L’evoluzione del rapporto di lavoro ed una nuova sensibilità ecologica e sociale oggi definiscono due direttrici a cui nessuna azienda potrà sottrarsi nel prossimo futuro. La prima riguarda la gestione del benessere dei dipendenti. La seconda, attiene alla corretta gestione della transizione ecologica a livello di mobilità aziendale, ma anche personale.
Un tema interessante e di grande attualità che abbiamo voluto approfondire anche in vista della prossima edizione del CPO Summit (l’evento dedicato al mondo del Procurement) che si terrà il 14 e 15 giugno 2023 presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre, nel corso del Business Leaders Summit, la grande manifestazione dedicata ai migliori C-Level dell’impresa contemporanea e organizzata da Business International – Fiera Milano.
Innanzitutto, l’implementazione di adeguate car policy green per i dipendenti sarà anche una chiave per attrarre e trattenere i talenti, nonché motivare le risorse umane, in un periodo di grandi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, con l’introduzione di una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa spesso ibrida, che alterna lo smart working alla presenza in sede. A tal proposito, l’automobile aziendale sostenibile è forse il benefit più ambito tra i lavoratori. E non solo per il prestigio che la concessione di un'auto aziendale può conferire al dipendente assegnatario, ma anche per la libertà e comodità che questa può assicurare, considerata la completa gestione del veicolo e dei rischi (ad esempio furto del mezzo o manutenzione straordinaria per danni) che rimangono a carico dell’azienda, che a sua volta può demandarli alle società di noleggio o a terzi. In questo senso e sempre con uno sguardo sul futuro, LeasePlan continuerà a proporsi al mercato con una particolare attenzione alla mobilità sostenibile all'interno di un percorso delle zero emissioni che ormai riguarda tutta la componente energetica europea di cui l’auto è industria di eccellenza.
Anche in Italia il noleggio sta svolgendo un grande ruolo di volano per lo sviluppo delle auto elettriche, rappresentando una vera opportunità per chi vuole scegliere la mobilità sostenibile senza assumersi il rischio di obsolescenza tecnologica. Le aziende italiane sono molto interessate all’elettrico e all’ibrido, sia per le auto che per i veicoli commerciali. Con la nostra formula, ready2e, in LeasePlan cerchiamo di semplificare il servizio integrando, in un unico contratto, sia il noleggio a lungo termine di auto elettriche (e plug-in hybrid) sia tutto quello che occorre per la loro ricarica.
Oggi le vetture a zero emissioni si adattano a qualsiasi esigenza, risultando spesso l’opzione più efficiente per i professionisti e le flotte aziendali. La mobilità sostenibile, inoltre, rappresenta un punto cardine del Green Deal Europeo per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre l’inquinamento atmosferico. D’altronde, il settore automotive è strategico per l’economia dell’Eurozona, con 12 milioni di addetti e un fatturato di 500 miliardi di euro. Tuttavia, serve uno sforzo pubblico/privato per la diffusione dei veicoli elettrici. Impegno che molte società di autonoleggio, come LeasePlan, e altre aziende hanno deciso di prendere per un futuro più ecologico. Un’auto elettrica aziendale, infatti, è senza dubbio la sostenibilità ambientale, per diminuire le emissioni di gas a effetto serra legate alle attività operative dell’impresa. Rendere più green gli spostamenti dei dipendenti, infatti, permette di adottare un modello di business più ecologico. Inoltre, passare dai veicoli endotermici a quelli green per ridurre le emissioni di CO2 assicura ulteriori benefici, tra cui la valorizzazione del brand aziendale nei confronti dei clienti. Allo stesso tempo, è possibile rafforzare i legami all’interno dell’organizzazione, con ricadute positive sulla produttività per migliorare la fiducia dei dipendenti. Un altro vantaggio, poi, il risparmio sui costi di mantenimento dei veicoli aziendali, con la possibilità di ottenere innanzitutto una riduzione delle spese per il rifornimento. Naturalmente, è necessario realizzare un’infrastruttura di ricarica integrata, ad esempio installando delle wall box per consentire ai dipendenti la ricarica delle auto elettriche in azienda. Con i veicoli a zero emissioni esistono anche dei risparmi indiretti, ad esempio legati alle agevolazioni sul bollo auto in quanto molte regioni italiane prevedono l’esenzione dal pagamento della tassa automobilistica per 5 anni. Un altro vantaggio importante è legato ai costi di manutenzione più bassi, infatti in confronto alle vetture con motore a combustione le auto elettriche comportano spese di manutenzione ordinaria ridotte. Un ulteriore benefit garantito da un’auto elettrica aziendale sono le agevolazioni per la mobilità cittadina, come l’accesso libero nelle ZTL e la sosta gratuita nei parcheggi blu. Infatti, in molte città italiane è possibile transitare liberamente nelle zone a traffico limitato con le vetture a zero emissioni. Integrare nella flotta le auto elettriche, inoltre, consente di migliorare la soddisfazione dei dipendenti. Ad esempio, è possibile offrire dei veicoli elettrici a noleggio per gli spostamenti casa/lavoro e le trasferte come benefit aziendale, oppure