Le aziende che controllano, ottimizzano e rendono standard i propri processi di acquisto possono risparmiare tra il 10 e il 25% dei costi su prodotti e servizi, e quelle che includono nella propria strategia di procurement anche la tail spend possono ottenere importanti vantaggi competitivi, riporta un recente studio di McKinsey.
Allora perché ancora oggi viene poco considerata la spesa per i materiali indiretti? Una domanda questa a cui, come Unite, abbiamo cercato di rispondere in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo del Procurement, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
Unite | Mercateo part of Unite, piattaforma di e-procurement con un marketplace integrato dedicato al B2B, infatti, vuole arrivare al cuore della questione durante il CPO Summit 2023, promuovendo la cultura della digitalizzazione nel procurement come soluzione per fronteggiare l’attuale contesto VUCA e contenere i costi di processo che si nascondono nella tail spend.
Infatti, benché la spesa indiretta rappresenti solo il 20% della spesa totale aziendale, secondo il principio di Pareto incide allo stesso tempo per l’80% sui costi legati alle procedure di ordine, anche grazie alla frammentazione e al conseguente numero di fornitori molto elevato.
L’acquisto frammentato di questi materiali è spesso legato al fenomeno del maverick buying e questo comporta una mancanza di dati strutturati che compromette la trasparenza dell’intero processo e limita la capacità di analizzare l’acquistato e individuare opportunità di risparmio.
Allo stesso modo, anche i costi di gestione aumentano. Gli uffici contabili e amministrativi si trovano infatti ad avere a che fare con la necessità di aprire rapidamente nuove anagrafiche fornitori e a gestire fatture non standardizzate, il che comporta un carico di lavoro manuale particolarmente oneroso in termini di tempo e denaro. Il livello di complessità è inoltre destinato ad aumentare in base alla modalità con cui viene effettuato il pagamento, al livello di standardizzazione delle procedure e a molti altri costi di gestione nascosti in base alla tipologia e al settore aziendale.
Per tutti questi motivi, i vantaggi dati dalle nuove tecnologie sono tantissimi: primo fra tutti la conseguente ottimizzazione dei processi aiuta gli uffici acquisti a risparmiare sui costi. Inoltre, una gestione trasparente della spesa indiretta consente di identificare meglio le opportunità e perfezionare la strategia di spesa, avere flussi di lavoro semplificati, e una maggiore coerenza e compatibilità dei prodotti acquistati. Infine, una supply chain più vicina e affidabile permette di ottimizzare e automatizzare i processi migliorando l’efficienza generale della funzione acquisti e riducendo il tempo dedicato a compiti strettamente operativi.
Nel “mercato” degli appalti, il monitoraggio dei profili di gestione dei rapporti di lavoro riveste un ruolo strategico soprattutto in considerazione della complessità del panorama legislativo.
Il datore di lavoro, infatti, in caso di affidamento di lavori, servizi e forniture all'impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi all'interno della propria azienda è tenuto a:
Ecco perché oggi per le imprese è fondamentale essere sempre aggiornate sui rischi a cui potrebbero essere esposte.
Con un’esperienza riconosciuta in tutti i settori F2A assiste le aziende committenti con il servizio Controllo Compliance Fornitori. Il Servizio, basato su una piattaforma tecnologica Compliance Tool, solleva il committente dall’onere della raccolta e controllo della documentazione necessaria.
L’appaltatore caricherà in autonomia i documenti necessari, F2A effettuerà i controlli e l’appaltante potrà visionare le situazioni critiche complete di esposizioni economiche.
Il risultato di questa esternalizzazione ed automatizzazione è quindi una diminuzione del tempo per le risorse impegnate su attività “non core” mantenendo elevati standard di sicurezza informatica, continuità di servizio e conformità al GDPR.
Non perdere l’intervento di Paolo Brossa Territory Sales Director di F2A e Alessandro Amicabile, Esperto in tematiche di sicurezza del lavoro 2A Group, in programma il 15 giugno alle 12:20 nel corso della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo del Procurement, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
La digitalizzazione del business è sempre di più uno di quegli aspetti cruciali per poter generare valore aggiunto e sostenere nel migliore dei modi la competitività e la resilienza del business stesso. In un periodo di grande incertezza e volatilità dei mercati, ma anche delle risorse e delle materie prime, quindi, non basta più la semplice adozione di intelligenza artificiale o machine learning per guardare al futuro, ma è sostanzialmente necessario che l’intera organizzazione sia permeata da un’intelligenza digitale integrata. Un nuovo concetto di digitalizzazione, questo, che passa dall’analisi multicanale dei dati allo sviluppo di reportistica combinata in real time, fino alla capacità di prendere decisioni adattive per guidare in molteplici scenari previsionali e possibili il board e quindi l’azienda.
