A chi spetta il controllo dei costi
del personale? Alle risorse umane? È una domanda ricorrente tra quanti nelle
aziende si occupano della gestione dei dipendenti. La risposta, tuttavia, non è
scontata perché implica una visione più ampia. È quella che BiMag ha chiesto di
condividere con Giorgio Cirinà, partner di EOS Management Consulting, docente al
corso organizzato a Milano da Business International lo scorso 21 gennaio.
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www.bimag.it - A cura di Filippo Poletti - BiMag
«Kodak un tempo aveva una posizione
dominante nel settore delle apparecchiature per immagini e per la stampa, HMV un
tempo era leader nella distribuzione musicale, Nokia un tempo aveva una
posizione dominante nella telefonia mobile. La lista dei giganti caduti in
disgrazia continua». Inizia così, da una rasoiata, l’intervista di BiMag con
Nimalan Nadesalingam.
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Adam Kingl, Executive Director di Learning Solutions ed Executive
Education, presso la London Business School, ha rilasciato una lunga ed
approfondita intervista a Business International nei giorni scorsi. Riportiamo
di seguito un estratto delle sue dichiarazioni.
Domanda: Potrebbe raccontarci una parte dei risultati della vostra
interessante survey annuale, rivolta ai partecipanti al programma “Emerging
Leaders”, sui temi del lavoro, dell’engagement professionale e della leadership?
Che cosa emerge dall’ultima edizione dell’indagine?
Risposta: Since 2009, London Business School has been issuing a survey to
the participants of our executive education open enrolment Leading Teams for
Emerging Leaders Programme, asking their attitudes toward work, employee
engagement, and leadership paradigms. This course is a training ground for the
global managers of the future and are almost all Gen Y – average age is 29,
representing 33 countries over the past five years.
One of the questions of this survey asks how long the programme participants
anticipate staying with their current employer:
The results support this startling change in worker attitudes over the last two generations:
Two startling conclusions from these results are that 1) 90% of those
surveyed anticipate staying with their employer for no more than five years, and
2) over a third do not foresee staying more than two!
For the employer, and specifically the HR function, the implications are
fundamental. HR needs to focus more on asking their employees: what can you do
for us now rather than five years from now? How can we support your development
with short, sharp interventions, programmes, mentoring, or coaching? How can we
support your career, knowing you will probably explore other opportunities, and
entice you back when you are an even more senior, fully developed professional?
How can our culture, rather than our employee ‘package’, keep you longer than we
would otherwise enjoy? What benefits do you truly want, recognising that those
benefits that grow slowly over time may not be relevant to you?
These are not easy questions to answer, particularly because the answers will be
idiosyncratic to each organisation, each answer defining or redefining its
culture and employer proposition in a manner that supports its unique brand,
mission, vision and values. But if talent is key to success, and I see no
evidence to suggest this paradigm has changed over the generations, then our
answers must be compelling ones and may in some cases represent a sea change
over previously held sacred cows. [...]
Per ulteriori approfondimenti, si rimanda al convegno
Per leggere l’intervista completa
Il Consiglio dei ministri n.79 del 4 settembre 2015 ha dato il via libera
definitivo agli ultimi quattro decreti legislativi del Jobs Act. Tra le norme
approvate anche quelle relative al tema scottante dei controlli a distanza sul
personale dipendente.
In sintesi, le aziende potranno controllare a distanza i propri lavoratori
tramite gli strumenti di lavoro come pc, tablet e cellulari, senza che sia
necessaria un’intesa sindacale o un’autorizzazione dal Ministero del Lavoro,
richieste invece per installare telecamere o altri sistemi di controllo fissi.
Sarà tuttavia sempre obbligatorio informare prima e in maniera completa i
lavoratori sulle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei
controlli, che devono avvenire sempre nel rispetto della privacy. In base a
queste due condizioni, le informazioni che l’azienda raccoglierà, saranno
utilizzabili anche ai fini disciplinari, compreso il licenziamento.
L’articolo 4 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (dello Statuto dei lavoratori) è
dunque sostituito dalle “Disposizioni in materia di rapporto di lavoro” n. 23,
contenute nel Decreto legislativo “Disposizioni di razionalizzazione e
semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e
imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari
opportunità”, emanato in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183.