adottare delle soluzioni per ottimizzare la gestione del parco auto come il corporate car sharing. D’altronde, la sostenibilità è una priorità per i dipendenti e consente di attirare più facilmente i migliori talenti. In questo senso, secondo una ricerca di Cone Communications, l’83% dei dipendenti millennials sarebbe più fedele a un’azienda che li aiuta a contribuire alla soluzione di problemi ambientali. Inoltre, le macchine elettriche sono dotate di tecnologie avanzate in grado di fornire maggiore sicurezza per i driver, infatti è meno probabile che si verifichi un incidente alla guida di un’auto elettrica. Benché le auto elettriche abbiano costi iniziali più elevati, poi, bisogna anche considerare che possono risultare economicamente competitive per una serie di aspetti come le spese di gestione, la frequenza della manutenzione, i sussidi governativi e le agevolazioni per la ricarica. Secondo McKinsey, infatti, entro la fine del decennio le flotte di veicoli elettrici avranno un TCO inferiore del 15-25% rispetto alle auto endotermiche. Tenendo conto che le flotte aziendali vanno gestite con obiettivi di lungo termine, in quest’ottica i veicoli elettrici rappresentano la migliore soluzione nel lungo periodo, per contenere i costi del parco auto e tutelarsi dalle oscillazioni dei prezzi dei carburanti. Bisogna inoltre considerare i vantaggi indiretti della mobilità elettrica aziendale, ad esempio una pianificazione più facile dei migliori percorsi per i driver, tempi di percorrenza più brevi grazie alla possibilità di accedere in qualsiasi zona e minori rischi di multe e sanzioni. Scegliere le auto aziendali elettriche è senz’altro una decisione vantaggiosa da questo punto di vista, in quanto riduce il rischio di costosi adeguamenti della flotta in futuro rispetto alle possibili normative europee previste per il 2035. Tutto ciò si traduce anche in una produttività più elevata dei collaboratori, legata alla consapevolezza che il proprio lavoro ha un impatto minimo sull’ambiente e la propria azienda sta contribuendo alla promozione di un’economia sostenibile. Il passaggio alla e-mobility è dunque una transizione spesso definitiva, che comporta anche un cambio di mentalità che difficilmente consente di tornare indietro e reintegrare un vecchio modello di mobilità aziendale. Oggi, infatti, non basta più annunciare di voler ridurre le emissioni di CO2, ma bisogna dimostrare i risultati ottenuti e puntare ormai all’obiettivo Net Zero, ossia zero emissioni nette di gas serra. Ovviamente parte delle emissioni possono essere compensate tramite l’acquisto dei crediti di carbonio, tuttavia, considerando che secondo BloombergNEF i veicoli elettrici consentono di ridurre le emissioni di CO2 nell’intero ciclo di vita dal 18% all’87%, passare all’elettrico aziendale rappresenta una soluzione più efficiente. E' chiaro, infine, che il passaggio alla green mobility non è un processo immediato, per questo motivo è fondamentale cominciare subito ad elettrificare il parco auto. Nonostante il ritardo italiano nella proposta di punti di ricarica su scala nazionale, soprattutto di colonnine in autostrada, cominciare a creare una flotta elettrica permette di non perdere competitività. Le aziende che stanno investendo nella mobilità pulita potranno beneficiare di un valore aggiunto importante nei prossimi anni, soprattutto in termini di efficienza e flessibilità. Si tratta di un investimento intelligente, uno sforzo necessario per il futuro dell’azienda e la sostenibilità del business nel lungo termine.
A gennaio 2023 si stima, per l’interscambio commerciale con i paesi extra Ue27, un lieve aumento congiunturale per le esportazioni (+0,7%) e una marcata flessione per le importazioni (-9,7%). L’incremento su base mensile dell’export riguarda tutti i raggruppamenti principali di industrie, a esclusione di energia (-12,0%) e beni strumentali (-9,2%), ed è spiegata soprattutto dall’aumento delle vendite di beni intermedi (+9,6%). Per l’import, la flessione congiunturale è generalizzata e più ampia per il comparto energetico (-19,4%).
Dati questi, che evidenziano come, se da un lato la domanda verso l'economia produttiva italiana si sta lentamente riprendendo sui mercati esteri, dall'altro invece il nostro Paese stenta ancora nella proposizione di acquisti commerciali a livello internazionale. Una fotografia che potrebbe avere molteplici motivazioni e che, in vista della prossima edizione del corso di alta formazione professionale tenuto dal docente e consulente in commercio estero specializzato in aspetti doganali e fiscali, Simone Del Nevo, Studio Del Nevo, con il titolo "I nuovi modelli Intrastat", organizzati da Business International - Fiera Milano e previsto in live streaming il prossimo 16 maggio 2023, abbiamo voluto comprendere meglio, attraverso l'analisi ragionata dell'indagine sull'import/export tricolore, realizzata come di consueto da Istat. Un approfondimento che speriamo possa offrire un quadro più chiaro dell'attuale situzione delle movimentazioni delle merci anche in riferimento ai nuovi modelli intrastat per l’anno 2023 che si renderanno disponibili alla luce delle novità introdotte quest’anno dall’Agenzia delle Dogane in recepimento dei Regolamenti UE inerenti alla statistiche unionali in relazione ai principi degli scambi UE.