Un nuovo processo di digitalizzazione, questo, che abbiamo voluto comprendere meglio attraverso l’analisi di una case study proposta da Board International, in vista della prossima edizione del CPO Summit (l’evento dedicato al mondo del Procurement) e del CFO Summit (l’evento dedicato al mondo del Finance), che si terranno contemporaneamente il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, nel corso del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
IL CASO RDM GROUP
RDM Group è leader nella produzione del cartoncino riciclato, oltre che il maggiore produttore in Italia, Francia, Paesi Bassi e Penisola Iberica. Il Gruppo ha intrapreso un percorso trasformativo per incorporare l'intelligenza digitale in tutta l'organizzazione, includendo applicazioni di AI, transazioni no-touch, realtà aumentata e tecnologia Bot. Per facilitare questo percorso, RDM Group ha scelto la piattaforma Board Intelligent Planning in grado di trasformare la pianificazione finanziaria e operativa e fare un uso ottimale dei dati, dalle macchine per la fabbricazione della carta, in ogni stabilimento, alle revisioni aziendali della sede centrale.
I VANTAGGI DELL’INTELLIGENZA DIGITALE
In particolare, nell’area Finance, RDM Group ha ottenuto alcuni significativi miglioramenti. In primis, è stato possibile per il gruppo italiano acquisire una gestione più efficiente di specifici moduli di costing (HR, Energy) attraverso l'Intelligent Planning for Finance. In secondo luogo, poi, è stato possibile anche elaborare analisi tempestive e dettagliate dei dati finanziari, di economia circolare e di sostenibilità ambientale, attraverso un'ampia gamma di report interattivi. In terza istanza, infine, i processi di pianificazione sono stati estesi e migliorati a livello aziendale, attraverso applicazioni di pianificazione intelligenti integrate in Board.
Al termine di questo articolato processo di innovazione e trasformazione dei flussi operativi e analitici dell’azienda, Nicolò Maracani, Group FP&A Manager di RDM Group, ha commentato: “Vogliamo portare nell’organizzazione una digital intelligence che includa area finance e processi operativi, lungo l'intera filiera, per ogni stabilimento del Gruppo e per la sede centrale di Milano. Abbiamo scelto Board per accelerare questa trasformazione”.
Secondo una recente ricerca di Fortune Business Insight, il mercato globale della Firma Digitale nel 2022 ha raggiunto i 3.92 miliardi di dollari. Il settore, però, è previsto che cresca fino a raggiungere i 5.25 miliardi di dollari nel 2023, per poi arrivare addirittura a superare i 43.14 miliardi di dollari entro il 2030, con un tasso di crescita annuale pari al 35.1% nel periodo considerato.
Dati questi che abbiamo voluto approfondire meglio, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo del Procurement, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
L’aumento della digitalizzazione in vari settori del business, infatti, ha influenzato i processi operativi delle imprese che, conseguentemente, hanno dato vita a un percorso di dematerializzazione dei documenti. L’adozione di alcune tecnologie emergenti in diversi Paesi sviluppati e in via di sviluppo ha portato e porterà, così, a un’evoluzione ed espansione agevolata del mercato della firma elettronica sicura. I ricercatori di Fortune Business Insights™ hanno infatti rilevato come, negli ultimi mesi, alcune delle aree principali di adozione di queste nuove applicazioni per la digital signature siano state, per esempio, la possibilità di ottenere una migliore, più sicura, semplice, efficace e veloce, verifica dell’identità dei clienti. Questo ha permesso alle banche di snellire enormemente i processi di validazione della firma e le verifiche legate all’identificazione dei soggetti, offrendo nuove opportunità di gestione dei contratti anche a distanza, attraverso la certificazione legale della firma digitale del cliente o nei processi di fusione e acquisizione tra aziende o negli ambiti assicurativi e in molti altri casi.
