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ALLIANZ RISK BAROMETER 2023: CYBERSECURITY E BUSINESS CONTINUITY AL PRIMO POSTO, MA AUMENTANO TIMORI SU CRISI ECONOMICA ED ENERGETICA

L'inflazione che sta per trasformarsi in recessione, la crisi geopolitica che traina quella energetica e che promuove quella economica. Lo spettro della pandemia che finalmente si allontana un po' dai rifleffori del palcoscenico e nel mezzo la sicurezza informatica, l'attenzione al cambiamento climatico, il ruolo della sostenibilità e della digitalizzazione, le restrizioni doganali e nel trasporto delle merci e molto altro.

 

Anche quest' anno il mondo del business globale dovrà affrontare molteplici rischi interconnessi tra loro e in grado di mutare a una tale rapidità da rendere sempre più difficile il poterli prevedere e quindi gestire. Un set di fattori esogeni ed endogeni, capaci di determinare le sorti di sviluppo ed evoluzione delle imprese, che, in vista della nuova edizione del Global Risk Forum, l'evento dedicato al mondo del Risk Management, organizzato da Business International - Fiera Milano all'interno del Business Leaders Summit (la grande manifestazione pensata per riunire i migliori C-level del momento, il 14 e 15 giugno 2023, all'Allianz MiCo - Milano Convention Centre), attraverso l'analisi dell'Allianz Risk Barometer 2023. l'annuale report, realizzato da Allianz Global Corporate & Specialty (AGCS), che identifica i principali rischi aziendali da monitorare nei mesi a seguire tra stabilità e cambiamenti.

 

LA TOP 10 DEI RISCHI GLOBALI

Per il secondo anno consecutivo, i Rischi informatici e l’Interruzione di attività rappresentano i principali timori delle aziende (entrambi con il 34% delle risposte). Tuttavia, i Cambiamenti macroeconomici come l'inflazione, la volatilità dei mercati finanziari e l'incombenza di una recessione (che passa dal 10° al 3° posto rispetto all'anno precedente), nonché l'impatto della Crisi energetica (new entry al 4° posto) salgono nella classifica dei rischi aziendali globali di quest'anno, così come si fanno sentire le conseguenze economiche e politiche del mondo in seguito al Covid-19 e alla guerra in Ucraina.

 

Inquietudini così pressanti richiedono una reazione immediata da parte delle aziende e si spiega perché sia le Catastrofi naturali (dal 3° al 6° posto) che i Cambiamenti climatici (dal 6° al 7°) scendono nella classifica annuale, così come la Pandemia (dal 4° al 13° posto), dato che i vaccini hanno messo fine alle chiusure e alle restrizioni e molte aziende hanno migliorato la resilienza della loro supply chain. I Rischi politici sono un'altra new entry nella top 10 dei rischi globali, al 10° posto, mentre la Carenza di manodopera qualificata sale all’8° posto. I Cambiamenti nello scenario legislativo e regolamentare rimangono un rischio importante al 5° posto, con gli Incendi, esplosioni che scendono di due posizioni al 9° posto. 

 

Per il secondo anno consecutivo l’Allianz Risk Barometer mostra che le aziende sono preoccupate prevalentemente per l'aumento dei Rischi informatici e di Interruzione di attività - ha commentato Joachim Müller, CEO di AGCS -. Allo stesso tempo, considerano l'imminente recessione e la crisi energetica come minacce immediate per la loro attività. Le aziende, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, sono preoccupate per l'attuale "permacrisi" derivante dalle conseguenze della pandemia e dall'impatto economico e politico della guerra in corso in Ucraina. Si tratta di uno stress test per la resilienza di ogni azienda. La notizia positiva è che, in qualità di assicuratori, osserviamo continui miglioramenti in quest'area da parte di molti dei nostri clienti, in particolare per rendere le supply chain sempre più a prova di errore, per migliorare la pianificazione della business continuity e per rafforzare i controlli informatici. Le azioni per costruire resilienza e ridurre i rischi sono ora al centro dell'attenzione delle aziende, visti gli eventi degli ultimi anni".

 