Per approfondimenti in merito, si rimanda al seminario:
Business International ha intervistato Marco Monga, direttore risorse umane
dell’Istituto IIT, Fondazione nata nel 2003 con lo scopo di promuovere lo
sviluppo tecnologico e la formazione avanzata del paese. Sotto la direzione di
Monga, l’Istituto ha scelto di aderire al network di Business International -
una community di aziende che condividono i valori del confronto, dello scambio
di esperienze e del miglioramento continuo, a cui è possibile aderire
annualmente per poi partecipare agli eventi formativi.
Abbiamo chiesto al dott. Monga la sua opinione sull’importanza della formazione
in azienda.
DOMANDA: Quanto è importante la formazione per la sua azienda e nel suo
mercato? Che ruolo ha e quale sarà il vostro trend di spesa nei prossimi anni:
stazionario, in aumento o in diminuzione?
RISPOSTA: La formazione è uno strumento che da solo non assolve al tema
dello sviluppo del capitale umano, ma allo stesso tempo riveste un ruolo
insostituibile in tale processo. I progetti formativi quindi sono sempre al
centro dell’investimento dedicato alla crescita delle competenze di professional
e manager. La natura giuridica di IIT, ossia di Fondazione di diritto privato ma
organismo di diritto pubblico, ci rende soggetti a diverse norme di finanza
pubblica, tra cui quelle che congelano le spese per la formazione ai valori del
50% di quanto speso nel 2010. Questo vincolo non ci consente di investire quanto
vorremmo, per cui la nostra azione di pianificazione e progettazione deve
ingegnarsi nell’ottenere il massimo risultato con il minimo delle risorse. Per
cui, seppure il budget sia contingentato, negli ultimi anni abbiamo sviluppato
interventi formativi in qualità e quantità maggiormente organica ed efficace
rispetto al passato, centralizzando la gestione dei progetti e investendo
nell’analisi delle esigenze interne.
DOMANDA: Innovazione: sarà secondo lei la parola chiave anche nella
formazione? Come ed in che modo?
RISPOSTA: L’innovazione nella formazione non è solo un tema di tecnologie al
servizio della stessa. È di assoluto rilievo anche saper progettare piani di
sviluppo in cui il training tradizionale si integri con altre fonti di
apprendimento teorico ed esperienziale, ma soprattutto con l’agire di figure
chiave a supporto del processo, dal coach al capo. In sintesi, gli attori in
gioco non sono solo due (l’ufficio formazione e il dipendente), tutta
l’organizzazione deve contribuire. Includendo anche una necessaria
responsabilizzazione verso l’autoformazione, quale parte integrante di questi
percorsi. L’investimento infatti deve essere reciproco: da una parte il datore
di lavoro, che seleziona le persone su cui investire secondo criteri trasparenti
e meritocratici, dall’altro le stesse persone, che si mettono in gioco non solo
sul piano delle prestazioni, ma anche nella capacità di evolvere.
DOMANDA: Ci racconta un vostro progetto formativo di recente implementazione?
RISPOSTA: Negli ultimi anni abbiamo promosso workshop interni di
autoprogettazione dei contenuti essenziali sul management. In particolare
abbiamo coinvolto oltre cento capi nella condivisione delle proprie esperienze
sui temi della leadership e della gestione dei feedback, con la finalità di
elaborare l’”IIT style” da condividere e rendere fruibile a tutti, su cui quindi
progettare materiale formativo e informativo. Da tale esperienza, nella quale
abbiamo avuto il ruolo di facilitatori e guida, abbiamo raccolto frutti
importanti, sia sul piano dei riscontri reali (gli obiettivi sono stati
pienamente raggiunti) che dell’autorevolezza del ruolo dell’ufficio formazione e
sviluppo nel contesto organizzativo.
DOMANDA: Cosa vi ha convinto ad aderire al progetto Network di Business
International?