L’integrazione della digital signature nelle soluzioni basate su tecnologia blockchain ha permesso, inoltre, di offrire nuove e più ampie prospettive di crescita al mercato della firma eletronica a livello globale. Se, infatti, la firma digitale risulta un asset importante da utilizzare in un’era post-covid nella quale gli impatti della digital transformation del business a livello globale hanno prodotto una vera e propria rivoluzione nelle logiche e nelle dinamiche delle operations, è altrettanto vero che poter offrire alla firma digitale un valore legale e incontestabile ha aiutato moltissime realtà a provare in maniera certa l’origine, l’identità e lo status valoriale di un documento elettronico o di una transazione o perfino di un messaggio digitale. Per questo motivo, tanto la blockchain quanto il cloud, come tecnologia in grado di trasferire in tempo reale informazioni certificate, nei prossimi anni saranno i principali driver della crescita di questo mercato in così forte espansione.
In un mercato sempre più globalizzato, nel quale la necessità di velocità di adattamento, reattività ai rischi imprevisti e capacità decisionale e previsionale sono ormai competenze imprescindibili, saper offrire soluzioni e processi sicuri, flussi operativi efficienti e un passaggio di informazioni certificato, costante e senza soluzione di continuità da capo all’altro del mondo è sempre più fondamentale per rimanere competitivi e al passo con i tempi. Tutto questo, si trasforma così in un fattore di crescita essenziale, soprattutto in settori come quello bancario e assicurativo, ma anche nel retail, real estate e della pubblica amministrazione. Ambienti in cui il trasferimento delle informazioni digitali dovrebbe essere altamente sicuro e protetto, vista la sua enorme importanza e sensibilità. Allo stesso modo, però, anche le transazioni all’interno delle grandi organizzazioni necessitano un alto livello di sicurezza e la tecnologia della firma elettronica è ideale per questo tipo di protezione in un mercato del business così altamente regolamentato da normative nazionali e internazionali, dato che questa soluzione innovativa può offrire loro un’alta integrità e autenticità dei documenti elaborati. Nonostante questo, però, la mancanza di consapevolezza da parte delle imprese e delle persone nei confronti dei benefici prodotti dalla firma elettronica sia sotto un profilo operativo, sia sotto un profilo legale, ha generato finora un rallentamento nello sviluppo del mercato. A seguito della pandemia e della necessità di sviluppare soluzioni digitali che superassero il distanziamento fisico e sociale, però, grazie all’espansione nell’adozione di soluzioni cloud-based e allo sviluppo di nuovi sistemi paperless basati sulla blockchain, la situazione sta decisamente cambiando, offrendo nuove opportunità a un mercato che oggi è dominato dagli Stati Uniti, che come early adopter di questa tecnologia, nel 2022, hanno raggiunto una valutazione di settore pari a 1.62 miliardi di dollari (equivalente a quasi il 50% del valore del mercato a livello globale) e che possiedono anche già una legge federale dedicata alla firma elettronica, regolamentata dal U.S. Electronic Global and National Commerce (ESIGN) Act del 2000. A seguire, poi, un altro mercato in forte espansione è quello dell’Asia-Pacifico, che prevede di avere una crescita significativa dei suoi valori grazie all’aumento di iniziative governative per aumentare la digitalizzazione delle imprese nei vari settori industriali. In Cina, per esempio, il governo ha proposto una legge sulla firma elettronica e sta promuovendo in maniera significativa la firma digitale per qualunque tipo di documentazione. Anche in Europe, però, si stanno iniziando a vedere alcuni importanti cambiamenti, soprattutto grazie all’aumento di business digitali in tutti i settori.
In questo contesto, inoltre, la presenza di realtà come OneSpan, che da anni promuovono la cultura del paperless e della digitalizzazione della firma – conquistandosi la fiducia di aziende globali, tra cui oltre il 60% delle 100 banche più grandi del mondo, ed elaborando ogni anno milioni di accordi digitali e miliardi di transazioni in oltre 100 Paesi nel mondo –, offre un’ulteriore opportunità di espansione a tutte quelle aziende che vogliono abbracciare questo nuovo modello di business. Aiutare le organizzazioni ad accelerare le trasformazioni digitali, consentendo di stipulare accordi con i clienti e di effettuare transazioni in modo sicuro, conforme e semplice, non è infatti solo un servizio utile, ormai, ma diventa proprio un driver distintivo che consentirà alle imprese di guardare sempre di più anche ai principi di sostenibilità. Le organizzazioni che necessitano di un'elevata sicurezza, soprattutto per garantire l'integrità degli utenti finali e la veridicità delle transazioni dietro ogni accordo, infatti, potranno così semplificare e rendere sicuri i processi aziendali con i loro partner e clienti.
