Business International nasce nel 1987 come spin-off di The Economist con cui organizza in Italia eventi come Business Roundtable e Tavola Rotonda con il Governo Italiano e produce conferenze, corsi di formazione e gruppi di lavoro di benchmarking per senior executive manager di aziende italiane e multinazionali.
Oggi Business International è parte del Gruppo Fiera Milano - il più grande operatore fieristico e congressuale italiano e uno dei maggiori al mondo - ed è attiva su Milano e su Roma nella organizzazione di annual conferences, nella produzione di corsi di formazione e nella generazione di opportunità di networking per manager e aziende.
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Gli eventi di Business International riuniscono i decision maker delle principali business community e costituiscono occasioni uniche per entrare in contatto diretto con rappresentanti qualificati del mondo aziendale, istituzionale ed accademico.
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Il 2025? Un anno cruciale in cui i direttori finanziari saranno chiamati a reinventare il proprio ruolo, trasformandosi da custodi dei numeri a veri strateghi e architetti del cambiamento aziendale.
E’ questa la sintesi di un’annata complessa e caratterizzata da incertezza e volatilità dei mercati globali, che, in vista della prossima edizione del CFO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit, abbiamo voluto comprendere meglio attraverso l’analisi e il commento di un recente white paper realizzato da Sap Concur per indagare più da vicino una trasformazione che passa necessariamente dall'adozione di tecnologie innovative e dalla capacità di integrare nuove competenze, come l'ESG reporting, nel DNA finanziario dell'impresa contemporanea.
DARE VITA AI PIANI DI CRESCITA DEL 2024
Secondo gli analisti internazionali, infatti, molti CFO nel 2024 hanno lavorato a strategie di crescita e reinventato i loro modelli di business. Nel 2025, quindi, il loro focus dovrà essere concentrato sull’esecuzione di questi piani, in collaborazione con CEO e stakeholder interni ed esterni. Costruire una leadership forte e investire nella comunicazione aziendale sarà essenziale per queste figure, al fine di garantire l’allineamento strategico e affrontare condizioni di mercato sempre più complesse.
INVESTIRE IN TECNOLOGIE CON VISIONE STRATEGICA
Secondo un’indagine Orgvue, l’82% delle aziende ha investito in intelligenza artificiale nel 2024, nonostante il 50% non fosse certo del suo impatto. Partendo da questo presupposto, quindi, nel documento, gli esperti sottolineano come: “Nel 2025, i CFO dovranno valutare con attenzione le tecnologie più efficaci, assicurandosi che siano in linea con gli obiettivi aziendali e con le normative internazionali sull’uso responsabile dell’AI”. L’adozione consapevole dell’innovazione, che tra l’altro è un tema di grande attualità in questi giorni anche in Italia, dopo che la premier Meloni ha rinnovato ieri l’intenzione del governo nel continuare a lavorare a stretto contatto con il Vaticano per la realizzazione di un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale, secondo gli analisti internazionali, “garantirà benefici tangibili in termini di efficienza e compliance”.
PRIORITÀ ALLA SICUREZZA INFORMATICA
Con un costo medio globale di una violazione dei dati stimato in 4,88 milioni di dollari nel 2024 (fonte: IBM), la cybersecurity è diventata ormai la priorità assoluta per qualunque tipo di organizzazione. In questo contesto, secondo il rapporto di Sap Concur: “I CFO, grazie alla loro visione olistica del rischio aziendale, sono i più indicati per collaborare con i CISO nella valutazione degli investimenti in sicurezza e nella formazione del personale per ridurre il rischio di errori umani, principale causa di attacchi informatici”.
