“Come per ogni attività e progetto che si svolge in azienda, e ancora di più per tematiche sensibili e delicate come quelle legate alla Diversity & Inclusion, secondo me è importante chiarirsi sul perché si voglia affrontare questi temi, definire, cioè, la “reason why” di un’eventuale attività”. Così, Nicola Ladisa, Human Resources and Organization Director della Holding del Gruppo De Agostini, pone le basi per un ragionamento più ampio dedicato a un mondo come quello della D&I che sempre di più, oggi, risulta essere uno dei principali vettori di crescita delle imprese contemporanee e su cui - anche in vista della prossima edizione di HR Directors Summit, l'evento pensato per mettere a confronto i direttori delle risorse umane, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit - abbiamo voluto ragionare con il manager a margine della presentazione della nuova edizione della ricerca Future of Work, dedicata quest'anno alla Diversity Equity and Inclusion, per l'appunto, e realizzata da Inaz in collaborazione con Business International - Fiera Milano.
“I programmi di D&I, infatti – prosegue Ladisa –, quando inseriti all’interno del più ampio contesto della ESG, possono avere diverse ragioni molto importanti alla loro base. Tra questi, per esempio, ci sono sicuramente gli aspetti reputazionali dell’azienda, le richieste del mercato di riferimento, il commitment degli azionisti o la crescita di consapevolezza organizzativa”. Tutte valide motivazioni concrete che nell’ultimo periodo hanno assunto un ruolo dominante nella strutturazione di strategie coerenti, in grado di rispondere davvero alle esigenze di un universo del business attraversato da una grande fase di trasformazione. “Sicuramente – sottolinea il manager –, si deve passare attraverso un forte cambiamento culturale, che non può avvenire in poco tempo, ma l’elemento davvero importante è fissarsi degli obiettivi raggiungibili, misurarli e darsi, quindi, il tempo di osservazione necessario per focalizzarsi sul trend di sviluppo che si sta realizzando”. Un’abilità da non sottovalutare, questa, perché prevede l’acquisizione anche di nuove competenze analitiche, capaci di tenere considerazione dei fattori esogeni ed endogeni che, anche e soprattutto in questi ultimi anni, abbiamo visto come e quanto possano concretamente impattare la qualità della vita lavorativa e il benessere della forza lavoro di un’impresa. “Quando si affronta un cambiamento di questa portata – avverte il manager –, bisogna essere in grado di prendersi il tempo necessario per consentire di avviare e consolidare un processo che deve attivare la vera evoluzione dell’organizzazione intera”.
Un percorso nel quale un’altra tematica fondamentale risulta essere la comunicazione. “Differentemente da quanto avveniva in passato – spiega Ladisa –, nel 2022 la comunicazione vive una completa simbiosi tra la sua dimensione interna ed esterna all’azienda. I social, infatti, hanno accelerato la rottura della separazione e delle barriere tra l’una e l’altra tipologia di conversazione con gli stakeholder. Le persone parlano dell’azienda quando raccontano di sé attraverso le piattaforme mediatiche che sono a disposizione di tutti. I valori e la cultura dell’organizzazione trapelano, così, inevitabilmente, fondendosi l’una nell’altro. Il mercato e il pubblico intercettano il tutto, facilmente, interpretandolo rispetto a ciò che vedono, leggono e ascoltano”. Un unico grande flusso di informazioni, quindi, su cui è sempre più fondamentale porre grande attenzione per poter impostare strategie di successo e valorizzazione di asset e obiettivi di crescita su cui concentrare le proprie energie. “Quando si comunica – prosegue il manager – ciò che davvero conta è saper utilizzare il giusto linguaggio per la giusta audience. Un aspetto chiave, questo, per ogni trasformazione che si voglia mettere in atto. Se continueremo a parlare di diversità e inclusività, non faremo altro che continuare a sottolineare, più o meno volontariamente, che qualcuno sia diverso e/o escluso dal “gruppo di chi diverso non è ed è parte del branco”. Un pessimo esempio di comunicazione, questo, che potrebbe essere mitigato, invece, se usassimo termini come unicità e integrazione: ogni persona ha proprie caratteristiche peculiari, proprie attitudini, competenze, talenti, esperienza, vissuto, appartenenza sociale, geografica e generazionale. Integrare le unicità porta sicuramente a innovazione e sviluppo di creatività, vitali per la sostenibilità del business e si supereranno temi comparativi e divisivi che rischiano di degenerare in fazionismi, lontani dall’essenza della inclusività stessa”.
