“Il mondo, gli imprenditori, le imprese si dividono in due: quelli molto
impegnati a guardarsi l’ombelico e quelli che puntano a diventare l’ombelico del
mondo”. L’ha detto Vincenzo Perrone, Docente di Organizzazione Aziendale
e Prorettore alla Ricerca all’Università Bocconi, durante la prima edizione del
CEO Summit – organizzato da Business International, divisione
Fiera Milano Media. Per diventare “l’ombelico del mondo” servono business model
efficaci, e leader abili a concretizzarli: due temi, strategie e leadership,
centrali nel dibattito del CEO Summit 2013, su cui vale la pena di soffermarsi
in questo Focus.
Vincenzo Perrone ha inaugurato la giornata con una provocazione: per uscire
dalla crisi, la prima strategia da adottare è “guardare oltre”. “Dobbiamo uscire
da questa nuvola nera che si siamo costruiti, che alimenta un clima che fa male
al Paese e che all’estero non c’è”. I numeri del mondo, in effetti, parlano
chiaro, e mostrano interessanti opportunità strategiche (Video:
http://www.youtube.com/watch?v=Z4WGjHWY1UM. Fonte: Nielsen): i mercati emergenti
crescono in tutto il globo, così come la classe media e il reddito spendibile da
parte di categorie sottovalutate in fase di communication design (come, ad
esempio, gli ispanici negli USA). Al contempo la digitalizzazione prosegue
ovunque senza sosta (impressionanti i dati della diffusione del mobile payment
in Cina e Kenya) – e, come ha ricordato nel suo intervento il CEO Italia di
Google Fabio Vaccaro, in questo ambito l’Italia deve e può fare di più:
soltanto il 17% delle piccole-medie imprese italiane ha una presenza qualificata
su internet, contro Il 30% delle spagnole. Va aggiunto inoltre il cambiamento
rapidissimo della composizione socio-demografica del mercato – con un fortissimo
aumento percentuale dei consumatori over50 in America Latina, Stati Uniti, Cina,
e le donne che divengono sempre più importanti per potenziale di spesa.
Aldilà dei dati, ha sottolineato il Docente, ciò che manca al Belpaese è
l’approccio giusto: le opportunità ci sono, basta vederle. “La parola crisi
deriva dal greco, dal verbo giudicare” – ha ricordato Perrone. “E’ il momento di
giudicare, distinguere. Possiamo uscire da questo clima in cui ci siamo infilati
e vedere realtà che si muovono su una logica diversa, che hanno capito dove i
consumatori globali sono e quali sono le possibilità di crescita per le aziende?
Quando è arrivato Monti, a novembre, con lo Spread a 500, stavate
chiudendo i vostri bilanci. In quel momento il bilancio totale di tutte le
aziende italiane sopra i 100milioni di euro, che valgono il 17% del Pil, stava
crescendo del 12,45% rispetto all’anno precedente. Le aziende erano solide dal
punto di vista finanziario e con ricavi crescenti. Bisogna discriminare,
affinare lo sguardo. Quante banche hanno ancora la capacità di capire se
un’azienda cresce, è solida o meno? Il governo, quando parla di politica
industriale, di cosa sta parlando? Conosce le esigenze di un’azienda
internazionale o di una start-up? E forse, anche Confindustria e ì sindacati
questa capacità di giudizio la dovrebbero sviluppare”.