Perché il Procurement deve farsi “carico” della riduzione delle emissioni Scope 3? La risposta è semplice: fornitori e spesa. Dichiararsi azienda a emissioni zero infatti, ormai, non è sufficiente, se poi la propria rete di fornitura non lo è. Secondo uno studio realizzato da McKinsey “Starting at the source: Sustainability in supply chains”, il 70% delle emissioni totali di una azienda provengono da emissioni indirette (Scope 3) dovute all’attività aziendale. Questa categoria include le fonti emissive che provengono principalmente dalla filiera produttiva di un’azienda e che non sono sotto il suo diretto controllo.
Un dato che al suo interno nasconde quell'universo di relazioni che, attraverso la catena di fornitura, ogni azienda intesse con la propria filiera e su cui, come Ivalua, abbiamo voluto ragionare più approfonditamente in questo articolo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit (l’evento dedicato al mondo del Procurement), a cui parteciperemo con il nostro stand, e che si terrà il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, nel corso del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
“La catena di fornitura della tipica azienda di beni di consumo", spiegano i ricercatori, "crea costi sociali e ambientali molto maggiori rispetto ai benefici derivanti dalle proprie attività, generando oltre l’80% delle emissioni di gas serra e oltre il 90% dell’impatto su aria, terra, acqua, biodiversità e risorse geologiche dell’azienda stessa. Ecco perché le aziende devono concentrarsi sulla loro supply chain per ridurre significativamente questi costi”.
La risposta potrebbe essere banale, ma le ragioni sono molteplici. Innanzitutto, l'impatto e contributo significativo alla lotta contro il cambiamento climatico. In secondo luogo, la visione dello Scope 3 come la principale priorità del top management. In terzo luogo, l'influenza che l'attenzione verso la sostenibilità ha sulla reputazione dell'organizzazione e il suo valore di mercato. Poi, l'importanza che ha assunto in questi anni l'adeguamento ai requisiti normativi in rapida crescita per la riduzione e tracciatura delle emissioni Scope 3. Infine, la connessione esistente tra riduzione dei costi e riduzione delle emissioni, dove tutto parte dai dati e dalla loro analisi.
In questo senso, quindi, i professionisti del Procurement e della Supply Chain sono i maggiori responsabili nelle politiche di riduzione delle emissioni e possono fare una grande differenza attraverso le loro scelte di acquisto. Ma da dove iniziare? Quali strategie implementare? Per raggiungere dei buoni risultati sotto questo profilo è importante prima di tutto stabilire una strategia per generare dati affidabili sulle emissioni Scope 3 in base alle categorie e alla spesa. Sarà necessaria una combinazione di dati di terze parti (da fonti come Exiobase, Ademe, CDP, Ecovadis ecc.), dati dei fornitori e dati di spesa (ad esempio, PO e fatture). Conseguentemente, bisognerà sviluppare una struttura e un processo di governance chiari per impostare una baseline delle emissioni e per regolare e convalidare i dati sulle emissioni Scope 3. Quindi, diventerà essenziale iniziare a raccogliere la documentazione, i certificati e i dati aggiuntivi forniti dal fornitore (noterete che molti non dispongono di informazioni sufficienti in merito). Dopo questo reperimento di informazioni, si dovrà estendere il quadro di gestione del rischio dei fornitori per incorporare il rischio ambientale. Un'operazione che porterà i CPO a dover definire un meccanismo che consenta ai responsabili di categoria di mettere in atto piani di riduzione delle emissioni sulla base dei dati raccolti a livello di categoria e di prodotto, e collaborare con i fornitori, al fine di delineare e monitorare un piano ESG strategico attraverso reportistica delle emissioni Scope 3 dettagliata, obiettivi di riduzione e relativi progressi, e così via. Un'impostazione che dovrebbe offrire, infine, la possibilità di garantire che i dati sulle emissioni siano facilmente accessibili in tutto il processo source-to-pay. Questo consentirà all’ufficio acquisti di prendere decisioni che tengano in considerazione l’impatto ambientale di ogni prodotto acquistato e garantirà, inoltre, che i profili dei fornitori siano arricchiti con dati relativi alle loro emissioni.