Un concetto così semplice nelle intenzioni, ma così complesso nella realtà dei fatti, su cui probabilmente tanto le aziende quanto le istituzioni devono ancora lavorare. “È chiaro come quest’idea di trasformare la visione delle diversità in valorizzazione delle unicità necessiti ancora degli aggiustamenti naturali e fondamentali da applicare e per l’attuazione dei quali, secondo me – evidenzia Ladisa –, non possiamo dimenticare di considerare la necessità di un sistema normativo armonico e a sostegno del tutto. Ben vengano, in questo senso, leggi che favoriscano modalità come lo smart working, congedi parentali, welfare e well-being in senso più ampio. Viceversa, si farà fatica a raggiungere gli obiettivi proposti, per quanto validi e importanti”. Goal di sostenibilità che, per quanto promossi dalle aziende e sostenuti dalle istituzioni, alla loro base devono comunque fondare la propria roadmap di sviluppo su un cambiamento culturale, sia a livello di sistema Paese, in cui si inserisce e opera l’organizzazione, sia aziendale, che non può più aspettare o prescindere da scelte strategiche e valoriali. “La normativa aiuta a scardinare i retaggi culturali – chiosa Ladisa –. Sono forzature che agevolano il cambiamento, ma non è detto che lo rendano sostenibile nel tempo. L’HR ha una enorme opportunità, quella di guidare la consapevolezza di uno sviluppo organizzativo che coinvolga tutti. È necessario che ciò avvenga per la sostenibilità del business di ogni azienda. Un ambiente in cui le persone sono indispensabili per ottenere i risultati, non solo di oggi, ma anche di domani. Tra qualche anno, le aziende avranno una significativa percentuale di professionisti della Gen Z che nei loro valori e convincimenti hanno già ben chiaro come sia già quasi pleonastico parlare di Diversity & Inclusion. Loro sono inclusivi per natura e non sceglieranno facilmente di lavorare in aziende dove troverebbero dei clash valoriali forti su tali tematiche e su questo è bene che le aziende inizino a riflettere con sempre maggiore attenzione”
“La diversità è un valore che contribuisce ad ampliare gli orizzonti delle persone perché permette il confronto tra punti di vista differenti, non solo per caratteristiche demografiche o di origini o di visione dell’oggi, ma anche per esperienze collocate in momenti temporali diversi”. Inizia così la nostra conversazione con Valerio Floriani, Global Chief People & Technology Officer di Voilàp, che in poche parole identifica in maniera molto chiara il significato della Diversity & Inclusion, su cui - anche in vista della prossima edizione di HR Directors Summit, l'evento pensato per mettere a confronto i direttori delle risorse umane, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit - abbiamo voluto ragionare con il manager a margine della presentazione della nuova edizione della ricerca Future of Work, dedicata quest'anno alla Diversity Equity and Inclusion, per l'appunto, e realizzata da Inaz in collaborazione con Business International - Fiera Milano.
“Per noi – prosegue il manager –, D&I significa abbracciare il vasto insieme di caratteristiche che compongono questo concetto così articolato e sfaccettato, analizzando anche aspetti su cui, talvolta, in un primissimo momento non ci si sofferma, come il background personale, rappresentato da fede, orientamento sessuale, scolarità, comunità di appartenenza, stili di vita e molto altro”. Elementi che oggi assumono un ruolo sempre più centrale nello sviluppo di strategie dedicate all’engagement e al benessere della propria forza lavoro. “Al netto della valorizzazione e inclusione delle differenze, che da sempre caratterizza il nostro territorio di riferimento (l’Emilia Romagna, come per esempio le migrazioni di personale specializzato richiamate dall’industria dell’automotive di pregio e non solo) – aggiunge Floriani –, in azienda abbiamo deciso di concentrare il massimo degli sforzi nella gestione di quello che chiamiamo “Extra Complexity Tenure”, ovvero la convivenza di almeno due se non tre generazioni di lavoratori, essendo Voilàp un gruppo longevo, ma non soltanto. Stiamo infatti promuovendo investimenti immobiliari che, oltre a rispondere a criteri di sostenibilità, consentiranno alle persone di incontrarsi sia durante la giornata che al di fuori dei canonici orari lavorativi, con aree dedicate al coinvolgimento in azienda di ex dipendenti in pensione e la conseguente creazione di spazi per il confronto con i dipendenti più giovani, generando, da un lato, una possibilità di crescita per questi ultimi e fornendo, dall’altro, l’opportunità a chi ha già raggiunto la pensione di continuare a stare a contatto con le nuove generazioni, arricchendosi di novità, visione futura e continuando ad imparare”. Un’iniziativa, questa, che amplifica il learning & development grazie al passaggio da dipendente ad ex-dipendente, seguendo un modello consolidato e di enorme successo come quello degli Alumni nato in alcuni primari atenei internazionali ed italiani.