LA TOP 10 DEI RISCHI IN ITALIA

In Italia la percezione dei rischi da parte delle aziende rispecchia i trend globali, mantenendo nelle prime due posizioni i rischi informatici - che però in termini percentuali scendono lievemente rispetto al 2022, passandao dal 52% al 47% e denotando forse un leggere progresso nella consapevolezza e nelle competenze legate al mondo della cyber security - e i rischi di business continuity - che invece scendono leggermente di più rispetto a quelli cibernetici, passando dal 45% al 37%, probabilmente anche grazie all'allentamento delle restrizioni legate al Covid. Al terzo posto del podio, però, troviamo la prima novità relativa al sentiment italiano sul risk management, ovvero, la new entry legata ai rischi collegati alla crisi energetica - un fattore che mette tutte le organizzazioni del nostro Paese in grande apprensione, soprattutto a causa dei costi esorbitanti che questo comparto di approvvigionamento sta raggiungendo, non ultimo, per esempio, nel segmento dei carburanti. A seguire, il secondo grande cambiamento nella classifica, rispetto a 12 mesi fa, è quello legato ai rischi inerenti alla crisi economica, dove inflazione e recessione diventano due elementi di grande preoccupazione per le imprese tricolore che portano questo rischio dal 10° al 4* posto raddoppiandone la percentuale d'incidenza nelle risposte dal 10% al 21%. Al quinto posto, poi, in leggera ascesa troviamo il cambiamento climatico con il 18% (l'anno scorso era in ottava posizione). Al sesto posto, invece, si evidenziano le preoccupazioni in ambito legislativo e regolatorio che scendono di due posizioni rispetto al 2022, anche probabilmente in conseguenza del cambio di governo. Al settimo posto, quindi, si può notare come le catastrofi naturali abbiano ceduto il passo alla crisi, retrocedendo di ben quattro posizioni (l'anno scorso erano al terzo posto). A pari merito all'ottavo posto, infine, troviamo incendi o esplosioni, cambiamenti nei mercati e rischi politici - dove rispettivamente il primo e il terzo sono le ultime due new entry della classifica, che probabilmente soffrono dell'influenza generata dalla situazione bellica in atto tra Ucraina e Russia, ma anche da una serie di disordini civili e sociali, che stanno avendo tanto a livello internazionale, quanto a livello nazionale anche e soprattutto a causa dell'innalzamento del costo della vita, dovuto all'inflazione e alla prossima recessione. Aspetti, questi, assolutamente da non sottovalutare nemmeno nel nostro Paese, soprattutto pensando a quell'ossatura economica nazionale composta da PMI e micro imprese.

 

"Il 2023 sarà un anno difficile; dal punto di vista puramente economico, probabilmente sarà un anno da dimenticare per molte famiglie e aziende. Tuttavia, non c'è motivo di disperare - ha concluso Ludovic Subran, Chief Economist presso Allianz -. Innanzitutto, l'inversione di tendenza dei tassi di interesse è di grande aiuto, soprattutto per milioni di risparmiatori. Anche le prospettive a medio termine sono molto più rosee, nonostante - o piuttosto a causa - della crisi energetica. Le conseguenze, al di là della recessione prevista per il 2023, si stanno già facendo sentire: una trasformazione forzata dell'economia in direzione della decarbonizzazione e una maggiore consapevolezza dei rischi in tutti i settori della società, che rafforzerà la resilienza sociale ed economica".

 

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LE AGENDE DI OGGI DEI CEO GUARDANO ALLA RIVOLUZIONE SOSTENIBILE DI DOMANI

Per imprenditori, manager e investitori finanziari la sostenibilità è da diverso tempo una priorità cruciale. Del resto, essere sostenibili e con obiettivi specifici paga economicamente e crea valore: i titoli con elevato rating ESG, dal 2007 a oggi, hanno registrato un’over-performance del 150%. Se il percorso di transizione energetica è certo, permangono invece dubbi su modalità e tempistiche: si teme che l’obiettivo net zero non sia conseguibile prima del 2057. Gli amministratori delegati hanno ben chiaro quanto il fattore ESG sia centrale per il futuro delle loro aziende, ma sono anche pienamente consapevoli della complessità del processo di trasformazione. Molti CEO sono attivi su iniziative ESG che coinvolgono il proprio settore merceologico e collaborano con le autorità di regolamentazione e i legislatori per promuovere progressi più rapidi. Proprio nei prossimi giorni Bain & Company Italia presenterà il suo “ESG CEO Pulse”, una serie di conversazioni con un panel di CEO italiani sulle sfide della sostenibilità.
Tra i temi chiave emersi durante alcune di queste interviste – spiega Roberto Prioreschi, SEMEA Managing Partner di Bain & Company - c’è la consapevolezza dei numeri uno aziendali di dover essere i promotori di un cambiamento culturale all'interno delle loro organizzazioni per coinvolgere tutti. In generale, i dirigenti con cui ci siamo interfacciati, ritengono di fare meglio in materia ESG rispetto al Paese nel suo complesso, che è in ritardo rispetto a 10 dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite”.
In questo contesto, considerato che in appena un anno le aziende hanno deciso di destinare oltre il 40% in più delle proprie risorse a questo percorso, si evince che le imprese sono intenzionate a investire in media il 23% del capitale a nuove iniziative imprenditoriali a sostegno e in risposta alla transizione energetica”, prosegue Prioreschi, evidenziando come sposare la rivoluzione sostenibile sia il modo migliore per assicurarsi più stabilità e solidità economico-finanziaria.

Le strategie di sostenibilità di successo prevedono investimenti per i prossimi 3-5 anni in ottica “future back” e comprendono cambiamenti nel profit pool per i prossimi 10-30 anni”, osserva Pierluigi Serlenga, Managing Partner Italia e Leader globale Aerospace, Defense and Government Services Sector di Bain & Company. “Il nostro supporto ai Gruppi industriali nel percorso di trasformazione sostenibile va dallo sviluppo di una strategia di sostenibilità trasformativa, alla quantificazione a lungo termine delle implicazioni sul business”.
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CYBERSECURITY: L’AUMENTO DEI DEEPFAKE RISCHIA DI PORTARE I PROFESSIONISTI DEL SETTORE AL BURNOUT

In occasione del Black Hat USA 2022, VMware, Inc. (NYSE: VMW) ha pubblicato l'ottavo rapporto annuale Global Incident Response Threat Report, che analizza nel dettaglio le sfide che devono affrontare i team di sicurezza, dalla pandemia, al burnout dei professionisti, ai cyberattacchi a sfondo geopolitico.

