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Supply Chain & Procurement

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LA FIRMA DIGITALE SICURA, UN MERCATO DA 43.14 MILIARDI DI DOLLARI ENTRO IL 2030

Secondo una recente ricerca di Fortune Business Insight, il mercato globale della Firma Digitale nel 2022 ha raggiunto i 3.92 miliardi di dollari. Il settore, però, è previsto che cresca fino a raggiungere i 5.25 miliardi di dollari nel 2023, per poi arrivare addirittura a superare i 43.14 miliardi di dollari entro il 2030, con un tasso di crescita annuale pari al 35.1% nel periodo considerato.

 

Dati questi che abbiamo voluto approfondire meglio, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo del Procurement, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business InternationalFiera Milano.

 

UNA NUOVA ESIGENZA DIGITALE

L’aumento della digitalizzazione in vari settori del business, infatti, ha influenzato i processi operativi delle imprese che, conseguentemente, hanno dato vita a un percorso di dematerializzazione dei documenti. L’adozione di alcune tecnologie emergenti in diversi Paesi sviluppati e in via di sviluppo ha portato e porterà, così, a un’evoluzione ed espansione agevolata del mercato della firma elettronica sicura. I ricercatori di Fortune Business Insights™ hanno infatti rilevato come, negli ultimi mesi, alcune delle aree principali di adozione di queste nuove applicazioni per la digital signature siano state, per esempio, la possibilità di ottenere una migliore, più sicura, semplice, efficace e veloce, verifica dell’identità dei clienti. Questo ha permesso alle banche di snellire enormemente i processi di validazione della firma e le verifiche legate all’identificazione dei soggetti, offrendo nuove opportunità di gestione dei contratti anche a distanza, attraverso la certificazione legale della firma digitale del cliente o nei processi di fusione e acquisizione tra aziende o negli ambiti assicurativi e in molti altri casi.

 

L’IMPATTO DELLA TECNOLOGIA SUL BUSINESS

L’integrazione della digital signature nelle soluzioni basate su tecnologia blockchain ha permesso, inoltre, di offrire nuove e più ampie prospettive di crescita al mercato della firma eletronica a livello globale. Se, infatti, la firma digitale risulta un asset importante da utilizzare in un’era post-covid nella quale gli impatti della digital transformation del business a livello globale hanno prodotto una vera e propria rivoluzione nelle logiche e nelle dinamiche delle operations, è altrettanto vero che poter offrire alla firma digitale un valore legale e incontestabile ha aiutato moltissime realtà a provare in maniera certa l’origine, l’identità e lo status valoriale di un documento elettronico o di una transazione o perfino di un messaggio digitale. Per questo motivo, tanto la blockchain quanto il cloud, come tecnologia in grado di trasferire in tempo reale informazioni certificate, nei prossimi anni saranno i principali driver della crescita di questo mercato in così forte espansione.

 

LE PROSSIME SFIDE DELLA FIRMA ELETTRONICA

In un mercato sempre più globalizzato, nel quale la necessità di velocità di adattamento, reattività ai rischi imprevisti e capacità decisionale e previsionale sono ormai competenze imprescindibili, saper offrire soluzioni e processi sicuri, flussi operativi efficienti e un passaggio di informazioni certificato, costante e senza soluzione di continuità da capo all’altro del mondo è sempre più fondamentale per rimanere competitivi e al passo con i tempi. Tutto questo, si trasforma così in un fattore di crescita essenziale, soprattutto in settori come quello bancario e assicurativo, ma anche nel retail, real estate e della pubblica amministrazione. Ambienti in cui il trasferimento delle informazioni digitali dovrebbe essere altamente sicuro e protetto, vista la sua enorme importanza e sensibilità. Allo stesso modo, però, anche le transazioni all’interno delle grandi organizzazioni necessitano un alto livello di sicurezza e la tecnologia della firma elettronica è ideale per questo tipo di protezione in un mercato del business così altamente regolamentato da normative nazionali e internazionali, dato che questa soluzione innovativa può offrire loro un’alta integrità e autenticità dei documenti elaborati. Nonostante questo, però, la mancanza di consapevolezza da parte delle imprese e delle persone nei confronti dei benefici prodotti dalla firma elettronica sia sotto un profilo operativo, sia sotto un profilo legale, ha generato finora un rallentamento nello sviluppo del mercato. A seguito della pandemia e della necessità di sviluppare soluzioni digitali che superassero il distanziamento fisico e sociale, però, grazie all’espansione nell’adozione di soluzioni cloud-based e allo sviluppo di nuovi sistemi paperless basati sulla blockchain, la situazione sta decisamente cambiando, offrendo nuove opportunità a un mercato che oggi è dominato dagli Stati Uniti, che come early adopter di questa tecnologia, nel 2022, hanno raggiunto una valutazione di settore pari a 1.62 miliardi di dollari (equivalente a quasi il 50% del valore del mercato a livello globale) e che possiedono anche già una legge federale dedicata alla firma elettronica, regolamentata dal U.S. Electronic Global and National Commerce (ESIGN) Act del 2000. A seguire, poi, un altro mercato in forte espansione è quello dell’Asia-Pacifico, che prevede di avere una crescita significativa dei suoi valori grazie all’aumento di iniziative governative per aumentare la digitalizzazione delle imprese nei vari settori industriali. In Cina, per esempio, il governo ha proposto una legge sulla firma elettronica e sta promuovendo in maniera significativa la firma digitale per qualunque tipo di documentazione. Anche in Europe, però, si stanno iniziando a vedere alcuni importanti cambiamenti, soprattutto grazie all’aumento di business digitali in tutti i settori.

