Arrivederci al 2014 a Milano per la seconda edizione sempre a cura di
Business International – Fiera Milano Media e Third Door Media
Milano, 28 nov 2013 – Dopo i successi di New York, Toronto, Sidney,
Parigi, Londra, Monaco, Stoccolma, il 7 e 8 novembre 2013 SMX, Social Media
and Marketing Expo, ha debuttato a Milano grazie a Business
International e Fiera Milano Media che sono riusciti a portare anche
in Italia il format ideato da Third Door Media, la casa editrice
americana dei portali d’informazione Search Engine Land e Marketing Land.
Una platea entusiasta composta da quasi 800 “delegates” ha seguito con grande
entusiasmo l’intenso programma di oltre 30 incontri con più di 50 relatori,
portando l’evento ad accreditarsi subito come l’edizione con la più alta
partecipazione a livello europeo.
Grande apprezzamento è stato riscontrato in particolare dai nomi illustri,
ospiti in Italia per la prima volta, come Justin Cutroni,
Analytics Advocate presso Google responsabile della creazione d’informazione
e attenzione verso il digital analytics per gli utilizzatori e per le community,
Jim Sterne, indicato tra le 50 persone più influenti al mondo nel
Marketing Digitale da Revolution, uno dei magazine di marketing più letti in
UK e Shawn McClondon pioniere delle soluzioni digitali integrate che ha
dettato le linee guida delle strategie di social media per alcuni dei principali
brand negli Stati Uniti e nel mondo.
E’ stata un’edizione molto interessante sia per la grande adesione all’evento
che per la partecipazione attiva e lo scambio reale di opinioni che c’è stato –
commenta Sean Carlos, Chairman di Smx Milan 2013 - Abbiamo riscontrato un
grande interesse attorno alle aree del social, talvolta ancora affrontato con
diffidenza dalle aziende, della search sempre più indirizzata ad affrontare le
esigenze emergenti dall’uso dei dispositivi mobili e, infine, il tema
trasversale del mobile sempre ricorrente nelle nuove strategie aziendali”.
Intervista a Carlo Visani, Presidente di Tecla, Digital Business Agency
In che modo la tecnologia sta modificando le strategie di marketing delle
aziende?
L'era del consumatore passivo, destinatario della pubblicità seduto sul divano
di casa, sta volgendo al termine. La nuova era è quella del cliente connesso,
che s’informa, si relaziona con il brand e matura le sue decisioni d'acquisto
attraverso tutti i canali - web, social, mobile - in quella che è la sua digital
experience. Più questa esperienza è coinvolgente, rilevante e personalizzata,
più aumentano le chance di trasformare i visitatori del proprio sito in clienti
fidelizzati.
Qual è secondo lei la dimensione del fenomeno?
Si tratta di una sfida che non riguarda solo chi fa eCommerce, ma che coinvolge
brand e retailer di ogni settore e dimensione. “Digital Marketing is dead” – ha
affermato recentemente Procter&Gamble. Ma non perché le strategie di marketing
online siano superate: al contrario, per esprimere il concetto che le tecnologie
e gli strumenti digitali non possono più restare separati, ma devono fare parte
di un piano di marketing integrato. Il 2014 si configura come l’anno in cui
campagne di marketing, comunicazione e obiettivi aziendali diventeranno sempre
più connessi e customer-centric.
I must per una strategia digitale efficace?
Conoscere il cliente, ingaggiarlo con contenuti personalizzati, misurare e
ottimizzare i risultati.
Primo: comprendere e anticipare. Quello che sapevamo dieci anni fa sui consumatori non è più applicabile oggi. Possiamo accedere a informazioni su clienti e prospect ad ogni istante, in qualunque luogo e, soprattutto, possiamo costruire un quadro predittivo per ciascuno.
Secondo: personalizzare e ingaggiare. La comunicazione di massa non personalizzata non funziona più. I consumatori possono - e spesso lo fanno - semplicemente non ascoltare ciò che non è rilevante per loro. La personalizzazione è una strategia di marketing imprescindibile perché, quando ben realizzato, un messaggio personalizzato non sembra neanche marketing ed è ben accolto dal consumatore.
Ultimo aspetto, ma non meno importante: misurare e ottimizzare. Comportamenti di navigazione, opinioni, andamento delle campagne, … queste e molte altre informazioni possono essere raccolte, analizzate e utilizzate per aumentare l’efficacia di tutte le attività di marketing.
È quindi evidente che la rivoluzione digitale chiama i responsabili marketing
ad affrontare sfide inedite, ma al tempo stesso decisive per la crescita del
loro business. Un’opportunità senza precedenti che è quanto mai importante
sfruttare al meglio, con i giusti partner e con gli strumenti più efficaci.
