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NICODEMI (CARPISA): PER RIDURRE LA TALENT SHORTAGE BISOGNA PERMETTERE AI PROFESSIONISTI DI REALIZZARSI DAVVERO IN AZIENDA

Oggi il mercato del lavoro è indubbiamente cambiato rispetto a solo pochi anni fa. Le aspettative dei potenziali candidati sono diverse e maggiori rispetto al passato, sia da un punto di vista strettamente economico che sul versante di un complessivo e migliore equilibrio tra vita personale e professionale”. Marco Nicodemi, Chief HR Officer di Carpisa, sottolinea così il meccanismo di trasformazione in atto nel mondo del business che sta portando numerose aziende a ripensare i propri modelli di recruitment per attirare l’attenzione dei migliori talenti sul mercato. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire, in occasione della presentazione della ricerca dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, realizzata da Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, e presentata nel corso dell'ultima edizione del Business Leaders Summit, tenutosi a Milano lo scorso 14 e 15 giugno 2023. “Alcuni fattori – prosegue il manager – incidono più che in passato nella scelta dell’azienda da parte dei candidati: la possibilità di lavorare da remoto, in tutto o in parte (c.d.: lavoro “ibrido”), la distanza tra luogo di lavoro e residenza, la gestione del tempo e, conseguentemente, la possibilità di dedicarsi anche agli interessi personali o alle esigenze di cura verso figli piccoli e genitori anziani, sono tutti elementi importanti nella valutazione di un’opportunità professionale da parte di un candidato”. In questo contesto, ovviamente però, anche le aspettative delle aziende si sono evolute e modificate. “Tra i requisiti attesi dalle imprese – spiega Nicodemi – oggi spiccano, ad esempio, quelle competenze digitali non particolarmente diffuse né tra i giovani italiani attivi nella ricerca di prima occupazione, né tra i professional di maggiore seniority già presenti sul mercato”. Un aspetto, questo, evidenziato da tempo ormai nell’ambito del recruiting nel nostro Paese, che sembra evidenziare come si faccia ancora fatica a cambiare le dinamiche della formazione e, se vogliamo, della rivoluzione culturale che la digital transformation, in modo particolare nell’era post-covid, sta richiedendo in maniera sempre più frenetica e incessante. “La combinazione di queste variabili – continua nella sua analisi il direttore delle risorse umane – ha reso più difficile la possibilità di un più rapido ed efficace incontro tra domanda e offerta, nonostante la disponibilità di strumenti di recruitment ben più veloci e immediati rispetto al passato”. La questione, quindi, pare non sia più essere generata dalla digitalizzazione delle operation da parte delle imprese, ormai, ma verta più su un discorso organizzativo e di evoluzione strutturale dei modelli attualmente in essere. “Per poter progredire in questo senso – avverte Nicodemi –, è più che mai indispensabile per le aziende un investimento organizzativo che favorisca l’adozione di modelli di gestione basati su obiettivi e non su gerarchie verticali di tipo dispositivo. E’ necessario investire su percorsi formativi orientati allo sviluppo di competenze manageriali. E’ importante costruire contesti aperti e trasparenti nei quali le persone si sentano effettivamente parte del progetto aziendale”. Una roadmap chiara, quindi, che Carpisa ha intrapreso già da qualche tempo. “Noi, in azienda – aggiunge il manager – stiamo cercando di raffinare il processo di recruitment, che - per alcune posizioni - è sempre attivo, proprio per costruire attenzione e notorietà intorno al Brand. Stiamo costruendo percorsi di sviluppo manageriale e sistemi di remunerazione per obiettivi altamente incentivanti”. Un set di attività, per così dire, con un unico grande obiettivo. “Facciamo tutto quanto possa aiutarci – racconta Nicodemi – ad uscire dalla logica di un processo di recruitment distante dal resto della nostra impresa, rivedendo i fondamentali del nostro contesto organizzativo per riproporli anche come strumento di attraction verso i nuovi e potenziali candidati”. Una nuova generazione di talenti da conquistare e con cui confrontarsi per raggiungere un risultato comune su cui spesso le organizzazioni che operano nella nostra penisola fanno fatica a puntare per svariati motivi, ma che invece risulta fondamentale nello sviluppo di un rapporto tra dipendente e datore di lavoro che sempre di più deve guardare alla sostenibilità tanto del business quanto della soddisfazione e della vita privata del professionista. “Le aziende italiane sono “nane” e, spesso, a conduzione familiare – commenta Nicodemi –. Investono poco nell’organizzazione e nei sistemi di delega. Quelle che hanno concrete opportunità di intercettare i migliori talenti sono le aziende orientate a crescere, quelle che rischiano sul potenziale dei giovani e i cui titolari sono disponibili ad organizzare contesti trasparenti di crescita ed evoluzione personale, nei quali l’individuo non si senta un accessorio del progetto, ma parte del progetto stesso”. Un modello, questo, per cui però servono nuove competenze da sviluppare, tanto per le aziende, quanto per i propri manager. “Alle imprese di qualunque tipo e in qualunque settore – incalza Nicodemi –, oggi, serve chiarezza di intenti e coerenza sia dell’azienda che di coloro che la rappresentano. Le aziende hanno bisogno di un clima organizzativo e di strumenti a supporto dell’ibridazione dei ruoli organizzativi, attraverso soluzioni di piattaforma che consentano la gestione di progetti da parte di team i cui componenti non vivono quotidianamente nello stesso luogo di lavoro”. Tutte skill nuove, e da costruire, che richiedono un approccio diverso e una visione inedita dell’azienda stessa. “A mio modo di vedere – spiega il manager –, inoltre, è più che mai importante essere chiari rispetto agli obiettivi che l’azienda persegue e agli obiettivi di ruolo dei manager, oltre che ai meccanismi di valutazione in base ai quali si avrà l’opportunità di crescere in azienda per i professionisti. Lunghi processi di scelta non sono più compatibili con un mercato del lavoro fortemente competitivo e, pertanto, è ben meglio avere le idee chiare fin dal principio anziché intraprendere processi di reclutamento durante i quali non siano immediatamente disponibili le risposte alle numerose domande che ciascun candidato, oggi più che in passato, ci porrà sull’azienda, sul proprio ruolo e su come il proprio ruolo si integrerà nell’organizzazione della nostra realtà”. Domande a cui, spesso, ancora oggi le aziende fanno fatica a rispondere in maniera efficace. “Partiamo dal presupposto che tutte le persone che incontriamo desiderano realizzarsi – chiosa il manager – e se non ci organizziamo affinché questo si possa concretizzare, avremo già perso in partenza”.