 

LE NUOVE OPPORTUNITA’ DEL SETTORE

In questo contesto, inoltre, la presenza di realtà come OneSpan, che da anni promuovono la cultura del paperless e della digitalizzazione della firma – conquistandosi la fiducia di aziende globali, tra cui oltre il 60% delle 100 banche più grandi del mondo, ed elaborando ogni anno milioni di accordi digitali e miliardi di transazioni in oltre 100 Paesi nel mondo –, offre un’ulteriore opportunità di espansione a tutte quelle aziende che vogliono abbracciare questo nuovo modello di business. Aiutare le organizzazioni ad accelerare le trasformazioni digitali, consentendo di stipulare accordi con i clienti e di effettuare transazioni in modo sicuro, conforme e semplice, non è infatti solo un servizio utile, ormai, ma diventa proprio un driver distintivo che consentirà alle imprese di guardare sempre di più anche ai principi di sostenibilità. Le organizzazioni che necessitano di un'elevata sicurezza, soprattutto per garantire l'integrità degli utenti finali e la veridicità delle transazioni dietro ogni accordo, infatti, potranno così semplificare e rendere sicuri i processi aziendali con i loro partner e clienti.

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È ARRIVATO IL MOMENTO PER IL PROCUREMENT DI OCCUPARSI DELLE RIDUZIONI DELLE EMISSIONI SCOPE 3

Perché il Procurement deve farsi “carico” della riduzione delle emissioni Scope 3? La risposta è semplice: fornitori e spesa. Dichiararsi azienda a emissioni zero infatti, ormai, non è sufficiente, se poi la propria rete di fornitura non lo è. Secondo uno studio realizzato da McKinsey “Starting at the source: Sustainability in supply chains, il 70% delle emissioni totali di una azienda provengono da emissioni indirette (Scope 3) dovute all’attività aziendale. Questa categoria include le fonti emissive che provengono principalmente dalla filiera produttiva di un’azienda e che non sono sotto il suo diretto controllo.

 

Un dato che al suo interno nasconde quell'universo di relazioni che, attraverso la catena di fornitura, ogni azienda intesse con la propria filiera e su cui, come Ivalua, abbiamo voluto ragionare più approfonditamente in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit (l’evento dedicato al mondo del Procurement), a cui parteciperemo con il nostro stand, e che si terrà il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, nel corso del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.

 

La catena di fornitura della tipica azienda di beni di consumo", spiegano i ricercatori, "crea costi sociali e ambientali molto maggiori rispetto ai benefici derivanti dalle proprie attività, generando oltre l’80% delle emissioni di gas serra e oltre il 90% dell’impatto su aria, terra, acqua, biodiversità e risorse geologiche dell’azienda stessa. Ecco perché le aziende devono concentrarsi sulla loro supply chain per ridurre significativamente questi costi”.

 

PERCHE' L'UFFICIO ACQUISTI DOVREBBE INIZIARE AD OCCUPARSI IN PRIMA PERSONA DELLE EMISSIONI SCOPE 3?

La risposta potrebbe essere banale, ma le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, l'impatto e contributo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico. In secondo luogo, la visione dello Scope 3 come la principale priorità del top management. In terzo luogo, l'influenza che l'attenzione verso la sostenibilità ha sulla reputazione dell'organizzazione e il suo valore di mercato. Poi, l'importanza che ha assunto in questi anni l'adeguamento ai requisiti normativi in rapida crescita per la riduzione e tracciatura delle emissioni Scope 3. Infine, la connessione esistente tra riduzione dei costi e riduzione delle emissioni, dove tutto parte dai dati e dalla loro analisi.

 

LE STRATEGIE PER LA SOSTENIBILITA'