Continua a leggere per maggiori approfondimenti
clicca qui
L'utilizzo di device personali da parte dei dipendenti non è sempre la
cosa migliore per le aziende
Se il mobile, fino ad adesso, ha rivoluzionato il nostro tempo libero e il
modo in cui comunichiamo con le persone a noi care, è giunto il momento in cui
anche il lato professionale delle nostre vite possa beneficiare di questi
cambiamenti. Fino a non molto tempo fa, era consuetudine che il datore di lavoro
fornisse ai suoi impiegati tutti i dispositivi necessari a svolgere le loro
mansioni. I dipendenti venivano così forniti di laptop aziendale e anche, in
molti casi, di un cellulare aziendale. Spesso, anzi, quasi sempre, si trattava
di un Blackberry.
In questi ultimi anni la situazione ha subito una profonda trasformazione. Il
game-changer è stata Apple. Prima con l'iPhone e in seguito con l'iPad, molte
persone si sono ritrovate con una manciata di dispositivi. Sui posti di lavoro
la consuetudine ha così iniziato a mutare in modo informale, con i dipendenti
che, per un fatto di comodità e preferenze, hanno iniziato a utilizzare i propri
device. Le aziende, in parte felici di scaricare i costi, hanno assecondato
questa tendenza senza batter ciglio. Pur nell'assenza, in molti casi, di
politiche aziendali sulla questione, al momento i dispositivi che vengono usati
sul posto di lavoro sono sempre più spesso gli stessi che utilizziamo nel tempo
libero.
Questo mutamento è riassunto da un acronimo: BYOD, che sta per Bring Your Own
Device, ovvero porta il tuo dispositivo (una variante è BYOT, Bring Your Own
Technology). BYOD è dunque un tentativo di mettere ordine in questo rischioso
moltiplicarsi di device, tentando di stabilire delle pratiche sicure e razionali
dove ora regna in gran parte la consuetudine ed il buon senso.
Pro:
Contro:
Se un dispositivo aziendale in dotazione può essere monitorato dal datore di
lavoro, per quanto riguarda quelli personali si pongono evidenti questioni di
privacy. Inoltre, un dispositivo fornito dall'azienda garantisce una certa
sicurezza sia per quanto riguarda l'integrità del sistema (che viene aggiornato
o cambiato quando obsoleto), sia, soprattutto, riguardo alla sicurezza dei dati
e delle informazioni sensibili dell'azienda.
Un mito è da sfatare: le aziende non risparmiano delegando alle finanze dei
propri impiegati l'acquisto di dispositivi che utilizzano per lavoro. I soldi
risparmiati sull'hardware, infatti, vengono spesi per la sicurezza dei sistemi e
per l'implementazione di soluzioni che rendano possibile utilizzare i tool
dell'azienda in qualsiasi luogo, su qualsiasi supporto. Molte compagnie
consigliano ai propri impiegati di adottare soluzioni che rendano possibile
tenere separati i dati personali da quelli dell'azienda, come il sistema
Endpoint di IBM, in grado di gestire un “sottoambiente” con maggiori protezioni
all’interno del dispositivo personale dell’utente.
Un'osservazione interessante è che i lavoratori delle economie emergenti sono
più propensi ad adottare soluzioni BYOD, con il 75% delle persone a favore.
Mentre nelle economie mature solo il 44% dei lavoratori vede di buon occhio il
fatto di utilizzare i propri device.
Non c'è un'unica soluzione BYOD in grado di adattarsi a tutte le aziende a
prescindere dalle loro esigenze operative e di sicurezza, è però necessario che
sia i piccoli che i grandi abbiano chiari i pro e i contro, così da poter
aggiustare le politiche aziendali verso la massima efficienza e la massima
affidabilità.
Fonte: http://www.linkiesta.it
Twitter ha deciso di migliorare la crittografia ed ecco che potrà farlo
grazie al protocollo di sicurezza noto come Perfect Forward Secrecy. Vediamo
dunque cosa cambia sul social network.
Twitter ha deciso di migliorare la propria crittografia sfruttando il
protocollo di sicurezza noto come Perfect Forward Secrecy. Pare che molti
esperti del settore consiglino di utilizzare tale sistema, ma in che cosa
consiste esattamente? E cosa cambia in fin dei conti per noi utenti normali?
Andiamo dunque a conoscere meglio il Perfect Forward Secrecy.
Twitter ha deciso di cambiare i suoi standard di cifratura relativi alla
crittografia utilizzando per l'appunto il protocollo Perfect Forward Secrecy. E
se gli esperti lo ritengono sicurissimo ci sarà pure un motivo. In pratica
questo protocollo verrà inserito nella parte superiore della normale
crittografia HTTPS.