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RUSSOMANDO (illimity): ASCOLTO CONCRETO E RACCONTO GENUINO, LE BEST PRACTICE CHE RIDUCONO LA TALENT SHORTAGE

"Il talent shortage è causato da diversi fattori: da una parte, è innegabile ormai come oggi esista una difficoltà per il mondo universitario e formativo nell’adeguarsi a continui e sempre più veloci mutamenti dello skill mix richiesto dalle aziende (sempre più ibridato e multidisciplinare);, dall’altra, è altrettanto evidente come ci sia un diverso approccio al lavoro e alle imprese da parte dei candidati (più) validi che, avendo gran mercato, valutano con maggior attenzione, rispetto al passato, i valori, la mission e le modalità di lavoro delle organizzazioni con cui entrano in contatto”. E’ questa la fotografia che propone Marco Russomando, Chief Human Resources & Organization Officer di Illimity, parlando di un fenomeno come quello della carenza di talenti, soprattutto in ambito Stem, che sta influenzando il mercato del lavoro a livello globale. Un punto di vista che abbiamo avuto l'opportunità di approfondire, in occasione della presentazione della ricerca dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, realizzata da Business International – Fiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, e presentata nel corso dell'ultima edizione del Business Leaders Summit, tenutosi a Milano lo scorso 14 e 15 giugno 2023“Al contempo, inoltre – prosegue il manager –, le nuove generazioni di professionisti hanno minore affezione (o se vogliamo un diverso legame) nei confronti del proprio datore di lavoro”.

