Il momento è finalmente arrivato: gli amati ma contestati Google Glass
faranno la loro comparsa questo mese nelle case di sviluppo che hanno voluto
scommettere sul progetto. Lo ha confermato un portavoce di Google ad Abc News.
Parliamo dell’edizione Explorer, che, preordinata a 1500 dollari (forse 500 di
più, rispetto alla cifra che sarà proposta al consumatore finale), permetterà di
sfruttare il dispositivo indossabile, per dar vita ad applicazioni di qualsiasi
tipo.
Secondo l’ANSA, invece, Mountain View avrebbe parlato di maggio e non di aprile,
in occasione di un evento di presentazione del Glass Collective, un fondo di
investimento creato per promuovere idee legate agli occhiali (con la speranza -
questo è indubbio - che gli ultimi problemi del brevetto sulla traduzione
istantanea si risolvano nel migliore dei modi). A prescindere dalla data,
comunque, tutto sembra procedere per il verso giusto.
Quali applicazioni per i Google Glass?
Non è ancora chiaro, infatti, quale sarà la portata delle prime applicazioni, e
cioè che peso avranno all’interno del pacchetto offerto dai Google Glass, ma, se
il buongiorno si vede dal mattino, si preannunciano grandi sorprese e novità:
Twitter, Path, Evernote e New York Times hanno già colto la palla al balzo e
saranno solo alcune delle realtà che sbarcheranno sugli occhiali. Il motivo è
presto detto: i Google Glass dovrebbero permettere all’utente di dare comandi
attraverso la voce, e questo controllo riguarderà non soltanto l’invio dei
messaggi di posta elettronica, ma anche le varie attività dei social network
(un’icona in alto a destra, per esempio, terrà l’utente sempre connesso con
Google +). Il massimo dell’intuitivà e dell’interazione, insomma.
Fonte: Blogo
Sei uno sviluppatore di applicazioni? C'è un nuovo strumento a tua
disposizione per il tuo lavoro: si chiama Developer Garden ed è un ecosistema
online sviluppato da Deutsche Telecom per offrire i propri, numerosi servizi
alla comunità di smanettoni che lavorano con iOS, Android, Windows Phone e in
Html5. Nonostante la bandiera tedesca, però, il servizio (in inglese,
tranquillo) è accessibile a tutti e, come dichiarato dall'azienda stessa, punta
a raggiungere un mercato globale.
Il giardino di Deutsche Telekom fornisce un Software Development Kit (SDK)
pensato per ottimizzare la fase di programmazione e di test dei software e delle
applicazioni. Come DG App Monitor: presentato all'ultimo Mobile World Congress
di Barcellona, è un servizio online pensato per chi lavora con Android e che
consente di testare le applicazioni prima di metterle sul mercato,
individuandone bug ed errori di codice che possono causare crash e
malfunzionamenti. O anche i dati sul consumo di batteria generato
dall'applicazione, per ottimizzarne il funzionamento prima del lancio nel Play
Store. Un completo ambiente di test che fornisce dati in tempo reale e grande
facilità di implementazione delle modifiche.
I servizi del Developer Garden, però, includono anche diverse API di Telekom
messe a disposizione dei programmatori per creare servizi da includere nelle
applicazioni: si va dal seplice invio di sms a un sistema di Click & Buy,
passando per la localizzazione degli IP e la conference call. L'accesso alle API
e il loro l'incorporamento nei software è gratuito, ma altri servizi sono a
pagamento, come la stessa DG App Monitor che è free of charge per le funzioni
base e costa 40 euro al mese se si vogliono utilizzare i servizi completi.
Per accedere ai servizi, basta loggarsi registrarsi sul sito. Alcuni esempi su
come usare le Api di Deutsche Telekom, sono già disponibili.
