Affrontare con successo la complessità di un cliente multigenerazionale richiede una strategia aziendale agile e inclusiva, capace di rispondere alla crescente diversità delle aspettative e delle preferenze dei consumatori. L’omnicanalità e l’automazione sono essenziali. Tuttavia, è partendo dai dati e adottando un approccio human-centered che è possibile creare un’interazione autentica con la propria audience e trarne beneficio.
Un concetto, questo, che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo, anche in vista del contributo importante al tema che sarà fornito da Luigi Gangitano, Chief of Digital Innovation di POLIMI Graduate School of Management (GSoM), e Emiliano Rantucci, Country Manager di Avanade, durante il CMO Summit all'interno della tavola rotonda "Take CX to the next level: From Data to Generation Satisfaction", che si terrà il 12 giugno 2024 presso l'Allianz MiCo di Milano, al fine di condividere le esperienze emerse dal percorso di trasformazione digitale della scuola.
Il progetto di POLIMI GSoM si è concentrato sulla personalizzazione dei servizi offerti e l’ottimizzazione della customer experience dell’ampio bacino di utenza della scuola, composto da 3.000 studenti, 15.000 alumni e 10.000 prospect ogni anno. Un’audience estremamente diversificata per fascia di età, esigenze e maturità digitale.
L'approccio adottato ha previsto la centralizzazione dei dati sugli utenti nel CRM Microsoft Dynamics 365 e l’uso di tecnologie di marketing automation per la creazione di servizi personalizzati. Le interazioni con il pubblico e l’erogazione dei servizi avviene attraverso un'unica interfaccia, la Digital Experience Platform di Sitecore. La soluzione garantisce servizi coerenti e personalizzati che guidano l'intero ciclo di vita dello studente, dalla prima visita al sito fino all'ammissione, all'orientamento e all'esecuzione del percorso formativo.
Attraverso questa strategia integrata, POLIMI GSoM offre un'esperienza cliente autentica e rilevante per tutte le unicità con cui interagisce, superando le barriere generazionali e costruendo relazioni durature basate sulla fiducia e sulla reciproca comprensione.
Sono passati 20 anni da quando, su un articolo del The Guardian - pubblicato per la precisione il 12 febbraio 2004 -, il giornalista, Ben Hammersley, coniava la parola “podcast”, crasi tra iPod e broadcast, ovvero trasmissione in inglese. Nei primi anni, infatti, i podcast rappresentavano soprattutto la versione on demand di programmi radiofonici, e presto il principale strumento usato per ascoltarli diventò appunto l’iPod.
Un contesto questo, molto lontano da come li conosciamo. Oggi questo mercato, infatti, è arrivato a valere a livello globale oltre 27.3 miliardi di dollari e per il 2032 è previsto che superi i 233 miliardi di dollari, con una produzione che si calcola ormai in miliardi di contenuti in tutte le lingue del mondo anche e soprattutto grazie agli investimenti prodotti da un player come Spotify, che negli ultimi anni ha scommesso moltissimo sul settore, riportandone anche il concept alle origini di una produzione radiofonica di alta qualità contenutistica.
Ma cosa rende oggi questo strumento, un asset perfetto da sfruttare per le strategie comunicative delle aziende?
Ne abbiamo parlato in questa nuova puntata di #OneQuestion insieme a Francesco Tassi, CEO e Founder di VOIS.
Una grande occasione di dibattito e di confronto sui progressi dell’innovazione – in particolare nel campo della medicina di precisione – e sulle priorità per la salute. Questa è la grande sfida dell’Health Innovation Global Forum, l’evento internazionale organizzato da Cluster Tecnologico Nazionale Scienze della Vita – ALISEI, che riunisce istituzioni pubbliche e decisori politici, scienza e mondo accademico, settore privato e società civile, in collaborazione con Fiera Milano e la sua knowledge unit, Business International.
Come afferma Massimiliano Boggetti, Presidente del Cluster: “E’ importante che ALISEI porti avanti il progetto del Global Forum, un appuntamento fisso annuale che dibatte sulle nuove frontiere dell’innovazione nel campo Health & Life Sciences. Il Cluster ALISEI vuole essere, infatti, un grande motore dell’innovazione e mira a favorire una politica industriale che veda nella ricerca e nell’innovazione un propulsore essenziale del progresso della società e dell’economia”.