“Un esempio che, più in generale, poi – sottolinea il manager – ci porta a un secondo punto fondamentale nell’attuazione di una buona strategia di D&I, ovvero, la considerazione del fatto che per quanto sia giusto e doveroso considerare la diversità nel mix della propria workforce per creare i presupposti per scambi efficaci che accelerino la crescita collettiva, tuttavia, sia altrettanto vero che se questo tipo di iniziative non vengano inserite in un quadro di profonda education all’inclusione, rischino di produrre meno risultati di quanti potenzialmente se ne potrebbero ottenere”. Un rischio da tenere in grande considerazione per offrire una visione strategica a lungo termine che offra il raggiungimento di grandi obiettivi di business. “In questo senso, in Voilàp – spiega Floriani –, come in moltissime altre aziende, si è sempre più attenti a stimolare e mantenere un mix di diversity efficace, meritocratico e che guardi al futuro dell’intero gruppo: stiamo ad esempio iniziando a sperimentare iniziative volte a far conoscere alcune diversità valorizzandole attraverso un racconto empatico, rappresentato da brevi video o podcast realizzati dai nostri stessi dipendenti che percepiscono il valore della condivisone. Questo è un primo step rispetto a quelli che consideriamo essere gli asset alla base della strategia chiave: la conoscenza approfondita della nostra workforce, anche grazie a tecnologie nemmeno troppo all’avanguardia, come intranet, smartphone o similari, e una buona dote di ascolto e di apertura, che mi piace pensare parte integrante di quella ‘intelligenza emotiva’ di cui molti parlano. Sotto questo profilo, quindi, la vera sfida sembra essere la sensibilizzazione intergenerazionale”.
“Il compito di una funzione HR evoluta – evidenzia il manager – è, tra gli altri, quello di avvicinare i propri dipendenti presenti, quelli futuri ma anche gli ex, ai temi del genere e all’apertura attraverso dialogo e formazione. Tuttavia, l’education da sola potrebbe non bastare: organizzare corsi, invitare persone a speech, sensibilizzare pubblicamente su questi temi di certo può avere un impatto, ma non sempre sembra essere determinante. Crediamo che un approccio sistemico sia la vera chiave per ingaggiare le persone su questi temi: meccanismi che legano i comportamenti virtuosi agli obiettivi ed alla performance, policy definite, accessibili e immediate su temi sensibili e, da ultimo, far emergere chiaramente la posizione dell’azienda su determinati argomenti. Tutto può chiarire le aspettative verso i dipendenti stessi, sensibilizzandoli, ascoltandoli e creando un engagement di valore”. Un coinvolgimento che possa abbracciare, davvero, questa trasformazione ormai in atto. “Guardando al futuro – analizza Floriani –, quello che meglio potrebbe funzionare per questo processo di sensibilizzazione, però, sarà il lanciare iniziative concrete affinché l’attenzione a queste tematiche, la partecipazione e quindi l’inclusione entrino nel mindset comune, come lo è già, per esempio, la conoscenza della lingua inglese per un gruppo come il nostro. Lo spunto, lato dipendenti, potrebbe giungere da indagini di clima e/o valoriali: procedure trasparenti, ascolto attivo dei dipendenti, utilizzo di strumenti che catturino well-being, sensazioni e stato d’animo e che permettano a tutta la workforce di fornire suggerimenti su come migliorare la realtà lavorativa. Mentre, da un punto di vista di leadership suggerirei di sfruttare leve quali l’aumento della comunicazione, l’ingaggio attraverso processi molto partecipativi, interfunzionali e globali; importante continuerà ad essere incentivare la Job Rotation e la mobilità come strumento di conoscenza e di crescita professionale e personale e prevedere un set di valori quali empowerment, responsabilizzazione, attenzione al prossimo e all’ambiente, perché le organizzazioni complesse come le aziende saranno sempre di più le vere protagoniste del futuro delle persone, dei territori e delle comunità in cui operano”.
“Il tema della Diversity Equity ed Inclusion è uno di quegli aspetti che potrei definire non negoziabile”. Gabriele Franceschini, Executive Human Resources Director di Baker Hughes, approccia da subito in maniera decisa un argomento come quello della D&I che ormai rappresenta un asset fondamentale di cui prendersi cura nelle strategie di business e su cui - anche in vista della prossima edizione di HR Directors Summit, l'evento pensato per mettere a confronto i direttori delle risorse umane, previsto il 14 e 15 giugno 2023 presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit - abbiamo voluto ragionare con il manager a margine della presentazione della nuova edizione della ricerca Future of Work, dedicata quest'anno alla Diversity Equity and Inclusion, per l'appunto, e realizzata da Inaz in collaborazione con Business International - Fiera Milano.
