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E se il leader del never normal fosse un pioniere?

Il periodo appena trascorso può apparirci come l’immagine sfocata di un paesaggio metropolitano. Anche se non nitido, riusciamo a riconoscere e orientarci nel contesto rappresentato perché ci è familiare: è quello in cui quotidianamente ci muoviamo, molto spesso anche con il pilota automatico attivo. Questa immagine si offre alla nostra mente come la metafora del nostro agire quotidiano, dandoci l’opportunità di riflettere sui nostri meccanismi di azione e reazione, di consuetudini e intenzioni.

Nel recente passato, travolti dagli avvenimenti sociali, economici e dagli impatti organizzativi scatenati dalla pandemia, ci siamo abituati all’idea che di “normale” non ci sarebbe stato più nulla. Prima ci siamo convinti che si sarebbe trattato solo di una fase di transizione verso una nuova normalità, ma oggi sentiamo sempre di più che questo “new normal” si sta trasformando in un “never normal”: il paesaggio metropolitano non torna nitido e, seppure a noi familiare, nella sua non “messa a fuoco” ci impone un riadattamento, e di trovare nuovi strumenti e vie per orientarci all’interno di un contesto che appare definitivamente imprevedibile ed incerto. Questa metafora, applicata all’impresa, ci suggerisce di ripensare chi la guida, nella sua evoluzione da creatore a innovatore.

Per conoscere e riconoscere questi nuovi leader ci è molto utile leggere l’evoluzione delle loro competenze come una risposta agli stimoli e alle condizioni generati dal mondo in cui si muovono e ci muoviamo. Un mondo che è cambiato, cambia e ancora cambierà ad alta velocità… saliamo dunque su una macchina del tempo che, facendoci muovere per gioco tra passato, presente e futuro prossimo, ci porta ad una migliore comprensione di questa evoluzione.

E’ il 2015: inizia la Presidenza di Sergio Mattarella, Samantha Cristoforetti torna sulla terra dopo 200 giorni nello spazio; arriva a pieno compimento il disegno di legge “Industria 2015” dalle cui fondamenta prenderà sostanza il Piano Calenda negli anni a seguire, per la realizzazione italiana della quarta rivoluzione industriale, all’insegna della digitalizzazione e della scoperta di un nuovo umanesimo industriale. Il 2015 assume le sembianze di un propulsore del mondo in cambiamento, dando una spinta al ruolo centrale delle imprese nella società. Un’analisi dei nostri mandati di selezione di quell’anno, sostenuta anche da alcuni dati del World Economic Forum, ci mostra ai primi posti di una classifica delle competenze dei manager più richieste, le seguenti: problem solving, people management, pensiero critico, ascolto attivo e negoziazione. Quanto oggi suonano tradizionali o addirittura scontate, forse, alcune di queste?

Risaliamo sulla macchina del tempo, è il 2020, siamo in piena pandemia: le aziende, ammortizzata l’onda d’urto, realizzano che è tempo di accelerare sulle transizioni avviate e che il cambiamento, sul fronte del business quanto su quello organizzativo, ha il suono di “un’ultima chiamata”…



L’immagine con cui abbiamo aperto la nostra riflessione muta: dal landscape metropolitano, si apre la vista su una galassia… la vista dei nostri leader continua a essere sfocata ma in questo spazio temporale, non godono più del comfort della consuetudine. Siamo un’umanità in viaggio, ma vengono meno le coordinate, sale l’inquietudine di ciò che non si conosce. Ecco che la classifica si modifica radicalmente e si apre con una competenza nuova quanto essenziale: la tenuta alla complessità crescente. L’incertezza impatta sul processo decisionale dei leader, forgia i loro comportamenti sotto costante pressione e la loro capacità di restare in equilibrio e di guidare e sostenere i propri team. Da resilienti, questi leader evolvono in anti-fragili, la complessità diventa uno stimolo da accogliere e a cui reagire trasformando gli apparenti rischi in opportunità, con spirito innovativo e di inclusione. Permane nella classifica del 2020 il pensiero critico – forse con un significato rinnovato: quello legato all’importanza di porsi domande, di chiedersi i “perché”… una chiave necessaria per la lettura della complessità – ed emerge la creatività, come competenza trasversale che consente di generare nuove idee, soluzioni… di immaginare “nuove cose” o semplicemente “nuovi modi”. La top 5 si chiude con la sempre buona gestione delle persone e con l’intelligenza emotiva che, pur definita da Daniel Goleman nel lontano 1995, riscopre ulteriore valore in questo tempo la cui metrica è cadenzata sempre più dalle emozioni come asset in seno all’impresa.