Secondo l'Istituto Nazionale di Statistica, nel trimestre novembre 2022-gennaio 2023, rispetto al precedente, l’export aumenta del 5,8%, trainato in particolare dalle maggiori vendite di beni strumentali (+13,1%) e beni di consumo non durevoli (+4,9%). Nello stesso periodo, l’import segna un calo congiunturale del 14,8%, cui contribuiscono principalmente i minori acquisti di energia (-24,1%) e beni intermedi (-10,7%). A gennaio 2023, l’export cresce su base annua del 20,3% (+18,2% a dicembre 2022). La crescita, diffusa, è molto più accentuata per beni di consumo non durevoli (+36,1%) e beni intermedi (+28,4%). L’import registra una flessione tendenziale dell’1,0%, dovuta alla diminuzione degli acquisti di beni di consumo durevoli (-13,4%) e beni intermedi (-10,2%). A gennaio 2023 il saldo commerciale con i paesi extra Ue27 è negativo e pari a -1.359 milioni (-5.284 milioni a gennaio 2022). Il deficit energetico (-7.488 milioni) è di poco inferiore rispetto a un anno prima (-7.556 milioni) mentre l’avanzo nell’interscambio di prodotti non energetici aumenta da 2.272 milioni di gennaio 2022 a 6.129 milioni di gennaio 2023. A gennaio 2023, si rilevano aumenti su base annua delle esportazioni verso quasi tutti i principali paesi partner extra Ue27: i più marcati riguardano Cina (+137,5%), Turchia (+46,9%) e paesi OPEC (+26,2%). Si amplia la flessione dell’export verso la Russia (-37,0%); in calo anche le vendite verso il Giappone (-13,7%). Gli acquisti dalla Russia (-67,3%) registrano una marcata contrazione tendenziale; diminuiscono anche gli acquisti da Turchia (-18,7%) e Cina (-10,3%). Per contro, le importazioni dagli altri principali paesi partner extra Ue27 aumentano: gli incrementi tendenziali più ampi riguardano Stati Uniti (+35,1%), paesi MERCOSUR (+30,1%) e paesi OPEC (+23,8%). "Dopo la battuta di arresto di dicembre - evidenziano gli esperti di Istat -, a gennaio 2023, l’export verso i paesi extra Ue torna a crescere su base mensile; la crescita è condizionata dalle operazioni occasionali di elevato impatto (cantieristica navale) registrate il mese precedente, al netto delle quali si stima un aumento più marcato (+3,3%). Per l’import, in diminuzione per il quinto mese consecutivo, la flessione congiunturale deriva soprattutto dalla contrazione degli acquisti di energia, su cui incide favorevolmente il calo dei prezzi e dei volumi importati di gas naturale allo stato gassoso. Su base annua, la crescita dell’export torna ad accelerare mentre l’import registra per la prima volta, dopo circa due anni, una flessione, quasi totalmente spiegata dal calo degli acquisti di beni intermedi".
Dati questi che, in qualche modo, vengono confermati anche all'interno del recente documento conclusivo della XI Cabina di Regia per l'Internazionalizzazione all'interno del quale si evidenzia come, se si guarda la situazione al netto dei costi energetici, il quadro muta leggermente. Secondo gli esperti del governo italiano, infatti: "Nel 2022 il quadro economico internazionale - segnato dal 2020 dall’emergenza pandemica - è repentinamente mutato con l’insorgere del conflitto in Ucraina. Il principale canale di trasmissione dell’impatto della guerra è rappresentato dalle commodities, le cui quotazioni sui mercati finanziari si sono impennate, alimentando una fase di rialzo in corso già dal secondo semestre del 2021". In questo contesto, l’inflazione elevata, i rincari delle materie prime, le difficoltà di approvvigionamento di alcuni fattori produttivi, le strozzature nei trasporti e nella logistica, insieme all’orientamento restrittivo della politica monetaria nei principali Paesi e all’incertezza sull’evoluzione del conflitto in Ucraina rappresentano un freno all’economia mondiale, che si attende in rallentamento nel 2023. "Di conseguenza - proseguono gli analisti -, la congiuntura economica negativa si è manifestata in tutte le filiere. In questo scenario globale, non sono stati risparmiati neanche i settori economici che negli ultimi anni hanno evidenziato le performances migliori e più resilienti. Tra di essi, infatti, quelli che hanno subito maggiori impatti negativi sono il turismo o settori ad esso riconducibili come il trasporto aereo, soprattutto con riferimento al segmento internazionale".