In questo senso, quindi, i professionisti del Procurement e della Supply Chain sono i maggiori responsabili nelle politiche di riduzione delle emissioni e possono fare una grande differenza attraverso le loro scelte di acquisto. Ma da dove iniziare? Quali strategie implementare? Per raggiungere dei buoni risultati sotto questo profilo è importante prima di tutto stabilire una strategia per generare dati affidabili sulle emissioni Scope 3 in base alle categorie e alla spesa. Sarà necessaria una combinazione di dati di terze parti (da fonti come Exiobase, Ademe, CDP, Ecovadis ecc.), dati dei fornitori e dati di spesa (ad esempio, PO e fatture). Conseguentemente, bisognerà sviluppare una struttura e un processo di governance chiari per impostare una baseline delle emissioni e per regolare e convalidare i dati sulle emissioni Scope 3. Quindi, diventerà essenziale iniziare a raccogliere la documentazione, i certificati e i dati aggiuntivi forniti dal fornitore (noterete che molti non dispongono di informazioni sufficienti in merito). Dopo questo reperimento di informazioni, si dovrà estendere il quadro di gestione del rischio dei fornitori per incorporare il rischio ambientale. Un'operazione che porterà i CPO a dover definire un meccanismo che consenta ai responsabili di categoria di mettere in atto piani di riduzione delle emissioni sulla base dei dati raccolti a livello di categoria e di prodotto, e collaborare con i fornitori, al fine di delineare e monitorare un piano ESG strategico attraverso reportistica delle emissioni Scope 3 dettagliata, obiettivi di riduzione e relativi progressi, e così via. Un'impostazione che dovrebbe offrire, infine, la possibilità di garantire che i dati sulle emissioni siano facilmente accessibili in tutto il processo source-to-pay. Questo consentirà all’ufficio acquisti di prendere decisioni che tengano in considerazione l’impatto ambientale di ogni prodotto acquistato e garantirà, inoltre, che i profili dei fornitori siano arricchiti con dati relativi alle loro emissioni.

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LA SOSTENIBILITA' PASSA ANCHE DA AUTO AZIENDALI SEMPRE PIU' GREEN

L’evoluzione del rapporto di lavoro ed una nuova sensibilità ecologica e sociale oggi definiscono due direttrici a cui nessuna azienda potrà sottrarsi nel prossimo futuro. La prima riguarda la gestione del benessere dei dipendenti. La seconda, attiene alla corretta gestione della transizione ecologica a livello di mobilità aziendale, ma anche personale.

 

Un tema interessante e di grande attualità che abbiamo voluto approfondire anche in vista della prossima edizione del CPO Summit (l’evento dedicato al mondo del Procurement) che si terrà il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, nel corso del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business InternationalFiera Milano.

 

LA RIVOLUZIONE SOSTENIBILE DELLA MOBILITA' AZIENDALE

Innanzitutto, l’implementazione di adeguate car policy green per i dipendenti sarà anche una chiave per attrarre e trattenere i talenti, nonché motivare le risorse umane, in un periodo di grandi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, con l’introduzione di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa spesso ibrida, che alterna lo smart working alla presenza in sede. A tal proposito, l’automobile aziendale sostenibile è forse il benefit più ambito tra i lavoratori. E non solo per il prestigio che la concessione di un'auto aziendale può conferire al dipendente assegnatario, ma anche per la libertà e comodità che questa può assicurare, considerata la completa gestione del veicolo e dei rischi (ad esempio furto del mezzo o manutenzione straordinaria per danni) che rimangono a carico dell’azienda, che a sua volta può demandarli alle società di noleggio o a terzi. In questo senso e sempre con uno sguardo sul futuro, LeasePlan continuerà a proporsi al mercato con una particolare attenzione alla mobilità sostenibile all'interno di un percorso delle zero emissioni che ormai riguarda tutta la componente energetica europea di cui l’auto è industria di eccellenza.

 

I PROFESSIONISTI ITALIANI VOGLIONO L'AUTO ELETTRICA

Anche in Italia il noleggio sta svolgendo un grande ruolo di volano per lo sviluppo delle auto elettriche, rappresentando una vera opportunità per chi vuole scegliere la mobilità sostenibile senza assumersi il rischio di obsolescenza tecnologica. Le aziende italiane sono molto interessate all’elettrico e all’ibrido, sia per le auto che per i veicoli commerciali. Con la nostra formula, ready2e, in LeasePlan cerchiamo di semplificare il servizio integrando, in un unico contratto, sia il noleggio a lungo termine di auto elettriche (e plug-in hybrid) sia tutto quello che occorre per la loro ricarica.

 