L’evoluzione del rapporto di lavoro ed una nuova sensibilità ecologica e sociale oggi definiscono due direttrici a cui nessuna azienda potrà sottrarsi nel prossimo futuro. La prima riguarda la gestione del benessere dei dipendenti. La seconda, attiene alla corretta gestione della transizione ecologica a livello di mobilità aziendale, ma anche personale.
Un tema interessante e di grande attualità che abbiamo voluto approfondire anche in vista della prossima edizione del CPO Summit (l’evento dedicato al mondo del Procurement) che si terrà il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, nel corso del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
Innanzitutto, l’implementazione di adeguate car policy green per i dipendenti sarà anche una chiave per attrarre e trattenere i talenti, nonché motivare le risorse umane, in un periodo di grandi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, con l’introduzione di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa spesso ibrida, che alterna lo smart working alla presenza in sede. A tal proposito, l’automobile aziendale sostenibile è forse il benefit più ambito tra i lavoratori. E non solo per il prestigio che la concessione di un'auto aziendale può conferire al dipendente assegnatario, ma anche per la libertà e comodità che questa può assicurare, considerata la completa gestione del veicolo e dei rischi (ad esempio furto del mezzo o manutenzione straordinaria per danni) che rimangono a carico dell’azienda, che a sua volta può demandarli alle società di noleggio o a terzi. In questo senso e sempre con uno sguardo sul futuro, LeasePlan continuerà a proporsi al mercato con una particolare attenzione alla mobilità sostenibile all'interno di un percorso delle zero emissioni che ormai riguarda tutta la componente energetica europea di cui l’auto è industria di eccellenza.
Anche in Italia il noleggio sta svolgendo un grande ruolo di volano per lo sviluppo delle auto elettriche, rappresentando una vera opportunità per chi vuole scegliere la mobilità sostenibile senza assumersi il rischio di obsolescenza tecnologica. Le aziende italiane sono molto interessate all’elettrico e all’ibrido, sia per le auto che per i veicoli commerciali. Con la nostra formula, ready2e, in LeasePlan cerchiamo di semplificare il servizio integrando, in un unico contratto, sia il noleggio a lungo termine di auto elettriche (e plug-in hybrid) sia tutto quello che occorre per la loro ricarica.
Oggi le vetture a zero emissioni si adattano a qualsiasi esigenza, risultando spesso l’opzione più efficiente per i professionisti e le flotte aziendali. La mobilità sostenibile, inoltre, rappresenta un punto cardine del Green Deal Europeo per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre l’inquinamento atmosferico. D’altronde, il settore automotive è strategico per l’economia dell’Eurozona, con 12 milioni di addetti e un fatturato di 500 miliardi di euro. Tuttavia, serve uno sforzo pubblico/privato per la diffusione dei veicoli elettrici. Impegno che molte società di autonoleggio, come LeasePlan, e altre aziende hanno deciso di prendere per un futuro più ecologico. Un’auto elettrica aziendale, infatti, è senza dubbio la sostenibilità ambientale, per diminuire le emissioni di gas a effetto serra legate alle attività operative dell’impresa. Rendere più green gli spostamenti dei dipendenti, infatti, permette di adottare un modello di business più ecologico. Inoltre, passare dai veicoli endotermici a quelli green per ridurre le emissioni di CO2 assicura ulteriori benefici, tra cui la valorizzazione del brand aziendale nei confronti dei clienti. Allo stesso tempo, è possibile rafforzare i legami all’interno dell’organizzazione, con ricadute positive sulla produttività per migliorare la fiducia dei dipendenti. Un altro vantaggio, poi, il risparmio sui costi di mantenimento dei veicoli aziendali, con la possibilità di ottenere innanzitutto una riduzione delle spese per il rifornimento. Naturalmente, è necessario realizzare un’infrastruttura di ricarica integrata, ad esempio installando delle wall box per consentire ai dipendenti la ricarica delle auto elettriche in azienda. Con i veicoli a zero emissioni esistono anche dei risparmi indiretti, ad esempio legati alle agevolazioni sul bollo auto in quanto molte regioni italiane prevedono