Un argomento di grande attualità che abbiamo voluto approfondire attraverso l’analisi di questo report, anche in vista della prima edizione dello Strategic Risk & Cybersecurity Summit previsto a Roma, il 30 novembre e 1 dicembre 2022, all’interno dell’edizione autunnale del Business Leaders Summit – la grande manifestazione dedicata ai migliori C-level dell’impresa moderna, organizzata da Business InternationalFiera Milano.

I RISULTATI DELLO STUDIO

Secondo i risultati dello studio, il 65% degli addetti alla sicurezza informatica afferma che i cyberattacchi sono aumentati dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia. Il rapporto, inoltre, fa luce sulle minacce emergenti, come deepfake e attacchi alle API, con i criminali informatici che prendono di mira gli stessi incident responder.

"Per eludere i controlli di sicurezza, oggi i criminali informatici stanno introducendo nei loro metodi di attacco anche i deepfake", ha dichiarato Rick McElroy, principal cybersecurity strategist di VMware. "Secondo il nostro report, due intervistati su tre hanno rilevato l’utilizzo di deepfake dannosi come parte di un attacco, con un aumento del 13% rispetto allo scorso anno e l'e-mail a rappresentare il metodo di trasmissione più comune. Oggi i criminali informatici non si limitano più a utilizzare video e audio manipolati nelle campagne di disinformazione o nelle influence operations. Il loro nuovo obiettivo è sfruttare la tecnologia deepfake per ottenere l'accesso e compromettere le organizzazioni".

Altri risultati chiave del rapporto includono:
  • Il burnout dei professionisti della sicurezza rimane un problema critico. Il 47% degli addetti alla sicurezza ha dichiarato di aver sofferto di burnout o di forte stress negli ultimi 12 mesi (dato in leggero calo rispetto al 51% dello scorso anno). Di questi, il 69% (contro il 65% del 2021) degli intervistati ha preso in considerazione l'idea di lasciare il proprio lavoro. Le organizzazioni si stanno comunque impegnando per contrastare il fenomeno: più di due terzi degli intervistati ha dichiarato che il proprio datore di lavoro ha implementato programmi di benessere aziendale per affrontare il burnout.
  • Gli attori ransomware oggi incorporano strategie di estorsione informatica. Il predominio degli attacchi ransomware, spesso sorretto e amplificato dalle collaborazioni dei gruppi di criminalità informatica sul dark web, non si è ancora arrestato. Il 57% degli intervistati si è imbattuto in attacchi di questo tipo negli ultimi 12 mesi e due terzi (66%) hanno riscontrato la presenza di programmi di affiliazione e/o partnership tra gruppi di ransomware, con i principali cartelli informatici che continuano a estorcere denaro alle organizzazioni attraverso tecniche di doppia estorsione, aste di dati e ricatti.
  • Le API sono il nuovo endpoint e rappresentano la prossima frontiera per gli aggressori. Con la proliferazione dei carichi di lavoro e delle applicazioni, il 23% degli attacchi compromette la sicurezza delle API. I principali tipi di attacchi alle API includono l'esposizione dei dati (42% degli intervistati nell'ultimo anno), gli attacchi SQL e API injection (rispettivamente 37% e 34%) e gli attacchi Denial-of-Service distribuiti (33%).
  • I movimenti laterali sono il nuovo campo di battaglia. Sono stati rilevati nel 25% di tutti gli attacchi, con i criminali informatici che hanno utilizzato qualsiasi mezzo, da host di script (49%) e archiviazione di file (46%) a PowerShell (45%), piattaforme di comunicazione aziendale (41%) e .NET (39%) per sondare le reti.


"Per difendersi dalla progressiva estensione della superficie di attacco, i team di sicurezza hanno bisogno di un livello adeguato di visibilità su carichi di lavoro, dispositivi, utenti e reti per rilevare, proteggere e rispondere alle minacce informatiche", ha dichiarato Chad Skipper, global security technologist di VMware. "Se i team di sicurezza prendono decisioni basate su dati incompleti e imprecisi, viene inibita loro anche la capacità di implementare una strategia di sicurezza granulare e i loro sforzi per rilevare e bloccare gli attacchi laterali sono ostacolati da un contesto limitato dei loro sistemi".

Nonostante lo scenario attuale decisamente turbolento e le crescenti minacce descritte nel report, gli addetti alla risposta agli incidenti stanno reagendo: l'87% dichiara di essere in grado di interrompere le attività dei criminali informatici molto spesso (37%) o a volte (50%), e di farlo utilizzando anche nuove tecniche. Tre quarti degli intervistati (75%) dichiara infatti di utilizzare le patch virtuali come meccanismo di emergenza. In ogni caso, maggiore è la visibilità che i difensori hanno sull'attuale superficie di attacco, più saranno attrezzati per affrontare l’attuale panorama di minacce.
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REPORT EY: I FONDI ESG A LIVELLO GLOBALE CRESCONO DEL 53% YoY, MA ATTENZIONE AL GREENWASHING