Fanno parte del Comitato Scientifico la prof.ssa Maria Cristina Messa, professoressa di Diagnostica per Immagini e Radioterapia all’Università degli Studi di Milano Bicocca, già Ministro dell'Università e della Ricerca, in qualità di Presidente; il prof. Marino Zerial, Direttore di Human Technopole, il prof. Giuseppe Ippolito, professore di Malattie infettive alla Saint Camillus International University of Health Sciences, già Direttore generale della ricerca e dell'innovazione del Ministero della Salute; la prof.ssa Rosanna Tarricone, Associate Dean della SDA Bocconi School of Management – Divisione Government, Health e Non Profit.
Il Forum si terrà il 9 maggio 2024 presso l’Auditorium di Human Technopole nell’ambito della MIND Innovation Week. MIND – Milano Innovation District è il più grande distretto dell’innovazione nell’area delle Life Science in Italia e modello di partnership pubblico-privata. Lo Human Technopole e la Federated Innovation @MIND saranno main partner dell’evento, che vedrà anche la partecipazione del Cluster lombardo scienze della vita e di altre associazioni.
Come afferma Roberto Foresti vicedirettore generale di Fiera Milano: “Con l’annuncio di questa collaborazione e il lancio della prima edizione in Italia dell’Health Innovation Global Forum, Fiera Milano vuole sottolineare il suo impegno nei confronti dell’innovazione e della sostenibilità a 360 gradi. L’importanza di fare sistema e di guardare al futuro con progetti come questo è il fulcro di quella strategia di crescita e sviluppo, in grado di coinvolgere il comparto industriale ed economico del nostro Paese per promuovere una nuova cultura del business che metta al centro la persona e la sua cura”.
Le tematiche del Forum ruoteranno attorno ai problemi e alle opportunità legati all'innovazione nel settore sanitario: la salute digitale, considerando l’avanzamento del European Health Data Space e delle digital therapies; le nuove tecniche di diagnostica per lo sviluppo della medicina di precisione e per screening di prevenzione sempre più rapidi ed accurati; l’approccio value-based healthcare come strumento per rendere più sostenibile il sistema sanitario.
Come afferma la professoressa Maria Cristina Messa, Presidente del Comitato Scientifico “E’ importante discutere delle nuove sfide che l’innovazione porta nella medicina per assicurare che le nuove opportunità di cura e salute contribuiscano a rinforzare la sostenibilità e la resilienza dei sistemi di healthcare con al centro il paziente ed i suoi dati. L’Health Innovation Global Forum sarà un utile momento di confronto tra scienza, società e politica.
Con questa nuova edizione dell’Health Innovation Global Forum, che, dopo il successo ottenuto nel corso di Expo 2020 Dubai, arriva per la prima volta in Italia grazie alla collaborazione tra Fiera Milano e Cluster ALISEI, si conferma sempre di più il valore strategico della necessità di un rapporto di incontro e confronto, ormai imprescindibile, tra il sistema della ricerca multidisciplinare, il tessuto industriale farmaceutico-biomedicale e le istituzioni pubbliche nel settore della salute, con l’obiettivo preciso di dare un impulso concreto alla ricerca e all’innovazione in Italia. Senza dimenticare il ruolo-guida che un’iniziativa del genere deve avere sul progresso delle Scienze della Vita in Italia, al fine di sottolineare l’importanza di condividere l'impegno a migliorare le terapie e la diagnostica per il bene dei pazienti, la centralità della persona e la competitività dell’intero sistema-Paese.
Il mercato dell’Intelligenza Artificiale, in Italia, cresce in maniera impetuosa. Nel 2023 segna +52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro, dopo che già nel 2022 aveva registrato un +32% rispetto all’anno precedente. La gran parte degli investimenti riguarda soluzioni di analisi e interpretazione testi per ricerca semantica, di classificazione, sintesi e spiegazione di documenti o agenti conversazionali tradizionali, mentre sono ancora limitati al 5% (38 milioni di euro) i progetti di Generative AI. Sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato un qualche progetto di Intelligenza Artificiale, almeno a livello di sperimentazione, ma ben due su tre hanno già discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI e tra queste una su quattro ha avviato una sperimentazione (il 17% del totale).
Nel 2023 quasi tutti gli italiani (98%) hanno sentito parlare di Intelligenza Artificiale, e più di un italiano su quattro (29%) ne ha una conoscenza medio-alta. C’è grande interesse, dunque, ma anche una certa confusione: tre italiani su quattro hanno sentito parlare di ChatGPT ma solo il 57% conosce il termine “Intelligenza Artificiale Generativa”. Un italiano su quattro dichiara inoltre di aver interagito almeno una volta con ChatGPT. Ben il 77% degli italiani (+4 punti percentuali rispetto al 2022) guarda con timore all’Intelligenza Artificiale, soprattutto in relazione ai possibili impatti sul mondo del lavoro. Tuttavia, solo il 17% è fermamente contrario all’ingresso dell’AI nelle attività professionali.
