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Twitter spiegato da Twitter con un video

Sul social network dell'uccellino compare una video-guida che spiega ai nuovi utenti come funzionano timeline, hashtags, followers e retweet

Dopo il successo della Ipo, era solo questione di tempo prima che Twitter iniziasse a muoversi per iniziare ad attirare nuovi utenti, anche e soprattutto quelli che non hanno la minima idea di cosa significhino parole come hashtag, follower e retweet. A fine ottobre era già arrivata una nuova schermata di login e la visualizzazione automatica di foto e video nella timeline.

Ora il social dell'uccellino ha creato un nuovo account chiamato @twitterguide, pensato appositamente per accogliere i nuovi utenti e accompagnarli gradualmente nella scoperta della twitter experience. E proprio da questo account-guida è partito un video tutorial che spiega tutti in concetti di base di Twitter:

Fonte: http://daily.wired.it
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Una petizione per fermare il regolamento Agcom

La nuova regolamentazione sul copyright sarà votata a inizio dicembre e rischia di diminuire la liberà sul Web. Ma c'è chi vuole fermarla e chiede l'intervento del Parlamento 19 novembre 2013 di Redazione Wired.it

Al grido " Agcom, non censurare il Web!" è partita una petizione contro l'adozione del nuovo regolamento dell' Autorità per le garanzie nelle comunicazioni dedicato al diritto d'autore. Se si proseguisse su questa linea, in caso di segnalazione di violazione di copyright l'Agcom potrebbe ordinare ai siti internet italiani di rimuovere i contenuti e chiudere siti stranieri. Dopo le proteste delle associazioni settore e di tutela dei consumatori, arriva ora una petizione organizzata dal giurista Fulvio Sarzana con Sitononraggiungibile.info su Change.org.

" La votazione sul regolamento è prevista all' inizio di dicembre: tra qualche settimana migliaia di blog, siti informativi, forum e video messi su youtube o su facebook potranno essere cancellati in 72 ore senza l'intervento di un giudice", si legge: " Nessuna decisione che sopprime la libertà della rete e i nostri diritti fondamentali di accedere alle informazioni può essere presa senza la decisione di un giudice. Chiediamo all'Agcom di rimettere la questione al Parlamento, come prevede la nostra Costituzione. Il Parlamento Italiano sta decidendo già di questi temi, in contrasto con le regole d’urgenza del Garante".

Per aderire, basta firmare qui.

Fonte: http://daily.wired.it

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E-commerce: ora gli italiani comprano su internet

Turismo, abbigliamento, elettronica. Boom di vendite anche grazie all'uso di smartphone e tablet

In tempo di spending review, per combattere la crisi e riuscire a risparmiare, gli italiani i loro acquisti preferiscono farli su internet. Parlando di cifre, sono 14 milioni le persone che comprano online. Questo è quanto emerge dall’undicesimo Osservatorio eCommerce B2c Netcomm presentato lo scorso 14 novembre a Milano. Una situazione certamente agevolata dalla capillare diffusione di smartphone e tablet avvenuta negli ultimi anni. È da questi dispositivi infatti che arriva la spinta maggiore all’acquisto, grazie al sempre maggiore utilizzo di portali online e app dedicate.
Ma di cosa parliamo quando facciamo riferimento all’eCommerce? La prima risposta che può essere data è quella di considerare questa tipologia di spesa come il lato “elettronico” del business, o molto più semplicemente tutta quella serie di acquisti che vengono effettuati in rete. Ma c’è di più, perché nell’alveo dell’ “eCommerce” possono essere anche accomunati modelli di riferimento tra di loro molto diversi, scelti in base alla natura dei soggetti coinvolti, alle finalità delle transazioni e agli impatti nelle organizzazioni.

Ecco perché in generale è possibile distinguere tre principali declinazioni del concetto di eCommerce:

  • Business to Consumer (B2c) se la relazione è tra un’impresa fornitrice e un consumatore finale, che acquista beni o servizi attraverso un portale o un sito internet.
  • Business to business (B2b) quando la relazione è tra un’impresa fornitrice e un un acquirente, che in genere interagiscono scambiando dati per supportare le proprie relazioni commerciali e i relativi processi transazionali che le accompagnano.
  • Business to Government (B2g) nel caso in cui la relazione coinvolge come soggetto acquirente la Pubblica Amministrazione e come fornitori le imprese che vendono, dietro pagamento, beni e servizi richiesti.