“Sotto questo punto di vista – prosegue il manager –, quello che poi è il nostro più importante risultato è vedere come la nostra visione e quello che i nostri dipendenti vivono quotidianamente siano assolutamente coerenti, sia negli investimenti e nello sviluppo del talento interno ed esterno, sia nelle azioni e nei comportamenti”. La diversità va collocata, quindi, in un contesto globale che consente a qualunque persona con diverso background, razza, genere, o semplicemente modo di pensare e di agire, di accedere a prospettive illimitate di crescita. “Nella nostra organizzazione genere e cultura – prosegue Franceschini – sono considerati in piena equità e, anzi, riteniamo che più diversità di punti di vista e competenze ci siano in un’azienda, più questa si arricchisca. In Italia nello specifico siamo forti sostenitori anche della diversità di genere tanto complessa da individuare in un settore estremamente tecnico come il nostro. Devo ammettere, però, che negli ultimi anni la volontà ed i risultati eccezionali delle donne nello svilupparsi in ambiti così storicamente maschili stia portando un cambiamento estremamente positivo di cui stiamo beneficiando non solo come azienda, ma direi anche come “società” tout court”.
Una trasformazione culturale, questa, su cui probabilmente l’Italia, come sistema Paese, deve ancora lavorare, ma che sta iniziando a raccogliere i primi importanti risultati. “Ritengo – precisa il manager – che la parola ambiente sia il tema chiave per avere successo in questa nuova dimensione valoriale. In azienda abbiamo investito molto per rendere le nostre strutture più pronte ad accogliere talenti di ogni genere e tipo, anche con un’attenzione dedicata alla disabilità, rendendo cosi l’ambiente di lavoro stesso più adeguato a far vivere a tutti i professionisti l’esperienza lavorativa nel miglior modo possibile”. Un obiettivo di grande importanza, quest’ultimo, soprattutto nell’era di quella Great Resignation che sta impattando in maniera così dirompente il mondo del lavoro. “A conferma di questo, per altro – racconta Fransceschini –, vorrei citare un caso di cui siamo particolarmente fieri e che sta anche cambiando il nostro modo di lavorare, perché la diversità contamina sempre in senso positivo. Oltre un anno fa abbiamo assunto una persona con una profonda disabilità che aveva voglia di mettersi in gioco in un contesto nuovo. Altrettanto abbiamo fatto noi come azienda, scegliendo di credere che fosse possibile integrare la disabilità ed abbiamo imparato innumerevoli dettagli che fino ad allora ci erano sconosciuti. Oltre a quanto sia importante affidarsi a nuove tecnologie, abbiamo imparato come tutto possa essere vissuto e percepito in molteplici forme diverse a seconda delle prospettive della diversità: che il tono della voce è più importante di quello che mostriamo su una slide, che sorridere mentre si parla al telefono con qualcuno conta più di quanto si pensi perchè chi ci ascolta può percepire il nostro sorriso, che per certe disabilità scrivere bianco su nero è meglio del contrario, che dobbiamo vivere in un campus più sicuro con percorsi pedotattili e che non dobbiamo lasciare nessuno indietro, per alcuna ragione. La persona a cui faccio riferimento non si è soltanto distinta per aver fatto sua la trasformazione culturale che aziendalmente stiamo vivendo, ma ha fatto in modo che tutte le persone intorno la percepissero. È stata inoltre riconosciuta come meritevole di un premio globale in tema DEI, il GRIT e siamo orgogliosi di lei, siamo orgogliosi di noi”.
Un orgoglio che è sinonimo di crescita personale ancor prima che professionale e che sottolinea come ormai la cura delle proprie persone rappresenti il vero motore di sviluppo di un business guidato più dai valori e dal talento che non dal profitto e dall’economia, anche in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo. “Il talento da noi è fonte di cura indipendentemente dalla diversità, sia essa di genere o di disabilità o di altro tipo – evidenzia il manager –. Le aziende devono imparare che attenzioni e crescita professionale valicano i confini di qualunque differenza di genere ed origine culturale. Il talento viene prima di ogni cosa e i numeri parlano per noi”. Un percorso, questo, che chiaramente e in ogni caso, richiede anni di profonda trasformazione culturale dell’impresa, dove la fiducia e l’assenza di pregiudizi sono chiave per questa stessa evoluzione. “Avere donne di talento che guidino il percorso di trasformazione assieme agli uomini – spiega Franceschini – è l’elemento cruciale per bilanciare l’equazione. Chiara visione condivisa dell’importanza del DEI, scelte decise, investimenti specifici per creare solide competenze nelle giovani assunte e nessun tentennamento nella direzione intrapresa sono state poi motivo attrattivo e di successo in questo processo”. Una strada fatta di prove complesse da superare, nella quale l’importante è credere in ciò che si sta promuovendo e costruendo insieme. “Per rendere i principi guida della Diversity & Inclusion il vero DNA su cui basare la crescita, la strutturazione e il cuore pulsante della propria impresa in futuro – aggiunge il manager – le organizzazioni dovranno creare un ambiente dove tutto quello che ho finora descritto sia auto sostenibile, senza alcuna necessità che una funzione – neppure HR! – sia percepita come unico veicolo di trasformazione. Un luogo o, meglio, un ecosistema in cui ogni leader e dipendente continuino a dare il buon esempio, per educare i giovani al rispetto e alla valorizzazione della diversità. Solo continuando a focalizzarsi costantemente su questi temi, parlando e soprattutto agendo nel concreto attraverso assunzioni, piani di crescita e promozioni ovunque nel mondo si potrà raggiungere una vera inclusione tanto delle persone, quanto della diversità”.