Di certo, gli impatti sul mondo del lavoro saranno molto significativi. Già oggi, in Italia, l’Intelligenza Artificiale ha un potenziale di automazione del 50% di “posti di lavoro equivalenti” (l’equivalente in posti di lavoro della somma del tempo impiegato in singole attività che possono essere affidati alle macchine), ad oggi realizzato in minima parte, considerando anche che il ruolo dell’AI è più di supporto che di vera e propria sostituzione. Ma da qui a 10 anni, le nuove capacità delle macchine potrebbero svolgere il lavoro di 3,8 milioni di persone in Italia.
Sono questi alcuni dei risultati dell'ultima edizione dell'Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano che abbiamo voluto approfondire meglio in quest'articolo, anche in vista della prossima edizione di AIXA - Artificial Intelligence Expo of Applications, che quest'anno si terrà in autunno all'interno del METS - Milano Emerging Technologies Summit.
“Quest’anno l’Intelligenza Artificiale ha fatto passi da gigante anche in Italia – afferma Giovanni Miragliotta, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence -. Il mercato è in forte crescita, come i progetti, e ormai quasi tutti gli italiani hanno sentito parlare di AI, ma guardano a questo ambito con interesse e qualche timore. Nel valutare il reale impatto sul lavoro, però, bisogna tenere in considerazione le previsioni demografiche che, a causa dell’invecchiamento della popolazione, prospettano un gap di 5,6 milioni di posti di lavoro equivalenti entro il 2033. In questa prospettiva, la possibile automazione di 3,8 milioni di posti di lavoro equivalenti appare quasi una necessità per ribilanciare un enorme problema che si sta creando, più che un rischio. Tuttavia, soltanto prestando attenzione alle nuove esigenze dei lavoratori, alla formazione e ad un’equa redistribuzione dei benefici, la società riuscirà a trarre valore dallo sviluppo dell’AI”.
“Nel 2023 il mercato italiano dell’Intelligenza Artificiale cresce in maniera significativa segnando un +52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro, in accelerazione rispetto al +32% registrato nell’anno precedente. La gran parte degli investimenti riguarda soluzioni di analisi e interpretazione testi per ricerca semantica, di classificazione, sintesi e spiegazione di documenti o agenti conversazionali tradizionali, mentre i progetti di Generative AI pesano solo per il 5%, sebbene vi sia però un grande interesse – evidenzia Alessandro Piva, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence –. Due organizzazioni su tre hanno già discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI e tra queste una su quattro ha avviato una sperimentazione (il 17% del totale). L’avvento della Generative AI non sembra tuttavia essere una via per ridurre il gap nell’adozione dell’Intelligenza Artificiale tra le grandi organizzazioni, chi è indietro nel percorso di adozione dell’AI, infatti, non riesce a trarre beneficio delle opportunità della generative AI (nel 77% dei casi).”
“Da parte della comunità scientifica è doveroso guidare il percorso di adozione dell’AI e dell’AI Generativa, cercando di evitare la fase di disillusione che solitamente caratterizza il processo di adozione di nuove tecnologie – spiega Nicola Gatti, Direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence -. A questo riguardo, sono tre le principali criticità che riguardano oggi l’AI: poter garantire che i risultati dei sistemi di AI siano corretti — tipicamente si parla di robustezza —, poter garantire che le decisioni prese siano spiegabili alle persone — tipicamente si parla di explainability —, e certificare che i sistemi di AI rispettino le regolamentazioni Europee e che i rischi potenziali siano mitigati. Come Politecnico di Milano, tramite il Partenariato Esteso FAIR, stiamo portando avanti la ricerca in ambito Adaptive AI proprio per dare risposta a queste sfide”.
IL MERCATO
Il 90% del mercato dell’Intelligenza Artificiale in Italia è dovuto alle grandi imprese. Il resto è suddiviso in modo equilibrato tra PMI e Pubblica Amministrazione. La quota più significativa del mercato dell’Intelligenza Artificiale italiano (29%) è legata a soluzioni per analizzare ed estrarre informazioni dai dati (Data Exploration & Prediction, Decision Support & Optimization Systems). Il 27% è per progetti di interpretazione del linguaggio, scritto o parlato (Text Analysis, Classification & Conversation Systems). Il 22% per algoritmi che suggeriscono ai clienti contenuti in linea con le singole preferenze (Recommendation Systems). Il 10% analisi di video ed immagini, 7% Process Orchestration Systems, il 5% Generative AI. Guardando alla spesa media in Intelligenza Artificiale per azienda, ai primi posti Telco-Media e Assicurazioni, seguiti da Energy, Resource & Utility e Banche e Finanza.