Fatta questa precisazione di merito - utile a comprendere quali sono le branche che compongono il settore degli acquisti online - è necessario soffermarci sulla categoria che ci interessa di più in questa sede, ovvero quella del business to consumer. Per farlo, e per capire anche in termini di cifre come si sviluppa questo rapporto di vendita tra un’impresa fornitrice e un soggetto acquirente, dobbiamo tornare al rapporto dell’Osservatorio e ai dati che sono emersi su questo settore.

Basta guardare i valori riferiti alle vendite da siti italiani (clicca qui per guardare il report), per comprendere come si sviluppa il trend di crescita del commercio in rete. Infatti nel 2013 gli acquisti online sono cresciuti del 18% generando un fatturato di 11,3 miliardi di euro, un andamento che si mantiene costante ormai da diversi anni. Dai dati emerge poi come nel 2013, in generale, sia l’acquisto di prodotti – abbigliamento, grocery, informatica, arredamento - a subire il maggiore incremento (+25%) rispetto al 2013; mentre l’incremento dei servizi (assicurazioni, turismo, ricariche telefoniche), che tuttavia rappresentano ancora la porzione più grande di acquisti effettuati online, si attesta attorno al 13%.

Ma cosa comprano gli italiani su internet? È sempre il turismo a farla da padrone con un fatturato che sfiora i 5 miliardi e una crescita del 13% rispetto al 2012. Il settore in maggiore crescita è quello dell’abbigliamento con un aumento di 30 punti percentuali sul 2012. Bene anche informatica ed elettronica (+20%), assicurazioni (+14%) e grocery (+11%). Una crescita lenta invece caratterizza il settore dell’editoria che aumenta solo del 6% rispetto all’anno passato. Incrementi di questo sono giustificati dallo sviluppo di alcune Dot Com specializzate nei settori di riferimento. Va detto però che la vera spinta propulsiva arriva dall’universo mobile, dove gli acquisti da smartphone hanno fatto registrare un incremento del 255%, e anche se rappresentano ancora meno del 15% delle vendite online, è un dato di crescita che può essere considerato rilevante anche in ottica futura.

Per quanto riguarda invece i metodi di pagamento, è sempre la carta di credito la modalità preferita dagli italiani per effettuare le transazioni online. Nettamente in vantaggio (un valore che non è sceso mai sotto il 70% negli ultimi anni) rispetto ad altre forme di pagamento come paypal, contrassegno o bonifico.

Detto ciò, pare quindi che il futuro delle aziende commerciali debba convergere verso una condizione di multicanalità. Con questo termine si intende specificare tutte quelle aziende che riescono a integrare tra di loro differenti canali di vendita: dal negozio offline a quello online, passando per il mobile fino ad arrivare ai social. Tutto nell’ottica della creazione di un meccanismo virtuoso che metta l’utente/acquirente nelle condizioni di realizzare un effettivo risparmio.

Fonte: www.linkiesta.it

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Snapchat, Facebook offre 3 miliardi di dollari per i messaggi fantasma

È la notizia del giorno e fa molto scalpore, a poche ore dal grande rifiuto, che Snapchat abbia per ben due volte respinto al mittente le offerte miliardarie di un colosso del web.

Stiamo parlando di Facebook che vuole comperare a tutti i costi la chat dei messaggi fantasma, ossia che si cancellano dopo essere stati letti.

Prima 1, poi 3 miliardi di $

Prima un miliardo di dollari, e passi, poi ben 3 miliardi per la creazione del duo Evan Spiegel, il CEO, e Bobby Murphy. L’idea è semplice ma genale, come spesso accade: messaggi e immagini scambiati fra gli utenti che durano il lasso di pochi secondi, poi scompaiono.

Fin qui tutto bene, anche per fare il noto sexting, ossia inviarsi immagini osè che poi tanto si cancellano, non ci fosse il pericolo che applicazioni come SnapHack possano comunque immortalare l’immagine e mettere in serio pericolo il mittente.