Continuando il nostro viaggio, approdiamo infine al 2025, per svelare un ranking di competenze dei futuri leader del tutto rinnovato: al primo posto compaiono innovazione e re-immaginazione. I leader del futuro prossimo, quelli che stiamo selezionando e valutando oggi, sono coraggiosi e creativi, nella misura in cui sono in grado, in questa galassia sfocata, di re-immaginare, per realizzare “nuovo valore” e per sostenere e guidare la propria organizzazione in questa direzione. Sono leader dotati di una visione solidamente ancorata all’eccellenza esecutiva: non basta essere sognatori, i sogni devono essere realizzati, ed in tempi sempre più stringenti. Sono leader sociali: di quella responsabilità legata al sempre più evidente assunto che l’impresa è parte di un organismo vivente più ampio che come tale funziona se ogni parte agisce in convergenza. Sono quindi leader che rappresentano una comunità, che fanno funzionare un sistema più ampio e complesso, insieme ad altri leader. Chiude la top 5 delle competenze del futuro prossimo la capacità di guidare attraverso i valori: le nuove generazioni di leader sono sempre più spinte a sposare mandati e progetti professionali che consentano loro di essere ambassador e promotori del purpose aziendale come fosse una cassa di risonanza che attraverso i valori lega impresa, persone, comunità. Verso un comune fine ultimo.

La galassia che si apre davanti ai nostri occhi torna nitida, l’inquietudine di ciò che non conosciamo lascia spazio all’attrazione di nuovi mondi da vivere. Questo è possibile perché le nuove competenze sono le coordinate che rendono possibile navigare in sicurezza questo spazio inesplorato; re-immaginazione e visione, come il Nord su una bussola, consentono di orientarsi e mettere a fuoco ciò che ci circonda.

Mi piace quindi pensare al leader del futuro come ad un pioniere: “colui che apre una via agli altri, esplorando regioni sconosciute e insediandosi in esse, in modo da consentire nuovi sbocchi all’attività umana”; “è il primo o fra i primi a lanciarsi in una iniziativa, a intraprendere un’attività, a diffondere un’idea, aprendo nuove strade, nuove prospettive e possibilità di sviluppo”. In Glasford lo definiremmo un Evolutioner.

E allora buon viaggio, “verso l’infinito e oltre”!

Non perdere l'occasione di scoprire la realtà di Glasford International Italy, partecipando al HR Directors Summit, l'evento, previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2022 e dedicato al mondo delle Risorse Umane che si terrà presso il Museo Diocesano di Milano all'interno di Business Leaders, la settimana di eventi, prevista dal 13 al 17 giugno 2022, ideata da Business International - Fiera MIlano e dedcata ai migliori C-level dell'impresa moderna.

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L'HR Manager del futuro: guida del cambiamento aziendale tra lavoro ibrido, digital identity e new skill

Il momento attuale – dirompente e ricco di sfide – richiede HR Manager intrapredenti, che sappiano prendere iniziative per ottenere un vantaggio competitivo dando la giusta direzione all’organizzazione. Già, perché un Direttore HR oggi deve esserne la bussola. Deve progettare delle policy di lavoro ibrido, di “blended working” (in parte lavoro da casa, in parte in ufficio), dare un’identità digitale a tutta la forza lavoro, compresi i deskless workers – i dipendenti senza postazione fissa in ufficio – e garantire all’Azienda le competenze che serviranno anche domani per dare linfa al piano industriale che l’Azienda si è data per crescere.