ESG: DA OBBLIGO NORMATIVO A LEVA DI CRESCITA
L’integrazione dei criteri ESG (ambientali, sociali e di governance) è sempre più centrale per attrarre investitori e migliorare la reputazione aziendale. Sotto questo profilo, continuando a scorrere il documento, si capisce come: “I CFO, grazie alla loro competenza nella gestione dei dati, possono trasformare il reporting ESG in un vantaggio competitivo, definendo obiettivi misurabili e utilizzando i dati per ottimizzare le performance aziendali”. Una vera e propria mission questa che, tra l’altro, si accompagna anche alle sempre più stringenti normative europee entrate in vigore da tempo, ormai, e che, nei prossimi anni, orienteranno maggiormente l’attenzione delle imprese verso tematiche di sostenibilità finanziaria e non finanziaria, che rappresentano fattori essenziali per lo sviluppo e la crescita delle organizzazioni, anche sotto un profilo reputazionale e di opportunità di innovazione e visibilità.
AFFRONTARE IL TALENT CRUNCH
Con il ritiro dei baby boomer e l’evoluzione delle aspettative dei giovani professionisti, il mercato del lavoro sarà sempre più competitivo. Una vera e propria corsa che porterà i leader dell’impresa contemporanea a dover trovare nuovi metodi per gestire e trattenere i propri talenti. Una sfida su cui gli analisti internazionali hanno riflettuto attentamente in questa analisi, arrivando sottolineare come anche “i CFO dovranno collaborare con le risorse umane per sviluppare programmi di formazione continua e adattare le politiche aziendali alle nuove esigenze generazionali”. Inoltre, l’automazione di attività ripetitive tramite AI permetterà ai dipendenti di concentrarsi su mansioni a maggior valore aggiunto, aumentando la soddisfazione e la retention. Ma questo sarà possibile, chiaramente, solo se ci saranno opportuni investimenti su nuove tecnologie e anche su differenti e inediti modelli e processi di lavoro e di gestione manageriali. Aspetti su cui i C-level dovranno confrontarsi e a cui andrà prestata sempre più attenzione.
Nel panorama attuale del lavoro, dove le persone chiedono sempre più attenzione alla propria qualità di vita, anche i benefit aziendali più consolidati meritano di essere raccontati e valorizzati meglio. Tra questi, i buoni pasto rappresentano uno degli strumenti di welfare più diffusi, ma spesso comunicati in modo frettoloso o riduttivo. Eppure, la loro portata è tutt’altro che marginale.
Basti pensare che secondo una recente ricerca di Secondo Welfare, in Italia l'intero segmento dei benefit aziendali per i dipendenti nel 2025 potrebbe raggiungere gli 8 miliardi di euro, triplicando così i valori ottenuti nel 2023 e proponendo un tasso di crescita pari a oltre il 300% in soli due anni. Un contesto nel quale i buoni pasto rappresentano quasi la metà del valore totale. Dati significativi, questi, che mostrano come, nel nostro Paese, l'attenzione delle imprese sul tema stia cambiando e che abbiamo voluto approfondire meglio in questo articolo realizzato da Altroconsumo B2YOU, in vista della sua partecipazione alla prossima edizione del CMO Summit, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso gli spazi dell'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit.
UN MERCATO DA 4 MILIARDI DI EURO
Secondo gli analisti il valore di mercato dei buoni pasto, oggi, in Italia è pari a circa 4 miliardi di euro e sta vivendo uno sviluppo in continua evoluzione, con un incremento del 10%, anno su anno, delle aziende tricolore che sfruttano questo strumento e un aumento costante dei milioni di dipendenti che ne usufruiscono ogni giorno. A tal punto che, secondo una recente indagine condotta da Altroconsumo, l’81% dei lavoratori utilizza i buoni pasto per fare la spesa, il 51,7% li impiega per il pranzo quotidiano e circa il 75% si dichiara soddisfatto di questo strumento. Ma accanto a questi dati positivi emergono anche frizioni nell’esperienza d’uso quotidiana: problemi di resto, scadenze, mancata chiarezza sulle modalità di utilizzo. E, sullo sfondo, un dato ancora più rilevante: il 60% della Gen Z sarebbe disposto a cambiare lavoro entro un anno se insoddisfatto, rendendo il benessere percepito una leva strategica anche nella retention.