Sul fronte dell’export, nel periodo gennaio-novembre 2022, rispetto ai primi undici mesi dell’anno precedente, le esportazioni italiane segnano una crescita del 20,58% per un valore di 573 miliardi di euro ed un aumento anche in volume, seppur contenuto, dello +0,3%."Tuttavia - sottolineano gli esperti -, si registra un aumento ancora più pronunciato delle importazioni, pari al 39,5% per un valore di quasi 605 miliardi e dell’1% in volume. Il forte incremento delle importazioni è dovuto all’aumento dei valori medi unitari, trainati in particolare dai costi dell’energia e dei beni intermedi. Al netto degli acquisti di prodotti energetici, infatti, l’aumento dell’import si riduce al 25,7%. Su questi dati pesa pertanto la componente inflazionistica, tornata cruciale nel condizionare l’evoluzione dell’economia globale. La crescita più marcata delle importazioni rispetto alle esportazioni, determina nei primi undici mesi dell’anno, un disavanzo della bilancia commerciale pari a -32 miliardi di euro (a fronte di un avanzo di +41,8 miliardi nell’analogo periodo del 2021), da addebitare soprattutto al deficit energetico di oltre -102 miliardi (era -40 miliardi nel periodo gennaio-novembre 2021). Al netto della bolletta energetica, si registra invece un avanzo commerciale di +70 miliardi di euro rispetto a +83 miliardi dei primi undici mesi del 2021".
Guardando le statistiche prodotte, quindi, si nota subito come, secondo gli analisti della cabina di regia, "nel confronto con i principali partner europei, l'aumento delle esportazioni italiane nei primi dieci mesi di quest’anno (+20,8%) è superiore a quello della Germania (+14,4%) e della Francia (+19,6%), mentre si mantiene leggermente inferiore a quello della Spagna (+23,6%)". Guardando, tuttavia, ai saldi della bilancia commerciale nello stesso periodo, però, secondo gli esperti, "l’Italia registra un disavanzo di -33 miliardi a fronte di un disavanzo di circa -62 miliardi della Spagna".
E’ il procurement officer, ovvero lo specialista degli acquisti, il lavoro più richiesto nel 2023 secondo Indeed, che ha analizzato le offerte postate sul proprio portale italiano per individuare le professioni che offrono le migliori possibilità occupazionali. A questo seguono poi, al secondo posto nella classifica, il manutentore elettromeccanico/manutentore meccanico, quindi il farmacista (3°), l’HR specialist, ovvero l’addetto alle risorse umane (4°), e l’impiantista, il progettista elettrico, il payroll specialist, l'addetto alla pianificazione della produzione, il contabile senior.
Perchè, però, lo specialista del rapporto con i fornitori è così ricercato? Abbiamo cercato di comprenderlo meglio attraverso le parole di alcuni esperti che ci hanno spiegato qual è oggi il contesto in cui questi professionisti si devono muovere, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l'evento dedicato al mondo del Procurement, organizzato da Business International - Fiera Milano e previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso gli spazi dell'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit (la grande manifestazione dedicata ai C-level dell'impresa contemporanea).
"Non stupisca che una professione sino a ieri non così nota, il procurement officer appunto, abbia oggi così tanta domanda" – spiega Fabio Zonta, autore insieme a Lorenzo Zacchetti del best seller “Procurement Rievolution” (Franco Angeli) -. Pandemia, guerra e crisi globali hanno infatti fortemente impattato sulle nostre economie, sottoponendole a grande stress con una crisi degli approvvigionamenti (dall’energia, ai chip, ai componenti industriali, ai materiali edili, al grano) che ha influenzato negativamente le catene di fornitura, modificando strutturalmente il macrosistema economico e produttivo. “Per questo, frettolosamente, le aziende a livello globale stanno modernizzando la direzione acquisti rafforzando i team, non solo in termini numerici ma soprattutto – evidenzia l’esperto - in termini di qualità e competenze professionali e in un mix uomo/donna necessariamente equilibrato. Peraltro nella classifica ‘Procurement Top 100 Women’ stilata dalla testata internazionale ‘Procurement Magazine’ in collaborazione con EY è italiana la migliore direttrice degli acquisti al mondo, ovvero Anna Spinelli, Chief Procurement Officer di Deutsche Post DHL". Manager che, tra l'altro, come Bimag abbiamo avuto l'opportunità di intervistare proprio lo scorso giugno, in occasione della sua premiazione nel corso dell'edizione 2022 del CPO Summit, sempre all'interno del Business Leaders Summit che si era tenuto presso il Museo Diocesano di Milano.
