Una manciata di giorni fa abbiamo parlato di una grande mancanza di Instagram:
l’impossibilità di incorporare foto e video su altri siti. Come saprete,
infatti, il portale non permetteva agli utenti di recuperare il codice embed. A
tal proposito vi abbiamo consigliato un’utile applicazione web, Embed Instagram,
che risolveva il problema in pochi click. Lo strumento consigliato è divenuto
ormai inutile, Instagram ha finalmente aggiunto la possibilità di recuperare il
tanto desiderato codice.
Raggiungiamo un Profilo Web della community e clicchiamo sulla foto/video che
vogliamo incorporare altrove. Nella solita schermata che mostra il contenuto
sarà presente anche un nuovo tasto (posto sotto il cuore e l’icona dei
commenti). Cliccando su questa piccola freccia, si aprirà una finestra che
includerà il codice Embed dell’elemento. Basterà cliccare il bottone verde “Copy
Embed Code” per copiare automaticamente il contenuto.
Tramite questo codice, dunque, potrete portare in giro per il web sia le
immagine sia i filmati di Instagram.
L’azienda, dunque, ha soddisfatto la richiesta degli utenti proprio nel periodo
in cui lo strumento gratuito per generare embed stava prendendo piede. Sarà solo
un banale caso oppure questa risorsa ha fatto svegliare il noto Instagram?
Non abbiamo una precisa risposta e probabilmente non ci interessa nemmeno
averla, l’importante è l’aggiunta della nuova funzione che ci consente in un
paio di click di ottenere il codice.
Per tutelare la privacy evidenziamo che il codice Embed sarà disponibile solo ed
unicamente per i contenuti pubblici. Se una foto o un video risultano privati
non potranno essere portati in giro per il web.
Fonte: www.geekissimo.com
Chiunque può pubblicare la propria infografica e venderla tramite il sito,
che da oggi mette in contatto le aziende italiane con oltre 300 designer
È on line da oggi Visiwa.net, prodotto editoriale ideato da Paolo Conti, Ceo di
Loft Media Publishing, che ha l’obiettivo di diffondere anche in Italia l’uso
delle infografiche. Conti definisce Visiwa un “ social media” anche se in realtà
si tratta di un aggregatore, o meglio di un marketplace per designer e aziende.
Da una parte infatti i creativi possono utilizzare la piattaforma per diffondere
le proprie creazioni, mentre dall’altra le aziende hanno la possibilità di
trovare persone competenti per realizzare infografiche capaci di generare
traffico per il proprio sito, o acquistare direttamente traffico. “L’abbiamo
chiamato social media perché è un media sociale nell’ambito del crowd journalism”
racconta Conti.
Attraverso Visiwa infatti chiunque può pubblicare contenuti che prima di essere
diffusi verranno verificati dallo staff redazionale. “ Recentemente è stato
stimato che l’80 per cento delle infografiche in circolazione contengono dati
faziosi e poco legati alla realtà, per questo abbiamo deciso di verificare tutto
quanto pubblicheremo” ci ha spiegato Conti. A differenza di Visually, principale
competitor e leader a livello internazionale nel settore, Visiwa ha sviluppato
uno strumento in grado di bloccare il download dell’infografica, per cui chi la
vuole inserire in qualunque contesto si trova vincolato a fare l’ embed
direttamente dal sito, che fornisce l’immagine tramite i propri server. Visiwa,
ancora prima di lanciare, ha già coinvolto 300 designer e 28 ricercatori, con
tre aziende che hanno già commissionato lavori. Per approfondire il progetto
abbiamo raggiunto Conti.
Cosa vuol dire Visiwa e cosa fate esattamente?
“È il nome di un’isola tropicale che ci piaceva. Ricorda bene l’aspetto visivo
ed è abbastanza startupparo. Il nostro obiettivo è cavalcare l’onda del mercato
delle infografiche che anche da noi sta crescendo, ma non ha ancora
completamente sfondato per la mancanza di prodotti localizzati. Aziende,
istituzioni e giornali italiani hanno infatti bisogno di infografiche in
italiano e fatte da italiani perché solo la gente del posto può sapere qual è
l’immagine o la parola adatta per riassumere tante cose in poco spazio. Le
infografiche stanno esplodendo anche in Italia perché le aziende stanno
scoprendo che sono l’esatto opposto della pubblicità e che legare brand a
contenuti è una strada estremamente efficace per promuovere il proprio prodotto.