La chat spopola tra i giovanssimi

Tra i più giovani, comunque, Snapchat dilaga e tanto è bastato a Zuckerbeg e compagni affinché si producessero in una duplice offerta da capogiro, peraltro snobbata dagli (forse) incoscienti creatori della chat che veicola ben 350 milioni di messaggi ogni giorno e in costante aumento.

Niente da fare per il 2013, forse se ne riparlerà nel 2014, ma mancano ormai non troppi giorni al nuovo anno. L’offerta sarà la stessa? Oppure calerà? E se Facebook decidesse di non comprare più? Il treno di 3 miliardi di dollari potrebbe esser passato solo una volta, saltarci sopra o perderlo è un attimo.

Si punta a 4 se non di più miliardi per vendere

Oppure il duo Snapchat ha davvero ragione e la loro creatura vale di più? I numeri paiono dar loro ragione e nel 2014 possono spuntare qualcosa come 4 miliardi, lo stesso valore che ha ora Pinterest, o addirittura qualcosa in più: l’importante è non tirare troppo la corda e ritrovarsi con un pugno di mosche in mano.

Fonte: www.mobileblog.it

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L'Europa approva l'uso di dispositivi 4G e 3G durante i voli aerei

Oltre i 3.000 metri i passeggeri potranno usare dispositivi 3G e 4G in aereo, ma solo se permesso dalla compagnia.

Niente più modalità aereo sui cieli d’Europa? A quanto pare il futuro sembra riservarci proprio questa situazione, dopo che la Commissione Europea ha dato il via libera all’uso di dispositivi LTE e 3G durante i voli aerei. Un qualcosa di epocale, visti i restrittivi (e per molti inutili) limiti posti finora sulla presenza di smartphone e aggeggi simili a bordo degli aerei.

Nel dettaglio, l’Unione Europea dà il via libera alle comunicazioni sugli spettri 3G (UMTS) e 4G (LTE), oltre i 3000 metri di altezza. Fino a questo momento, solo l’uso di dispositivi connessi alla rete 2G (GSM) era permessa sugli aerei in volo sul suolo europeo, rendendo naturalmente impossibile l’uso di dispositivi e funzionalità moderni che richiedono una banda decisamente superiore per inviare e ricevere allegati, scaricare eBook o vedere video.

Da verificare, naturalmente, anche la performance di queste reti che saranno disponibili sugli aerei, diverse da quelle cellulari disponibili quando si è a terra. Esse si basano infatti su sistemi satellitari, e sono normalmente più lente delle connessioni 3G e 4G a cui siamo normalmente abituati.

A ogni modo, la Commissione precisa che la possibilità di usare telefoni 3G e 4G darà una possibilità per le compagnie aeree per accontentare i propri clienti, accettando le connessioni a bordo. Non si tratterà di un diritto dei passeggeri, che in caso di rifiuto della compagnia e di ammonimento da parte del personale di bordo, non potranno dunque avanzare nessuna pretesa.

Fonte: www.downloadblog.it

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La web tax va avanti nonostante le pressioni

La proposta di una tassa sulle multinazionali tech prosegue il suo cammino in commissione. Ma si levano anche proteste, dagli Usa e in Italia.

La proposta di imporre una partita iva nazionale ai colossi della tecnologia e della Rete che operano in Italia per drenare fiscalità, altrimenti destinata altrove, prosegue il suo cammino. La cosidetta WebTax è al centro delle cronache e stavolta sembra avere una possibilità di diventara legge, nonostante le proteste di un gruppo di pressione tutt’altro che ininfluente.

Il concetto passato con l’emendamento di Ernesto Carbone alla delega fiscale è entrato in circolo nel sistema parlamentare ed è stato trasformato in emendamenti alla legge di Stabilità. L’iniziativa di Francesco Boccia, che presiede la commissione Bilancio e Tesoro, riprende gli stessi argomenti e ha lo scopo di arrivare molto prima all’obiettivo dichiarato: far pagare più tasse ai big americani. Una questione di equità, dice Boccia anche oggi in diverse interviste e in un articolo a sua firma sull’Unità. Consapevole che l’ultima notizia sulla clamorosa inchiesta su Apple per frode fiscale gli dà man forte.