Il fenomeno della Great Resignation, come testimonia la ricerca mondiale AI@work promossa da Oracle, ha rimesso al centro di ogni progetto di sviluppo aziendale l’equilibrio tra vita privata e professionale, il benessere fisico e mentale dei dipendenti che chiedono di essere maggiormente coinvolti e di poter ambire a progetti di carriera più chiari. Ha, insomma, rimesso al centro le persone. Un HR Manager deve quindi ripensare il lavoro proprio e dei colleghi come una vera e propria Esperienza – sì, con la E maiuscola - che accompagna la maggior parte del nostro tempo (più o meno il 50% della nostra vita da svegli - non poco!). Per farlo, prima e oltre alle policy, servono canali di ascolto innovativi, momenti meno formali e più frequenti di condivisione degli obiettivi, riconoscimenti sinceri per i traguardi raggiunti dalle persone durante la propria Esperienza lavorativa. Oggi tutto questo è a portata di clic (o di tap) grazie a Oracle ME (My Experience).

Non perdere l'occasione di scoprire la realtà di Oracle Italia, partecipando al HR Directors Summit, l'evento, previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2022 e dedicato al mondo delle Risorse Umane che si terrà presso il Museo Diocesano di Milano all'interno di Business Leaders, la settimana di eventi, prevista dal 13 al 17 giugno 2022, ideata da Business International - Fiera MIlano e dedcata ai migliori C-level dell'impresa moderna.
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Vanni Gaetano (Argo investigazioni): il detective privato? Il braccio destro delle HR per migliorare gli investimenti aziendali a 360 gradi

La fiducia è elemento costituente di un rapporto di lavoro che si basa su vincolo fiduciario tra datore di lavoro e prestatore di lavoro”. E’ questo il vulnus fondamentale che Massimo Vanni Gaetano, Milan Office Director di Argo Investigazioni, sottolinea da subito in una chiacchierata realizzata a seguito della sua partecipazione al HR Business Summit dello scorso novembre 2021 a Roma e in vista della nuova edizione del HR Directors Summit, l’evento organizzato da Business InternationalFiera Milano, dedicato al mondo delle risorse umane e previsto all’interno degli spazi del Museo Diocesano di Milano, il 14 e 15 giugno 2022, durante la settimana di manifestazioni pensata per riunire i migliori C-level di alcune delle più importanti aziende e multinazionali operanti sul territorio italiano. “E’ ovvio – prosegue il manager – che un comportamento scorretto da parte del dipendente nuoce a questo vincolo, potendo così imporre sanzioni fino al licenziamento per giusta causa senza alcun termine di preavviso”. Una situazione scomoda, dunque, nella gestione del rapporto professionale da parte dell’impresa che, purtroppo, è aumentata in questi ultimi due anni di Pandemia e che ha portato sempre di più le aziende a rivolgersi a investigatori privati, la cui reputation ha avuto un deciso miglioramento negli ultimi anni. “Da quando si è capito che l’investigatore privato non è più quella figura necessaria per documentare solo l’infedeltà coniugale, come avveniva fino a qualche tempo fa nell’immaginario collettivo – spiega Vanni Gaetano –. A differenza del passato, infatti, oggi per ottenere la licenza investigativa occorre una specifica laurea con un’esperienza pregressa nel settore. Questo nuovo modello, chiaramente in questi ultimi anni ha professionalizzato molto la figura dell’investigatore privato, incentivando anche la predisposizione di budget annuali da parte delle aziende nei confronti delle attività di investigazioni private per difendere i propri diritti”.