Anche in Italia si è manifestata questa forte esigenza in un contesto però, rispetto agli USA ad esempio, che ci vede partire da un livello culturale. nella gestione moderna degli acquisti un po’ più arretrato e per giunta in un’economia caratterizzata prevalentemente da piccole e medie imprese che facilmente non hanno né mezzi né competenze per attuare velocemente questo urgente cambio di paradigma nella loro organizzazione. “In Italia - spiega Zonta - la direzione acquisti deve evolversi significativamente, assommando a sé competenze che spaziando dall’AI, al risk management, alla comprensione dei modelli predittivi, tecniche di negoziazione internazionale, gestione delle risorse umane, finanche alle competenze tecniche. Una figura per la quale serve, e molto velocemente, formare una classe dirigente per riposizionare la funzione al centro delle scelte strategiche aziendali e quale primo consigliere dell’amministratore delegato”.
Un'evoluzione, questa, su cui però bisognerà lavorare molto nei prossimi anni per arrivare ad avere dei risultati che possano mutuare il percorso di trasformazione avvenuto per esempio nel finance e che, sicuramente può rappresentare un esempio concreto da seguire. Anche perchè, sempre di più oggi, uno dei fattori sostanziali su cui si instaura la linea di demarcazione tra una realtà di successo e una realtà che invece stenta a raggiungere gli obiettivi, risulta essere proprio la conoscenza e la relazione stretta con gli stakeholder appartenenti alla propria filiera di riferimento e che, nel mercato italiano, vanno a comporre l'ossatura fondamentale di tutto l'ecosistema economico in cui si insediano, operano e si muovono le nostre aziende. “Fatta salva questa fotografia – riflette infatti Mario Mantovani, presidente di ManagerItalia – va però, come nota positiva, considerato che i manager italiani sono ben preparati in quella che è la loro specializzazione o settore, ma soprattutto sono elastici, eclettici, ‘fantasiosi’ e quindi più capaci di giocare nell’emergenza fuori dagli schemi. Questo a differenza ad esempio di cinesi, americani o tedeschi, tanto per citare tre economie, che invece sono molto più ‘diligenti’ e che nell’emergenza confidano molto più su schemi e modelli, che però oggi non esistono. Inoltre l’Italia col suo cosmo di imprese super-specializzate potrebbe avvantaggiarsene, tiportando valore sullo stesso tessuto produttivo”. Una strategia che indubbiamente potrebbe proporre dei benefici, ma che ovviamente non può prescindere comunque sia dallo sviluppo di schemi predittivi, ormai imprescindibili e generabili anche e soprattutto grazie all'utilizzo di nuove tecnologie emergenti. Sistemi all'avanguardia, su cui il nostro sistema Paese dovrebbe puntare maggiormente. “Per le aziende è diventata fondamentale la valutazione e gestione dei rischi esterni per una efficace continuità d’impresa nonché l’investimento nella formazione di manager con competenze specifiche che consenta all’azienda di prevenire e indirizzare il proprio business verso la costante crescita anche diversificando le attività – spiega Marina Verderajme, Presidente Nazionale di GIDP Associazione Direttori Risorse Umane – La figura professionale si trasforma pertanto dall’attuale responsabile acquisti con una retribuzione tra i 50 e 60 mila euro a un Chief Procurement Officer che nelle grandi imprese raggiunge fino a 500mila Euro". Un valore decisamente differente questo dalle logiche del mercato italiano, su cui però le aziende, sempre di più, si troveranno a dover ragionare per far fronte a una tale volatilità dei mercati e anche degli scenari di rischio, da non poter sottovalutare o ignorare l'esigenza stringente di munirsi di un professionista in grado di gestire qualunque criticità con consapevolezza, competenza e conoscenza delle opzioni proposte dal mercato nazionale e internazionale.
Un nuovo White Paper di IDC, sponsorizzato da OpenText, rivela che una delle maggiori lacune nell’efficienza della supply chain è riconducibile alla mancata adozione di tecnologie digitali moderne. L’indagine mostra come le aziende che già hanno cominciato il percorso di trasformazione digitale business-to-business (B2B) superino le altre in termini di fatturato, profitto, soddisfazione dei clienti e tasso di reattività.
Un'evidenza, questa, su cui abbiamo voluto porre attenzione, per comprendere a fondo le esigenze di un mercato in evoluzione che sta cercando di ritrovare la sua dimensione in un'era post Covid-19 nella quale permane grande incertezza. Per questo, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit - l'evento dedicato al mondo del Procurement e delle Value Chain, organizzato da Business International - Fiera MIlano e previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2023, presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit -, abbiamo cercato di analizzare a fondo il documento, al fine di proporvi un punto di vista differente sulle possibili evoluzioni, tendenze, sfide e opportunità per le catene del valore nei prossimi mesi.