I VANTAGGI DELLA MOBILITA' AZIENDALE GREEN

Oggi le vetture a zero emissioni si adattano a qualsiasi esigenza, risultando spesso l’opzione più efficiente per i professionisti e le flotte aziendali. La mobilità sostenibile, inoltre, rappresenta un punto cardine del Green Deal Europeo per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre l’inquinamento atmosferico. D’altronde, il settore automotive è strategico per l’economia dell’Eurozona, con 12 milioni di addetti e un fatturato di 500 miliardi di euro. Tuttavia, serve uno sforzo pubblico/privato per la diffusione dei veicoli elettrici. Impegno che molte società di autonoleggio, come LeasePlan, e altre aziende hanno deciso di prendere per un futuro più ecologico. Un’auto elettrica aziendale, infatti, è senza dubbio la sostenibilità ambientale, per diminuire le emissioni di gas a effetto serra legate alle attività operative dell’impresa. Rendere più green gli spostamenti dei dipendenti, infatti, permette di adottare un modello di business più ecologico. Inoltre, passare dai veicoli endotermici a quelli green per ridurre le emissioni di CO2 assicura ulteriori benefici, tra cui la valorizzazione del brand aziendale nei confronti dei clienti. Allo stesso tempo, è possibile rafforzare i legami all’interno dell’organizzazione, con ricadute positive sulla produttività per migliorare la fiducia dei dipendenti. Un altro vantaggio, poi, il risparmio sui costi di mantenimento dei veicoli aziendali, con la possibilità di ottenere innanzitutto una riduzione delle spese per il rifornimento. Naturalmente, è necessario realizzare un’infrastruttura di ricarica integrata, ad esempio installando delle wall box per consentire ai dipendenti la ricarica delle auto elettriche in azienda. Con i veicoli a zero emissioni esistono anche dei risparmi indiretti, ad esempio legati alle agevolazioni sul bollo auto in quanto molte regioni italiane prevedono l’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica per 5 anni. Un altro vantaggio importante è legato ai costi di manutenzione più bassi, infatti in confronto alle vetture con motore a combustione le auto elettriche comportano spese di manutenzione ordinaria ridotte. Un ulteriore benefit garantito da un’auto elettrica aziendale sono le agevolazioni per la mobilità cittadina, come l’accesso libero nelle ZTL e la sosta gratuita nei parcheggi blu. Infatti, in molte città italiane è possibile transitare liberamente nelle zone a traffico limitato con le vetture a zero emissioni. Integrare nella flotta le auto elettriche, inoltre, consente di migliorare la soddisfazione dei dipendenti. Ad esempio, è possibile offrire dei veicoli elettrici a noleggio per gli spostamenti casa/lavoro e le trasferte come benefit aziendale, oppure adottare delle soluzioni per ottimizzare la gestione del parco auto come il corporate car sharing. D’altronde, la sostenibilità è una priorità per i dipendenti e consente di attirare più facilmente i migliori talenti. In questo senso, secondo una ricerca di Cone Communications, l’83% dei dipendenti millennials sarebbe più fedele a un’azienda che li aiuta a contribuire alla soluzione di problemi ambientali. Inoltre, le macchine elettriche sono dotate di tecnologie avanzate in grado di fornire maggiore sicurezza per i driver, infatti è meno probabile che si verifichi un incidente alla guida di un’auto elettrica. Benché le auto elettriche abbiano costi iniziali più elevati, poi, bisogna anche considerare che possono risultare economicamente competitive per una serie di aspetti come le spese di gestione, la frequenza della manutenzione, i sussidi governativi e le agevolazioni per la ricarica. Secondo McKinsey, infatti, entro la fine del decennio le flotte di veicoli elettrici avranno un TCO inferiore del 15-25% rispetto alle auto endotermiche. Tenendo conto che le flotte aziendali vanno gestite con obiettivi di lungo termine, in quest’ottica i veicoli elettrici rappresentano la migliore soluzione nel lungo periodo, per contenere i costi del parco auto e tutelarsi dalle oscillazioni dei prezzi dei carburanti. Bisogna inoltre considerare i vantaggi indiretti della mobilità elettrica aziendale, ad esempio una pianificazione più facile dei migliori percorsi per i driver, tempi di percorrenza più brevi grazie alla possibilità di accedere in qualsiasi zona e minori rischi di multe e sanzioni. Scegliere le auto aziendali elettriche è senz’altro una decisione vantaggiosa da questo punto di vista, in quanto riduce il rischio di costosi adeguamenti della flotta in futuro rispetto alle possibili normative europee previste per il 2035. Tutto ciò si traduce anche in una produttività più elevata dei collaboratori, legata alla consapevolezza che il proprio lavoro ha un impatto minimo sull’ambiente e la propria azienda sta contribuendo alla promozione di un’economia sostenibile. Il passaggio alla e-mobility è dunque una transizione spesso definitiva, che comporta anche un cambio di mentalità che difficilmente consente di tornare indietro e reintegrare un vecchio modello di mobilità aziendale. Oggi, infatti, non basta più annunciare di voler ridurre le emissioni di CO2, ma bisogna dimostrare i risultati ottenuti e puntare ormai all’obiettivo Net Zero, ossia zero emissioni nette di gas serra. Ovviamente parte delle emissioni possono essere compensate tramite l’acquisto dei crediti di carbonio, tuttavia, considerando che secondo BloombergNEF i veicoli elettrici consentono di ridurre le emissioni di CO2 nell’intero ciclo di vita dal 18% all’87%, passare all’elettrico aziendale rappresenta una soluzione più efficiente. E' chiaro, infine, che il passaggio alla green mobility non è un processo immediato, per questo motivo è fondamentale cominciare subito ad elettrificare il parco auto. Nonostante il ritardo italiano nella proposta di punti di ricarica su scala nazionale, soprattutto di colonnine in autostrada, cominciare a creare una flotta elettrica permette di non perdere competitività. Le aziende che stanno investendo nella mobilità pulita potranno beneficiare di un valore aggiunto importante nei prossimi anni, soprattutto in termini di efficienza e flessibilità. Si tratta di un investimento intelligente, uno sforzo necessario per il futuro dell’azienda e la sostenibilità del business nel lungo termine.