Fonte: Wired - Articolo di Philip Di Salvo
Google pensa proprio a tutto, verrebbe quasi da dire in casi come
questo, anche a cose a cui forse non tutti vorrebbero pensare. Per esempio, cosa
potrebbe accadere alla nostra vita digitale una volta morti? BigG ci ha pensato,
e per questo ieri ha annunciato il lancio di Inactive Account Manager, una nuova
opzione a disposizione dei propri utenti con cui stabilire che fine dovranno
fare i propri dati una volta morti, o più correttamente, dopo un periodo
di inattività del proprio account.
La nuova opzione per gli utenti di Google figura nella pagina
delle impostazioni del proprio account (nella sezione gestione dell’account) ed
è una sorta di testamento con cui lasciar scritto a BigG cosa vorremmo fare dei
nostri dati in suo possesso nei vari servizi targati Mountain View (da Google
Plus, a YouTube a Gmail a Picasa).
Per esempio quindi è possibile scegliere e chiedere a Google di eliminare tutto
quel che ci riguarda dopo 3, 6, 9 o 12 mesi di inattività o decidere di lasciare
in eredità, dopo un determinato periodo, i nostri dati a una persona fidata.
Infatti, è possibile specificare fino a 10 contatti che dovranno essere avvisati
dell’inattività dell’account, e identificarli eventualmente come ereditari dei
propri contenuti sui vari servizi (Google si assicurerà dei contatti autorizzati
inviando loro un codice di verifica sul numero di telefono che avremo
specificato). Questo non significa, precisa TechCrunch che i nomi da noi
indicati potranno accedere ai nostri account (per esempio mandare mail a nostro
nome) ma solo accedere ai nostri dati.
Prima di procedere, Google cercherà ovviamente di assicurarsi che l’utente sia
davvero inattivo attraverso una serie di fattori, per esempio monitorando gli
ultimi accessi, l’uso di Gmail e la cronologia Web. Una volta identificato
l’utente come inattivo quindi Mountain View, prima di agire nel modo che abbiamo
stabilito sul nostro account, manderà un messaggio di avviso al numero di
telefono che abbiamo indicato nella configurazione di Inactive Account
Manager ed eventualmente anche a un indirizzo email alternativo.
Perché Google (ma anche a modo loro Facebook e Twitter) fa tutto questo? Per
proteggere la privacy e la sicurezza dei propri utenti, scrive il product
manager di Google Andreas Tuerk.
Fonte: Wired - Articolo di Anna Lisa Bonfranceschi
L'applicazione che rivoluziona l'interfaccia degli smartphone Android (non
tutti, però) ucirà il 12 aprile su Google Play, contemporaneamente all'Htc
First, il primo telefono che gira intorno al social network
Presentata ieri sera da Mark Zuckerberg con un evento a Menlo Park, Facebook
Home è un launcher tridimensionale che si sostituisce all'attuale schermata
principale dello smartphone e opera sia sopra che sotto le normali applicazioni,
come un panino in cui Home è il pane e le app il salame.
La schermata principale, chiamata Cover Feed, fa scorrere continuamente le
notizie e le foto provenienti dagli amici, proprio come avviene con Blinkfeed
con Sense 5 nell'HTC One: un dettaglio importante, che valorizza la
collaborazione con la casa Taiwanese, che ha sviluppato il primo telefono con
Facebook Home integrata: First Ne parleremo tra un po'. Con Cover Feed, insomma,
basta guardare il telefono per sapere le ultime novità mentre con un tap
possiamo concedere il nostro Like. E il bello è che Cover Feed è sempre
aggiornato, anche quando il telefono è bloccato. In questo modo, nel momento in
cui si riattiva lo schermo ci si ritrova subito immersi nelle ultime notizie in
arrivo sulla tua Timeline.