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
In Italia, tutto – vita sociale, dinamiche di lavoro, giurisprudenza – dovrebbe essere conseguente all’articolo 3 della Costituzione, che non lascia spazio ad alcuna interpretazione o cavillo. Ma non è così. Per quanto il sentiment su questi principi sia concorde sulla loro centralità e sull’importanza di concretizzarli nella pratica quotidiana, spesso vengono disattesi, nonostante i benefici individuali e collettivi che potrebbero derivare dalla loro applicazione.
Secondo una recente ricerca di Boston Consulting Group, per esempio, le aziende con una maggiore attenzione alla diversity raggiungono risultati economici e di innovazione del 19% superiori rispetto a quelle che la disattendono. Senza contare le ricadute sotto il profilo della reputation e di Net Score Promoter (il “passaparola”). L’analisi di “Diversity Brand 2022”, di Diversity e Focus Mgmt, evidenzia un delta potenziale del +23% tra la crescita dei ricavi delle aziende percepite come più inclusive rispetto a quelle meno inclusive, con un 77.5% dei consumatori più predisposti ad acquistare prodotti e servizi presso le prime piuttosto che presso le seconde. Risultati, peraltro, ben compresi dai manager delle stesse realtà imprenditoriali che, secondo una recente indagine di DNV, nel 79% dei casi, a livello internazionale, affermano come la Diversità e l’Inclusione (D&I) siano parte integrante della strategia della propria impresa, concordando in 6 risposte su 10 sul fatto che un’organizzazione inclusiva raggiunga prestazioni migliori. Nonostante questo, però, solo il 32% dei rispondenti della stessa survey conferma che si tratti di un aspetto critico per il business; e meno di un’azienda su tre ha definito una politica a livello aziendale in questo senso.
Tutti elementi che, nella quarta edizione dell’annuale ricerca dal titolo “Future of Work” (scaricabile a questo link: https://lnkd.in/dRM87mz3), realizzata da INAZ in collaborazione con Business International - Fiera Milano, con il commento di Fabrizio Lepri, Docente di Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane all’Università degli studi Roma Tre, hanno portato a concentrare l’attenzione dell’analisi sul ruolo sempre più importante di Diversity, Equity & Inclusion. Un'analisi di cui abbiamo voluto proporvi una sintesi commentata dai protagonisti, anche in vista della prossima edizione del HR Directors Summit - l'evento dedicato al mondo delle risorse umane, organizzato da Business International - Fiera Milano e previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2023 presso l'Allianz MiCo - Milano Convention Centre all'interno del Business Leaders Summit.
Dall'analisi, infatti, emerge chiaramente come la D&I sia un fattore imprescindibile, ormai, in questa nuova epoca che misura il successo, non tanto sulla retribuzione proposta ai professionisti da parte delle imprese, quanto sulla capacità di queste ultime di migliorare la qualità della vita della propria forza lavoro a 360 gradi. “Il ruolo centrale assunto da questo tipo di valori in questi ultimi anni – spiega Lepri – è l’espressione di una profonda rivoluzione culturale globale avvenuta nel mondo lavorativo e che già era in atto da tempo, ma su cui indubbiamente la pandemia ha avuto un effetto di accelerazione imprevisto, con conseguenze inaspettate”. Una propulsione positiva che, attraverso quella necessità di sostenibilità sempre più stringente per governi, istituzioni e aziende, si è trasferita nella quotidianità delle persone, producendo un’esigenza di cura e valorizzazione dell’individuo in quanto tale che, ormai, non può più essere ignorata. “Un aspetto – sottolinea Linda Gilli, Presidente e Amministratore Delegato di Inaz – che evidenzia, se ancora ve ne fosse stato bisogno, come le aziende siano composte primariamente da persone. Individui di cui bisogna prendersi cura e che bisogna ascoltare e comprendere con attenzione per poter permettere loro di esprimere a pieno il proprio potenziale, al fine di renderli soddisfatti e felici nell’essere parte dell’impresa in cui operano, offrendo a quest’ultima un reale valore aggiunto di crescita e sviluppo”. Un principio fondamentale su cui le aziende hanno sempre più necessità di concentrarsi. A maggior ragione in un’epoca in cui il mondo del lavoro sta passando dal fenomeno della Great Resignation a quello della Great Realization e dove il vero protagonista non è più il denaro, ma l’unicità delle persone e la loro complessità, vista come un punto di vantaggio in grado di produrre un differenziale quanto mai essenziale per la competitività di un brand.