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IN ITALIA. NEL PRIMO TRIMESTRE L'EXPORT RIPARTE, MA L'IMPORT SOFFRE ANCORA DEL CARO ENERGIA

A gennaio 2023 si stima, per l’interscambio commerciale con i paesi extra Ue27, un lieve aumento congiunturale per le esportazioni (+0,7%) e una marcata flessione per le importazioni (-9,7%). L’incremento su base mensile dell’export riguarda tutti i raggruppamenti principali di industrie, a esclusione di energia (-12,0%) e beni strumentali (-9,2%), ed è spiegata soprattutto dall’aumento delle vendite di beni intermedi (+9,6%). Per l’import, la flessione congiunturale è generalizzata e più ampia per il comparto energetico (-19,4%).

 

Dati questi, che evidenziano come, se da un lato la domanda verso l'economia produttiva italiana si sta lentamente riprendendo sui mercati esteri, dall'altro invece il nostro Paese stenta ancora nella proposizione di acquisti commerciali a livello internazionale. Una fotografia che potrebbe avere molteplici motivazioni e che, in vista della prossima edizione del corso di alta formazione professionale tenuto dal docente e consulente in commercio estero specializzato in aspetti doganali e fiscali, Simone Del Nevo, Studio Del Nevo, con il titolo "I nuovi modelli Intrastat", organizzati da Business International - Fiera Milano e previsto in live streaming il prossimo 16 maggio 2023, abbiamo voluto comprendere meglio, attraverso l'analisi ragionata dell'indagine sull'import/export tricolore, realizzata come di consueto da Istat. Un approfondimento che speriamo possa offrire un quadro più chiaro dell'attuale situzione delle movimentazioni delle merci anche in riferimento ai nuovi modelli intrastat per l’anno 2023 che si renderanno disponibili alla luce delle novità introdotte quest’anno dall’Agenzia delle Dogane in recepimento dei Regolamenti UE inerenti alla statistiche unionali in relazione ai principi degli scambi UE.

 

LA FORZA DELL'EXPORT ITALIANO

Secondo l'Istituto Nazionale di Statistica, nel trimestre novembre 2022-gennaio 2023, rispetto al precedente, l’export aumenta del 5,8%, trainato in particolare dalle maggiori vendite di beni strumentali (+13,1%) e beni di consumo non durevoli (+4,9%). Nello stesso periodo, l’import segna un calo congiunturale del 14,8%, cui contribuiscono principalmente i minori acquisti di energia (-24,1%) e beni intermedi (-10,7%). A gennaio 2023, l’export cresce su base annua del 20,3% (+18,2% a dicembre 2022). La crescita, diffusa, è molto più accentuata per beni di consumo non durevoli (+36,1%) e beni intermedi (+28,4%). L’import registra una flessione tendenziale dell’1,0%, dovuta alla diminuzione degli acquisti di beni di consumo durevoli (-13,4%) e beni intermedi (-10,2%). A gennaio 2023 il saldo commerciale con i paesi extra Ue27 è negativo e pari a -1.359 milioni (-5.284 milioni a gennaio 2022). Il deficit energetico (-7.488 milioni) è di poco inferiore rispetto a un anno prima (-7.556 milioni) mentre l’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici aumenta da 2.272 milioni di gennaio 2022 a 6.129 milioni di gennaio 2023. A gennaio 2023, si rilevano aumenti su base annua delle esportazioni verso quasi tutti i principali paesi partner extra Ue27: i più marcati riguardano Cina (+137,5%), Turchia (+46,9%) e paesi OPEC (+26,2%). Si amplia la flessione dell’export verso la Russia (-37,0%); in calo anche le vendite verso il Giappone (-13,7%). Gli acquisti dalla Russia (-67,3%) registrano una marcata contrazione tendenziale; diminuiscono anche gli acquisti da Turchia (-18,7%) e Cina (-10,3%). Per contro, le importazioni dagli altri principali paesi partner extra Ue27 aumentano: gli incrementi tendenziali più ampi riguardano Stati Uniti (+35,1%), paesi MERCOSUR (+30,1%) e paesi OPEC (+23,8%). "Dopo la battuta di arresto di dicembre - evidenziano gli esperti di Istat -, a gennaio 2023, l’export verso i paesi extra Ue torna a crescere su base mensile; la crescita è condizionata dalle operazioni occasionali di elevato impatto (cantieristica navale) registrate il mese precedente, al netto delle quali si stima un aumento più marcato (+3,3%). Per l’import, in diminuzione per il quinto mese consecutivo, la flessione congiunturale deriva soprattutto dalla contrazione degli acquisti di energia, su cui incide favorevolmente il calo dei prezzi e dei volumi importati di gas naturale allo stato gassoso. Su base annua, la crescita dell’export torna ad accelerare mentre l’import registra per la prima volta, dopo circa due anni, una flessione, quasi  totalmente spiegata dal calo degli acquisti di beni intermedi".