l’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica per 5 anni. Un altro vantaggio importante è legato ai costi di manutenzione più bassi, infatti in confronto alle vetture con motore a combustione le auto elettriche comportano spese di manutenzione ordinaria ridotte. Un ulteriore benefit garantito da un’auto elettrica aziendale sono le agevolazioni per la mobilità cittadina, come l’accesso libero nelle ZTL e la sosta gratuita nei parcheggi blu. Infatti, in molte città italiane è possibile transitare liberamente nelle zone a traffico limitato con le vetture a zero emissioni. Integrare nella flotta le auto elettriche, inoltre, consente di migliorare la soddisfazione dei dipendenti. Ad esempio, è possibile offrire dei veicoli elettrici a noleggio per gli spostamenti casa/lavoro e le trasferte come benefit aziendale, oppure adottare delle soluzioni per ottimizzare la gestione del parco auto come il corporate car sharing. D’altronde, la sostenibilità è una priorità per i dipendenti e consente di attirare più facilmente i migliori talenti. In questo senso, secondo una ricerca di Cone Communications, l’83% dei dipendenti millennials sarebbe più fedele a un’azienda che li aiuta a contribuire alla soluzione di problemi ambientali. Inoltre, le macchine elettriche sono dotate di tecnologie avanzate in grado di fornire maggiore sicurezza per i driver, infatti è meno probabile che si verifichi un incidente alla guida di un’auto elettrica. Benché le auto elettriche abbiano costi iniziali più elevati, poi, bisogna anche considerare che possono risultare economicamente competitive per una serie di aspetti come le spese di gestione, la frequenza della manutenzione, i sussidi governativi e le agevolazioni per la ricarica. Secondo McKinsey, infatti, entro la fine del decennio le flotte di veicoli elettrici avranno un TCO inferiore del 15-25% rispetto alle auto endotermiche. Tenendo conto che le flotte aziendali vanno gestite con obiettivi di lungo termine, in quest’ottica i veicoli elettrici rappresentano la migliore soluzione nel lungo periodo, per contenere i costi del parco auto e tutelarsi dalle oscillazioni dei prezzi dei carburanti. Bisogna inoltre considerare i vantaggi indiretti della mobilità elettrica aziendale, ad esempio una pianificazione più facile dei migliori percorsi per i driver, tempi di percorrenza più brevi grazie alla possibilità di accedere in qualsiasi zona e minori rischi di multe e sanzioni. Scegliere le auto aziendali elettriche è senz’altro una decisione vantaggiosa da questo punto di vista, in quanto riduce il rischio di costosi adeguamenti della flotta in futuro rispetto alle possibili normative europee previste per il 2035. Tutto ciò si traduce anche in una produttività più elevata dei collaboratori, legata alla consapevolezza che il proprio lavoro ha un impatto minimo sull’ambiente e la propria azienda sta contribuendo alla promozione di un’economia sostenibile. Il passaggio alla e-mobility è dunque una transizione spesso definitiva, che comporta anche un cambio di mentalità che difficilmente consente di tornare indietro e reintegrare un vecchio modello di mobilità aziendale. Oggi, infatti, non basta più annunciare di voler ridurre le emissioni di CO2, ma bisogna dimostrare i risultati ottenuti e puntare ormai all’obiettivo Net Zero, ossia zero emissioni nette di gas serra. Ovviamente parte delle emissioni possono essere compensate tramite l’acquisto dei crediti di carbonio, tuttavia, considerando che secondo BloombergNEF i veicoli elettrici consentono di ridurre le emissioni di CO2 nell’intero ciclo di vita dal 18% all’87%, passare all’elettrico aziendale rappresenta una soluzione più efficiente. E' chiaro, infine, che il passaggio alla green mobility non è un processo immediato, per questo motivo è fondamentale cominciare subito ad elettrificare il parco auto. Nonostante il ritardo italiano nella proposta di punti di ricarica su scala nazionale, soprattutto di colonnine in autostrada, cominciare a creare una flotta elettrica permette di non perdere competitività. Le aziende che stanno investendo nella mobilità pulita potranno beneficiare di un valore aggiunto importante nei prossimi anni, soprattutto in termini di efficienza e flessibilità. Si tratta di un investimento intelligente, uno sforzo necessario per il futuro dell’azienda e la sostenibilità del business nel lungo termine.