Secondo il nuovo report elaborato da EY e Oxford Analytica, che analizza il sistema attuale sulle informazioni relative ai fattori delle attività ambientali, sociali e di governance delle organizzazioni (ESG), questi ultimi stanno affrontando nuove sfide legate alla mancanza di standardizzazione, regolamentazione univoca e obiettivi comuni, aggravate dall’aumento dell’inflazione e dalle conseguenze economiche e sociali del conflitto in Ucraina. Secondo il report, infatti, nonostante i dati mostrino che l'ESG è il segmento in più rapida crescita nel settore dell'asset management, con asset in fondi ESG in crescita del 53% su base annua a 2,7 trilioni di dollari nel 2021, fenomeni quali il greenwashing, insieme ad altri fattori, stanno impattando la credibilità degli ESG. Un fattore di destabilizzazione da ridurre, controllare e monitorare, per poter guardare davvero a un nuovo modello di business sostenibile, che abbiamo voluto comprendere meglio in vista del prossimo appuntamento del Business Leaders Summit organizzato da Business International - Fiera Milano e previsto, nella sua edizione autunnale, presso Palazzo Rospigliosi a Roma, dal 21 novembre all’1 dicembre 2022, per mettere a confronto i C-Level italiani e internazionali sui principali trend che guideranno il futuro dell’impresa moderna.

UN SISTEMA DA RICOSTRUIRE

Ricostruire la fiducia nel sistema diventa dunque prioritario per modellare l'ecosistema degli ESG affinché vengano percepiti dagli stakeholder alla pari con l'ecosistema più consolidato dell'informativa finanziaria. Nell’ultimo decennio, infatti, il numero di politiche e normative di finanza sostenibile obbligatorie e non vincolanti è aumentato in modo significativo e ad oggi, in tutto il mondo, ci sono circa 870 politiche e regolamenti, con 225 aggiunte o revisioni solo nel 2021. Inoltre, i diversi sistemi legali e i molteplici contesti sociali e politici influenzano i principi su cui si basano standard e regolamenti che disciplinano le informazioni sulla sostenibilità, senza contare che le amministrazioni dei diversi Paesi si stanno muovendo a velocità diverse nella regolamentazione delle informazioni sulla sostenibilità. Manca dunque un accordo su ciò che i fattori ESG dovrebbero includere, su come applicare le metriche concordate e su come utilizzare al meglio i dati disponibili.
"La straordinaria crescita dell’attenzione sui temi legati alla sostenibilità, compreso l’ESG, e il conseguente sviluppo di tali attività all’interno delle aziende, si trova oggi ad affrontare delle sfide complesse, quali una definizione condivisa di cosa significhi la sostenibilità e quali debbano essere i sistemi di rating e valutazione. Negli ultimi anni questo sviluppo è stato indotto per una parte importante dagli investitori, il 70% dei quali conferma la volontà di voler investire in realtà attente al proprio impatto sociale e ambientale, e dall’input del legislatore europeo che sta progressivamente regolando la materia a beneficio, in primis, proprio degli investitori stessi. Tuttavia, la crescita di un tema così rilevante è ancora guidata prevalentemente da un solo stakeholder, ossia quello finanziario, che peraltro ha mostrato normalmente una scarsa attenzione alle tematiche ambientali e sociali. Questo comporta una sorta di squilibrio che si osserva nella prevalente attenzione alla gestione del rischio di “non sostenibilità” delle imprese, piuttosto che allo sviluppo delle stesse e di una contestuale riduzione significativa dei loro impatti ambientali” commenta Riccardo Giovannini, Climate Change and Sustainability leader di EY in Italia. “È fondamentale rifocalizzare l’attenzione sul concetto stesso di sostenibilità, in modo che sia condivisibile da tutti gli stakeholder così da misurare realmente l’impegno delle aziende sul tema. Questo consentirebbe di non incorrere nel rischio che la sostenibilità venga relegata solo a un tema di compliance normativa, a discapito di un reale e concreto contributo delle aziende allo sviluppo sostenibile della nostra società civile e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.