Ogni nostra infografica contiene un link al creatore e all’azienda che l’ha
commissionata, laddove questa sia stata appunto commissionata”.
Vuoi dire che chiunque può caricare la propria infografica?
“Non proprio: chiunque può candidarsi per diventare un nostro designer e
pubblicare liberamente le proprie infografiche. Vogliamo fare una selezione
all’ingresso per essere sicuri di diffondere solo materiale di qualità. Se un’infografica
genera traffico, un’azienda può scegliere di comprare quel traffico e aggiungere
il proprio link al prodotto. Quando vendiamo il traffico generato dividiamo il
ricavo al 50 per cento con il designer. In autunno poi vogliamo anche realizzare
vere e proprie inchieste che saranno pubblicate come infografiche”.
Puntate solo al mercato italiano?
“Inizialmente sì. Attualmente il leader del settore è Visually e per quanto
riguarda l’inglese è irraggiungibile. Noi vogliamo diventare leader in Italia in
quattro mesi. Poi apriremo in Brasile e Russia, mercati molto grandi dove
Visually è assente, e punteremo sempre sulla localizzazione. Quando avremo una
massa critica sufficiente proveremo ad affrontare il mercato inglese. Siamo
convinti che la differenza la faccia la localizzazione e che saremo pronti in un
paio di anni. È estremamente difficile stimare quanto valga il mercato delle
infografiche, ma più in generale puntiamo al settore della pubblicità on line
perché è qui che le infografiche si sovrappongo e sovvertono in maniera radicale
il rapporto fra chi produce qualcosa e chi lo dovrebbe comprare”.
State cercando un investimento?
“No, abbiamo investito circa 30mila euro di tasca nostra e per ora non abbiamo
bisogno di altri finanziamenti”.
Fonte: Wired.it
A seguire, la Tavola Rotonda sui business models di successo, che ha coinvolto Francesco Casoli (presidente di Elica), Tommaso Galbersanini (CEO Il Filo dei Sogni), Luca Majocchi (CEO Emilceramica), Alessandro Cremonesi (CEO Jil Sander), Marina Salamon (CEO Altana). Esempi d’eccellenza e creatività italiana, che hanno dispensato i loro “ingredienti segreti” anti-crisi: amore per il consumatore, innovazione continua, scelta di un segmento di lusso, costruzione di un ecosistema aziendale creativo. Per tutti, due costanti: una grande passione, e l’internazionalizzazione di un business che non può più limitarsi al solo mercato italiano.
Proprio quest’ultimo tema è stato il punto focale della successiva Tavola Rotonda, introdotta e moderata da Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di Strategia e Politica Aziendale in Bocconi. La competizione globale ha accresciuto la complessità del ruolo del CEO, il quale – secondo Maffè – non avendo più le core competences sotto controllo, deve farsi portatore di edge competences: diventare “scultore” di strategie, “filosofo” del valore sospeso tra transazioni economiche e relazioni, “banchiere” dell’integrità aziendale. Per guidare l’azienda nell’oscurità di questo momento economico la stella polare resta sempre l’innovazione. Alcune corporation ne hanno fatto una bandiera, come Microsoft, presente alla tavola rotonda con Silvia Cambiani (Chief Operation Officer), e Google, di cui è intervenuto l’Amministratore Delegato Italia Fabio Vaccarono. Un’innovazione declinata in forma digitale quindi, ma anche dal punto di vista organizzativo: hanno partecipato infatti Renato Capanna, Consulting Director MEGA, e Enrico Pazzali, Amministratore Delegato Fiera Milano. Innovare è un imperativo, ribadito da Roger Abravanel nel suo intervento: “Italia, o cresci o esci!”. Il CEO deve rendere l’azienda un incubatore di talenti: solo così riusciremo a cogliere le “eccezionali opportunità che il Paese avrà nei prossimi 4-5 anni”.