I livelli di complessità della supply chain di oggi, la sua portata globale e la varietà di partner e fornitori, infatti, hanno ormai reso gli approcci tradizionali poco efficaci. L’indagine mostra quanto la trasformazione digitale possa influire sulle catene di approvvigionamento: il 78% degli intervistati riferisce che l’integrazione B2B ha migliorato le prestazioni complessive della supply chain. “L’integrazione B2B è alla base di una supply chain resiliente e digital-first e dovrebbe essere una priorità assoluta per quelle aziende gravate da processi manuali ancora basati su supporti cartacei”, ha affermato Simon Ellis, Program Vice President di IDC
Sebbene la resilienza della supply chain sia fondamentale nel contesto odierno, le aziende hanno spesso difficoltà a giustificare il ritorno sull’investimento (ROI) e a sviluppare le capacità interne necessarie per sviluppare appieno i propri business case. Infatti, sempre secondo l'analisi IDC, se il 71% delle organizzazioni ha aumentato gli investimenti nell’ambito della propria supply chain, guardando alla resilienza della catena di approvvigionamento digitale, solo il 6% degli intervistati ha riferito di aver raggiunto il livello di maturità più alto. Questo indica che possono essere fatti ulteriori progressi, creando valore grazie a processi moderni e tecnologie digitali. “Connettere, accedere e analizzare i dati prodotti dalle supply chain è oggi fondamentale per la maggior parte delle aziende di oggi”, ha dichiarato Sandy Ono, Executive Vice President e Chief Marketing Officer di OpenText. “I risultati del White Paper di IDC confermano che il futuro della supply chain è rappresentato dalla capacità di mettere insieme informazioni e automazione, e OpenText è orgogliosa di essere alla guida di questo cambiamento supportando le aziende nelle loro trasformazioni”.
Per supportare gli approcci moderni, più efficienti ed efficaci, nonché i modelli innovativi, possono venire in aiuto le funzionalità di integrazione avanzate della supply chain. Prendendo in considerazione l’automazione dei documenti di collaborazione, l’80% dei rispondenti ha citato diverse aree di miglioramento, come il costo della gestione e della condivisione delle informazioni, ma anche l’efficienza del personale e l’incremento degli indicatori chiave di performance (KPI). Le funzionalità di integrazione ed elaborazione B2B sono in linea con le principali priorità aziendali in termini di riduzione dei costi operativi e logistici, time-to-market più rapido, miglioramento della qualità e dell’accuratezza dei dati, nonché della visibilità. “Facilità, velocità, qualità e scelta sono alla base del nostro approccio e OpenText Trading Grid ci ha aiutato a semplificare i processi chiave della supply chain, riducendo gli oneri amministrativi e migliorando la nostra capacità di espandere la rete dei fornitori”, ha affermato Paul Wilkins, Responsabile Source to Pay, Co-op Group. “Inoltre, la capacità dei fornitori di condividere elettronicamente le informazioni sulle consegne grazie a una notifica di spedizione avanzata consente ai team del centro di distribuzione di pianificare e allocare le risorse in modo più efficiente, eliminare le comunicazioni cartacee e garantire una gestione più precisa del magazzino, contribuendo a consegnare ai nostri clienti ciò che desiderano, quando e dove ne hanno bisogno, nel modo più conveniente possibile”.
Lo studio evidenzia inoltre il ruolo significativo dell’intelligenza artificiale e dell’analisi avanzata dei dati nella maturità dell’integrazione B2B: il 44% delle aziende ha dichiarato di utilizzare tecnologie come Intelligenza Artificiale e Machine Learning per generare un maggior numero di insights predittivi dalla supply chain. Al contrario, il 17% degli intervistati ha riferito di utilizzare solo funzionalità di analisi di base. Che si tratti di condividere informazioni B2B specifiche o più ampie, la capacità di sfruttare tutti i dati a disposizione sta rapidamente diventando un imperativo, tanto che le aziende che rimangono indietro in questo processo subiranno uno svantaggio rispetto alla concorrenza.
Dal nuovo report del Capgemini Research Institute emerge che, a fronte dei venti economici avversi, le aziende stanno adottando un approccio prudente agli investimenti. Per l’89% di loro, come abbiamo visto anche negli scorsi giorni all'interno dell'analisi realizzata da Bimag sull'Allianz Risk Barometer, le interruzioni nella catena di fornitura rappresentano il rischio principale per la crescita del business, seguito dall’aumento dei prezzi delle materie prime e dalla crisi energetica. Di conseguenza, la resilienza della supply chain rappresenta la priorità principale, tanto che il 43% delle organizzazioni intende aumentare gli investimenti in questo ambito, mentre il 39% punta a incrementare le risorse finanziarie destinate alla tecnologia per ridurre i costi e favorire la trasformazione del business. Le aziende di Stati Uniti e Cina daranno priorità alle questioni legate alla sostenibilità, mentre quelle europee lo faranno in misura minore.
Uno spaccato questo che denota ancora quanto le catene del valore siano un vulnus cruciale su cui le imprese devono puntare la propria attenzione, nonostante ormai le restrizioni dovute alla Pandemia si siano attenuate. Uno scenario, questo, che abbiamo voluto comprendere meglio, anche in vista della prossima edizione del CPO Summit - organizzato da Business International - Fiera Milano all'interno del Business Leaders Summit e previsto all'Allianz MiCo - Milano Convention Centre il prossimo 14 e 15 giugno 2023 - attraverso l'analisi di un recente whitepaper realizzato da OpenText per indagare quali saranno i trend che guideranno l'approccio delle aziende sui mercati e nella gestione della catena di approvvigionamento, al fine di affrontare meglio la carenza di materie prime e l’aumento dei costi.