In un mondo in cui le persone vogliono sentirsi coinvolte e prese in considerazione, dunque, D&I diventano must da non poter più sottovalutare e di cui munirsi per poter guardare al futuro. Asset strategici su cui puntare, proprio come testimoniato anche dalle parole dei manager all’interno delle interviste raccolte nella ricerca, per avere uno spaccato di quel punto di vista che si sta evolvendo e trasformando, al fine di traghettare le imprese verso una nuova dimensione del business: più attenta ai bisogni dei propri stakeholder interni ed esterni e più capace di valorizzare il talento e l’eccellenza, rendendo ogni elemento protagonista di un cambiamento senza precedenti e a cui nessuno potrà sottrarsi nei prossimi mesi e anni. Una vera rivoluzione su cui bisognerà puntare, ma anche lavorare per continuare a migliorare il progresso di questa nuova epoca del lavoro e della socialità, nella quale la diversità, in Italia, non è più solo una questione di genere, ma anche di disabilità e di generazione. Tre fattori che stanno completamente trasformando la quotidianità di ognuno di noi, dentro e fuori dall'ufficio, producendo anche un confronto che, per poter produrre un vero valore aggiunto, deve basarsi su solide fondamenta culturali. Principi di ascolto e di dialogo che devono rappresentare i pilastri di un nuovo modello di fare impresa, dove il comparto economico inizia ad avere un valore sempre meno importante, rispetto alla ricaduta valoriale e sociale delle azioni e dei comportamenti proposti dall'organizzazione stessa nella sua totalità.
Secondo i dati di alcune recenti ricerche sul tema del gender gap e della D&I, in Italia oggi ci sono più donne laureate (58,7%) rispetto agli uomini (41,3%), ma una volta entrate nel mercato del lavoro, nella maggior parte dei casi lo svolgono in modalità part time 49% contro il 26,2% della componente (Inapp, 2022), dimostrando ancora le difficoltà che affrontano: stereotipi, discriminazione e la difficoltà di conciliare vita lavorativa e personale, in particolare dopo l’esperienza del covid-19. Infatti, è stato proprio il covid a rivoluzionare completamente il mondo del lavoro odierno: continua a crescere il lavoro da remoto e l’uso dell’intelligenza artificiale nell’automazione. Per sviluppare questa tecnologia serve tanta ricerca, in particolare nelle materie scientifiche e tecnologiche. In Italia il 24,9% dei laureati (tra i 25 e i 34 anni) ha un titolo di studi in STEM, ma il divario di genere è molto marcato: la quota sale al 36,8% tra gli uomini (oltre un laureato su tre) e scende al 17% tra le donne (una laureata su sei). Allarmanti quindi anche i dati riguardo le professioni digitali più richieste del 2022, che includono robotics engineer, data scientist e cloud architect, ma nel nostro Paese solo il 12% dei professionisti in cloud computing sono donne, e rappresentano il 15% dei data analysts e il 26% dei professionisti in intelligenza artificiale (Rome Business School, ER 2022). Secondo l'Osservatorio E-Work (2018), le lavoratrici italiane hanno uno stipendio mediamente inferiore del 27,8% rispetto a quello dei colleghi maschi, con una retribuzione oraria di 15,2 euro rispetto i 16,2 euro per gli uomini (Istat, 2022). Inoltre, nel Mezzogiorno, è occupato solo un terzo delle donne tra i 15 e i 64 anni e il World Economic Forum (2021) mette l’Italia al terzo posto, solo dopo la Grecia e la Costa Rica, nella classifica della disoccupazione delle giovani donne.
Questi sono solo alcuni dei consueti dati che la cronaca, la statistica e forse anche il luogo comune tricolore (e non solo), si portano dietro da anni, figli di un retaggio culturale complesso da scardinare, al netto di esempi eclatanti di cui il nostro territorio si è recentemente reso protagonista, come la prima premier donna nella storia della nostra repubblica o la prima presidente della Cassazione e simili. Tutti simboli di un'opportunità che ormai è chiara a tutti: non possono e non devono più essere solo gli uomini a ricoprire posizioni di potere.