RISPOSTA: Il network BI offre occasioni di approfondimento e di aula che
bene si integrano nei percorsi di sviluppo che progettiamo per le figure chiave
di IIT. Apprezziamo in particolare il taglio pratico che viene dato agli eventi,
con molta enfasi data alle esperienze di altre realtà, da cui deriva anche la
possibilità di realizzare un vero scambio di idee e di networking in senso lato.
Per approfondimenti:
http://www.businessinternational.it/Page/Network
Il prossimo 9 giugno a Milano si terrà il convegno promosso e organizzato da
Business International su Privacy e Videosorveglianza. Un incontro tra
responsabili delle risorse umane, per fare il punto sul nuovo regolamento
europeo e sulle novità del jobs act in materia di videosorveglianza. Abbiamo
rivolto alcune domande alla dott.ssa Patrizia Ghini titolare dello Studio
Patrizia Ghini consulenza direzione & organizzazione aziendale, esperta
dell’argomento e relatore del convegno.
Domanda. Quali sono le tappe che dovrebbe seguire il legislatore italiano
per realizzare un nuovo modello di gestione della tutela e della protezione dei
dati personali? Che risvolti avrebbe nella relazione tra dipendente e impresa
privata o ente pubblico?
Risposta. Bisognerebbe individuare quali sono gli adempimenti e i vincoli
sostanziali che occorre far rispettare alle aziende in maniera rigorosa,
semplificando unicamente gli adempimenti formali (che, peraltro, nel tempo sono
già stati ridotti sensibilmente, si pensi all’Informativa e al DPS), superando
la visione che la normativa sulla privacy si traduca solo in una serie di
formalismi del tutto inutili e che di fatto “non serve a niente”.
D. Quali son i punti più controversi nella gestione del controllo dei
lavoratori da parte del datore di lavoro attraverso i social media, mail, App?
R. Le aziende non vogliono e spesso non possono vietare del tutto
l’accesso a internet da parte del personale. Ciò per motivi di “clima” aziendale
(non “vogliono” vietarlo del tutto) o di utilità a fini lavorativi (non
“possono” vietarlo del tutto). Da tale scelta, conseguono, tuttavia, una serie
di problematiche: prima di tutto occorre verificare se e come sia legittimo
controllare ciò che il lavoratore fa quando accede a internet e, in seconda
battuta, appurare che tipo di azioni disciplinari siano possibili, con quali
modalità e con quali limiti.
D. Quali sono le difficoltà e gli obblighi che incontrano le aziende
nella gestione della videosorveglianza all’interno e all’esterno del proprio
spazio di lavoro?
R. Spesso le aziende installano sistemi di videosorveglianza senza sapere
che vi sono dei vincoli legali. E questo perché si nota una sempre più frequente
diffusione delle telecamere, in ogni luogo, aziendale, pubblico, privato, e si
dà così per scontata la possibilità di installazione. Così non è, come ha
chiarito più volte l’Autorità Garante per la privacy. Anche per le aziende che
intendano muoversi in un quadro legale, tuttavia, vi sono difficoltà
interpretative soprattutto per quanto riguarda il rispetto del divieto di
controllo a distanza stabilito dallo Statuto dei lavoratori (es. posizionamento
delle telecamere, orientamento, procedure autorizzative).
D. Diritti e doveri delle aziende e dei lavoratori in ambito di privacy.
Quali sono le norme comportamentali che ogni azienda deve adottare e ogni
lavoratore deve rispettare?
R. L’azienda deve elaborare alcune fondamentali direttive e procedure
operative, il più possibile chiare e sintetiche, alle quali devono associare
un’adeguata formazione al proprio personale: in assenza non potrà mai esserci
una vera e sostanziale compliance privacy. I lavoratori, dal canto loro, devono
evitare atteggiamenti qualunquisti in merito all’utilità delle disposizioni
aziendali e devono attenersi alle indicazioni fornite dal datore di lavoro, il
quale, a sua volta, non dovrà “tollerare” comportamenti non conformi alle
regole. Ciò riguarda, ad esempio, la gestione delle password, la possibilità o
meno di accedere, condividere e rendere disponibili informazioni riservate (sia
all’interno che all’esterno della compagine aziendale), le modalità di corretta
archiviazione e conservazione della documentazione.