 

IL PARADOSSO DELL'INVESTIMENTO A TERMINE

Un aspetto empatico, questo, che riflette un po’ la riduzione di quell'“attaccamento alla maglia”, come si dice in gergo sportivo, che rende più delicato il rapporto tra azienda e talento e propone un rischio di ritorno sull’investimento nelle risorse che rende sempre più complesse le scelte da mettere in campo per le organizzazioni. “In questo modo, però – sottolinea Russomando –, si crea il paradosso dell’investimento a termine, ovvero la necessità per le aziende di puntare molto sulla formazione e lo sviluppo dei talenti che poi – spesso – scelgono, magari dopo 3 o 5 anni, di intraprendere altri percorsi lavorativi, perché vedono le aziende come tappe (funzionali se non strumentali) al loro percorso e, dunque, per decidere di “restare o investire” a medio-lungo termine, queste ultime devono essere in grado di offrire loro, periodicamente, nuove opportunità di apprendimento e d’impatto organizzativo”. Una vera e propria sfida da non sottovalutare, questa, anche perché impone alle imprese di mettersi in gioco a 360 gradi, senza filtri e soprattutto con la voglia di trasformarsi profondamente, tanto nei processi, quanto negli approcci e, soprattutto, nella cultura di un nuovo modo sia di fare business, sia di lavorare.

 

NUOVE STRATEGIE DI ATTRACTION E RETENTION

Una modalità, tutta da scoprire, che richiede l’attivazione di nuove strategie per rimanere competitivi sotto il profilo della talent attraction e della talent retention. “Le strategie per affrontare il fenomeno della talent shortage – suggerisce il manager –, idealmente, dovrebbero tenere in considerazione tre asset fondamentali. In primis, le aziende dovrebbero adottare una logica o modello identitario ed ecosistemico che consenta di definire e comunicare cosa si è e cosa si offre in ottica di People Value Proposition. Solo così si può dare vita ai presupposti per un rapporto di followership evoluta e di fellowership”. Due concetti di assonanza valoriale (oltre che linguistica) e di prospettiva, orientati alla cura e alla guida o mentorship, ma anche a una libertà responsabile che offra l’opportunità di generare un terreno fertile dove supportare l’espressione del potenziale individuale. “In secondo luogo, poi – prosegue Russomando –, è fondamentale plasmare tutti i processi sulla base della PVP, con un’attenzione particolare alle performance e al training. In terza istanza, infine, l’aspetto più importante da valorizzare rimane quello di ascoltare costantemente le proprie risorse, adottando le micro e le macro correzioni che favoriscono un ambiente di lavoro sano, sostenibile e generativo”. Tre fattori essenziali, questi, a cui si aggiunge poi un ultimo elemento da non sottovalutare se si vuole generare quell’affezione all’impresa che consenta un percorso condiviso di lungo periodo tra datore di lavoro e talent. “In questo contesto di generazione di valore e di valorizzazione delle nuove generazioni di professionisti e non solo – evidenzia il manager –, sicuramente, l’Employer Branding, se genuino, ovvero se improntato al racconto di chi si è e non di cosa si vorrebbe o dovrebbe essere, è un volano potentissimo per la talent acquisition. Per renderlo efficace, però, è necessario puntare sempre di più sul dar voce alle proprie persone, mettendo al centro il loro “sentire”, il loro “immaginare e innovare”, e investendo sulla narrazione della propria storia”. Già, perché ogni organizzazione ha un passato da descrivere e spiegare.

 

IL VALORE DELL'ESPERIENZA

Un percorso di successi e sperimentazioni che ha portato all’acquisizione di nuove competenze e  risultati. “Se guardiamo oggi – continua Russomando – alle competenze più efficaci che le aziende devono fare proprie attraverso l’ingresso di nuovi talenti, in questo contesto digitale, fluido e incerto, possiamo notare come empatia, agilità di pensiero e di azione, apertura alle diversità, lungimiranza, pazienza, autoregolazione emotiva e antifragilità (che va oltre la “semplice” resilienza, perché è la caratteristica di chi impara, o meglio, evolve da situazioni avverse) siano le skill più importanti su cui concentrare la propria ricerca e la propria attenzione. Per attrarre le risorse giuste in questo senso, però, le organizzazioni dovranno saper comunicare e trasmettere la propria identità e il proprio impegno verso le persone, riuscendo a essere consistenti ed  esemplari nel dire quel che si pensa e – soprattutto – fare quel che si dice, anche perchè ormai il fact checking è un’attività sempre più diffusa a tutti i livelli e questo, dal punto di vista dei professionisti, screma alla base, e quasi automaticamente, le realtà meritevoli da quelle che non lo sono”.