LA DIFFUSIONE NELLE AZIENDE
Il 61% delle grandi imprese ha all’attivo, almeno al livello di sperimentazione, un progetto di Intelligenza Artificiale, mentre si scende al 18% tra le piccole e medie imprese (+3 punti percentuali rispetto al 2022). L’adozione nelle imprese è sostanzialmente stabile rispetto al 2022. Le aziende che avevano già avviato almeno una sperimentazione proseguono e accelerano. Nelle aziende in ritardo, sono invece rari i casi in cui l’avvento della Generative AI ha già dato vita ad una sperimentazione. Il 37% delle grandi realtà che non hanno progetti all’attivo ha intenzione di attivarli nei prossimi 12 mesi e si moltiplicano le iniziative di workshop ispirazionali/formativi sul tema. Circa 2 grandi aziende su 3 hanno discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI, tra queste una su quattro ha avviato una sperimentazione (il 17% del totale, dunque). D’altro canto, soltanto il 7% delle piccole e medie imprese sta riflettendo su potenziali applicazioni e solo il 2% ha concretamente attivato almeno una sperimentazione.
LA MATURITA' DELLE AZIENDE
L’Osservatorio ha analizzato la maturità delle grandi organizzazioni nel percorso di adozione dell’AI, arrivando ad individuare cinque diversi profili. L’11% è avanguardista (in crescita di 2 punti percentuali rispetto all’anno scorso), aziende che hanno raggiunto la piena maturità a livello tecnologico, organizzativo e gestionale nell’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale. Il 23% è apprendista, hanno diversi progetti avviati ma difficilmente impiegano metodologie strutturate nel gestirli e tendono a far ricorso a soluzioni standard o pronte all’uso. Nel restante 66% dei casi, permangono situazioni eterogenee: ci sono organizzazioni in cammino (29%), dotate degli elementi abilitanti ma con pochi progetti, e aziende che non percepiscono il tema come rilevante e non dispongono di un’infrastruttura IT adeguata alla gestione di grandi quantità di dati.
In un’era post-covid nella quale il mondo del turismo ha conosciuto una ripresa inaspettata che nel 2023 ha prodotto numeri da record, sia in Italia, sia all’estero, uno dei segmenti più in crescita è sicuramente quello dei villaggi turistici. Luoghi che stanno trasformando completamente sia il proprio ruolo all’interno del settore, sia la propria dimensione e conformazione a livello fisico e pratico. Basti pensare che, secondo una recente ricerca prodotta da The Business Research Company, il settore della pianificazione delle opere di rinnovamento dei resort a livello globale l’anno scorso ha raggiunto i 193 miliardi di dollari e nei prossimi 12 mesi è previsto che arrivi a valere quasi 203 miliardi di dollari con un tasso di crescita annua composito del 5%.
Dati che mostrano come la crescita del turismo mondiale, l’evoluzione delle sue preferenze, lo sviluppo di nuove esigenze, condizioneranno sempre di più le scelte delle strutture ricettive. A tal punto che, sempre secondo gli esperti, il mercato potrebbe arrivare nel 2028 a sfiorare i 260 miliardi di dollari. Un’espansione che per poter essere realmente governata andrà prima di tutto compresa a fondo, ma come riuscire a interpretare correttamente le nuove necessità di un turismo in costante trasformazione? Abbiamo cercato di rispondere a questa domanda insieme a Giovanni Cerminara, esperto di marketing strategico per il turismo e autore del libro, “Marketing Strategico per Villaggi Turistici e Resort”, che, in vista della sua partecipazione alla prossima edizione dei Bit Talks, il momento d’incontro e confronto tra esperti e player del settore del turismo italiano e internazionale che si svolgerà all’interno di BIT Milano, dal 4 al 6 febbraio 2024, presso l’Allianz MiCo, ci ha spiegato cosa è cambiato nel concetto di villaggio turistico e come la flessibilità sia diventata una caratteristica dominante in questo tipo di segmento dell’hospitality, che fino a qualche anno fa faceva della proposta all inclusive, ”vacanze chiavi in mano”, la propria strategia di posizionamento.