La web tax è legale oppure no?
Su questa proposta se ne sono lette di tutti i colori. In sostanza, tutti sono concordi nel ritenere paradossale che Amazon, Facebook, Apple, Google, paghino di tasse sul suolo nazionale cifre paragonabili a quelle di una singola persona ricca (Facebook paga 192 mila euro, Amazon un milione di euro), ma secondo la Camera di Commercio Usa in Italia la tassa violerebbe il Trattato di Libero Scambio tra Europa e USA. Inoltre c’è il rischio, sempre secondo gli americani, che danneggi la competitività del settore, che vale il 3,1% del PIL:

Da un lato si chiede agli investitori internazionali di scommettere sull’Italia, dall’altro, invece, si innalzano nuove barriere per difendere presunti interessi nazionali. In aggiunta, la formulazione di tale emendamento rappresenta una forte restrizione alla libertà di scelta dei consumatori italiani, siano essi individui o imprese, che vedrebbero ridotte le alternative per usufruire della vastissima gamma di “servizi online, sia come commercio elettronico diretto che indiretto, anche attraverso centri media ed operatori terzi”, essendo obbligati ad acquistare esclusivamente “da soggetti titolari di una partita IVA italiana”. Tale norma, se approvata, potrebbe esporre l’Italia ad una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea.

Argomenti ripresi anche da Confindustria Digitale, ma respinti fortemente dall’autore della proposta che già tra una settimana potrebbe diventare realtà:

Sono arrivato alla conclusione che la proposta sulla web tax in questione è una proposta sacrosanta. Perché è una misura di equità fiscale, innanzitutto, a tutela delle nostre imprese e del web stesso. E a chi dispensa critiche (il più delle volte senza neanche aver letto la proposta ma limitandosi a titoli strillati) vorrei chiedere: perché le multinazionali del web devono avere un trattamento privilegiato in materia di tassazione? Perché una delle mille aziende italiane che produce e fa profitti nel nostro Paese deve pagare le tasse mentre chi dall’estero viene ad investire, fare pubblicità, e allo stesso modo profitti qui in Italia può tranquillamente pagare le tasse in altri Paesi (come Lussemburgo o Irlanda) in cui le aliquote sono nettamente più basse e più convenienti delle nostre?

Roma o Bruxelles?
Ammesso che questo proposito sia lecito (il trattato di Roma è stato firmato in epoca pre-Internet e quindi non può essere di riferimento per questo tema) si notano pressioni e critiche fortissime nei confronti della web-tax. La bibbia della finanza internazionale, Forbes, ha attaccato il governo italiano con un editoriale che senza tanti giri di parole definisce «illegale” la tassa perché contraria al mercato unico continentale. Sottolineatura giusta, ma anche furba: caratteristica dell’Europa dei 27 è proprio l’unione dei mercati e la mancata armonia fiscale, sulla quale le compagnie americane marciano.

Secondo molti commentatori, compreso Guido Scorza – che certamente non può essere etichettato come lobbista pro Usa – o ci pensa l’Europa oppure si rischia davvero di imporre delle barriere doganali allo scambio di beni. È anche vero che Bruxelles ha inserito il tema in agenda, quindi l’Italia potrebbe anche fare da apripista, altro che infrazione.

La battaglia delle cifre
Anche sulle cifre si è detto di tutto. Probabilmente il miliardo di euro profetizzato è lontanissimo dal vero, perché concentrandosi sul mercato pubblicitario – la leva fiscale adottata dall’emendamento – si parla di cifre attorno al mezzo miliardo di euro complessivo, quindi tassato più o meno del 7% una volta calcolato l’imponibile si parla di qualche decina di milioni di euro. Questo non cambierebbe neppure inserendo l’e-commerce: ci vorrebbe un fatturato diverse volte più grande dell’attuale per arrivare a queste cifre. A Boccia però non interessano i numeri, ma il principio:

Al momento mi sottraggo dal balletto delle cifre e mi limito soltanto a dire che qualunque sarà il gettito effettivo, e sono certo sarà importante, dovrà avere una destinazione prioritaria: la riduzione del cuneo fiscale per lavoratori e imprese. Grazie a una tassazione equa e corretta vogliamo che le risorse che gli italiani spendono in Rete possano essere reinvestite al fine di rilanciare l’occupazione.

Fonte: www.webnews.it

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