 

L'IMPORT AL NETTO DEL COMPARTO ENERGETICO

Dati questi che, in qualche modo, vengono confermati anche all'interno del recente documento conclusivo della XI Cabina di Regia per l'Internazionalizzazione all'interno del quale si evidenzia come, se si guarda la situazione al netto dei costi energetici, il quadro muta leggermente. Secondo gli esperti del governo italiano, infatti: "Nel 2022 il quadro economico internazionale - segnato dal 2020 dall’emergenza pandemica - è repentinamente mutato con l’insorgere del conflitto in Ucraina. Il principale canale di trasmissione dell’impatto della guerra è rappresentato dalle commodities, le cui quotazioni sui mercati finanziari si sono impennate, alimentando una fase di rialzo in corso già dal secondo semestre del 2021". In questo contesto, l’inflazione elevata, i rincari delle materie prime, le difficoltà di approvvigionamento di alcuni fattori produttivi, le strozzature nei trasporti e nella logistica, insieme all’orientamento restrittivo della politica monetaria nei principali Paesi e all’incertezza sull’evoluzione del conflitto in Ucraina rappresentano un freno all’economia mondiale, che si attende in rallentamento nel 2023. "Di conseguenza - proseguono gli analisti -, la congiuntura economica negativa si è manifestata in tutte le filiere. In questo scenario globale, non sono stati risparmiati neanche i settori economici che negli ultimi anni hanno evidenziato le performances migliori e più resilienti. Tra di essi, infatti, quelli che hanno subito maggiori impatti negativi sono il turismo o settori ad esso riconducibili come il trasporto aereo, soprattutto con riferimento al segmento internazionale".

Sul fronte dell’export, nel periodo gennaio-novembre 2022, rispetto ai primi undici mesi dell’anno precedente, le esportazioni italiane segnano una crescita del 20,58% per un valore di 573 miliardi di euro ed un aumento anche in volume, seppur contenuto, dello +0,3%."Tuttavia - sottolineano gli esperti -, si registra un aumento ancora più pronunciato delle importazioni, pari al 39,5% per un valore di quasi 605 miliardi e dell’1% in volume. Il forte incremento delle importazioni è dovuto all’aumento dei valori medi unitari, trainati in particolare dai costi dell’energia e dei beni intermedi. Al netto degli acquisti di prodotti energetici, infatti, l’aumento dell’import si riduce al 25,7%. Su questi dati pesa pertanto la componente inflazionistica, tornata cruciale nel condizionare l’evoluzione dell’economia globale. La crescita più marcata delle importazioni rispetto alle esportazioni, determina nei primi undici mesi dell’anno, un disavanzo della bilancia commerciale pari a -32 miliardi di euro (a fronte di un avanzo di +41,8 miliardi nell’analogo periodo del 2021), da addebitare soprattutto al deficit energetico di oltre -102 miliardi (era -40 miliardi nel periodo gennaio-novembre 2021). Al netto della bolletta energetica, si registra invece un avanzo commerciale di +70 miliardi di euro rispetto a +83 miliardi dei primi undici mesi del 2021".

Guardando le statistiche prodotte, quindi, si nota subito come, secondo gli analisti della cabina di regia, "nel confronto con i principali partner europei, l'aumento delle esportazioni italiane nei primi dieci mesi di quest’anno (+20,8%) è superiore a quello della Germania (+14,4%) e della Francia (+19,6%), mentre si mantiene leggermente inferiore a quello della Spagna (+23,6%)". Guardando, tuttavia, ai saldi della bilancia commerciale nello stesso periodo, però, secondo gli esperti, "l’Italia registra un disavanzo di -33 miliardi a fronte di un disavanzo di circa -62 miliardi della Spagna".

 

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LA PROFESSIONE PIU' RICERCATA NEL 2023? IL PROCUREMENT OFFICER. ED E' CORSA AI TALENTI

E’ il procurement officer, ovvero lo specialista degli acquisti, il lavoro più richiesto nel 2023 secondo Indeed, che ha analizzato le offerte postate sul proprio portale italiano per individuare le professioni che offrono le migliori possibilità occupazionali. A questo seguono poi, al secondo posto nella classifica, il manutentore elettromeccanico/manutentore meccanico, quindi il farmacista (3°), l’HR specialist, ovvero l’addetto alle risorse umane (4°), e l’impiantista, il progettista elettrico, il payroll specialist, l'addetto alla pianificazione della produzione, il contabile senior.

 

Perchè, però, lo specialista del rapporto con i fornitori è così ricercato? Abbiamo cercato di comprenderlo meglio attraverso le parole di alcuni esperti che ci hanno spiegato qual è oggi il contesto in cui questi professionisti si devono muovere, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l'evento dedicato al mondo del Procurement, organizzato da Business International - Fiera Milano e previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso gli spazi dell'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit (la grande manifestazione dedicata ai C-level dell'impresa contemporanea).


LA NUOVA ERA DEL PROCUREMENT

"Non stupisca che una professione sino a ieri non così nota, il procurement officer appunto, abbia oggi così tanta domanda" – spiega Fabio Zonta, autore insieme a Lorenzo Zacchetti del best seller “Procurement Rievolution” (Franco Angeli) -. Pandemia, guerra e crisi globali hanno infatti fortemente impattato sulle nostre economie, sottoponendole a grande stress con una crisi degli approvvigionamenti (dall’energia, ai chip, ai componenti industriali, ai materiali edili, al grano) che ha influenzato negativamente le catene di fornitura, modificando strutturalmente il macrosistema economico e produttivo. “Per questo, frettolosamente, le aziende a livello globale stanno modernizzando la direzione acquisti rafforzando i team, non solo in termini numerici ma soprattutto – evidenzia l’esperto - in termini di qualità e competenze professionali e in un mix uomo/donna necessariamente equilibrato. Peraltro nella classifica ‘Procurement Top 100 Women’ stilata dalla testata internazionale ‘Procurement Magazine’ in collaborazione con EY è italiana la migliore direttrice degli acquisti al mondo, ovvero Anna Spinelli, Chief Procurement Officer di Deutsche Post DHL". Manager che, tra l'altro, come Bimag abbiamo avuto l'opportunità di intervistare proprio lo scorso giugno, in occasione della sua premiazione nel corso dell'edizione 2022 del CPO Summit, sempre all'interno del Business Leaders Summit che si era tenuto presso il Museo Diocesano di Milano.