Cerminara, partiamo dal suo libro. Come è nata l’esigenza di spiegare da capo l’importanza di rimettere il marketing al centro della strategia di business dei villaggi vacanze?
“Dopo 15 anni di esperienza sul campo in contatto con albergatori, studenti e imprenditori che frequentavano i miei corsi, ho sentito esigenza di scriverlo per dare un’ossatura a chi si occupa di marketing. Negli anni si è dato troppo valore agli strumenti e poco alla strategia, quindi, il fine ultimo è diventato il mezzo. Di contro la nascita dello strumento diventa baluardo e risolutore di problematiche che poi passano sullo sfondo. Non è vero, infatti, che attraverso qualunque strumento si possa risolvere le problematiche della mia struttura. Ai, social media e così via in realtà sono solo strumenti che devono essere inseriti all’interno di una strategia”.
Il libro tra l’altro esce in un periodo in cui il turismo non ha vissuto anni facili. Quindi oggi qual è l’obiettivo che un marketer si dovrebbe porre per ottenere il successo in questo settore?
“L’obiettivo è sempre generare fatturato e profitto nell’azienda. La strategia, quindi, deve trovare la migliore strada da percorrere con strumenti e tattiche per generare benefici economici”.
Perchè, quindi, oggi, i villaggi diventano elementi valoriali e differenzianti nel panorama turistico?
“Il villaggio è sempre stato diverso da ogni altra location turistica. In questo senso, infatti, il libro vuole anche smarcare il concetto per cui il marketing nel corso degli ultimi anni ha pensato di poter accorpare strategie e azioni utili per hotel e case vacanze, declinandoli anche sui villaggi, ma questa operazione non può essere fatta perché, per esempio, queste location non soffrono della stagionalità che invece i villaggi devono affrontare. I villaggi nascono negli anni ’50 del secolo scorso e nell’arco del tempo si sono evoluti, ma le strategie di marketing non hanno seguito questo percorso. In primis, perché la gestione di queste strutture per lungo tempo è stata data in completa o quasi esclusiva gestione a tour operator, che promuovevano e commercializzavano tutta la proposta commerciale. In secondo luogo, poi, sono nati i social media che hanno cambiato tutte le dinamiche di gestione promozionale delle strutture di hospitality. Molti degli albergatori, quindi, hanno dovuto riprendere in mano le sorti della propria struttura con differenti problematiche. Nel frattempo, però, tutto il marketing andava nella direzione dell’hotellerie, ma non dell’ospitalità e del villaggio tout court. Quindi, riappropriarsi degli spazi con uno strumento come il marketing, che possa dar loro uno slancio, diventando un valido tool per comprendere il mercato, la concorrenza, la domanda e la situazione, diventa un’operazione importante per poter aiutare il villaggio a barcamenarsi all’interno dello scenario attuale”.
Cambia così anche il ruolo del marketing che, da semplice dipartimento di promozione, diventa anche un dipartimento di valutazione e gestione del rischio per ritrovare un valore identitario, difficile da recuperare e riproporre. Quali sono oggi le principali sfide per un villaggio e cosa è cambiato rispetto al suo posizionamento di una volta?
“E’ vero oggi il marketing è cambiato. Non è più uno strumento banale per creare un sito internet. Oggi il marketing inizia con le analisi e finisce con le analisi. Valutazioni e interpretazioni di dati che ci aiutano a comprendere meglio dinamiche da gestire e direzioni da prendere. In un presente in continua evoluzione, infatti, la prima sfida da affrontare è la necessità di intuire e decriptare le esigenze di ogni singolo utente. Turisti che indico come “travellearcher”, perché sono persone a metà tra viaggiatori e ricercatori che non offrono più punti di contatto comuni e che, per quanto si lascino influenzare e fidelizzare, d’altro canto sono anche veloci a cambiare se non si sentono soddisfatti. L’altra sfida, poi, è comprendere davvero come utilizzare gli strumenti. Non bisogna tralasciare il fatto che spesso il management sia vittima di questi tool di tendenza, come per esempio l’AI generativa dell’ultimo periodo, e solo dando una spina dorsale al proprio dipartimento marketing si può capire davvero quali siano gli applicativi adeguati alla propria struttura".
Quali sono, invece, le figure principali da avere in un buon team marketing dal suo punto di vista?