LE 5 PRIORITA’ DELL’AMBITO ESG SU CUI CONCENTRARSI

A tal proposito, il report di EY e Oxford Analytica delinea 5 aree principali che devono essere affrontate per superare le sfide attuali legate ai criteri ESG:
  • Aumentare la trasparenza sugli indicatori compositi (rating) ESG: Con indicatori compositi, un'azienda riceve un punteggio su un'ampia gamma di emissioni ESG, con pesi diversi assegnati a ciascuna emissione per calcolare un rating ESG complessivo. Questi fattori spaziano dai cambiamenti climatici all'inquinamento e ai rifiuti, fino alla trasparenza fiscale. È dunque necessario aumentare la trasparenza e la comprensione dei rating ESG compositi, in quanto, per coloro che sono interessati alla gestione del rischio finanziario, la mancanza di trasparenza sulla ponderazione dei temi ESG riduce la chiarezza e l'utilità decisionale. Inoltre, nell'approccio composito, la mancanza di consenso sulle definizioni e sulle metodologie di calcolo può ostacolare un'analisi rigorosa delle prestazioni ambientali di un'organizzazione. Ma anche le questioni sociali come i diritti umani, gli standard del lavoro, l'equità di genere, possono essere più difficili da quantificare rispetto a un parametro di riferimento concordato, a causa delle differenze sociali e politiche tra le diverse giurisdizioni. Pertanto, gli investitori devono essere consapevoli di queste distinzioni, limiti di misurazione e variazioni.
  • Aumentare la comprensione dei diversi usi delle informazioni sulla sostenibilità: Le informazioni sulla sostenibilità possono servire a due scopi: valutare il rischio finanziario e valutare l'impatto sociale. Questi usi non si escludono a vicenda, ma vengono facilmente confusi. Ad oggi, l'ecosistema delle informazioni sulla sostenibilità si è evoluto per soddisfare le aspettative degli stakeholder che sono principalmente interessati alla valutazione del rischio finanziario. La maggior parte dei regimi di reporting ESG, così come tutti i principali fornitori di rating ESG, non misurano l'impatto di un'azienda sulla società, bensì la sua esposizione relativa a vari rischi finanziari interni ed esterni, nonché opportunità. Tuttavia, la recente crescita degli investimenti ESG è stata trainata da giovani investitori millennial e della Gen Z, per i quali è imprescindibile dare la priorità a considerazioni sociali e morali. Per cui, sebbene vi siano sovrapposizioni tra le principali motivazioni ESG, è importante capire se l'attuale ecosistema di informazioni sulla sostenibilità serva sia per la valutazione dell'impatto finanziario che per quello sociale, al fine di soddisfare le esigenze di tutti gli interlocutori.
  • Certificare i dati in maniera indipendente, standardizzata e rigorosa, come avviene per l’informativa finanziaria: La certificazione dei dati contribuisce a creare fiducia nell’ecosistema delle informazioni sulla sostenibilità. Nei prossimi anni i mercati aumenteranno la domanda di certificazioni esterne solide e indipendenti relative alle informazioni sulla sostenibilità. Gli Stati Uniti e l'Unione Europea stanno già prendendo in considerazione requisiti di certificazione obbligatori per le regole di divulgazione della sostenibilità. Con l'aumento della domanda di certificazioni, sarà dunque fondamentale che gli attori nell'ecosistema dell'informazione sulla sostenibilità riconoscano e aderiscano al concetto di gestione del rischio noto come “the three lines of defence". Queste indicazioni sono ampiamente riconosciute come fondamentali per creare fiducia e mantenere un rigoroso sistema di reporting che fornisca informazioni accurate e imparziali. In primo luogo, è prevista una regolamentazione societaria, che comprenda un solido sistema di controlli interni con ruoli di direzione, consiglio di amministrazione, comitato per il controllo interno. A seguire bisogna garantire una forma d’indipendenza esterna, così come una vigilanza regolamentare.
  • Sviluppare in maniera concordata tassonomie di finanza sostenibile comparabili e interoperabili: Per ottenere una reale trasparenza e comparabilità nelle informazioni sulla sostenibilità, le giurisdizioni necessitano di tassonomie fondate su principi complementari. Le tassonomie sono sistemi che determinano quali attività economiche dovrebbero essere considerate sostenibili e possono aiutare a chiarire le incertezze su ciò che è considerato sostenibile e ciò che non lo è, fornendo una motivazione chiara e basata sui dati del motivo per cui una particolare attività rientra (oppure no) nella definizione di tassonomia di sostenibilità. Alcune regioni e Paesi stanno già facendo notevoli progressi nello sviluppo delle tassonomie. Ad esempio, la tassonomia dell'UE ha lo scopo di aiutare i Paesi europei a incrementare gli investimenti sostenibili e ad attuare il Green Deal europeo (il piano della Commissione europea per rendere l'Europa neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050). L'UE sta inoltre collaborando con la Cina per definire una tassonomia che si basi su elementi comuni, tenendo al contempo in considerazione i diversi percorsi di transizione energetica, nonché le realtà politiche.
  • Diminuire le barriere all'ingresso per coloro che provengono dalle economie emergenti: Le economie emergenti produrranno la grande maggioranza delle emissioni mondiali di gas serra entro il 2050. Tuttavia, rispetto ad altri mercati che possono essere più resilienti e in grado di adattarsi all’impatto dei cambiamenti climatici in corso, queste economie sono potenzialmente più esposte a subirne le conseguenze. Per questo sarebbe importante coinvolgerle maggiormente nell’ecosistema dell’informazione sulla sostenibilità, senza però promuovere per loro degli standard diversi che potrebbero essere controproducenti, affinché si possano diminuire le loro barriere d’ingresso al mercato degli ESG. In quest’ottica, il lavoro di definizione degli standard internazionali svolto dall'International Sustainability Standards Board potrebbe aiutare i Paesi emergenti ad adottare i suoi standard nei propri quadri giuridici e coglierne tutte le opportunità connesse.
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GIGANTINO (VMWARE): DALLA GEN Z AI BABY BOOMER, NELL'ERA POST-COVID L'IMPORTANTE SONO LE CONNESSIONI

Quando si parla del modo in cui lavoriamo nella nuova era del lavoro ibrido, si deve necessariamente considerare non solo la tecnologia che lo consente, ma anche la cultura che lo definisce. Oltre a investire nelle più recenti tecnologie di esperienza digitale per supportare i dipendenti ovunque scelgano di lavorare, le organizzazioni devono infatti oggi anche ripensare la cultura di una forza lavoro che non è più confinata in un ufficio.