I VANTAGGI DELLE INVESTIGAZIONI PRIVATE AZIENDALI
Un cambio di percezione che ovviamente ha portato anche a un cambio di modalità lavorativa e di vantaggio prodotto nei confronti del mondo del business e della relazione tra datore di lavoro e dipendente. “Quando siamo interpellati da un’azienda – sottolinea il manager –, esiste il sospetto di uno o più comportamenti scorretti da parte di un dipendente, un socio o un concorrente. I vantaggi differiscono leggermente tra loro a seconda del caso specifico, vi è però un obiettivo comune: reperire materiale probatorio utilizzabile in sede giudiziaria per far valere o difendere il proprio diritto. Il più delle volte però il vantaggio è economico. Per esempio, se si trovano prove che documentano il comportamento scorretto del dipendente, questo fa si che quest’ultimo possa essere licenziato per giusta causa e quindi l’azienda non dovrà più sostenere i costi per il personale che non produce ricavi. Avrà quindi un impatto positivo in termini economici e produttivi, raggiungendo risultati migliori, come per esempio, un miglior bilancio, senza costi inutili e con un aumento del fatturato. Inoltre, punire un dipendente può avere un effetto deterrente anche su eventuali comportamenti scorretti da parte degli altri dipendenti. Pertanto l’azienda ha la possibilità di migliorare la sua attività lavorativa”.

TECNOLOGIA, CYBERSECURITY E PROTEZIONE DEI DATI, IL FUTURO DELLE INVESTIGAZIONI PRIVATE AZIENDALI
In ogni caso, risulta chiaro come il core dell’investigazione rimane sempre l’osservazione statica e dinamica attraverso la quale si ottiene il materiale probatorio e si può così stilare un dossier investigativo, anche se la tecnologia sta ottimizzando e snellendo questo tipo di operazioni. “Il futuro di questa attività – sostiene Vann Gaetanoi – è rappresentato dall’open source intelligence, le cosiddette indagini OSI, che vengono espletate attraverso analisti, aiutate da specifici software e tool che consentono di acquisire informazioni da fonti aperte, aiutando gli investigatori, sia nella fase preliminare, sia durante l’indagine vera e propria”. Un altro uso della tecnologia, poi, è quello dei localizzatori gps. “Il DM 269 del 2010 – continua il manager – prevede la possibilità di effettuare il pedinamento elettronico con l’uso del gps. Oltre a questo però ci sono anche altre richieste che riguardano l’ambito tecnologico nel nostro lavoro. Basti pensare a quanto sia importante oggi investire in cybersecurity. In questo senso, la tecnologia ci permette di supportare le aziende effettuando, per esempio, anche penetration test o vulnerability assessment, garantendo così una compliance aziendale maggiore. Un elemento sempre più importante per le aziende e che potrebbe rappresentare il prossimo sviluppo di questo settore, soprattutto nell’ambito della protezione dei dati”.


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Il 40% dei dipendenti sceglie il proprio datore di lavoro in base a quelli che sono i valori e gli obiettivi aziendali