“Prima di tutto bisogna avere una persona che sappia analizzare e gestire i dati. Dalle analisi della struttura come le analisi S.W.O.T. alle analisi di mercato per comprendere quale sia la domanda e dalle analisi dei prezzi, per capire la competitività della propria struttura, alle analisi di soddisfazione, per capire il possibile sviluppo del proprio brand, saper interpretare gli scenari è sicuramente ormai una competenza imprescindibile per guardare al futuro. Poi, serve chi segue tutti i canali di promozione, social, sito e piattaforme di vario tipo anche per l’Adv. Quindi, è importante avere anche una persona che faccia da collante tra chi si occupa di marketing e chi è lavora nella struttura o collabora con essa. Un intermediario di informazioni che riesca a unire queste due aree che spesso non sono collegate tra di loro e non comunicano le informazioni nei tempi corretti. Per questo motivo, secondo me, chi dovrebbe coordinare le operazioni dovrebbe essere il marketing, al fine di dare delle linee guida di azione alla struttura che poi decide o meno se seguire l’indicazione”.
In questo paradigma, quindi, quanto conta la comunicazione?
“Ha un grande valore, perché tutto è comunicazione, ma va progettato e inserito all’interno di una strategia. Cosa devo comunicare, come e a chi. Basti pensare che la booking window per i villaggi si è dilatata negli anni. A tal punto da rendere in disuso il concetto di last minute. Molte strutture, infatti, riaprono già a novembre, per essere pronte da subito con una prezzistica competitiva e di vantaggio. Questo, perché gli utenti oggi cercano scontistiche e si programmano le ferie in anticipo in base ai prezzi, facendo ricerche approfondite sulla struttura e informandosi. In questo caso, avere una comunicazione solida, strategica e continuativa, permette anche un racconto più completo e offre più informazioni utili agli utenti in ogni momento dell’anno, al fine di far trovare loro ciò che vogliono”.
A cosa è dovuto dal tuo punto di vista questo cambio di percezione del concetto di last minute?
“Diciamo che se da un lato è cambiato il background culturale delle persone, dall’altro si è trasformato anche il modo di gestire i resort. Oggi si parla di revenue management o politiche tariffarie, alle quali vengono collegate anche politiche di cancellazione. Il 60-70% del fatturato di un villaggio viene realizzato nei mesi di alta stagione e il last minute viene usato poco perché è un prezzo scontato, ma pur sempre di alta stagione che rispetto a un early bird, per esempio, sarà comunque maggiorato. Chi usa il last minute, quindi, più probabilmente sarà una persona che ha perso all’ultimo momento altre opportunità e si riadatta, ma non è una persona che vuole risparmiare in senso generale”.
Da questo punto di vista, però, perché allora oggi il villaggio può avere un ruolo diverso dal passato e di maggior valore rispetto ad altre strutture?
“Le esperienze che un travellearcher può provare all’interno di un villaggio sono molteplici. Come dicevo il resort sta cambiando, sta evolvendo, perché esistono resort con formule da villaggio o di all-inclusive. Sotto questo profilo, quindi, il concetto di villaggio non si può più categorizzare perché ormai ha la flessibilità nel suo DNA. Allo stesso modo c’è il turista che vuole l’all-inclusive, o la mezza pensione o solo un appoggio logistico”.
Quindi, come andrebbe definito oggi un villaggio?
“Io lo definirei come un luogo flessibile, avulso dalla rigidità che lo caratterizzava negli anni passati. Negli anni ’90 o a inizio ’00, infatti, il villaggio era pensato solo come offerta all-inclusive, mentre oggi la sua modularità e la sua gamma di servizi è tanto varia da poter rispondere a qualsiasi tipo di esigenza”.
Questa trasformazione, però, che cambiamenti ha generato nella gestione dei resort?
“Diciamo che le variazioni sul tema sono state molte. Se guardiamo all’ambito delle strategie marketing, per esempio, è possibile notare come, prima, le strategie fossero rigide, perché c’era un solo interlocutore che dava le regole d’ingaggio delle offerte che venivano per forza accettate dai clienti per come erano, senza altre opzioni. Ora, invece, le cose sono cambiate, perché il mercato è più esteso e variegato. Quindi, le strategie si sono dovute adattare per rispondere alle esigenze in qualsiasi modo e momento. Questa malleabilità, però, può essere applicata solo grazie a una strategia basata sull’ascolto del mercato attraverso l’analisi dei dati”.
Anche perché il target standard del villaggio vacanze si è evoluto, passando da utenti alto-spendenti e famiglie, a un nuovo tipo di audience, comprensivo anche di fasce d’età differenti, con coppie più giovani e anche single. Giusto?