“Se fino a pochi anni fa gli obiettivi delle aziende, indipendentemente dal settore e dalla dimensione, erano di tipo finanziario, negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambio di paradigma da cui non ci si può più tirare indietro”, ha spiegato Antonio Matera, Regional Vice President Sales Italy, Malta, Greece & Cyprus di OpenText. “Per quanto la profittabilità rimanga importante, le organizzazioni a livello globale si stanno rendendo conto di dover diventare socialmente responsabili, sia come conseguenza di un ambiente normativo sempre più stringente, sia in risposta alle esigenze in evoluzione dei consumatori. Le aziende devono quindi ridefinire le proprie strategie di gestione della supply chain per rispettare questo duplice obiettivo”.
Secondo gli analisti dell'azienda leader nelle soluzioni di Enterprise Information Management e dalla crisi climatica a quella energetica, dallo scoppio del conflitto Russia-Ucraina alla conseguente instabilità economico-politica, l’ultimo anno ha messo aziende di ogni settore di fronte a sfide inedite che hanno richiesto elevati livelli di agilità per essere superate. Per rimanere competitive nell’attuale contesto di business, quindi, quest’anno più che mai le aziende dovranno saper riconoscere l’importanza di passare al digitale per automatizzare i processi e ottimizzare la supply chain su vasta scala. La digitalizzazione, vista come primo dei cinque trend proposti dagli esperti, permetterà infatti di migliorare la visibilità e la resilienza in ogni ambito aziendale. In particolare, sarà necessario sviluppare piani per una trasformazione digitale a lungo termine, che consentano di migliorare la collaborazione, creando in ultima analisi vantaggi di business reali. È qui che entrano in gioco le tecnologie di Industry 4.0, che permettono di aumentare la sostenibilità della produzione stessa e guidano l’adozione di processi davvero agili in grado di attivare una diruption sempre più necessaria sia dentro, sia fuori dal perimetro aziendale.
Gli obiettivi di neutralità climatica dell’Unione Europea hanno imposto alle aziende una sempre maggiore attenzione alle tematiche relative alla sostenibilità ambientale e all’approvvigionamento etico. La pressione non arriva unicamente dai Governi: in tutto il mondo, i consumatori richiedono che le aziende dichiarino la provenienza delle materie prime. Nel 2023 si assisterà a un’accelerazione nell’adozione di quei processi volti a migliorare il cosiddetto reporting ESG: tra le priorità delle aziende spiccheranno quindi quei fattori ambientali, sociali e di governance che possano dimostrare al mercato e ai consumatori che i prodotti dell’azienda sono stati acquistati o fabbricati in modo etico e sostenibile. A tal proposito, i fornitori di servizi stessi si impegneranno per supportare le aziende aiutandole a raggiungere i propri obiettivi di riduzione dell’impronta di carbonio complessiva, nonché a garantire che le loro catene di approvvigionamento operino secondo le linee guida ESG. Per farlo, sarà necessario migliorare la visibilità dell’ecosistema aziendale e delle operazioni end-to-end tramite tecnologie come la Blockchain e soluzioni come l’ECS (Enterprise Content Services), che sfrutta i dati per ricavare informazioni uniche sulle operazioni che avvengono all’interno della supply chain, offrendo per esempio soluzioni di tracciabilità basate su IoT.
Gli ultimi due anni hanno aumentato la consapevolezza da parte sia dei consumatori, sia dei C-level delle aziende sull’importanza di una corretta gestione della supply chain. In tale contesto, Intelligenza Artificiale e Machine Learning potranno aiutare le aziende a ottimizzare ulteriormente i processi. Si pensi, ad esempio, che la sola divisione Business Network di OpenText elabora oltre 33 miliardi di transazioni commerciali ogni anno: si tratta di dati che possono essere analizzati tramite IA e ML per comprendere come operano le catene dell’approvvigionamento, contribuendo a ottimizzarle. Le aziende potranno quindi sfruttare le informazioni disponibili per migliorare i flussi logistici, i processi di gestione dell’inventario e prevedere in modo più accurato i comportamenti e le richieste dei clienti. Inoltre, se in passato queste tecnologie non sono state sfruttate appieno a causa di una carenza di competenze di base, da quest’anno ci si aspetta che un maggior numero di giovani completi la formazione in questo senso: la figura del Data Scientist diventerà sempre più comune, così che le aziende possano contare su professionisti specializzati per organizzare una supply chain di nuova generazione basata sui dati.