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L'EVOLUZIONE DELL'EMPLOYER BRANDING PER FRONTEGGIARE LA TALENT SHORTAGE

Carenza di talenti, mancanza di competenze IT, difficoltà nel trovare professionisti con consolidate skill digitali e decisa criticità nell’acquisizione di lavoratori dotati di competenze trasversali, come il time management, l’empatia o la collaborazione. In un mondo sempre più digitalizzato e nel quale il bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa e le priorità delle persone sono in continuo mutamento, il paradigma lavorativo sta conoscendo un’evoluzione che in pochi si aspettavano o avevano previsto.

Alcuni attribuiscono la causa di tutto questo alla pandemia da Covid-19, che ha reso più complessi i processi internazionali e la gestione della sfera personale. Altri, invece, sostengono che l’aumento dello smart working, inteso esclusivamente come telelavoro, unito alla crisi economica, alle nuove esigenze personali e professionali e a una lentezza nell’adattarsi alle nuove richieste dei lavoratori da parte delle aziende abbia impattato negativamente sulle dinamiche dei flussi occupazionali.

Di fatto, però, il problema diventa sempre più concreto e attuale: il fenomeno della talent shortage, ovvero la carenza di talenti, ormai, sta coinvolgendo tutti i tipi di impresa in qualunque settore. A tal punto che, secondo la ricerca realizzata dal World Economic Forum The Future of work 2023”, due su cinque (41%) degli economisti intervistati si aspettano che i mercati del lavoro rimarranno “contratti” nelle economie avanzate nel corso dell’anno, mentre il 45% degli intervistati ritiene che sia “abbastanza” o “estremamente probabile” che la carenza di talenti eserciti un freno all’attività imprenditoriale nel prossimo futuro. Gli intervistati, inoltre, hanno espresso fiducia nello sviluppo della propria forza lavoro esistente, tuttavia, hanno dimostrato meno ottimismo per quanto riguarda le prospettive di disponibilità di talenti necessari alla crescita aziendale nei prossimi cinque anni. Di conseguenza, le organizzazioni hanno identificato la carenza di competenze e l’incapacità nell’attrarre talenti come le principali barriere per la trasformazione della propria impresa, e del proprio settore di riferimento più in generale.

Dati, questi, che hanno portato Business InternationalFiera Milano, in collaborazione con Indeed Italia, a sviluppare il report dal titolo “L’evoluzione dell’Employer Branding per fronteggiare la Talent Shortage”, al fine di comprendere a fondo quali possono essere le strategie da mettere in campo per poter ridurre uno skill gap sempre più marcato e in grado di diminuire drasticamente la competitività delle organizzazioni nel prossimo futuro. L’analisi, curata da Stefano Faccioli, Head of Organizational Development and Training della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, e condotta tra febbraio e aprile 2023 su un campione di oltre 100 direttori HR attivi in aziende di medie e grandi dimensioni, operanti sul territorio italiano, si propone quindi di indagare quale sia lo stato dell’arte delle priorità da affrontare e delle tattiche da adottare per consentire alle imprese di superare questa sfida da non sottovalutare.

La talent shortage, oggi – ha commentato Faccioli –, è un fenomeno che subisce l’influenza di molteplici fattori, ma probabilmente il miglior modo per fronteggiarla, da parte delle organizzazioni, è capire che lo scenario del lavoro e le esigenze dei lavoratori sono enormemente cambiati. Questo è un processo irreversibile ormai. Ascoltare questa richiesta di soddisfazione personale e necessità di riequilibrio delle dinamiche tra lavoro e vita privata, diventa così una delle chiavi fondamentali per rispondere in maniera efficace alla situazione”. Un paradigma che, per essere messo in atto, però, ha bisogno di un concreto cambio di approccio da parte delle aziende, ma anche da parte dei manager che le guidano, oltre che un nuovo modello organizzativo e culturale che guidi il mondo del business più in generale verso il superamento di frontiere che fino a qualche tempo fa sembravano invalicabili e che ora risultano essere l’unica via da percorrere per poter rimanere competitivi sui mercati, dall’attenzione alla sostenibilità ambientale alla diversity and inclusion e dall’ampliamento del bacino di recruitment per la talent acquisition alla responsabilità sociale delle attività imprenditoriali. “La competizione per i talenti – ha commentato Ilaria Caccamo, Managing Director di Indeed Italia , la scarsità di competenze, il cambio di preferenze dei candidati dal dopo pandemia, sono alcuni degli elementi che stanno scatenando una tempesta perfetta in cui si trovano coinvolte le aziende alla ricerca di candidati. Oggi per queste aziende l’employer branding rappresenta sia un’opportunità che una sfida. Spesso si ritiene che l’ambito di questo strumento sia la comunicazione, ma il tassello chiave che ne costruisce le fondamenta è il valore. L’employer branding consente alle aziende di rendere il proprio valore concreto, tangibile e differenziante. Così da attrarre nuovi candidati ma anche influenzare i propri dipendenti. Grazie alle gestione attiva della proprio brand aziendale le aziende riescono ad ascoltare, agire e condividere in modo più mirato ed efficace. Il mondo del lavoro sta cambiando, per il meglio”. Un’attività di sicuro impatto, su cui le aziende italiane – come dimostrano i dati della ricerca – si stanno impegnando con grande dedizione, mostrando come, nonostante le difficoltà e le criticità del momento, ci siano già alcuni esempi d’eccellenza che hanno deciso di muoversi con coraggio per offrire nuove opportunità ai professionisti e al contempo una nuova visione del fare impresa.