In occasione della Festa della Donne e in un mondo del business in continuo mutamento, però, ci siamo chiesti: come poter rompere, finalmente e concretamente, un soffitto di cristallo che per decenni è apparso infrangibile? Ciò che abbiamo compreso, dopo un'analisi approfondita di vari studi di ricerca, è che anche in questo caso tanto le aziende, quanto le professioniste, si trovano davanti a una strada a doppio senso, dove l'impegno deve essere reciproco e solo con fiducia e collaborazione si possono raggiungere grandi obiettivi. Così, anche in vista della prossima edizione di HR Directors Summit - la manifestazione dedicata al mondo delle risorse umane, organizzata da Business International - Fiera Milano e prevista il prossimo 14 e 15 giugno 2023 presso Allianz MiCo - Milano Convention Centre, all'interno del Business Leaders Summit -, abbiamo cercato di trovare quanto meno un'indicazione di massima per percorrere questa roadmap in entrambe le direzioni, attraverso una sintesi approfondita di due whitepaper realizzati da CoachHub e Indeed per offrire dei consigli sia al management aziendale, sia alle professioniste sui passi da compiere al fine di trovare la giusta interpretazione di questa sfera lavorativa che non può più essere sottovalutata, ma anzi va tenuta sempre più in considerazione per ridurre le diseguaglianze e rendere le organizzazioni sempre più sostenibili a 360 gradi.
Come abbiamo capito, dunque, sebbene molti passi in avanti siano stati fatti per ridurre il gender gap sul luogo di lavoro, raggiungere la piena parità di genere è un obiettivo ancora lontano. Per andare sempre più in questa direzione, l’analisi delle varie tappe del percorso professionale può aiutare i responsabili HR e il management ad attuare le giuste misure per colmare il divario vissuto in particolar modo dalle donne. Così, per favorire un maggiore sostegno alle donne in azienda e incentivarne l'empowerment, gli esperti di CoachHub hanno elaborato alcuni consigli pratici legati alle fasi chiave dell'employee experience, in cui il supporto alle esigenze specifiche di ogni donna può essere il punto di partenza per la loro crescita come leader.
Una visione del mercato, quella proposta da CoachHub, che è stata confermata anche in un recente sondaggio di Indeed che ha sottolineato come i pregiudizi o le discriminazioni siano stati il principale ostacolo che le donne italiane hanno ritenuto di dover affrontare nella ricerca di un lavoro. In occasione della Giornata Internazionale della Donna, quindi, gli esperti del sito per chi cerca e offre lavoro, hanno voluto raccogliere il racconto di chi è riuscito a “rompere il soffitto di cristallo” per proporre 10 consigli di buon senso, frutto di anni di confronto con numerose donne che hanno saputo raggiungere posizioni di successo:
10 step fondamentali, questi, per costruire la propria figura e la propria dimensione profassionale, che non rappresentano solo un vade mecum, ma possono diventare la struttura portante di una cultura di approccio personale al mondo del lavoro, in grado non solo di essere funzionale alla singola professionista, ma anche a un'intera generazione di lavoratrici a cui trasferire valori ed esempi pratici per superare e abbattere quelle barriere ancora oggi presenti negli uffici di tutto il mondo e che sempre di più raffigurano un'immagine sbiadita e in bianco e nero del concetto di lavoro. Un disegno in cui nessuno può e potrà più riconoscersi se davvero si vuole e si vorrà rimanere al passo con i tempi e magari anche guardare a un futuro diverso, dove crescita, innovazione e sostenibilità, non risultino solo bei sostantivi - per altro tutti femminili - ma siano i veri goal da raggiungere.
La capacità di curare e valorizzare ogni individuo presente in azienda – espressa con la formula Diversity, Equity & Inclusion – è un asset strategico irrinunciabile per raggiungere risultati superiori in termini economici, di innovazione e di fiducia della business community. Eppure le imprese italiane sembrano non averlo ancora capito, o quantomeno non riescono a concretizzare le generiche “buone intenzioni” (che pure si diffondono sempre di più) in azioni realmente incisive, anche a breve termine.
È quanto emerge da “Future of Work” (scaricabile a questo link), la ricerca curata da Inaz – Osservatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano, che per l’ultima edizione si è concentrata sui temi della D&I con un sondaggio fra circa 100 HR Director di aziende italiane (settembre-ottobre 2022), curato da Fabrizio Lepri, docente di Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane presso l’Università degli Studi di Roma Tre. Un'analisi di cui sono stati presentati in anteprima i risultati nell'ultima edizione di HR Business Directors, a Roma, e di cui abbiamo voluto proporvi di seguito una sintesi, anche in vista del prossimo appuntamento di HR Directors Summit, previsto all'Allianz MiCo - Milano Convention Centre, il 14 e 15 giugno 2023, all'interno di Business Leaders Summit.