“Si. Inoltre, prima, il pacchetto vacanze in villaggio si basava sostanzialmente su tre asset commerciali fondamentali: sistemazione, food & beverage e animazione. Oggi, invece, le frecce a disposizione dell’offerta commerciale di una struttura di questo tipo sono molte di più, con servizi per qualunque necessità che hanno reso i villaggi sempre più simili a delle vere e proprie città. Una diversificazione di proposte dedicate al pubblico che, se analizzate con cura, consente anche al marketing di comprendere quale sia il vero elemento che, in una struttura, influenza di più la scelta del cliente, offrendo così al management l’opportunità di produrre i giusti investimenti e prendere decisioni migliori”.
Questo orientamento alla modularità, che probabilmente ha portato anche una ristrutturazione dei villaggi in termini fisici, come si declina in termini di sostenibilità e quanto questo valore oggi impatta il modello di business e la struttura di un villaggio, posto il valore naturalistico che, da sempre, è uno dei fattori distintivi di questo tipo di ambienti?
“Fortunatamente oggi non è più come negli anni ’80. Ci sono vincoli paesaggistici e naturalistici che devono essere rispettati e non consentono di mettere in atto quell’iper-edificazione che spesso a deturpato dei veri e propri paradisi. Ai giorni nostri, nei villaggi, in realtà, il tema della sostenibilità è molto sentito e si è creata una grande attenzione da parte degli albergatori stessi su questa questione. Probabilmente, rispetto ad altri mercati siamo più indietro, in senso generale, ma sicuramente negli ultimi anni l’adozione di questo valore come asset essenziale della crescita e dello sviluppo del proprio modello di business si è evoluta e ha compiuto importanti passi in avanti. Detto questo, poi, si può dire che c’è ancora della strada da fare, in particolare, sotto il profilo dello smaltimento dei rifiuti e della raccolta differenziata o dell’uso della plastica, ma siamo sulla buona via”.
Una via che guarda sempre di più all’internazionalizzazione e alla fidelizzazione, saranno questi i trend da seguire per il futuro?
“Sicuramente sono valori importanti, ma non generalizzerei, anche perché così come ogni cliente ha le sue esigenze, anche ogni struttura ha i suoi bisogni. Spesso si dimentica che per raggiungere un mercato straniero, per esempio, sia necessario adottare tutte le diverse leve che si devono toccare, in primis, per aumentare la fiducia dei clienti e, poi, per ridurre al minimo il rischio di percezione differente che lo straniero potrebbe avere nei confronti del brand. In questo senso, a volte, si guarda all’estero come fosse il mercato più conveniente, ma non sempre è così. Ci sono casi in cui, per esempio, il mercato italiano può rappresentare un punto di forza importante. La questione, in ogni caso, è la flessibilità e la diversificazione. Fattori che, inevitabilmente impattano anche sulla fidelizzazione, che ormai è un concetto di vecchio stampo. Negli anni, infatti, gli esperti hanno dato alla loyalty dei clienti una dimensione di vantaggio per l’albergatore in virtù di un minore costo di gestione e una garanzia di introito sicuro. Se. Però, l’analisi dei dati relativa all’utente non finisse in fase d’acquisto della vacanza, ma continuasse anche mentre le persone vivono il villaggio e usufruiscono dei suoi servizi, ci si accorgerebbe facilmente di come questo assioma non sia sempre corretto. Non è sempre vero, infatti, che un cliente fidelizzato da anni rappresenti un vantaggio economico. Per questo motivo, bisogna ridare valore al marketing strategico, piuttosto che al marketing operativo e a strumenti di tendenza, come per esempio l’AI generativa”.
Per la prima volta nella storia del World Economic Forum, l'Intelligenza Artificiale è stata l'indiscussa protagonista. Non analisi economiche, non interpretazioni geopolitiche, non anticipazione di trend, rischi, sfide e opportunità per i business leaders, ma l'AI nelle sue varie forme e soprattutto i dubbi sulla sua reale e concreta affidabilità. Un tema che secondo alcune recenti ricerche di EY oggi coinvolge oltre il 70% dei CEO a livello globale che non sono sicuri degli investimenti da produrre su questa tecnologia emergente proprio a causa delle implicazioni etiche e i concreti vantaggi che può portare con sé.