I grandi leader sanno prendere grandi decisioni. Come l’acquisizione di Avio da parte di General Electric, raccontata dal Country CEO Sandro De Poli, o anche solo il saper accettare i fallimenti e incentivare l’autonomia del personale – temi degli aneddoti del Country Manager Facebook Luca Colombo. “Cos’è la leadership?”, chiede il moderatore Arturo Artom nella Tavola Rotonda finale. “Leadership è capacità di interpretare il nuovo senza perdere il nocciolo duro della propria identità aziendale”, risponde Umberto Bussolati Dell’Orto, Senior Partner Spencer Stuart. Per Marcello Veneziani, editorialista de Il Giornale, alle aziende italiane serve una leadership distintiva, capace di andare controtendenza: puntare sulle nostre peculiarità, miscelando il patrimonio del Brand Italia con la capacità di innovarlo. Una sfida irrimandabile che – non essendo stata accolta dalla politica – è già entrata nell’agenda di manager e imprenditori.
“Il mondo, gli imprenditori, le imprese si dividono in due: quelli molto
impegnati a guardarsi l’ombelico e quelli che puntano a diventare l’ombelico del
mondo”. L’ha detto Vincenzo Perrone, Docente di Organizzazione Aziendale
e Prorettore alla Ricerca all’Università Bocconi, durante la prima edizione del
CEO Summit – organizzato da Business International, divisione
Fiera Milano Media. Per diventare “l’ombelico del mondo” servono business model
efficaci, e leader abili a concretizzarli: due temi, strategie e leadership,
centrali nel dibattito del CEO Summit 2013, su cui vale la pena di soffermarsi
in questo Focus.
Vincenzo Perrone ha inaugurato la giornata con una provocazione: per uscire
dalla crisi, la prima strategia da adottare è “guardare oltre”. “Dobbiamo uscire
da questa nuvola nera che si siamo costruiti, che alimenta un clima che fa male
al Paese e che all’estero non c’è”. I numeri del mondo, in effetti, parlano
chiaro, e mostrano interessanti opportunità strategiche (Video:
http://www.youtube.com/watch?v=Z4WGjHWY1UM. Fonte: Nielsen): i mercati emergenti
crescono in tutto il globo, così come la classe media e il reddito spendibile da
parte di categorie sottovalutate in fase di communication design (come, ad
esempio, gli ispanici negli USA). Al contempo la digitalizzazione prosegue
ovunque senza sosta (impressionanti i dati della diffusione del mobile payment
in Cina e Kenya) – e, come ha ricordato nel suo intervento il CEO Italia di
Google Fabio Vaccaro, in questo ambito l’Italia deve e può fare di più:
soltanto il 17% delle piccole-medie imprese italiane ha una presenza qualificata
su internet, contro Il 30% delle spagnole. Va aggiunto inoltre il cambiamento
rapidissimo della composizione socio-demografica del mercato – con un fortissimo
aumento percentuale dei consumatori over50 in America Latina, Stati Uniti, Cina,
e le donne che divengono sempre più importanti per potenziale di spesa.
Aldilà dei dati, ha sottolineato il Docente, ciò che manca al Belpaese è
l’approccio giusto: le opportunità ci sono, basta vederle. “La parola crisi
deriva dal greco, dal verbo giudicare” – ha ricordato Perrone. “E’ il momento di
giudicare, distinguere. Possiamo uscire da questo clima in cui ci siamo infilati
e vedere realtà che si muovono su una logica diversa, che hanno capito dove i
consumatori globali sono e quali sono le possibilità di crescita per le aziende?
Quando è arrivato Monti, a novembre, con lo Spread a 500, stavate
chiudendo i vostri bilanci. In quel momento il bilancio totale di tutte le
aziende italiane sopra i 100milioni di euro, che valgono il 17% del Pil, stava
crescendo del 12,45% rispetto all’anno precedente. Le aziende erano solide dal
punto di vista finanziario e con ricavi crescenti. Bisogna discriminare,
affinare lo sguardo. Quante banche hanno ancora la capacità di capire se
un’azienda cresce, è solida o meno? Il governo, quando parla di politica
industriale, di cosa sta parlando? Conosce le esigenze di un’azienda
internazionale o di una start-up? E forse, anche Confindustria e ì sindacati
questa capacità di giudizio la dovrebbero sviluppare”.