«Abbiamo scelto un tema stimolante, complesso, che mette a confronto le generazioni e rientra nell’ambito più ampio della sostenibilità – commenta Linda Gilli, Cavaliere del Lavoro, presidente e AD di Inaz –. Tema che, soprattutto, comporta un forte commitment da parte dei vertici aziendali. La diversità, infatti, spaventa. Nel tempo si sono accumulati molti strati di pregiudizio. E sul pregiudizio sono stati costruiti muri di diffidenza. Senza ricorrere a giri di parole, vanno abbattuti. Perché la diversità delle persone è un valore prezioso, che arricchisce le imprese e chi nelle imprese lavora». Sembra esserci ancora molto da fare, quindi, per portare l’Italia su posizioni competitive per quanto riguarda l’inclusione e la valorizzazione delle diversità. La ricerca Future of Work 2022 conferma quanto da anni viene indicato dalle classifiche internazionali investigando per prima cosa sulle ragioni che spingono i vertici aziendali italiani a occuparsi di D&I: spicca la grande importanza che al tema viene attribuita sul piano etico (84% delle risposte), ma sono poco compresi i suoi risvolti in termini pratici, cioè di business (50% delle risposte) e fiducia della comunità finanziaria (42%). D’altra parte, una percentuale interessante di risposte viene però raccolta dalla voce “Engagement, attraction e retention” (64%): questo significa che sta crescendo nelle aziende l’attenzione alle generazioni più giovani, che sono più sensibili alle tematiche D&I. Per quanto riguarda poi le differenti aree di diversity, emerge che la maggiore attenzione viene posta su disabilità (78% delle risposte) e genere (76%), seguite dalle differenze generazionali (62%) e poi, a maggiore distanza, da orientamento sessuale, origine geografica e religione.
Arriviamo poi alla domanda sul livello di strutturazione dei piani D&I e delle azioni messe in atto. Qui meno della metà delle aziende intervistate (46%) risponde di avere una pianificazione già presente; di quelle che hanno risposto di no, il 63% prevede però di elaborarne una nel prossimo futuro.
Fra le azioni messe in campo dalle aziende spiccano quelle dedicate a contrastare la disparità di genere (76% delle preferenze), disparità che si manifesta principalmente nello sbilanciamento di responsabilità e retribuzioni fra uomini e donne. In questo ambito salta all’occhio però che solo il 44% delle aziende intervistate monitora in modo sistematico il gender pay gap e solo il 38% fa effettivamente qualcosa per ridurlo; per contro, le aziende dichiarano di concentrarsi di più nell’incrementare il numero di donne in ruoli manageriali (il 60% ha azioni in corso in questo senso). «Complessivamente – riassume il Prof. Fabrizio Lepri – i dati che emergono dalla survey sembrano indicare un importante ritardo nei risultati sulla parità di genere nelle aziende, in linea con i dati pubblicati in un report del 2022 dal World Economic Forum, in cui l’Italia figura al 63° posto nella graduatoria basata sul ranking conseguito nel KPI denominato Global Gender Gap Index. Al tempo stesso, però è abbastanza o molto diffusa la consapevolezza sulla necessità di mettere in campo azioni specifiche finalizzate ad attenuare gradualmente il gap riscontrato».
La ricerca di Inaz e Business International – Fiera Milano prosegue approfondendo anche tematiche come l’inclusione delle persone con disabilità, il valore dei processi HR come leve per la D&I, l’utilità degli HR Data Analytics e l’utilizzo del welfare aziendale come strumento di inclusione e miglioramento del work-life balance.
La conclusione è abbastanza netta: «L’indagine – commenta il Prof. Lepri in chiusura del report – restituisce nell’insieme un’immagine di vivacità delle aziende italiane sui temi Diversity & Inclusion ma, al tempo stesso, mostra che siamo ancora lontani da una condizione generalizzata di maturità sul piano dell’ampiezza e della profondità delle azioni messe in atto. (…) Se volgiamo lo sguardo anche fuori dal mondo del lavoro, si può intuire che in uno scenario sociale, politico e geostrategico come quello attuale, in cui i temi della diversità e dell’inclusione sono interpretati in modo altalenante, controverso e talvolta regressivo, la spinta di cui le imprese hanno ancora bisogno, per una più completa assunzione di responsabilità e chiarezza di prospettive, sembra poter venire nei prossimi anni dalla graduale crescita di protagonismo delle nuove generazioni».
Dunque, anche in ragione dei profondi cambiamenti portati dalla pandemia – che ha per certi versi aumentato l’attenzione delle persone verso il benessere e la realizzazione in ambito lavorativo – pur tra incertezze e battute d’arresto il futuro sarà modellato dalla spinta di nuove leve, i Millennials e la Gen-Z, che portano nuovi valori: «Un aspetto – conclude Linda Gilli – che evidenzia, se ancora ve ne fosse bisogno, come le aziende siano composte primariamente da persone. Individui di cui bisogna prendersi cura e che bisogna ascoltare e comprendere con attenzione per poter permettere loro di esprimere a pieno il proprio potenziale, al fine di renderli soddisfatti e felici nell’essere parte dell’impresa in cui operano, offrendo a quest’ultima un reale valore aggiunto di crescita e sviluppo».