Secondo Vincenzo Perrone è il momento del “ritorno ai pesi”. Il che significa
sostanzialmente due cose: “1) se non avete un vantaggio competitivo, smettete di
competere; non c’è modo di conseguire un vantaggio competitivo sostenibile
facendo esattamente quello che tutti gli altri fanno, nello stesso modo. I
profitti sono il sovra-prezzo che un cliente è disposto a pagare per una
differenza percepita di valore, dunque bisogna essere differenti (in meglio); 2)
siate resilienti. La resilienza è la proprietà di un materiale di ricevere uno
shock, deformarsi e tornare come prima. Passate attraverso la crisi e uscite più
forti, migliori, con le idee più chiare. E’ la proprietà che ci ha consentito
come specie di sopravvivere”. Quello che conta oggi è la capacità di adattare le
tecniche al mercato, sapendo passare da un’ondata tecnologica all’altra e
mettendo sempre al centro il cliente. “Chi soffre è chi non è capace di produrre
idee e non è ben posizionato sul mercato”, è la sintesi di Perrone, il quale ha
concluso la sua analisi non con una risposta, ma con quattro domande rivolte ai
CEO del futuro: “1) siete davvero competitivi sul mercato? 2) riuscite a mettere
al centro il cliente? 3) sapete accogliere e sviluppare individui innovativi e
fare spazio all’intraprenditorialità? 4) sapete coinvolgere, motivare e fare
partecipare i dipendenti nella sfida quotidiana della resilienza?”.
I manager e imprenditori relatori al CEO Summit hanno il lusso di poter
rispondere affermativamente: quelli come Francesco Casoli di Elica, Marina
Salamon di Altana, Giorgio Bloggero di Leaf Italia, e gli altri ambasciatori
dell’eccellenza aziendale italiana ospiti alla conferenza. Gente accomunata da
una virtù: la leadership. Che, ricorda Casoli, non deve essere mai sinonimo di
presunzione: “come faccio a competere se penso di essere il re di tutto, se
comando tutto io? Cerchiamo di essere un po’ meno presuntuosi, che è un po’ il
male degli imprenditori italiani”. Della stessa idea Marina Salamon: “non ho una
stanza o una scrivania: vado in giro dai lavoratori, imparo di più. Perché così
entro nelle diverse realtà dell’azienda, senza sentirle però figlie mie da
proteggere”. Per Giorgio Bloggero, poi, essere CEO significa non soltanto
comandare un impresa, ma anche avere delle responsabilità nei confronti del
sistema Paese: “il mio ruolo è far lavorare insieme tutte le persone. Io posso
timonare la nave, essere un facilitatore, uno spronatore, ma ogni approdo è un
punto di partenza. Dobbiamo essere ancora più bravi, più veloci. Il nostro
ruolo, in quanto CEO, è portare investimenti in Italia, essere degli
ambasciatori. E’ un lavoro duro, e ognuno deve fare la sua parte, anche e
soprattutto per il Paese”.
Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di Strategia e Politica Aziendale
in Bocconi, nel suo intervento ha provato a tracciare un identikit del
CEO-leader: deve farsi portatore di edge competences, diventare “scultore” di
strategie, “filosofo” del valore sospeso tra transazioni economiche e relazioni,
“banchiere” dell’integrità aziendale. Più pragmatico lo speech di Luca
Colombo, Country Manager Facebook, per il quale la leadership si
esprime nel tessuto dell’impresa attraverso diversi fattori: 1) tecnologia, la
quale “è imprescindibile: non è più prerogativa degli esperti di IT o degli
specialisti di digital, deve essere qualcosa che sta nella testa dell’azienda”;
2) cultura del fallimento: “sbagliare è parte del nostro dna, l’importante è non
commettere gli errori due volte” 3) approccio “open”: “ognuno in Facebook è
stimolato a sviluppare prodotti e innovarli” 4) centralità del consumatore: “le
aziende dovranno sempre più essere customer center, per adeguarsi ai feedback
dei clienti”.
Gli ospiti hanno descritto la figura del leader, genericamente, come colui
capace di tessere le fila del “discorso impresa”. Una definizione più precisa
l’ha fornita Marcello Veneziani, editorialista de “Il Giornale”:
“Io credo che ci siano due forme di leadership: una è la leadership mimetica, il
tentativo di mimetizzarsi, di adeguarsi all’ambiente, all’habitat, e quindi di
rispondere attraverso forme di galleggiamento e di low profiling, vivendo nella
corrente. In Italia invece serve una leadership distintiva, capace di
distinguersi, di andare controtendenza. Noi non possiamo competere coi grandi
sistemi esteri adeguandoci al loro corso: non possiamo che percorrere una strada
antagonista, alternativa, differente, puntando sulle nostre peculiarità”.