Secondo Vincenzo Perrone è il momento del “ritorno ai pesi”. Il che significa
sostanzialmente due cose: “1) se non avete un vantaggio competitivo, smettete di
competere; non c’è modo di conseguire un vantaggio competitivo sostenibile
facendo esattamente quello che tutti gli altri fanno, nello stesso modo. I
profitti sono il sovra-prezzo che un cliente è disposto a pagare per una
differenza percepita di valore, dunque bisogna essere differenti (in meglio); 2)
siate resilienti. La resilienza è la proprietà di un materiale di ricevere uno
shock, deformarsi e tornare come prima. Passate attraverso la crisi e uscite più
forti, migliori, con le idee più chiare. E’ la proprietà che ci ha consentito
come specie di sopravvivere”. Quello che conta oggi è la capacità di adattare le
tecniche al mercato, sapendo passare da un’ondata tecnologica all’altra e
mettendo sempre al centro il cliente. “Chi soffre è chi non è capace di produrre
idee e non è ben posizionato sul mercato”, è la sintesi di Perrone, il quale ha
concluso la sua analisi non con una risposta, ma con quattro domande rivolte ai
CEO del futuro: “1) siete davvero competitivi sul mercato? 2) riuscite a mettere
al centro il cliente? 3) sapete accogliere e sviluppare individui innovativi e
fare spazio all’intraprenditorialità? 4) sapete coinvolgere, motivare e fare
partecipare i dipendenti nella sfida quotidiana della resilienza?”.
I manager e imprenditori relatori al CEO Summit hanno il lusso di poter
rispondere affermativamente: quelli come Francesco Casoli di Elica, Marina
Salamon di Altana, Giorgio Bloggero di Leaf Italia, e gli altri ambasciatori
dell’eccellenza aziendale italiana ospiti alla conferenza. Gente accomunata da
una virtù: la leadership. Che, ricorda Casoli, non deve essere mai sinonimo di
presunzione: “come faccio a competere se penso di essere il re di tutto, se
comando tutto io? Cerchiamo di essere un po’ meno presuntuosi, che è un po’ il
male degli imprenditori italiani”. Della stessa idea Marina Salamon: “non ho una
stanza o una scrivania: vado in giro dai lavoratori, imparo di più. Perché così
entro nelle diverse realtà dell’azienda, senza sentirle però figlie mie da
proteggere”. Per Giorgio Bloggero, poi, essere CEO significa non soltanto
comandare un impresa, ma anche avere delle responsabilità nei confronti del
sistema Paese: “il mio ruolo è far lavorare insieme tutte le persone. Io posso
timonare la nave, essere un facilitatore, uno spronatore, ma ogni approdo è un
punto di partenza. Dobbiamo essere ancora più bravi, più veloci. Il nostro
ruolo, in quanto CEO, è portare investimenti in Italia, essere degli
ambasciatori. E’ un lavoro duro, e ognuno deve fare la sua parte, anche e
soprattutto per il Paese”.
Carlo Alberto Carnevale Maffè, Docente di Strategia e Politica Aziendale
in Bocconi, nel suo intervento ha provato a tracciare un identikit del
CEO-leader: deve farsi portatore di edge competences, diventare “scultore” di
strategie, “filosofo” del valore sospeso tra transazioni economiche e relazioni,
“banchiere” dell’integrità aziendale. Più pragmatico lo speech di Luca
Colombo, Country Manager Facebook, per il quale la leadership si
esprime nel tessuto dell’impresa attraverso diversi fattori: 1) tecnologia, la
quale “è imprescindibile: non è più prerogativa degli esperti di IT o degli
specialisti di digital, deve essere qualcosa che sta nella testa dell’azienda”;
2) cultura del fallimento: “sbagliare è parte del nostro dna, l’importante è non
commettere gli errori due volte” 3) approccio “open”: “ognuno in Facebook è
stimolato a sviluppare prodotti e innovarli” 4) centralità del consumatore: “le
aziende dovranno sempre più essere customer center, per adeguarsi ai feedback
dei clienti”.
Gli ospiti hanno descritto la figura del leader, genericamente, come colui
capace di tessere le fila del “discorso impresa”. Una definizione più precisa
l’ha fornita Marcello Veneziani, editorialista de “Il Giornale”:
“Io credo che ci siano due forme di leadership: una è la leadership mimetica, il
tentativo di mimetizzarsi, di adeguarsi all’ambiente, all’habitat, e quindi di
rispondere attraverso forme di galleggiamento e di low profiling, vivendo nella
corrente. In Italia invece serve una leadership distintiva, capace di
distinguersi, di andare controtendenza. Noi non possiamo competere coi grandi
sistemi esteri adeguandoci al loro corso: non possiamo che percorrere una strada
antagonista, alternativa, differente, puntando sulle nostre peculiarità”.