 

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IL 75% DEI LAUREATI AL LAVORO ENTRO UN ANNO, MA LE AZIENDE RICHIEDONO ANCHE COMPETENZE DIGITALI E SOFT SKILLS

Più di tre quarti dei laureati in Italia trova lavoro entro un anno, ma le aziende oltre al diploma richiedono sempre più competenze digitali e “soft skills” (almeno una su cinque). Il 70% delle offerte di lavoro per laureati sono concentrate al Nord. Le imprese puntano, in particolare su 116 profili ad elevata richiesta, che fanno capo a 5 macro aree. Molto ricercati account manager, responsabili logistica e distribuzione ed esperti contabili.

È quanto emerge dalla ricerca “Università e Imprese per lo sviluppo dei talenti”, realizzata da Randstad e Fondazione per la Sussidiarietà (FpS), che sarà presentata oggi al Meeting per l'amicizia fra i popoli di Rimini. Lo studio analizza la domanda di lavoro di laureati negli annunci online del 2022 e le strategie di sviluppo dei talenti delle imprese italiane. Un'analisi che abbiamo voluto approfondire meglio, anche in vista della prossima edizione del HR Business Summit che si terrà il prossimo 27 e 28 novembre 2023 nel corso del Business Leaders Summit presso lo Spazio Field all'interno della splendida cornice di Palazzo Brancaccio Roma.

La quota dei laureati tra i 25 e i 34 anni in Italia è tra le più basse nei paesi OCSE - commenta Marco Ceresa, Group CEO di Randstad Italia -, eppure l’indagine ribadisce che una laurea in Italia oggi è ancora un importante fattore di protezione dall’inoccupazione. È fondamentale, quindi, mettere in campo azioni concrete per contrastare la dispersione scolastica e incentivare i giovani a proseguire gli studi. La ricerca evidenzia poi l’esistenza di molte professioni “in comune” in uscita da percorsi di laurea molto diversi, per una similarità di competenze. È importante, di fronte alla scarsità di talenti del mercato unita ai trend demografici allarmanti, che le aziende valutino i profili da inserire a partire dalle reali competenze possedute dai candidati, oltre che dal titolo di studio”.

 

TRA DIGITAL E SOFT SKILL

Le competenze digitali, rivela la ricerca Randstad – FpS, sono ormai pervasive in tutti gli annunci online, con picchi del 61% nell’ICT e del 53% nella statistica. Ma l’incidenza del digitale è significativa anche negli annunci relativi a marketing (19%) e area giuridica (15%). Le soft skill si rivelano importanti per tutte le aree: almeno una competenza su cinque per svolgere la professione è trasversale. Le soft skill più richieste sono: saper lavorare in gruppo, sviluppare idee creative, adattarsi al cambiamento, comunicare con i clienti, autonomia, identificarsi con gli obiettivi aziendali.

 

LA CLASSIFICA DELLE OPPORTUNITA' LAVORATIVE ITALIANE

Le posizioni di lavoro offerte nel 2022 ai laureati per i 116 profili sono concentrate al Nord (70%). In testa tra le regioni c’è la Lombardia, con il 30% degli annunci, seguita dall’Emilia Romagna (13%), dal Veneto (13%) e dal Lazio (11%). La Campania, dove c’è uno dei più elevati tassi di disoccupazione giovanile, raccoglie solo il 5% degli annunci.