Anche quando si apre un'applicazione, Home continua a lavorare e ad aggiornarsi
sottotraccia, mentre sopra a ciò che stiamo guardando appaiono le Chat Heads,
dei tondi con la foto profilo dei nostri amici. Molto Google Plus, a guardarle
bene. Alla ricezione di un messaggio, spunta fuori la faccina, con cui possiamo
interagire senza bisogno di aprire Facebook e senza perdere il contenuto che
stavamo guardando. E dato che gli SMS sono integrati in Facebook Messenger,
queste anteprime proporranno sia chat che messaggi di testo, proponendoli in
sovraimpressione a qualsiasi cosa tu stessi facendo.
A proposito di altre app, le applicazioni saranno accessibili scorrendo il dito
verso l'alto e accedendo al pannello dei preferiti.
In uscita il 12 aprile su Google Play sarà inizialmente compatibile solo con HTC
One, HTC One X, e Samsung Galaxy S III, Galaxy S4 e Galaxy Note II.
L'integrazione con gli altri device e i tablet dovrebbe arrivare a breve.
Come sottolineato più volte da Zuckerberg durante la presentazione, Facebook
Home non è un sistema operativo, non si sostituisce ad Android, ma semplicemente
lo integra e rivoluziona. In perfetto stile jobsiano, poi, il ragazzo prodigio
ha lasciato gli ultimi dieci minuti per la One more thing, ovvero il tanto
rumoreggiato HTC First, il primo Facebook Phone. Non si è parlato di dati
tecnici e durante l'evento è emerso solamente che sarà disponibile in quattro
colori, avrà Facebook Home precaricato e connettività LTE. Diverse fonti
confermano il display da 4,3 pollici e il chipset dual-core Qualcomm Snapdragon
400, già annunciati dai rumors dei giorni scorsi.
In preordine già da oggi a questo link (al momento inattivo, in Italia), sarà in
vendita dal 12 aprile solo negli Stati Uniti in esclusiva con AT&T a un prezzo
destinato a fare scalpore: solo 99,99 dollari. Una cifra che strizza l'occhio ai
più giovani giovani, ma che potrebbe rivelarsi una buona scelta anche con gli
adulti, visto che si tratta pure sempre di un dispositivo Android senza grosse
pretese, ma dotato di LTE.
Fonte: Wired - Articolo di Alessio Lana e Maurizio Pesce
Ci sono giorni che possono cambiarti la vita. Chiedete pure a quelli di Pulse,
l'ormai celebre applicazione di news on line. Durante l'Apple Worldwide
Developers Conference del 2010, Steve Jobs, intento a lanciare l'iPad, menzionò
positivamente proprio la App elaborata da due giovani studenti di Stanford. E i
download dell'applicazione passarono da 1 milione a 11 milioni in poco tempo.
Una pubblicità senza rivali.
Oggi Pulse è un giocattolo costosissimo. E dopo un corteggiamento lungo da parte
di Microsoft e Yahoo, è nelle mani di Linkedin. Il popolare social network per
professionisti, utilizzato da aziende e utenti per trovare lavoro, ha puntato
forte sull'applicazione che oggi conta circa venti milioni di utilizzatori, e
pubblica qualcosa come dieci milioni di news al giorno. Per accaparrarsi Pulse,
Linkedin ha pronto un investimento consistente: una cifra che oscilla fra i 50 e
i 100 milioni di dollari. L'esborso più alto della storia di questa società.
L'ufficialità non arriverà prima della prossima settimana, ma il silenzio in cui
si sono chiusi gli uffici stampa di entrambe le parti non lascia dubbi:
l'accordo è già stato trovato. Mancano i dettagli.
Le domande, adesso, sono tante. Cosa ne farà Linkedin? Interessano veramente le
news di Pulse ai suoi? Oppure la strategia è quella di utilizzare la tecnologia
di successo sviluppata dalla App per proiettare Linkedin verso nuove frontiere?
Oggi Pulse è probabilmente il miglior esperimento di informazione on line
attraverso i feed Rss. Grazie a questi riesce a fornire un numero di news da far
impallidire qualsiasi sito di notizie. Il futuro è nelle sue mani.