La sostenibilità è senza dubbio uno dei cardini più rilevanti su cui oggi le organizzazioni moderne costruiscono il proprio brand e la propria immagine, attraggono e trattengono i propri talenti, si differenziano sul mercato, indirizzano efficienze e riducono i costi operativi. La rilevanza della sostenibilità si riflette anche sulla progettazione degli ambienti di lavoro che devono essere ripensati, soprattutto, per soddisfare le richieste di scelta e flessibilità dei dipendenti che, oggi, identificano nel work-life balance, insieme ai propositi e ai valori aziendali, uno tra i fattori più rilevanti per le proprie scelte lavorative. Non è un caso che i risultati dell’ultimo Global Workplace Report di NTT Ltd. evidenzino come, nell’ultimo anno, le organizzazioni abbiano aumentato i propri sforzi e il proprio impegno a favore di diverse iniziative di sostenibilità e come molte di esse si siano conformate agli standard internazionali di sostenibilità e workplace. Ma come sarà possibile soddisfare questi requisiti se gran parte della forza lavoro non lavora più nelle sedi aziendali, all’interno delle quali il consumo energetico, le misure di sicurezza e i protocolli sanitari sono più facilmente regolamentati? La risposta consta in nuove soluzioni creative, opportunità e nuovi spazi di lavoro ripensati e riorganizzati in grado di coinvolgere i dipendenti, sia individualmente che collettivamente, e ottimizzare l’operatività, a favore di una migliore employee e, di conseguenza, una migliore customer experience, per guidare un cambiamento positivo. Un tema questo che sarà trattato anche nel corso della prossima edizione di HR Directors Summit, prevista il 14 e 15 giugno 2022 all'interno di Business Leaders (13-17 giugno 2022), la grande settimana di eventi dedicata ai C-Level del futuro e organizzata da Business International - Fiera Milano. 

 

SUSTAINABILITY: L’IMPERATIVO DELLE AZIENDE MODERNE 
Nello specifico, dalle evidenze del Report si evince che la sostenibilità è una delle prime cinque priorità che stanno guidando le strategie di workplace: l’89,1% delle aziende, infatti, concorda che gli obiettivi di ESG (environmental, social and governance) sono in cima alla lista delle loro agende. Rispetto al 27,4% dello scorso anno, oggi, il 37,6% delle organizzazioni sta definendo una brand purpose che include la sostenibilità. Questo perché l’approccio aziendale alle problematiche ESG diventa un aspetto fondamentale che incide sulla percezione di dipendenti, clienti e investitori nei confronti della cultura, dei i valori, del brand stesso e della leadership di un’organizzazione. Il 61,4% dei CEO afferma che la propria strategia di business/workplace è allineata con gli obiettivi di sostenibilità delle Nazioni Unite (UN SDGs/Global Goals). I 17 Global Goals si rivelano, pertanto, un framework comune utile che le aziende del settore pubblico e privato, così come le società civili, possono supportare. Proprio per questo, è possibile che la maggior parte delle organizzazioni si allinei con alcuni dei 17 Global Goals con l’obiettivo di indirizzare le proprie strategie e dimostrare i risultati raggiunti nelle iniziative di ESG.  

 

SCEGLIERE LA SOSTENIBILITA', MIGLIORA L'AMBIENTE DI LAVORO A 360°
S
e il 39,5% dei dipendenti sostiene che la scelta del datore di lavoro si basa su quelli che sono gli obiettivi e i valori aziendali, il 65,2% dei CEO è fermamente d'accordo sul fatto che avere un posto di lavoro sostenibile aiuti ad attrarre e trattenere i talenti, così come per il 50,0% dei responsabili operativi e il 49,2% dei CHRO. Un pensiero condiviso soprattutto dagli executive C-level che per il 65,2% si dimostrano pienamente d’accordo. L’attitudine dei dipendenti verso gli spazi di lavoro sostenibili varia in base all’età e alle region: il 55% dei dipendenti al di sotto dei 50 anni crede fortemente in questa affermazione, mentre ne è convinto solo il 40,3% dei dipendenti over 50. Questa percezione è particolarmente sentita tra i dipendenti che lavorano nelle country di Medio Oriente e Africa ma meno nelle Americhe e in Europa.  