 

IL PROCUREMENT IN ITALIA

Anche in Italia si è manifestata questa forte esigenza in un contesto però, rispetto agli USA ad esempio, che ci vede partire da un livello culturale. nella gestione moderna degli acquisti un po’ più arretrato e per giunta in un’economia caratterizzata prevalentemente da piccole e medie imprese che facilmente non hanno né mezzi né competenze per attuare velocemente questo urgente cambio di paradigma nella loro organizzazione. “In Italia - spiega Zonta - la direzione acquisti  deve evolversi significativamente, assommando a sé competenze che spaziando dall’AI, al risk management, alla comprensione dei modelli predittivi, tecniche di negoziazione internazionale, gestione delle risorse umane, finanche alle competenze tecniche. Una figura per la quale serve, e molto velocemente, formare una classe dirigente per riposizionare la funzione al centro delle scelte strategiche aziendali e quale primo consigliere dell’amministratore delegato”.


IL FUTURO DEL CHIEF PROCUREMENT OFFICER IN ITALIA

Un'evoluzione, questa, su cui però bisognerà lavorare molto nei prossimi anni per arrivare ad avere dei risultati che possano mutuare il percorso di trasformazione avvenuto per esempio nel finance e che, sicuramente può rappresentare un esempio concreto da seguire. Anche perchè, sempre di più oggi, uno dei fattori sostanziali su cui si instaura la linea di demarcazione tra una realtà di successo e una realtà che invece stenta a raggiungere gli obiettivi, risulta essere proprio la conoscenza e la relazione stretta con gli stakeholder appartenenti alla propria filiera di riferimento e che, nel mercato italiano, vanno a comporre l'ossatura fondamentale di tutto l'ecosistema economico in cui si insediano, operano e si muovono le nostre aziende. “Fatta salva questa fotografia – riflette infatti Mario Mantovani, presidente di ManagerItaliava però, come nota positiva, considerato che i manager italiani sono ben preparati in quella che è la loro specializzazione o settore, ma soprattutto sono elastici, eclettici, ‘fantasiosi’ e quindi più capaci di giocare nell’emergenza fuori dagli schemi. Questo a differenza ad esempio di cinesi, americani o tedeschi, tanto per citare tre economie, che invece sono molto più ‘diligenti’ e che nell’emergenza confidano molto più su schemi e modelli, che però oggi non esistono. Inoltre l’Italia col suo cosmo di imprese super-specializzate potrebbe avvantaggiarsene, tiportando valore sullo stesso tessuto produttivo”. Una strategia che indubbiamente potrebbe proporre dei benefici, ma che ovviamente non può prescindere comunque sia dallo sviluppo di schemi predittivi, ormai imprescindibili e generabili anche e soprattutto grazie all'utilizzo di nuove tecnologie emergenti. Sistemi all'avanguardia, su cui il nostro sistema Paese dovrebbe puntare maggiormente. “Per le aziende è diventata fondamentale la valutazione e gestione dei rischi esterni per una efficace continuità d’impresa nonché l’investimento nella formazione di manager con competenze specifiche che consenta all’azienda di prevenire e indirizzare il proprio business verso la costante crescita anche diversificando le attività – spiega Marina Verderajme, Presidente Nazionale di GIDP Associazione Direttori Risorse UmaneLa figura professionale si trasforma pertanto dall’attuale responsabile acquisti con una retribuzione tra i 50 e 60 mila euro a un Chief Procurement Officer che nelle grandi imprese raggiunge fino a 500mila Euro". Un valore decisamente differente questo dalle logiche del mercato italiano, su cui però le aziende, sempre di più, si troveranno a dover ragionare per far fronte a una tale volatilità dei mercati e anche degli scenari di rischio, da non poter sottovalutare o ignorare l'esigenza stringente di munirsi di un professionista in grado di gestire qualunque criticità con consapevolezza, competenza e conoscenza delle opzioni proposte dal mercato nazionale e internazionale.

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Supply Chain & Procurement

L’INTEGRAZIONE B2B E' ALLA BASE DI UNA SUPPLY CHAIN RESILIENTE E DIGITAL FIRST

Un nuovo White Paper di IDC, sponsorizzato da OpenText, rivela che una delle maggiori lacune nell’efficienza della supply chain è riconducibile alla mancata adozione di tecnologie digitali moderne. L’indagine mostra come le aziende che già hanno cominciato il percorso di trasformazione digitale business-to-business (B2B) superino le altre in termini di fatturato, profitto, soddisfazione dei clienti e tasso di reattività.