Secondo Veneziani, i leader delle aziende italiane devono riuscire a mettere
insieme due tendenze: da un lato, far tesoro del patrimonio ereditario, di ciò
che siamo, del “Brand Italia”; dall’altro, miscelare questo patrimonio con la
capacità di innovarlo. “La leadership ha solo una possibilità d’uscita:
distinguersi, non mimetizzarsi”.
E ancora: “il dramma del nostro paese è non puntare sui giovani ma sul sistema
di relazioni, e così investiamo sull’immediato, senza rischiare sul futuro”.
Leadership in quanto azzardo, dunque, in quanto strada coraggiosa e
controcorrente: un po’ come nel caso di Enrico Pazzali, Amministratore
Delegato di Fiera Milano, che ha testimoniato il grande prezzo personale
della ristrutturazione aziendale di cui stato protagonista, che ha avuto come
conseguenza intimidazioni e minacce: “il nostro mestiere è riempire i bicchieri
mezzi vuoti” – ha affermato Pazzali – “senza deprimersi”.
Quali sono state le strade vincenti che hanno percorso i leader ospiti di CEO
Summit nelle loro storie virtuose di business? Eccole in sintesi: cura
spasmodica dei bisogni del cliente, flessibilità organizzativa capace di
garantire un’innovazione continua, scelta di un segmento di lusso, costruzione
di un ecosistema aziendale creativo capace di valorizzare la diversità
esperienziale e umana e, soprattutto, internazionalizzazione dell’attività.
Quest’ultimo tema, filo rosso del dibattito al Summit di Business International,
sarà approfondito in un Focus ad hoc: “La sfida dell’internazionalizzazione come
risposta alla crisi”.
È ormai da un anno che fantastichiamo sui Google Glass, gli occhiali di
Mountain View in uscita nel corso dell'anno e che promettono di cambiare la
nostra vita quotidiana tenendoci connessi 24 ore su 24 semplicemente
indossandoli. Il primo video era sbucato su Youtube proprio ad aprile 2012, ma
riportava solo una visuale in soggettiva di un utente che utilizzava il gadget
Google in uno scenario ipotetico. Poi lo abbiamo visto indossato da Sergey Brin
e altri vip: abbiamo capito qualcosa in più sull'estetica di questi Google
Glass, ma ancora niente sugli ingranaggi all'interno. Fino ad oggi: Google
infatti ha rilasciato proprio nelle ultime ore una lista di specifiche tecniche
relative al suo dispositivo indossabile.
Innanzitutto il display sarà da 640x360 pixel. Non proprio una marea in termini
assoluti, ma da Google ricordano che a una distanza così ridotta dagli occhi
saranno più che sufficienti. Più precisamente, sarà come guardare uno schermo HD
da 25 pollici da una distanza di un paio di metri.
La fotocamera sarà da 5 Mpixel e in grado di riprendere video in 720p, ma senza
informazioni sul tipo di sensore impiegato non possiamo ancora sapere come si
comporterà in condizioni di luce scarsa. La memoria a bordo sarà da 16GB, di cui
12 effettivamente utilizzabili, insieme a quelli resi disponibili dalla
sincronizzazione coi servizi cloud di Google.
L'audio sarà a conduzione ossea, mentre la batteria dovrebbe permettere a Glass
di durare una giornata intera. Per quel che riguarda la connettività, infine, la
scelta di Google è caduta su Wi-Fi b/g e Bluetooth.
Dal lato software, alcune informazioni arrivano dal rilascio della
documentazione relativa alle api destinate agli sviluppatori. Da questa
apprendiamo soprattutto che chi vuole portare la propria app su Glass non potrà
renderla a pagamento, né puntare sulla pubblicità al suo interno.