 

LA TECNOLOGIA È IL MIGLIORE ALLEATO DELLA SOSTENIBILITÀ  
Il report evidenzia anche come la tecnologia sia il principale abilitatore per soddisfare le aspettative dei dipendenti in termini di benessere, socialità, condivisione e un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata e per ridurre l'impatto ambientale. Il 53,2% dei CHRO concorda sul fatto che il miglioramento del benessere delle proprie risorse sia il principale vantaggio offerto dalla tecnologia per l'agenda ESG. A questo si aggiunge un 43,4% delle organizzazioni che è convinto che la tecnologia contribuisca a ridurre il consumo energetico  A fronte di un impegno continuo per ridurre a zero le emissioni nocive, le aziende dovranno ampliare la portata dei loro sforzi di sostenibilità agli spazi di lavoro aziendali e agli uffici remoti di ogni dipendente. Oltre all’impatto positivo sull’ambiente creato dal lavoro ibrido e da remoto - meno viaggi e meno trasferte significa meno emissioni di carbonio – ci sono alcune delle variabili più difficili da gestire introdotte dai nuovi modelli lavorativi. Gli strumenti di collaborazione virtuale richiedono hardware, connettività e altre infrastrutture a supporto, con un conseguente dispendio di energia. E se gli spazi di lavoro aziendali possono utilizzare energia rinnovabile e sistemi che regolano automaticamente l'ambiente per garantire l'efficienza delle risorse, si può dire lo stesso per gli ambienti di lavoro da casa? A queste complessità si aggiunge la difficoltà di raccogliere dati da una forza lavoro distribuita al fine di misurare le emissioni e le prestazioni complessive rispetto a vari benchmark di sostenibilità. È necessario uno sforzo congiunto per superare queste sfide. È quindi incoraggiante constatare che il 44,1% delle organizzazioni afferma di volersi concentrare nell’educare e coinvolgere attivamente i dipendenti al raggiungimento di tali obiettivi di sostenibilità (in aumento del 17,3% rispetto allo scorso anno)  “Con l’obiettivo di rendere le città e le comunità più inclusive, sicure, resilienti e sostenibili, le strategie di workplace, volte alla creazione di edifici e ambienti lavorativi intelligenti, sono fondamentali per le smart city,” ha affermato Stefano Pivetta, Principal GTM Practice Intelligent Workplace & CX per NTT Ltd. in Italia. Un futuro più connesso presume edifici intelligenti e reti per monitorare le prestazioni di sostenibilità che possono anche interagire con altre aree della città per migliorare la società nel suo complesso. Riuscire a ottenere valore dalla combinazione di dipendenti connessi ed edifici intelligenti è un ulteriore contributo alla creazione di un mondo migliore e più sostenibile”.

 

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Studio Mercer Flexible Working: in Italia il futuro del lavoro è ibrido

8 aziende italiane su 10 non hanno dubbi: il modello ibrido di lavoro, che garantisce flessibilità tra ufficio remoto e ufficio locale, rappresenta l’immediato futuro. Questa la principale evidenza che emerge dallo studio Mercer Flexible Working, realizzato nel 2021. Un'analisi che abbiamo voluto approfondire meglio anche in vista della prossima edizione di HR Directors Summit, prevista il 14 e 15 giugno 2022 all'interno di Business Leaders (13-17 giugno 2022), la grande settimana di eventi dedicata ai C-Level del futuro e organizzata da Business International - Fiera Milano.

 

IL LAVORO IBRIDO IN ITALIA

In Italia, a causa di una tardiva partenza dell’adozione di pratiche di lavoro flessibile e della scarsità di una strategia di lungo corso, emerge che la quasi totalità delle aziende sta ancora lavorando per creare una cultura più favorevole alla flessibilità e più inclusiva. 6 aziende su 10 stanno cercando di allineare politiche, programmi per le persone e infrastrutture a obiettivi di diversità, equità e inclusione (4 su 10 in Europa). Insieme alla cultura, in questa fase iniziale di sviluppo, le aziende italiane si stanno concentrando sui programmi di comunicazione del cambiamento, su formazione e upskilling, sull’ascolto dei dipendenti e sul miglioramento dei processi di performance management. Parallelamente, emergono inediti modelli di talent acquisition, con nuove strategie di attrazione e bacini dove reperire i talenti, tenendo conto dei bisogni cambiati profondamente e del mercato del lavoro particolarmente sfidante.