A questo punto verrà generata una nuova chiave in modo da prevenire la
sorveglianza passiva della NSA. Studi effettuati di recente hanno permesso di
scoprire che nel mese di settembre la NSA era perfettamente in grado di
decifrare passivamente il traffico SSL, cosa che non è garbata affatto al team
di ingegneri addetti alla sicurezza.
Ecco dunque che il social network ha deciso di correre ai ripari e per mantenere
adeguatamente crittografato il traffico di Twitter si è deciso di ricorrere
proprio al Perfect Forward Secrecy.
Purtroppo c'è un aspetto negativo in questa faccenda: il nuovo protocollo
richiede una struttura del server più complessa che si tradurrà in una maggior
lentezza del servizio, ma Twitter ritiene che sia un piccolo prezzo da pagare
per avere una maggiore sicurezza. E visto che già dall'inizio dell'anno Facebook
e Google hanno adottato le misure protettive di Perfect Forward Secrecy era solo
ora che anche Twitter si adeguasse. Basta solo che il social network non diventi
eccessivamente lento!
Fonte:
http://comunitadigitali.blogosfere.it
La startup italiana ha raccolto 720mila euro per conquistare 250 nicchie
di appassionati di sport estremi
Quest'estate Milkyway, la startup italiana fondata da Jacopo Vigna, 30 anni,
ha raccolto 720mila euro da parte di TT Venture, Atlante Seed e angel per
sviluppare un ecommerce costruito sulla base di comunità in grado di aggregare
appassionati di sport estremi. Si tratta di una cifra particolarmente alta per
quello che in apparenza si presenta come un semplice ecommerce e per questo
abbiamo deciso di raggiungere Jacopo per approfondire il suo progetto. Jacopo
viene da un’esperienza nel mondo della Superbike, in cui ha lavorato come
telemetrista di Max Biaggi quando questi correva con un team clienti della
Ducati, e ha alle spalle esperienza nel motocross con Aprilia (è stato
responsabile dello sviluppo del veicolo in pista), una mezza carriera come
giocatore di rugby e un lavoro in un’azienda biomedicale in cui si occupava di
prototipazione, abbandonato per seguire un sogno. Si tratta di un appassionato
di sport non main stream che riconoscendo le esigenze di una nicchia
particolare, quella del bike trial, ha cominciato a disegnare prodotti
innovativi da vendere direttamente ad altri appassionati, puntando sul design
made in Italy in contrapposizione con i prodotti che arrivavano dalla Cina.
Che cosa fa esattamente Milkyway?
"È un’azienda che permette ai propri clienti di incontrarsi sui social,
trovare dove girare e come girare, e soprattutto trovare e acquistare prodotti
specifici per la propria attività. I prodotti di Milkyway sono destinati a
pubblici di nicchia e realizzati attraverso i feedback raccolti tramite i social
network”.
Come avete iniziato?
“Disegnando in cucina idee che avevo quando ancora andavo al liceo, ma che
allora non ero in grado di concretizzare. Abbiamo sviluppato e realizzato un
primo prototipo auto-finanziandoci e così siao entrati nell’orbita della
Fondazione Democenter-Sipe . Un amico mi parlà di questa cosa delle startup e
siccome ero convito di avere una buona idea ci ho provato. Sono stato
selezionato per la fase finale di una competizione di pitch e così ho incontrato
un imprenditore con esperienza nel mondo delle bici, il quale ci ha finanziato
con 23mila euro”.
E poi hai raccolto 720mila euro. Come hai fatto a raccogliere una cifra così
alta?
"Grazie alla partecipazione a Seedlab. Nei primi 10 mesi Milkyway ha
fatturato 60 mila euro, ma ero stato contestualmente abbandonato dal mio socio.
Io però ero convinto e dopo essere entrato in contatto con TT Venture ho deciso
alla fine di assumere una persona che gestisse spedizioni e fatture e sono
partito per i sei mesi di formazione, durante i quali continuavo a seguire il
progetto da remoto. Così ho conosciuto alcune delle persone che oggi compongono
il mio team e ho fatto maturare il business model, dimostrando con ricerche di
mercato che non è applicabile solo agli appassionati di bike trial, ma a 250
nicchie di sport estremi”.
Al centro del progetto mi pare di capire che ci sia il concetto di comunità.
Me lo spieghi meglio?
“Aggreghiamo le persone on line, per esempio su Facebook abbiamo undici
pagine con 150mila fan. Poi però trasbordiamo gli utenti su una community
privata e gratuita, dove li aiutiamo a trovare persone con le stesse passioni e
modo di pensare. Chiediamo a utenti altamente appassionati di dirci cosa
vogliono: se esiste glielo procuriamo, altrimenti lo inventiamo e lo mettiamo in
produzione, puntando sulle eccellenze del settore della meccanica di Modena e
dello sport system di Treviso.”