Un tema, questo, molto delicato e di grande attualità che abbiamo voluto approfondire attraverso le parole e l'esperienza di Raffaele Gigantino, Country Manager VMware Italia, anche in vista della prossima edizione di HR Business Summit, l'evento dedicato al mondo delle risorse umane che si terrà il prossimo 29 e 30 novembre 2022 all'interno di Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai C-Level del futuro, organizzata da Business international - Fiera Milano e prevista, nella sua edizione autunnale, dal 21 novembre all'1 dicembre 2022 a Roma, presso gli spazi di Palazzo Rospigliosi. "Se la decisione tra il lavoro ibrido permanente e il ritorno in ufficio non fosse già abbastanza difficile- spiega il manager -, i datori di lavoro devono anche considerare i punti di vista diversi e spesso opposti dei dipendenti e devono farlo bilanciando una serie di questioni culturali, aziendali ed economiche come la produttività, la destinazione di uffici vuoti e costosi e il modo per aumentare la collaborazione o ridurre il senso di isolamento".

Non sempre, però, c'è accordo all’interno dei gruppi di età differenti su dove e come le persone vorrebbero o dovrebbero lavorare, e questo porta a grandi differenze nell'esperienza e nelle prestazioni. "Secondo una nostra recente ricerca dal titolo “The Virtual Floorplan: New Rules for a New Era of Work”- prosegue Gigantino -, dall'inizio della pandemia, il 62% dei giovani tra i 18 e i 25 anni ha ottenuto una promozione, contro appena il 13% delle persone con più di 56 anni. Le aziende devono rispondere a queste differenze nel contesto di obiettivi più ampi e di aspirazioni volte a rendere l'ambiente di lavoro più inclusivo e, anche, flessibile". Dare vita a un processo come questo, però, non sembra essere così semplice. "Il modo in cui le organizzazioni scelgono di affrontare questo ostacolo generazionale e la differenza di visione - sottolinea il manager - sarà uno dei principali fattori che decideranno chi avrà successo e chi no nella nuova era del lavoro ibrido".

L'IMPORTANZA DELLE CONNESSIONI

Quali sono, quindi, queste differenze e qual è l'impatto sulle aziende che stanno già lottando per accedere alle competenze critiche in seguito alle "Grandi Dimissioni" e alle "Grey Resignation", di cui si parla meno ma che non hanno meno impatto? "Il divario più netto tra le opinioni generazionali - indica Gigantino - si riscontra nel modo in cui i gruppi di età considerano lo sviluppo delle connessioni personali. Dalla nostra ricerca è emerso che il 70% della Generazione Z (18-25 anni) ritiene che il cambiamento delle circostanze lavorative abbia migliorato i legami personali con i colleghi, mentre solo il 30% dei Baby Boomers (56+ anni) può dire lo stesso". Forse si tratta semplicemente di ciò a cui sono abituati: i Baby Boomer hanno lavorato in ufficio per tutta la loro carriera lavorativa, ma il mantenimento e la creazione di legami per promuovere team collaborativi devono essere al centro dell'attenzione dei datori di lavoro. "Le connessioni non solo sono positive dal punto di vista dell'apprendimento e della socialità - conferma il manager -, ma contribuiscono anche ad aumentare il rendimento del lavoro e i livelli di performance del team e di coinvolgimento dei dipendenti. Ecco perché, secondo il VMware Forrester Digital Employee Experience Report 2022, il 60% delle aziende a livello globale sta dando priorità a un investimento medio di 500.000 dollari in una piattaforma digitale completa per l'esperienza dei dipendenti nei prossimi 24 mesi, e l'80% cita la produttività dei dipendenti come uno dei principali fattori alla base dell'investimento. I lavoratori intervistati per la BCG COVID-19 Employee Sentiment Survey che si sono sentiti meno connessi socialmente con i colleghi durante la pandemia sono stati meno produttivi nelle attività di collaborazione rispetto a prima della pandemia e solo il 30% dei Baby Boomers ritiene che la produttività dei dipendenti sia aumentata con l'introduzione del lavoro a distanza". Risulta chiaro, quindi, come, indipendentemente dal fatto che siano in ufficio o che lavorino altrove, i datori di lavoro devono considerare come offrire maggiori opportunità di connessione sociale tra le generazioni. "Esempi di questo nuovo approccio, in realtà, già esistono - commenta Gigantino -. Basti pensare, ad esempio, che il fondatore della banca britannica Monzo, Tom Bloomfeld, ha recentemente annunciato di aver investito in un'applicazione per il benessere per superare la solitudine del lavoro ibrido e aiutare a creare connessioni tra colleghi basate su interessi extra-lavorativi".