 

COSA CERCANO LE AZIENDE

Le aziende sono alla ricerca principalmente di laureati in discipline tecniche e scientifiche, ma prendono in considerazione anche le lauree umanistiche valorizzando gli aspetti motivazionali e il potenziale, e integrando le competenze tecniche con la formazione interna. Nel primo esame dei cv le imprese valutano soprattutto la carriera universitaria, ma poi si concentrano su soft skill e attitudini personali dei candidati. La ricerca, inoltre, individua 116 professioni per laureati altamente ricercate negli annunci di lavoro online nel 2022. Nell’area Economia e Statistica, si segnalano in particolare 9 professioni ad alta domanda: account manager, responsabile logistica e distribuzione, esperto contabile, direttore generale del marketing, consulente di rischio assicurativo, analista di business, responsabile di prodotto, manager finanziario, responsabile della catena di fornitura. Nell’area Giuridica, Umanistica e Scienze Sociali 7: responsabile di reparto, responsabile dei servizi, dirigente delle risorse umane, avvocato, assistente sociale, psicologo, responsabile di questioni regolamentari. Nell’area Architettura e Design sono altamente ricercati 8 profili: amministratore di sistemi TIC, ingegnere energetico, architetto, ingegnere industriale, ingegnere meccanico, ingegnere civile, sviluppatore web e ingegnere elettronico. Nell’area Scientifica c’è alta domanda per 7 professioni: chimico, pianificatore territoriale, ingegnere elettronico, data scientist, informatore medico-scientifico, analista software, biologo. Nell’area Informatica, si segnalano 6 profili: amministratore di sistemi TIC, sviluppatore web data scientist, designer grafico, responsabile della gestione community online, project manager TIC.

 

I LAUREATI ITALIANI

Una laurea in Italia è un importante fattore di protezione dall’inoccupazione, correlato a una maggiore permanenza in stato di occupazione, maggiore livello salariale e un più rapido rientro al lavoro in caso di uscita. A un anno dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione dei laureati è il 75% per il primo livello e il 77% per i magistrali biennali, per arrivare al 90% per entrambi dopo cinque anni (fonte Almalaurea). Tuttavia, la quota di laureati tra i 25 e i 34 anni in Italia nel 2021 è il 21%, un livello tra i più bassi dei paesi Ocse.

 

La ricerca conferma che gli studi universitari sono un volano per l’accesso al mondo del lavoro”, afferma Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, “Nelle selezioni le aziende guardano ai voti, al percorso accademico, ma sempre di più allo sviluppo di competenze trasversali e soft skill come: l’apertura mentale, la capacità di collaborare, la sicurezza, la resilienza, la creatività, la flessibilità, il problem solving. In un mondo del lavoro in cui l’obsolescenza dei mezzi di produzione, delle tecniche, dell’organizzazione aziendale è rapidissima, puntare sulle soft skill sarà strategico perché permetterà di continuare a “imparare a imparare”.

 

LE COMPETENZE PIU' RICERCATE

Dall’analisi delle competenze richieste negli annunci di lavoro per laureati in Italia, emerge come quelle digitali siano pervasive a tutte le aree, con un picco del 61% di annunci in cui sono richieste per profili ICT e 53% per quelli di statistica. Ma le competenze digitali sono significative anche nelle scienze umane, come l’area psicologica, giuridica (15%) e del marketing (19%). Le competenze professionali - quelle caratterizzanti la professione - sono significative in tutti i macrogruppi, ma raggiungono il picco nel Marketing, dove sono richieste nel 50% dei casi, e il minimo nell’ICT (18%). Le skill trasversali, infine, sono importanti per tutte le aree, e ancor di più nelle aree disciplinari votate al rapporto umano e all’interazione, come per quella dell’Educazione e formazione, Psicologia e Giuridica (53%).

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UN LAVORATORE SU TRE AFFERMA DI NON AVERE LE COMPETENZE NECESSARIE PER SVOLGERE IL PROPRIO LAVORO

Se a dei lavoratori dei settori retail o ricettività venisse chiesto di raccontare ad un cliente, in modo corretto, il proprio brand o azienda, 4 persone su 10 non ne sarebbero in grado. Ma non solo, il 27% degli intervistati ha affermato di non avere le competenze necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro.