Eppure, nonostante le avvertenze degli esperti e le discussioni sulla questione, il mercato dell'artificial intelligence a livello globale è in grande e rapida crescita. A tal punto che, sempre secondo i dati di EY, entro il 2032 il settore potrebbe arrivare a superare 1 trillione di dollari, con un tasso di crescita annua composito del 42%. Dati, questi, che fanno capire come, al di là delle indecisioni ormai le imprese non possano più prescindere dal puntare su questa tecnologia, e sull'innovazione in senso generale, per poter guardare al futuro e al successo. Un concetto ancora più vero se si guarda al mondo industriale e manifatturiero che, soprattutto in un momento di grande volatilità dei mercati e bassa crescita economica, per non dire recessione, sono alla costante ricerca di nuovi modi per automatizzare e ottimizzare i processi al fine di migliorare le performance e ridurre i costi, mantenendo la business continuity.
Un argomento, quest'ultimo, che, anche in vista della prossima edizione di AIXA - Artificial Intelligence Expo of Applications, abbiamo voluto comprendere meglio attraverso le parole di Morten Rohlfes, Edge director, EMEA, Red Hat, che in un recente white paper ha spiegato come l'AI e le tecnologie emergenti saranno sempre di più il motore della crescita e dello sviluppo industriale e manifatturiero globale.
"Se guardiamo all’evoluzione delle linee produttive - spiega il manager -, alcuni casi d’uso come la manutenzione predittiva sono ormai passati dalla fase di innovazione a quella di adozione precoce, se non addirittura di adozione diffusa". Altri casi d’uso promettenti, però, per esempio sono basati sulla tecnologia edge e riguardano la sicurezza dei lavoratori e la computer vision. "Per quanto riguarda la prima - spiega l'esperto -, si osservano investimenti destinati a sensori e telecamere collegati tramite l’edge a un’unità intelligente in sede centrale con l’obiettivo di proteggere i lavoratori dal rischio di essere feriti da un robot o da un veicolo autonomo. Per quanto riguarda invece la computer vision, le sperimentazioni attuali comprendono l’utilizzo di telecamere e sensori nell’area di produzione per identificare ed eliminare i prodotti difettosi, al fine di migliorare la qualità complessiva della produzione". L’identificazione di un prodotto non idoneo deve essere effettuata in pochi millisecondi e, non essendoci il tempo di inviare i dati a un cloud o a un’unità centrale, è necessaria un’intelligenza vicino alla produzione. "Per questo motivo - sottolinea Rholfes -, Digital twin e programmable logic controller (PLC) virtuali saranno le prossime tecnologie ad essere coinvolte in questo importante processo sviluppo e crescita, mentre la formazione in realtà virtuale (VR) e l’e-Kanban richiederanno probabilmente più tempo per affermarsi".
Il settore manifatturiero ha visto un aumento della presenza di Linux rispetto alle soluzioni tradizionali, grazie alla rapida crescita delle piattaforme software-defined. "Stiamo assistendo alla fine dell’hardware proprietario abbinato a software non connesso e difficile da aggiornare - conferma il manager -. In un futuro in cui ogni anno vengono installati migliaia di nuovi dispositivi edge, sensori, telecamere e PLC, sono necessarie soluzioni IT per risolvere questi problemi OT". Il futuro ideale è quello in cui i responsabili degli impianti di produzione potranno sincronizzare automaticamente molti, se non tutti, questi dispositivi con un solo click, eseguendo anche aggiornamenti over-the-air. "In passato - commenta l'esperto - questa automatizzazione non era prevista in molti impianti di produzione. La convergenza OT-IT con modelli software-defined basati su standard aperti e democratici come l’architettura unificata OPC e Linux è fortunatamente molto vicina e può contribuire allo sviluppo di casi d’uso di questo tipo sia nell’industria manifatturiera che in quella di processo".
Il successo delle implementazioni produttive dei casi d’uso edge dipende dal lavoro di squadra di diversi operatori del mercato. Un fornitore OT deve assicurarsi che i provider dei sistemi di esecuzione della produzione (MES) utilizzino una piattaforma industriale edge matura ed entrambi dovranno fare affidamento su un system integrator per combinare le varie componenti della soluzione. "È interessante continuare a osservare come il mondo industriale si stia aprendo all’open source - aggiunge l'esperto -, intensificando i processi di collaborazione verso un’ulteriore standardizzazione. Esiste un certo parallelo tra il settore delle telecomunicazioni e l’industria manifatturiera sotto questo profilo. Il primo ha intrapreso un percorso di disaccoppiamento del software dall’hardware a partire dal 2017 e oggi dispone di standard aperti, hardware meno proprietario e costoso in bundle con il software e ulteriori sistemi connessi basati su Linux e container. Per questo ci aspettiamo che l’industria manifatturiera raggiunga nei prossimi anni risultati simili, introducendo standard aperti come l’architettura unificata OPC, l’hybrid cloud, Linux e i container all’interno di una struttura software-defined".