ACCORDO GENERAZIONALE SUL VALORE DELLE PRESTAZIONI

Sebbene i gruppi generazionali possano essere divisi sulle loro esperienze di lavoro a distanza, però, tutti sembrano essere d'accordo su due cose importanti: in primo luogo, il fatto che lavorare in un ambiente remoto o distribuito abbia portato i dipendenti a essere valutati più in base alle prestazioni e meno in base a parametri tradizionali come il tempo trascorso in ufficio. Il secondo punto riguarda le capacità di leadership necessarie per creare team ad alte prestazioni in un ambiente remoto o distribuito. "Tutti - aggiunge il manager - riconoscono l’importanza delle capacità di comunicazione, seguite dalla capacità di fidarsi dei dipendenti, dalla fluidità digitale su una serie di piattaforme e dall'adattabilità a nuove modalità di misurazione delle prestazioni dei dipendenti". La vera sfida, così, diventa saper abbracciare la flessibilità per supportare tutti i dipendenti. "Uno dei tratti distintivi del lavoro ibrido - prosegue il manager - è la flessibilità. Per questo motivo, anche se possono esserci dei divari di esperienza tra le diverse generazioni di dipendenti, i datori di lavoro devono cogliere l'opportunità di colmare questi divari durante la transizione verso il nuovo modello di lavoro ibrido, per assicurarsi di costruire una forza lavoro realmente inclusiva e diversificata. Le imprese oggi operano in un mercato del lavoro difficile. Riuscire a trovare un equilibrio tra le esigenze di diversi tipi ed età di lavoratori sarà fondamentale per trattenere e attrarre nuovi talenti - giovani e meno giovani - in azienda. Sebbene trovare questo equilibrio possa sembrare difficile da raggiungere, la ricerca mostra che c'è una correlazione molto importante che, se risolta, avrà un effetto positivo a catena. Si tratta della correlazione tra l'aumento dei legami personali e il conseguente aumento della produttività e delle prestazioni del team".

LA VALORIZZAZIONE DELLA PERSONA ATTRAVERSO LA TECNOLOGIA

Sebbene ciò sia particolarmente vero per le generazioni meno giovani, le connessioni di tutte le età sono ciò che aiuta le persone (e l'azienda) a prosperare. "Nella nuova era digitale e ibrida - sottolinea Gigantino - i dipendenti vogliono sentirsi apprezzati, connessi, sostenuti e incoraggiati, indipendentemente da dove e come lavorano. Per i datori di lavoro, questa è un'opportunità per evolvere la cultura della propria forza lavoro in modo da prendere in considerazione le esigenze di ogni generazione e diventare più forti, più competitivi e un posto di lavoro migliore per tutti. E sfruttare le tecnologie per l'esperienza digitale che possono trasformare la "forza lavoro ovunque" in una realtà ricca di contenuti".
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Top Management

IN ITALIA, 9 AZIENDE SU 10 SCELGONO DI INVESTIRE IN DIGITALIZZAZIONE GRAZIE AI FONDI DEL PNRR

La domanda che tutti si pongono nel day after della caduta del governo Draghi è: come faremo a rispettare i tempi imposti dalla UE per continuare a ricevere i fondi del Piano di Ripresa e Resilienza? Un tema spinoso, a cui sicuramente ora è difficile dare risposta, ma che lascia appese a un filo migliaia se non milioni di aziende nel nostro Paese che basavano il proprio sviluppo post-pandemico su questi aiuti economici. Un argomento di grande attualità, dunque, che, in vista anche della prossima edizione del Milan Fintech Summit - l'evento, dedicato al mercato del finance technology italiano e organizzato da Business International - Fiera Milano e Fintech District che si terrà dal 5 al 7 ottobre 2022 -, abbiamo cercato di comprendere meglio attraverso i dati del nuovo Osservatorio realizzato da Qonto su un campione di oltre 1.000 PMI attive in tutto il territorio italiano e operanti in diversi settori. La survey, che ha visto coinvolte aziende appartenenti a diversi settori economici, ha indagato, tra le altre, il comportamento nei confronti degli incentivi previsti da PNRR, lo stato di digitalizzazione delle PMI, la formazione e le competenze maggiormente richieste.

Qonto vuole essere un partner strategico per le PMI e gli imprenditori italiani e per questo ascoltiamo attentamente le loro esigenze, sviluppiamo soluzioni su misura e supportiamo il processo di digitalizzazione del business”, commenta Mariano Spalletti, Country Manager per l’Italia di Qonto. “In questo momento, abbiamo di fronte una grande opportunità per spingere verso la digitalizzazione del Paese, partendo proprio dal tessuto imprenditoriale. Il trend è positivo e i dati del nostro osservatorio lo confermano, ma è necessario continuare a lavorare per sensibilizzare sul tema e per stimolare la nascita e la diffusione di competenze digitali, ormai imprescindibili”.

PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), organizzato in 6 missioni, prevede per l’Italia 191 miliardi di fondi per innovazione e digitalizzazione, transizione ecologica e inclusione sociale. In particolare, Qonto ha indagato in che modo le PMI hanno investito o hanno intenzione di investire tali fondi, focalizzandosi in particolare su come le risorse messe a disposizione dal PNRR possano contribuire ad accelerare il processo di digitalizzazione del tessuto imprenditoriale del Paese.

Oltre il 70% delle piccole e medie imprese intervistate ha dichiarato di avere già fatto ricorso o aver intenzione di far ricorso agli incentivi previsti dal PNRR (di queste, il 61% circa ne sta già facendo uso). Dall’indagine emerge in particolare che ad avere già aderito agli incentivi previsti sono maggiormente le PMI numericamente più grandi: tra le aziende da 50 a 250 dipendenti una su due (56%) ne ha già fatto ricorso, mentre tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti solo una su quattro (26%) si è già attivata per utilizzare i fondi. Tra gli interventi coperti dalle agevolazioni, i più richiesti e scelti da oltre la metà delle PMI intervistate spiccano l’accesso al credito di imposta (52%) e la formazione (51%). Per quanto riguarda la prima, il credito di imposta interessa in particolare le aziende manifatturiere (62,5%) e le imprese dell’edilizia (60%), attirando oltre la metà (52%) delle micro-imprese fino a 10 dipendenti.