 

LE SFIDE DEL LAVORO DEL FUTURO

Balza il dato sulle attività di ascolto delle persone, con il 66% delle aziende partecipanti che ha predisposto, o ha intenzione di implementare a breve, iniziative per comprendere i bisogni e l’ingaggio, un numero comunque inferiore rispetto al 77% europeo. Lo studio Flexible Working di Mercer stila una sintesi delle preferenze espresse finora dai dipendenti: si evidenzia in primo luogo una conferma dell’interesse per l’orario di lavoro flessibile, seguito dagli aspetti sociali del lavoro e dalle iniziative di ingaggio e motivazione promosse dal management. A fronte di questi desideri, le sfide più diffuse nelle aziende italiane emerse con la crescita del lavoro a distanza sono:

  1. Ingaggiare i dipendenti in un ambiente virtuale
  2. Costruire e fornire linee guida e policy chiare
  3. Mantenere il contatto tra colleghi
  4. Costruire le competenze per il lavoro a distanza

In questo contesto assume sempre più importanza l’investimento in programmi di benessere aziendale, che garantiscano l’equilibrio mentale e la salute fisica dei lavoratori nel delicato passaggio a un nuovo modello di lavoro flessibile. I dati raccolti nello studio e confrontati con la medesima indagine svolta nel 2019 mostrano una netta predisposizione verso l’utilizzo del flextime: il 54% degli intervistati (15% nel 2019) offre cioè ai propri lavoratori la possibilità di gestire l’orario di lavoro in modo flessibile.  Tuttavia la maggioranza delle aziende italiane (94%) al momento non consente job sharing o settimane fluttuanti e il 76% offre contratti part time (era il 73% nel 2019).

 

LA SITUAZIONE IN EUROPA

Alberto Navarra, Responsabile HR Transformation di Mercer Italia, commenta “In Italia, rispetto al resto d’Europa, il lavoro a distanza a tempo pieno è molto meno possibile e la decisione a riguardo è meno decentralizzata e discrezionale e spesso limitata a poche eccezioni e a periodi temporanei. Anche in merito alla valutazione delle performance, il nostro Paese spesso rimane ancorato a modelli del passato”. In Europa, infatti, se la natura del ruolo è idonea al lavoro a distanza, la performance diventa uno dei criteri fondamentali per assicurare e mantenere la possibilità di lavoro flessibile (oltre il 42% degli intervistati). Tale criterio è poco considerato dalle aziende italiane (circa il 27%), probabilmente anche a conferma dei modelli di performance management da rinnovare. Uno dei trend più importanti riguarda le modalità per rendere il lavoro più flessibile ed ingaggiante usando l’Internal Talent Marketplace, che si traduce per esempio in piattaforme che offrono ai dipendenti la possibilità di partecipare a progetti al di fuori del loro ruolo attuale. In Italia la situazione si è ribaltata: prima della pandemia 1 azienda su 4 lo offriva, oggi solo 1 azienda su 4 lo esclude dalle proprie riflessioni. In Europa il 50% delle aziende già lo offriva prima della pandemia. In base all’osservazione del fenomeno in Europa, possiamo immaginare come le imprese italiane si muoveranno in una seconda e più matura fase di evoluzione di modelli di lavoro flessibile: l’attenzione attualmente riservata dalle aziende che operano in Paesi più avanzati in tema di flessibilità, infatti, è posta sull’accelerazione nell’adozione di tecnologie digitali innovative per l’ingaggio virtuale e strumenti di white boarding per attività di co-creazione e di onboarding a distanza. Infine l’attenzione è posta su strategie di real estate e gestione dello spazio e del rischio, con un iniziale ripensamento della retribuzione in chiave geografica. “Le nuove e diverse generazioni che entrano a far parte del mondo del lavoro”, continua Navarrahanno chiaramente comunicato bisogni e desideri diversi, primo tra tutti un lavoro sostenibile, che offra equilibrio tra vita privata e vita professionale. Investire in tecnologie che rendano la quotidiana collaborazione più semplice e immediata e esplorare forme di lavoro che consentano un nuovo paradigma di relazione tra l’azienda e il dipendente rappresentano la sfida dell’immediato futuro”.



