano ha voluto porre grande attenzione.


A tal punto da decidere di valorizzare le migliori aziende e i migliori manager dell’area Procurement e Finance con due premi: il Circular Procurement Award e il Business International Finance Award.

Così, per l’area Acquisti, il riconoscimento ha visto protagonisti:

Alda Paola Baldi, Head of Procurement Italy di Enel Group, e Carmen Carulli, Italy Purchasing Director di L'Oréal Italia, nella categoria “Generating greater value for society”, Anna Spinelli, Chief Procurement Officer di Deutsche Post DHL Group, Giacinto Carullo, Chief Procurement & Supply Chain Officer di Leonardo, e Guido Amendola, Senior Vice President Corporate & Group Supply Chain di Snam, nella categoria “Protecting the environment”, Luigi Cozzolino, Global Industrial Procurement Director di Angelini Pharma, Adriano Meloni, Global Procurement, Country Lead Italy di Bristol Myers Squibb, Anna Campi, Head of Procurement di ERG SpA, e Fabrizio Guerra, Group Procurement Manager di Gruppo Sapio, nella categoria “Ensuring Business Governance”.







Mentre nell’area Amministrazione Finanza e Controllo hanno ricevuto il premio:

Flavio Caruso, CFO di Novartis Italia, nella categoria “Digital Finance Transformation: innovazione e trasformazione dei processi e sistemi dell’area AFC”, Manuel Liotta, Head of ESG & Integrated Reporting di Leonardo, Carmine Scoglio, Responsabile Bilancio Amministrazione e Fiscale del Gruppo Terna SpA, Cosimo Guarini, Responsabile Bilancio e reporting del Gruppo Terna SpA, e Nabila Castellani, Marketing & Communication Manager di Fedabo, nella categoria “Non Financial Indicator, ESG e Bilancio Sostenibilità”, Bruno Stella e Anna Tarlo, rispettivamente, Head of AFC Digital Hub e Head of Adoption AFC Digital Hub dI Enel Group, e Gianluigi De Bernardi, General Manager e Executive Coach di Feralco Italia, nella categoria “Controllo di Gestione, Pianificazione e Reporting“, e Anna Tanganelli, CFO del Gruppo Iren, nella categoria “Finanza corporate”.



Grazie anche alla bellezza e alla calma del Museo Diocesano di Milano – commenta Carlo Antonelli, Direttore di Business International – Fiera Milano, non possiamo che essere estremamente soddisfatti della qualità a 360 gradi del Business Leaders Summit, confermata peraltro anche dal feedback dei partecipanti. Il summit prende così definitivamente la forma di un sistema di 5 giorni dedicato alle relazioni tra il mondo del lavoro e la complessità della condizione generale che ci circonda. Le abbiamo affrontate con alta competenza e con particolare attenzione all’umanità, assolutamente necessaria per la sostenibilità dell’ambiente delle organizzazioni”.
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Human Resources

Semplificazione, flessibilità e digital transformation per sostenere il work life balance dei professionisti

Semplificare la vita, questo è ciò che chiedono oggi i collaboratori delle aziende: avere soluzioni che possano accompagnarli nella loro quotidianità e strumenti a disposizione che possano migliorare la conciliazione vita-lavoro.

Tutto questo si traduce in un aumento del benessere psicofisico della persona che incide positivamente sulla qualità della vita e anche sulla produttività.

Up Day, forte delle sue 20mila aziende clienti, con in 110mila esercizi convenzionati per un totale di 100 milioni di buoni emessi ogni anno è il partner ideale delle imprese per garantire servizi facili e innovativi all’altezza dei bisogni delle persone.

Anche e soprattutto in questi ultimi anni, in cui è cambiato il modo di vivere il lavoro e la quotidianità, Up Day è sempre stata accanto alle aziende per affiancarle nel loro percorso di vicinanza con i collaboratori, con soluzioni flessibili e digitali che permettessero di offrire una gamma di servizi, anche tradizionali, in modo innovativo.

Già da tempo, e in questo momento strumento più che mai alleato per i lavoratori, propone soluzioni customizzate di welfare aziendale, attraverso piattaforme digitali all’avanguardia che consentono di comporre un piano personalizzato di flexible benefits, volto a sostenere il work life balance di ogni dipendente, secondo gli obiettivi di budget dell’Impresa.

Da più di trenta anni sul mercato dei buoni pasto, ha sviluppato altri servizi apprezzati come il buono pasto elettronico, e il buono shopping Cadhoc.

Non perdere l'occasione di scoprire la realtà di Up Day, partecipando al HR Directors Summit, l'evento, previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2022 e dedicato al mondo delle Risorse Umane che si terrà presso il Museo Diocesano di Milano all'interno di Business Leaders, la settimana di eventi, prevista dal 13 al 17 giugno 2022, ideata da Business International - Fiera MIlano e dedcata ai migliori C-level dell'impresa moderna.
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Human Resources

L’impatto dell'employer branding sul recruiting e sulla fidelizzazione

Come creare un employer brand dinamico e autentico

L'employer branding è una promessa rivolta ai dipendenti e ai candidati. Entrando a far parte del tuo team, questi ultimi possono aspettarsi una serie di benefit, gratifiche, esperienze e un determinato tipo di ambiente, e tutto questo può essere verificato chiedendo conferma agli attuali dipendenti e a chi ha sostenuto un colloquio di recente.

Ora più che mai, un employer branding positivo è fondamentale per il recruiting e l'assunzione di candidati idonei. Tuttavia, molte aziende hanno ancora difficoltà a creare una strategia e una comunicazione in tempo reale adatte alle loro realtà. In questi casi, i team di recruiting e delle risorse umane affrontano una serie di sfide comuni, tra cui:
  • Perdita costante di traffico di candidati e dei migliori talenti a favore della concorrenza;
  • Scarsa conoscenza dell'azienda e delle opportunità che è in grado di offrire;
  • Aumento del tempo necessario per le assunzioni e dei costi di recruiting;
  • Turnover più elevato e veloce rispetto alla media.

Se stai affrontando una di queste sfide, è essenziale fare un passo indietro e approfondire la questione.

In questo white paper, troverai una serie di suggerimenti su come individuare i problemi che stanno impattando negativamente sul tuo employer brand. Inoltre, scoprirai come utilizzare queste informazioni per rielaborare e ottimizzare la tua strategia di employer branding, tenendo sempre in mente il punto di vista del candidato.




Non perdere l'occasione di scoprire la realtà di Indeed Italia, partecipando al HR Directors Summit, l'evento, previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2022 e dedicato al mondo delle Risorse Umane che si terrà presso il Museo Diocesano di Milano all'interno di Business Leaders, la settimana di eventi, prevista dal 13 al 17 giugno 2022, ideata da Business International - Fiera MIlano e dedcata ai migliori C-level dell'impresa moderna.
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