La decisione di accedere ai finanziamenti è stata in buona parte influenzata dai recenti avvenimenti economici e geopolitici. Lo dichiara il 67% delle imprese che aderiranno al PNRR entro la fine del 2022. I dati mostrano inoltre che l’attuale scenario geopolitico ha favorito la scelta verso il PNRR in particolare delle aziende più giovani (il 75,5% tra le startup e il 72% delle aziende tra i 4 e 10 anni di attività) e le PMI del Sud Italia (il 70% contro il 64% delle PMI al Centro e al Nord). Inoltre, l'indagine sottolinea che i settori più attenti a ricevere i fondi in seguito alla guerra e all’attuale situazione politica italiana e macro-economica mondiale sono le aziende attive nei servizi per la ristorazione e l’ospitalità (76%), le imprese che si occupano di Media & Marketing (76%) e quelle della formazione (74,5%).

Per il 67% circa delle imprese, gli interventi previsti grazie ai fondi PNRR avranno principalmente effetti nel lungo periodo. Questo dato raggiunge il 76% circa nel caso delle startup ed è addirittura al di sopra dell’80% nel settore manifatturiero.

PMI E DIGITALIZZAZIONE

Tra gli stanziamenti previsti, 9 su 10 (91%) tra le PMI italiane che stanno già sfruttando o approfitteranno dei fondi messi in campo dal PNRR, hanno deciso di investire nella digitalizzazione del proprio progetto di impresa. Sul totale delle aziende, la percentuale di quelle che scelgono di aderire al PNRR per innovarsi digitalmente sale dal 55% di dicembre 2021 al 64% di giugno 2022. Per il 68% circa delle PMI che stanno utilizzando o hanno intenzione di utilizzare le risorse del PNRR, il digitale (e più nello specifico l’implementazione di nuovi strumenti digitali o il loro aggiornamento) avrà un ruolo fondamentale o molto importante rispetto alla tipologia di intervento che si prevede di realizzare utilizzando gli incentivi del PNRR, mentre sono solo il 5% circa quelle per cui non avrà un ruolo importante.

COMPETENZE DIGITALI: LA SPINTA PER COLMARE IL GAP
Innovare non significa solo implementare sistemi e processi a elevato valore tecnologico, ma anche investire in formazione per colmare il gap di competenze digitali, che emerge in maniera evidente se si guarda ai risultati del DESI 2021, che vede l’Italia al 25° posto tra i Paesi dell’Ue in materia di e-skill. Nell’ultimo anno, anche il Ministro per la trasformazione digitale, Vittorio Colao, ha più volte lanciato un “allarme competenze”, che trova conferma nei dati della survey, che ha evidenziato come le competenze digitali, oggi più che mai necessarie per essere maggiormente competitivi sul mercato, siano ritenute da 1 azienda su 4 (26%) tra le più difficili da reperire. Non a caso, inoltre, per il 64% circa delle aziende che scelgono di investire in formazione utilizzando le risorse del PNRR, gli investimenti in quest’area si focalizzeranno sullo sviluppo di competenze digitali, che rappresenta uno degli elementi chiave del PNRR intorno al quale ruota il futuro delle aziende e delle PMI e in particolare di quelle che operano nel settore manifatturiero (76%) e di quelle in attività da almeno 20 anni (72,5%).

FONDI PER L’INTERNAZIONALIZZAZIONE RICHIESTI DA 1 PMI SU 5, EUROPA PRIMA AREA STRATEGICA

Il PNRR prevede circa un miliardo e mezzo di fondi destinati all’internazionalizzazione delle imprese italiane. Secondo quanto emerge dall’Osservatorio Qonto, ne ha fatto ricorso o ha intenzione di farlo entro la fine del 2022 1 su 5 delle PMI che utilizzano o utilizzeranno il PNRR e 1 su 10 tra le startup. L’Europa è la prima area geografica in cui si sceglie di concentrare l’espansione internazionale. In particolare, oltre la metà (52%) è interessata ai mercati dell’Europa Centrale. Seguono Stati Uniti (22%) e Sud America (12%). A favorire l'internazionalizzazione sono principalmente le medie imprese da 50 a 250 dipendenti: 1 su 4 ha già all’attivo o in programma piani di investimento nei paesi stranieri contro 1 su 10 tra le micro-imprese fino a 10 dipendenti.

Cybersecurity e disaster recovery

L’indagine svolta rivela che cybersecurity e disaster recovery sono temi sempre più attuali per le PMI italiane: per il 68% degli intervistati, sono previsti investimenti in questo campo nei prossimi 2 anni (percentuale che arriva a toccare il 78% per le medie imprese da 50 a 250 dipendenti). Più di un’azienda su tre tra quelle che hanno investito o investiranno in formazione utilizzando le risorse del PNRR, inoltre, si concentrerà sull’area della sicurezza informatica dei sistemi (34%).
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