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Ladisa (Holding De Agostini): il lavoro ibrido, prima della tecnologia, avrà bisogno di nuovi spazi, processi e mentalità

«Il lavoro ibrido, ormai, è diventato un trend perché c’è stato un grande learning nel periodo pandemico, nel quale abbiamo tutti dovuto imparare a lavorare in una situazione diversa da ciò a cui eravamo abituati: non essere più tutti in ufficio. Questa imposizione ha cambiato tutto il paradigma del lavoro e in futuro sarà normale avere una parte dei colleghi in ufficio e una parte no. Questo non significa che saranno a casa, ma proprio in tutto il mondo con un conseguente superamento delle limitazioni geografiche che andrà a giovamento delle aziende stesse». Così, Nicola Ladisa, HR and Organization Director di Holding De Agostini, ha anticipato alcuni dei temi che tratterà nel corso del suo intervento al HR Directors Summit, previsto il prossimo 14 e 15 giugno 2022 durante Business Leaders, la settimana di eventi dedicata ai C-Level del futuro e organizzata da Business InternationalFiera Milano. «La vera difficoltà – continua il manager – è legata a una situazione culturale. Se vogliamo abbracciare questa nuova modalità di lavoro non credo che ci siano barriere di tipo tecnologico. Sicuramente le persone dovranno aumentare le proprie capacità di utilizzare device che prima non adoperavano e l’AI piuttosto che tutte le altre applicazioni o ambientazioni virtuali che dovremo affrontare a breve, come il metaverso per esempio, ci proporranno strumenti che dovremo saper gestire al meglio all’interno di una più efficace modalità lavorativa. D’altro canto, però, credo che bisognerà lavorare tanto sul cambio di mentalità di manager e persone per poter abbracciare queste novità». 

Una sfida, questa da non sottovalutare, nella quale ascolto ed empatia diventano obiettivi strategici da raggiungere. «Ascoltare le persone e quindi essere più empatici e cambiare stile di leadership affinché sia più attento alla cura delle persone è una via da perseguire – sottolinea Ladisa –. L’importante è riuscire a far sentire le persone ancora parte di un’organizzazione. Sotto questo profilo, la distanza dovuta alla non presenza richiede un hybrid working style bilanciato e di buon senso. Per esempio, nella nostra azienda abbiamo pensato a quanto sia fondamentale ritrovarsi e essere in ufficio e così non abbiamo voluto un’ibridazione che portasse le persone lontano dal luogo di lavoro per troppi giorni a settimana. Perché il senso di appartenenza e la relazione sono essenziali per noi».

 

Attitudini, quindi, più che competenze che richiedono a loro volta una visione differente sia nella gestione delle persone, sia nella progettazione degli spazi e nel disegno dei processi. «Pensando all’ufficio del futuro – chiosa il manager –, credo che vadano tenuti presenti due elementi: il punto di vista più architettonico da considerare con questa nuova modalità di lavoro e un ripensamento dei processi e dei flussi di lavoro. Se si disegnano i processi di lavoro interfunzionali, infatti, si deve disegnare anche una certa spazialità o vicinanza che comunque dovrà tenere conto di un aspetto fondamentale, ovvero, l’attrattività del luogo di lavoro per il dipendente. In questo senso, la sede lavorativa dovrà essere appealing. Dovrà fare stare bene il professionista, con una sensazione più ampia di wellbeing al fine di avere questa sensazione di appartenenza bilanciata da una sensazione di modernità grazie al lavoro ibrido e alle tecnologie che lo renderanno possibile».

 

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