Per cosa verranno usati tutti questi soldi?
"Molta parte sarà destinata alla creazione di una struttura informatica
scalabile e allo sviluppo di prodotti. Meno del 20 per cento andrà in marketing
e fra tre anni punteremo a un secondo round fra i 3 e i 5 milioni di euro”.
Qual è il business model?
"Vendere online prodotti che i fruitori non trovano facilmente sotto casa.
Poi faremo revenue sharing sui ricavi da pubblicità all’interno della community
e venderemo tramite terzi i prodotti brandizzati Milkyway”.
Quanto è grosso questo mercato e a che fetta puntate?
"Abbiamo una stima conservativa realizzata su un centinaio di nicchie e che
ci dice che siamo intorno ai 35 miliardi di euro con 300 milioni di persone
coinvolte in tutto il mondo. In sei mesi Milkyway è divenuta un punto di
riferimento in Italia per il bike trail, un mercato che non esisteva. Ora
vogliamo applicare lo stesso modello su mercati che già esistono”.
Ok, ma in concreto, quanto pensi di poter fatturare?
"L’obiettivo per il 2014 è chiudere a 400 mila euro. Entro cinque anni
vogliamo arrivare a 9,3 milioni di euro. Stiamo già vendendo qualcosa all’estero
perché il sito è in italiano e inglese, ma dal secondo anno ci concentreremo
sull’Europa, che rappresenta un terzo del nostro mercato. L’obiettivo del
secondo round è invece prepararci per aggredire il mercato americano, che conta
per la metà del nostro business”.
Chi sono i competitor?
"Ce ne sono diversi sui tre settori in cui operiamo. Noi però siamo la prima
e unica community del settore gestita in modo professionale. Il nostro intento
non è annullare le comunità auto-gestite, ma creare un sopra-livello
organizzativo”.
Perché dovrei stare nella vostra community?
"Perché è un punto di accesso. Vogliamo divenire il punto di riferimento per
gli sport estremi, offrendo profili qualificati degli utenti e un database dei
posti dove praticare le diverse attività. Consentiamo all’utente di risparmiare
tempo nel trovare contenuti e prodotti di qualità, migliorando così l’esperienza
in quelli che vengono definiti action sport”.
LinkedIn ha deciso di lanciare le Showcase Pages, destinate però solamente
alle aziende: serviranno loro per creare contenuti mirati da indirizzare verso
determinate tipologie di utenti.
LinkedIn è sempre più che mai attento a cercare di indirizzare i propri
contenuti verso un pubblico di utenti sempre più mirato. Il suo scopo è quello
di dare informazioni e contenuti adatti agli utenti giusti. Ecco perché ha
lanciato una nuova feature, ovvero le Showcase Pages (in italiano sarebbero le
Pagine Vetrina), destinate però solamente alle aziende.
Le nuove Showcase Pages di LinkedIn permetteranno alle aziende di condividere i
loro contenuti con un pubblico decisamente più specifico ed interessato
all'argomento in questione. Le Showcase Pages funzionano un po' come le Company
Pages: danno ad aziende del calibro di Microsoft, per esempio, la possibilità di
creare della pagine di nicchia, dedicate solo a particolari settori della
compagnia, per esempio offrendo prodotti e opportunità solamente a chi lavora
per Microsoft Office o per Xbox.
Le Showcase Pages potranno essere seguite dai follower, ma solamente nel senso
che Microsoft potrà condividere contenuti di Xbox con utenti di LinkedIn che
hanno messo fra i loro interessi questo prodotto, piuttosto che permettere di
condividerli ad ogni utente che segue genericamente Microsoft.
Lo scopo di LinkedIn è semplice: il social network si augura che in questo modo
i grandi brand cercheranno di concentrare di più i loro contenuti destinandoli
verso un pubblico specifico. Le aziende avranno a loro disposizione fino ad un
massimo di 10 Showcase Pages, ma LinkedIn non mette paletti: se si sono aziende
che necessitano di più pagine, probabilmente sarà possibile fargliele ottenere.
Queste Showcase Pages non saranno vere e proprie Pagine aziendali e non avranno
tutte le stesse caratteristiche. Per esempio non hanno una scheda destinata alla
carriera o ai prodotti o ai servizi e non sono state create per il reclutamento.
E sono anche diverse dai Gruppi di LinkedIn: su questi è l'Amministratore che
controlla il gruppo, mentre le Showcase Pages sono controllate direttamente
dalle aziende. Inoltre le aziende potranno fare pubblicità su queste Showcase
Pages. Questo quindi vuol dire che con l'aumento di queste pagine, aumenterà
anche la pubblicità sulla piattaforma.