 

Questi sono solo alcuni dei dati emersi dall’ultima indagine di MobieTrain che analizza l'importanza della formazione aziendale ai tempi della digital transformation e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo, anche in vista della prossima edizione di HR Business Summit che si terrà il prossimo 27 e 28 novembre 2023 nel corso del Business Leaders Summit presso lo Spazio Field all'interno della splendida cornice di Palazzo Brancaccio a Roma.

 

L’ANALISI

Per realizzare questa analisi, MobieTrain ha intervistato 650 dipendenti europei (63% donne, 37% uomini), in prima linea nel mondo del retail e della ricettività. Obiettivo: valutare la percezione delle competenze, la formazione, l'accesso alle informazioni e la cultura aziendale. Innanzitutto, il 58% degli intervistati ha affermato di poter avere un impatto maggiore del +20% sui risultati di business grazie ad una corretta formazione e ad un percorso di coaching efficace. “Già da questa prima percentuale possiamo vedere come la formazione può avere un reale impatto sulle performance del team e, di conseguenza, sui risultati aziendali. Investire nella formazione e nello sviluppo del team, può infatti portare benefici ad entrambe le parti” spiega Francesca Dellisanti, Country Director di MobieTrain Italia. Secondo i risultati ottenuti, il 40% del personale in prima linea (ovvero direttamente a contatto con il cliente) ha affermato di non disporre di tutte le informazioni e le risorse relative al proprio lavoro. 4 dipendenti su 10 non saprebbero raccontare in modo corretto il proprio brand al cliente. Il 27% dichiara inoltre di non possedere le competenze necessarie per svolgere al meglio il proprio lavoro.

Sempre secondo i dati elaborati da MobieTrain, il 57% dei dipendenti ritiene che la formazione a cui ha accesso non sia efficace nel rispondere alle esigenze tipiche del ruolo. I contenuti formativi, infatti, spesso non rimangono accessibili nel tempo (il 30% degli intervistati dichiara infatti di non avere una piattaforma digitale a cui accedere per recuperare i materiali) e la formazione è soltanto occasionale.

Ma anche per coloro che assistono a percorsi formativi, non sempre la formazione è creata ad hoc: il 58% sostiene infatti di non poter applicare in modo concreto nel proprio lavoro quanto appreso durante la formazione. Le aziende investono quindi in percorsi di formazione che non hanno un impatto sul lavoro delle persone e, di conseguenza, sul raggiungimento degli obiettivi.

 

NON ESISTE SOLO LA FORMAZIONE, PERO'. BISOGNA COINVOLGERE I DIPENDENTI NEGLI OBIETTIVI AZIENDALI

Ad oggi, quasi il 60% degli intervistati dice di non sentirsi legato in alcun modo alla missione o alla vision dell'azienda. Ma a volte è la stessa azienda a non incoraggiare i dipendenti a seguire o completare i percorsi di formazione a cui gli viene dato l'accesso, così come afferma il 54% del campione intervistato.

 

E L'ITALIA?

I dati italiani non si discostano molto da quelli europei, anzi. Il 62% degli intervistati ha dichiarato di non essere soddisfatto dell'efficacia della formazione erogata, principalmente a causa di una mancata coerenza con il proprio ruolo (33%), di una mancanza di coinvolgimento (21%) e di limiti di tempo (11%). L'indagine ha poi evidenziato come il 37% degli intervistati non si senta soddisfatto degli investimenti dell'azienda nella crescita e nello sviluppo professionale delle risorse. Inoltre, solo il 35% si sente sufficientemente allineato con la cultura, i valori e la mission aziendale. Il 76% degli intervistati ha infine affermato di avere poca connessione con il resto del team all'interno degli altri punti vendita, distanza che ostacola la condivisione di esperienze e best practice. Infine, per concludere l’analisi sul mercato italiano, il 38% degli intervistati ha dichiarato di non sentirsi sufficientemente motivato sul lavoro, un dato inferiore alla media europea del 54%. “In MobieTrain crediamo fortemente nello sviluppo e nella crescita professionale e personale delle persone all'interno delle aziende e dei risultati che è possibile ottenere. E proprio per aiutare le aziende a raggiungere questo obiettivo, abbiamo sviluppato una piattaforma pensata per sostenere la formazione del personale a contatto con i clienti e contribuire a creare una customer experience indimenticabile. I risultati? Non solo maggiore ingaggio e soddisfazione del lavoratore, ma anche miglioramento nelle prestazioni lavorative, con conseguenze positive lungo tutta la catena” conclude Laura Fornaroli, Responsabile Marketing di MobieTrain Italia.