 

Un'evidenza, questa, su cui abbiamo voluto porre attenzione, per comprendere a fondo le esigenze di un mercato in evoluzione che sta cercando di ritrovare la sua dimensione in un'era post Covid-19 nella quale permane grande incertezza. Per questo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit - l'evento dedicato al mondo del Procurement e delle Value Chain, organizzato da Business International - Fiera MIlano e previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2023, presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit -, abbiamo cercato di analizzare a fondo il documento, al fine di proporvi un punto di vista differente sulle possibili evoluzioni, tendenze, sfide e opportunità per le catene del valore nei prossimi mesi.

 

L'ANALISI DI UNO SCENARIO COMPLESSO

I livelli di complessità della supply chain di oggi, la sua portata globale e la varietà di partner e fornitori, infatti, hanno ormai reso gli approcci tradizionali poco efficaci. L’indagine mostra quanto la trasformazione digitale possa influire sulle catene di approvvigionamento: il 78% degli intervistati riferisce che l’integrazione B2B ha migliorato le prestazioni complessive della supply chainL’integrazione B2B è alla base di una supply chain resiliente e digital-first e dovrebbe essere una priorità assoluta per quelle aziende gravate da processi manuali ancora basati su supporti cartacei”, ha affermato Simon Ellis, Program Vice President di IDC

 

INTEGRAZIONE B2B: NECESSARIA PER SUPPLY CHAIN RESILIENTE

Sebbene la resilienza della supply chain sia fondamentale nel contesto odierno, le aziende hanno spesso difficoltà a giustificare il ritorno sull’investimento (ROI) e a sviluppare le capacità interne necessarie per sviluppare appieno i propri business case. Infatti, sempre secondo l'analisi IDC, se il 71% delle organizzazioni ha aumentato gli investimenti nell’ambito della propria supply chain, guardando alla resilienza della catena di approvvigionamento digitale, solo il 6% degli intervistati ha riferito di aver raggiunto il livello di maturità più alto. Questo indica che possono essere fatti ulteriori progressi, creando valore grazie a processi moderni e tecnologie digitali. “Connettere, accedere e analizzare i dati prodotti dalle supply chain è oggi fondamentale per la maggior parte delle aziende di oggi”, ha dichiarato Sandy Ono, Executive Vice President e Chief Marketing Officer di OpenText. “I risultati del White Paper di IDC confermano che il futuro della supply chain è rappresentato dalla capacità di mettere insieme informazioni e automazione, e OpenText è orgogliosa di essere alla guida di questo cambiamento supportando le aziende nelle loro trasformazioni”.

 

VANTAGGIO COMPETITIVO: L'INTEGRAZIONE DELLA SUPPLY CHAIN

Per supportare gli approcci moderni, più efficienti ed efficaci, nonché i modelli innovativi, possono venire in aiuto le funzionalità di integrazione avanzate della supply chain. Prendendo in considerazione l’automazione dei documenti di collaborazione, l’80% dei rispondenti ha citato diverse aree di miglioramento, come il costo della gestione e della condivisione delle informazioni, ma anche l’efficienza del personale e l’incremento degli indicatori chiave di performance (KPI). Le funzionalità di integrazione ed elaborazione B2B sono in linea con le principali priorità aziendali in termini di riduzione dei costi operativi e logistici, time-to-market più rapido, miglioramento della qualità e dell’accuratezza dei dati, nonché della visibilità. “Facilità, velocità, qualità e scelta sono alla base del nostro approccio e OpenText Trading Grid ci ha aiutato a semplificare i processi chiave della supply chain, riducendo gli oneri amministrativi e migliorando la nostra capacità di espandere la rete dei fornitori”, ha affermato Paul Wilkins, Responsabile Source to Pay, Co-op Group. “Inoltre, la capacità dei fornitori di condividere elettronicamente le informazioni sulle consegne grazie a una notifica di spedizione avanzata consente ai team del centro di distribuzione di pianificare e allocare le risorse in modo più efficiente, eliminare le comunicazioni cartacee e garantire una gestione più precisa del magazzino, contribuendo a consegnare ai nostri clienti ciò che desiderano, quando e dove ne hanno bisogno, nel modo più conveniente possibile”.

 

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E ANALISIA AVANZATA SONO ESSENZIALI PER L'INTEGRAZIONE B2B

Lo studio evidenzia inoltre il ruolo significativo dell’intelligenza artificiale e dell’analisi avanzata dei dati nella maturità dell’integrazione B2B: il 44% delle aziende ha dichiarato di utilizzare tecnologie come Intelligenza Artificiale e Machine Learning per generare un maggior numero di insights predittivi dalla supply chain. Al contrario, il 17% degli intervistati ha riferito di utilizzare solo funzionalità di analisi di base. Che si tratti di condividere informazioni B2B specifiche o più ampie, la capacità di sfruttare tutti i dati a disposizione sta rapidamente diventando un imperativo, tanto che le aziende che rimangono indietro in questo processo subiranno uno svantaggio rispetto alla concorrenza. 

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