Secondo Veneziani, i leader delle aziende italiane devono riuscire a mettere
insieme due tendenze: da un lato, far tesoro del patrimonio ereditario, di ciò
che siamo, del “Brand Italia”; dall’altro, miscelare questo patrimonio con la
capacità di innovarlo. “La leadership ha solo una possibilità d’uscita:
distinguersi, non mimetizzarsi”.
E ancora: “il dramma del nostro paese è non puntare sui giovani ma sul sistema
di relazioni, e così investiamo sull’immediato, senza rischiare sul futuro”.
Leadership in quanto azzardo, dunque, in quanto strada coraggiosa e
controcorrente: un po’ come nel caso di Enrico Pazzali, Amministratore
Delegato di Fiera Milano, che ha testimoniato il grande prezzo personale
della ristrutturazione aziendale di cui stato protagonista, che ha avuto come
conseguenza intimidazioni e minacce: “il nostro mestiere è riempire i bicchieri
mezzi vuoti” – ha affermato Pazzali – “senza deprimersi”.
Quali sono state le strade vincenti che hanno percorso i leader ospiti di CEO
Summit nelle loro storie virtuose di business? Eccole in sintesi: cura
spasmodica dei bisogni del cliente, flessibilità organizzativa capace di
garantire un’innovazione continua, scelta di un segmento di lusso, costruzione
di un ecosistema aziendale creativo capace di valorizzare la diversità
esperienziale e umana e, soprattutto, internazionalizzazione dell’attività.
Quest’ultimo tema, filo rosso del dibattito al Summit di Business International,
sarà approfondito in un Focus ad hoc: “La sfida dell’internazionalizzazione come
risposta alla crisi”.
È ormai da un anno che fantastichiamo sui Google Glass, gli occhiali di
Mountain View in uscita nel corso dell'anno e che promettono di cambiare la
nostra vita quotidiana tenendoci connessi 24 ore su 24 semplicemente
indossandoli. Il primo video era sbucato su Youtube proprio ad aprile 2012, ma
riportava solo una visuale in soggettiva di un utente che utilizzava il gadget
Google in uno scenario ipotetico. Poi lo abbiamo visto indossato da Sergey Brin
e altri vip: abbiamo capito qualcosa in più sull'estetica di questi Google
Glass, ma ancora niente sugli ingranaggi all'interno. Fino ad oggi: Google
infatti ha rilasciato proprio nelle ultime ore una lista di specifiche tecniche
relative al suo dispositivo indossabile.
Innanzitutto il display sarà da 640x360 pixel. Non proprio una marea in termini
assoluti, ma da Google ricordano che a una distanza così ridotta dagli occhi
saranno più che sufficienti. Più precisamente, sarà come guardare uno schermo HD
da 25 pollici da una distanza di un paio di metri.
La fotocamera sarà da 5 Mpixel e in grado di riprendere video in 720p, ma senza
informazioni sul tipo di sensore impiegato non possiamo ancora sapere come si
comporterà in condizioni di luce scarsa. La memoria a bordo sarà da 16GB, di cui
12 effettivamente utilizzabili, insieme a quelli resi disponibili dalla
sincronizzazione coi servizi cloud di Google.
L'audio sarà a conduzione ossea, mentre la batteria dovrebbe permettere a Glass
di durare una giornata intera. Per quel che riguarda la connettività, infine, la
scelta di Google è caduta su Wi-Fi b/g e Bluetooth.
Dal lato software, alcune informazioni arrivano dal rilascio della
documentazione relativa alle api destinate agli sviluppatori. Da questa
apprendiamo soprattutto che chi vuole portare la propria app su Glass non potrà
renderla a pagamento, né puntare sulla pubblicità al suo interno.
Una mossa abbastanza sorprendente che lascia aperto un interrogativo importante
sul modo in cui verranno ricompensati gli sviluppatori. Come suggerisce The
Verge, però. probabilmente si tratta di condizioni preliminari relative alla
fase beta del programma, che una volta terminata lascerà spazio a un modello di
business più appetibile per il futuro ecosistema che ruoterà attorno a Glass.
Fonte: Wired - Articolo di Lorenzo Longhitano