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PAYROLL: L'ITALIA RIDUCE DEL 2% LA COMPLESSITA' DEI PROCESSI, MA C'E' ANCORA MOLTA STRADA DA FARE

Buste paga, talent retention, cost saving e reputation. Sempre di più oggi l'intersezione tra mondo HR e mondo Finance, nell'ambito del rapporto tra datore di lavoro e professionista, si evolve modifica le dinamiche di innovazione ed organizzazione del business.

 

Un tema questo di grande attualità, vista anche la crisi economica e gli impatti negativi del fenomeno della talent shortage, che abbiamo voluto approfondire meglio, attraverso i nuovi risultati presentati da Alight relativamente all'indagine biennale dal titolo Global Payroll Complexity Index (GPCI) 2023: i 40 Paesi con maggior complessità nella gestione del payroll.

 

LA CLASSIFICA

Secondo l’indagine biennale di Alight, la Francia mantiene il primo posto nella classifica dei Paesi con i processi di payroll più elaborati, con un incremento del 10% del punteggio di complessità rispetto al rapporto del 2021, mentre l'Italia si posiziona tra i primi 5 Paesi che presentano un livello di complessità più elevato. La classifica completa dei 10 Paesi con il più alto livello di complessità di elaborazione del payroll è la seguente:

1. Francia

2. Germania

3. Svizzera

4. Italia

5. Canada

6. Polonia

7. Turchia

8. Paesi Bassi

9. Belgio

10. Slovacchia

 

TRE FATTORI DI COMPLESSITA'

Il GPCI ha rilevato che i dieci Paesi che registrano un impatto maggiore sono il 29% più complessi a causa di tre fattori chiave richiesti dai rispettivi processi retributivi: le detrazioni obbligatorie, i calcoli della previdenza sociale e i tipi di rendicontazione governativa obbligatoria. Lo studio evidenzia anche un aumento della complessità in quei Paesi i cui governi hanno implementato nuovi requisiti per il payroll a sostegno dei diritti e del benessere dei dipendenti.

Ogni Paese ha strutture, normative e requisiti unici in materia di payroll, il che rende sempre più difficile per le aziende multinazionali rimanere aggiornate sui cambiamenti delle normative in materia di retribuzioni e dell'evoluzione delle esigenze dei dipendenti,” ha dichiarato Cesar Jelvez, Chief Professional Services and Global Payroll Officer di Alight“Le organizzazioni che non hanno la flessibilità necessaria per offrire un processo di payroll efficace rischiano di subire danni alla reputazione, errori nella gestione del payroll, inadempienze e insuccessi quando si tratta di garantire il benessere dei dipendenti.”

 

PICCOLI PASSI POSITIVI

Nel 2023, l'Italia ha registrato una diminuzione della complessità del 2%, scendendo così dal secondo posto che occupava nel 2021, al quarto posto che ricopre oggi. La complessità del Paese è determinata dalle detrazioni previste per legge, dal tipo di rendicontazione obbligatoria richiesta e dalla frequenza di comunicazione al governo.

L’indagine 2023 illustra l’evoluzione dell’ambiente di lavoro in materia di payroll a seguito del rapporto stilato nel 2021 e i progressi compiuti dalle organizzazioni nel gestirne la complessità. Le aziende hanno dimostrato che, investendo in strategie e tecnologie retributive volte a sostenere culture incentrate sui dipendenti, con accesso allo stipendio maturato (Earned Wage Access), trasparenza dei calcoli e benefit differenziati, sono in grado di semplificare la propria organizzazione. Come risultato di questo tipo di investimenti, il GPCI 2023 presenta una riduzione del 6% in termini di complessità rispetto al 2021, grazie alle innovazioni tecnologiche e di processo.

“Le aziende multinazionali devono affrontare una notevole complessità nella gestione globale del payroll e avere un partner in grado di offrire loro la possibilità di standardizzare e semplificare i processi nei vari Paesi è indispensabile,” ha dichiarato Jelvez. “L’esperienza di Alight nel payroll globale, unita alla nostra capacità di integrazione in un’unica piattaforma, consente ai datori di lavoro di disporre dei dati e delle capacità di analisi di cui hanno bisogno per ottenere un'esperienza di payroll diversificata e con risultati quantificabili.”

 

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