Fonte: Il Sole 24 Ore - Articolo di Biagio Simonetta
Sono stati tre giovani ricercatori dell'università di Pisa a varare nel
1996 un pionieristico motore di ricerca italiano per il web: si chiamava
Arianna ed era una prima potente bussola per orientarsi in una galassia in
rapida espansione su internet. Hanno avuto il sostegno di Italia OnLine e di
Olivetti Telemedia. Il destino dei tre è rimasto intrecciato con il web:
Giuseppe Attardi insegna nel dipartimento di Informatica dell'università di
Pisa, Domenico Dato è un manager di Tiscali e Antonio Gulli segue per
Microsoft l'evoluzione di Bing e di big data. Dopo un iniziale decollo
Arianna nel tempo rallenta il passo. Era cambiata la geografia online, erano
arrivati altri rivali e diminuivano gli investimenti in seguito alla crisi
della new economy.
L'intuizione di Hyper Search
Nel settembre del 1998 diventa una startup il progetto di due ricercatori
della Stanford University, Sergey Brin e Larry Page: scelgono il nome
Google. A ispirarli era stata anche la conferenza mondiale del World Wide
Web a Santa Clara, in California, dove nel 1997 un ricercatore italiano,
Massimo Marchiori, presentava i suoi risultati. Aveva un prototipo, Hyper
Search. Ma non poteva contare su quell'ecosistema di venture capital che ha
alimentato i primi passi di Google e di molti altri giganti di internet.
Riceve un invito per entrare a far parte del colosso di Mountain View, ma
rinuncia. Marchiori non abbandona, però, l'idea di una startup.
Powerset diventa Bing
Dopo la bolla della new economy sopravvivono pochi grandi motori di ricerca.
Emerge l'astro di Google. Attirano gli investimenti soprattutto social media
e blog. Inoltre prendono il via progetti di nicchia. I riflettori sono
puntati sul web semantico: semplificando, è un web comprensibile anche per
le macchine. Un ex allievo del Politecnico di Milano, Lorenzo Thione, si
trasferisce negli Stati Uniti, studia presso il Palo Alto Research Center (Parc)
e vara la sua startup, Powerset: raccoglie 14,5 milioni di dollari in meno
di due anni. Sarà acquistata nel 2008 da Microsoft per una cifra mai resa
pubblica, ma indiscrezioni dell'epoca indicavano 100 milioni di dollari.
Diventerà un pilastro per il debutto di Bing che un tempo mostrava una
funzione di ricerca semantica su Wikipedia di diretta derivazione da
Powerset. Dopo la cessione Thione ha puntato anche su altre iniziative: ha
lanciato negli Stati Uniti una startup, Artify, che abilita i cittadini a
noleggiare opere d'arte.
La sfida di Volunia
Dopo aver fatto ingresso nella classifica Tr35 della Technology Review del
Mit ed essere diventato docente di informatica all'università di Padova,
Massimo Marchiori getta le basi per Volunia: è un'idea visionaria per
cambiare la ricerca online integrandola con social network e discussioni in
tempo reale. Ha il sostegno di investitori italiani e adopera un data center
nazionale. Non riscuote subito l'attenzione del pubblico. Continua
l'evoluzione attraverso successivi miglioramenti. Marchiori in seguito
decide di abbandonare il team per dissidi sulla gestione strategica della
startup.
Il debutto di «istella»
Tiscali con «istella» vara un progetto molto più ampio di un motore di
ricerca. Può scandagliare il web italiano dove altri non arrivano grazie ad
accordi con istituzioni ed enti di ricerca. Ha una bacheca che permette agli
utenti di condividere immagini, audio, video e testi. Come nei social
network è possibile diventare followers di altri iscritti in una community.
Incorpora una macchina del tempo per riscoprire la storia dei centri urbani
nazionali attraverso mappe digitali. E guarda in avanti verso la complessità
dell'economia della conoscenza.
Fonte: Il Sole24Ore - Articolo di Luca Dello Iacovo