Una mossa abbastanza sorprendente che lascia aperto un interrogativo importante
sul modo in cui verranno ricompensati gli sviluppatori. Come suggerisce The
Verge, però. probabilmente si tratta di condizioni preliminari relative alla
fase beta del programma, che una volta terminata lascerà spazio a un modello di
business più appetibile per il futuro ecosistema che ruoterà attorno a Glass.
Fonte: Wired - Articolo di Lorenzo Longhitano
I rappresentanti dei 27 Stati europei hanno trovato, due anni dopo la
presentazione della proposta della Commissione, l’accordo per liberalizzare lo
sfruttamento commerciale dei cosiddetti “open data”, i dati non personali in
possesso delle pubbliche amministrazioni.
Lo ha annunciato la vicepresidente della Commissione europea, responsabile per
l’innovazione digitale, Neelie Kroes. Secondo Bruxelles la svolta può generare
attività economiche “per decine di miliardi di euro ogni anno”. “Aprire i dati
pubblici – dice Kroes – significa aprire opportunità di business, creare posti
di lavoro e costruire comunità. L’accordo in Consiglio su questo cambio
culturale è benvenuto”.
Al momento della presentazione della revisione della legislazione europea sulla
gestione dei dati in possesso delle pubbliche amministrazioni, nel dicembre
2011, la Commissione proponeva di consentire il riutilizzo delle informazioni
per dare impulso al settore che si occupa della trasformazione di dati grezzi in
materiale da cui dipendono centinaia di utilizzatori delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione: ad esempio applicazioni per gli
smartphones, quali mappe, informazioni in tempo reale sul traffico e le
condizioni meteo, strumenti di comparazione dei prezzi. I dati, in linea di
principio, dovranno essere messi a disposizione gratuitamente se non tutelati da
diritto d’autore. Tra i dati sono inclusi quelli di biblioteche, musei e archivi
nazionali.
Fonte: Il Denaro
Il momento è finalmente arrivato: gli amati ma contestati Google Glass
faranno la loro comparsa questo mese nelle case di sviluppo che hanno voluto
scommettere sul progetto. Lo ha confermato un portavoce di Google ad Abc News.
Parliamo dell’edizione Explorer, che, preordinata a 1500 dollari (forse 500 di
più, rispetto alla cifra che sarà proposta al consumatore finale), permetterà di
sfruttare il dispositivo indossabile, per dar vita ad applicazioni di qualsiasi
tipo.
Secondo l’ANSA, invece, Mountain View avrebbe parlato di maggio e non di aprile,
in occasione di un evento di presentazione del Glass Collective, un fondo di
investimento creato per promuovere idee legate agli occhiali (con la speranza -
questo è indubbio - che gli ultimi problemi del brevetto sulla traduzione
istantanea si risolvano nel migliore dei modi). A prescindere dalla data,
comunque, tutto sembra procedere per il verso giusto.
Quali applicazioni per i Google Glass?
Non è ancora chiaro, infatti, quale sarà la portata delle prime applicazioni, e
cioè che peso avranno all’interno del pacchetto offerto dai Google Glass, ma, se
il buongiorno si vede dal mattino, si preannunciano grandi sorprese e novità:
Twitter, Path, Evernote e New York Times hanno già colto la palla al balzo e
saranno solo alcune delle realtà che sbarcheranno sugli occhiali. Il motivo è
presto detto: i Google Glass dovrebbero permettere all’utente di dare comandi
attraverso la voce, e questo controllo riguarderà non soltanto l’invio dei
messaggi di posta elettronica, ma anche le varie attività dei social network
(un’icona in alto a destra, per esempio, terrà l’utente sempre connesso con
Google +). Il massimo dell’intuitivà e dell’interazione, insomma.
Fonte: Blogo
Sei uno sviluppatore di applicazioni? C'è un nuovo strumento a tua
disposizione per il tuo lavoro: si chiama Developer Garden ed è un ecosistema
online sviluppato da Deutsche Telecom per offrire i propri, numerosi servizi
alla comunità di smanettoni che lavorano con iOS, Android, Windows Phone e in
Html5. Nonostante la bandiera tedesca, però, il servizio (in inglese,
tranquillo) è accessibile a tutti e, come dichiarato dall'azienda stessa, punta
a raggiungere un mercato globale.