Oggi i sistemi ERP sono al centro delle operation aziendali, ma i CIO dovranno saper affrontare pressioni diverse: da un lato devono contribuire a far diventare le proprie aziende più agili favorendo il passaggio verso il cloud, che le renderà più flessibili e resilienti. Dall’altro, però, devono tenere conto dell’andamento del mercato, con cui dovranno inevitabilmente confrontarsi quando sarà necessario aggiornare gli ambienti ERP. Per gestire questo livello di complessità, sarà fondamentale scegliere il partner giusto, che accompagni le organizzazioni lungo tutto il percorso di trasformazione.
Le grandi aziende inizieranno gradualmente a prendere in considerazione il Metaverso per le proprie attività commerciali. Le tecnologie di realtà virtuale e aumentata già disponibili consentono infatti una rappresentazione digitale end-to-end della catena di approvvigionamento in un mondo 3D: si tratta a tutti gli effetti di un gemello digitale, un Digital Supply Chain Twin che, visualizzando dati predittivi e prescrittivi, può garantire un miglior processo di decision making. Attualmente, le reti aziendali producono una versione digitale delle informazioni relative alla supply chain che rispecchia il movimento fisico delle merci. Combinando questi flussi con i dati dei sensori IoT che contribuiscono a tracciare le spedizioni, è possibile creare un’immagine dettagliata della catena di approvvigionamento: tale quadro potrebbe essere visualizzato all’interno di un Metaverso per ipotizzare gli scenari più diversi e, simulandoli, aiutare le organizzazioni ad affrontare potenziali problemi o imprevisti prima che questi si verifichino.
In tutta Europa, l’industria manifatturiera è alle prese con una serie di sfide senza precedenti. La crescita esponenziale dei costi legati all’energia e l’instabilità della supply chain rappresentano al momento la causa dei maggiori problemi che le aziende devono fronteggiare. Quasi nove aziende su dieci prevedono che anche nei prossimi anni la situazione di incertezza continuerà ad essere la stessa. Le strategie fondamentali dell’industria manifatturiera per resistere e superare un futuro così incerto consistono in una digitalizzazione completa e in una maggiore collaborazione con i fornitori.
È quanto emerge dalla recente indagine "La transizione delle aziende europee", realizzata da Aras e che ha coinvolto più di 440 dirigenti di 19 Paesi europei. Un report interessante per comprendere meglio i trend che guideranno il mercato nei prossimi mesi e che abbiamo voluto analizzare più approfonditamente anche in vista della prossima edizione del CPO Summit che si terrà, come ogni anno, a Milano all'interno di Business Leaders Summit (14-15 giugno 2023 | Allianz MiCo - Milano Convention Centre), la grande manifestazione organizzata da Business International - Fiera Milano per mettere a confronto i migliori C-level di oggi e di domani sulle principali tematiche dell'impresa contemporanea.
"In uno scenario denso di elementi imprevedibili quali costi energetici alle stelle, rischi geopolitici e crescenti minacce nel mercato del lavoro, l'industria europea è attualmente più focalizzata a produrre in modo più attento. Per rispondere all'instabilità delle filiere, il 40% delle aziende ha già implementato una maggiore collaborazione con i propri fornitori, un altro 39% è in fase di definizione e il 17% sta pianificando ulteriori collaborazioni con i fornitori", afferma Luigi Salerno, Country Manager di Aras Italia. Il dato che colpisce, mettendo a confronto i Paesi europei, è come le preoccupazioni legate alla supply chain siano particolarmente evidenti nel Regno Unito. Sulla scia della Brexit, le aziende operanti in UK hanno adottato modalità di collaborazione più intense con i propri fornitori.
La digitalizzazione della supply chain è un ulteriore tassello importante per sviluppare resilienza. "Il 36% delle aziende ha già riprogettato la propria supply chain in funzione della digitalizzazione e un altro 42% è in procinto di farlo", dichiara Salerno. Un' azienda su tre ha reagito all'instabilità delle supply chain apportando modifiche ai prodotti e circa un'azienda su quattro ha delocalizzato i siti produttivi.
Secondo Salerno, la pressione che grava sulle aziende non è mai stata così intensa, ma i risultati dell'indagine sono altresì incoraggianti. Ad esempio, otto aziende su dieci ammettono che la prospettiva di una permanente instabilità della supply chain è fonte di preoccupazione. Tuttavia, grazie alle contromisure già adottate e ad altre che sono state pianificate, l'industria manifatturiera europea può prepararsi ad affrontare più efficacemente le crisi future.
Questo sguardo al futuro è necessario poiché la situazione per le aziende europee è destinata a mantenersi critica. Nove partecipanti alla survey su dieci, ad esempio, affermano che le sfide da affrontare non sono mai state così complesse quanto lo sono oggi. Gli intervistati, interpellati sull’andamento futuro, hanno indicato che la situazione non migliorerà, perlomeno nel medio termine. "L'88% dei rispondenti all’indagine ritiene che i prossimi anni resteranno incerti. Davanti a queste sfide le aziende sono chiamate ad agire, reinventandosi costantemente e sfruttando i vantaggi della digitalizzazione in termini di efficienza. Soltanto in questo modo potranno resistere agli scossoni economici dovuti alla crisi globale", afferma Salerno.