Il giardino di Deutsche Telekom fornisce un Software Development Kit (SDK)
pensato per ottimizzare la fase di programmazione e di test dei software e delle
applicazioni. Come DG App Monitor: presentato all'ultimo Mobile World Congress
di Barcellona, è un servizio online pensato per chi lavora con Android e che
consente di testare le applicazioni prima di metterle sul mercato,
individuandone bug ed errori di codice che possono causare crash e
malfunzionamenti. O anche i dati sul consumo di batteria generato
dall'applicazione, per ottimizzarne il funzionamento prima del lancio nel Play
Store. Un completo ambiente di test che fornisce dati in tempo reale e grande
facilità di implementazione delle modifiche.
I servizi del Developer Garden, però, includono anche diverse API di Telekom
messe a disposizione dei programmatori per creare servizi da includere nelle
applicazioni: si va dal seplice invio di sms a un sistema di Click & Buy,
passando per la localizzazione degli IP e la conference call. L'accesso alle API
e il loro l'incorporamento nei software è gratuito, ma altri servizi sono a
pagamento, come la stessa DG App Monitor che è free of charge per le funzioni
base e costa 40 euro al mese se si vogliono utilizzare i servizi completi.
Per accedere ai servizi, basta loggarsi registrarsi sul sito. Alcuni esempi su
come usare le Api di Deutsche Telekom, sono già disponibili.
Fonte: Wired - Articolo di Philip Di Salvo
Google pensa proprio a tutto, verrebbe quasi da dire in casi come
questo, anche a cose a cui forse non tutti vorrebbero pensare. Per esempio, cosa
potrebbe accadere alla nostra vita digitale una volta morti? BigG ci ha pensato,
e per questo ieri ha annunciato il lancio di Inactive Account Manager, una nuova
opzione a disposizione dei propri utenti con cui stabilire che fine dovranno
fare i propri dati una volta morti, o più correttamente, dopo un periodo
di inattività del proprio account.
La nuova opzione per gli utenti di Google figura nella pagina
delle impostazioni del proprio account (nella sezione gestione dell’account) ed
è una sorta di testamento con cui lasciar scritto a BigG cosa vorremmo fare dei
nostri dati in suo possesso nei vari servizi targati Mountain View (da Google
Plus, a YouTube a Gmail a Picasa).
Per esempio quindi è possibile scegliere e chiedere a Google di eliminare tutto
quel che ci riguarda dopo 3, 6, 9 o 12 mesi di inattività o decidere di lasciare
in eredità, dopo un determinato periodo, i nostri dati a una persona fidata.
Infatti, è possibile specificare fino a 10 contatti che dovranno essere avvisati
dell’inattività dell’account, e identificarli eventualmente come ereditari dei
propri contenuti sui vari servizi (Google si assicurerà dei contatti autorizzati
inviando loro un codice di verifica sul numero di telefono che avremo
specificato). Questo non significa, precisa TechCrunch che i nomi da noi
indicati potranno accedere ai nostri account (per esempio mandare mail a nostro
nome) ma solo accedere ai nostri dati.
Prima di procedere, Google cercherà ovviamente di assicurarsi che l’utente sia
davvero inattivo attraverso una serie di fattori, per esempio monitorando gli
ultimi accessi, l’uso di Gmail e la cronologia Web. Una volta identificato
l’utente come inattivo quindi Mountain View, prima di agire nel modo che abbiamo
stabilito sul nostro account, manderà un messaggio di avviso al numero di
telefono che abbiamo indicato nella configurazione di Inactive Account
Manager ed eventualmente anche a un indirizzo email alternativo.
Perché Google (ma anche a modo loro Facebook e Twitter) fa tutto questo? Per
proteggere la privacy e la sicurezza dei propri utenti, scrive il product
manager di Google Andreas Tuerk.
Fonte: Wired - Articolo di Anna Lisa Bonfranceschi