L'ESPERIENZA DI B2YOU E SATISPAY
Per questo, ogni strumento di welfare richiede un impegno comunicativo proporzionato al suo impatto. Ed è qui che entra in gioco B2YOU, la divisione B2B di Altroconsumo: un partner capace di affiancare le imprese nella costruzione di contenuti chiari, credibili e utili, partendo dall’ascolto delle reali esigenze delle persone. La collaborazione tra Altroconsumo e Satispay nasce proprio con questo obiettivo: dare ai responsabili HR uno strumento agile per comprendere e raccontare in modo efficace i cambiamenti in atto nel mercato dei buoni pasto. Il risultato è stata la guida "Buoni Amici", un prodotto editoriale co-branded pensato per informare, orientare e valorizzare il ruolo di questo benefit all’interno del contesto aziendale. La guida (che può essere scaricata e consultata a questo link) integra il know-how normativo ed editoriale di Altroconsumo con gli insight raccolti attraverso la propria community di consumatori ACmakers, offrendo una sintesi efficace dei trend in corso e delle innovazioni introdotte da Satispay come nuovo operatore digitale.
È sempre più evidente, ormai, come per poter combattere il cambiamento climatico, le aziende e i governi debbano ripensare la gestione e le operazioni delle proprie catene di approvvigionamento. Un redesign che deve ovviamente iniziare da quelle tratte e rotte più battute e quindi più inquinanti per il mondo.
Un argomento questo che, se unito a quello dei dazi, risulta il vero ago della bilancia per la redefinizione della global supply chain e anche il riposizionamento dei siti produttivi più importanti e strategici. Basti pensare, per esempio, alla rilocalizzazione in India degli stabilimenti di Apple. Un chiaro segno di trasformazione degli equilibri della value chain su cui abbiamo voluto riflettere attraverso l’analisi e il commento di un recente studio di Martin Schleper, ricercatore di NEOMA, che indaga come in questo contesto volatile e in continuo mutamento, l’integrazione di innovazioni sostenibili che portino a emissioni di carbonio negative aiuti enormemente la gestione e la transizione delle catene del valore verso un futuro migliore. Un approfondimento che vi proponiamo di seguito anche in vista della prossima edizione del CPO Summit, l’evento dedicato al mondo dei Direttori Acquisti, previsto il 19 e 20 giugno 2025 presso l’Allianz MiCo di Milano, all’interno del Business Leaders Summit – la grande manifestazione pensata per dare valore ai migliori C-level dell’impresa contemporanea, organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano. |
IL VERO PUNTO DI PARTENZA Se ci pensiamo bene, infatti, tutti i nostri prodotti di uso quotidiano percorrono un lungo viaggio prima di arrivare a noi. Le loro complesse catene di fornitura sono accompagnate da impatti economici, sociali e ambientali tutt'altro che marginali. A tal punto che oggi è riconosciuto unanimemente come più della metà dei gas serra del mondo siano emessi da sole otto filiere settoriali, tra cui quella alimentare, edilizia e della moda. In questo senso, inoltre, gli esperti concordano sul fatto che la neutralità delle emissioni di carbonio prevista come risposta al cambiamento climatico non possa essere raggiunta senza il coinvolgimento attivo dei settori più inquinanti e, in quest'ottica, lo studio condotto dal ricercatore di NEOMA e dai suoi collaboratori ha esplorato i diversi approcci adottati dalle aziende e il loro reale impatto sul clima.
TRASFORMARE, MA NON TROPPO Lo studio inizia esaminando l'adattamento e la mitigazione, due approcci comuni utilizzati dalle aziende per cambiare il modo in cui gestiscono le loro catene di approvvigionamento. L'adattamento è una strategia reattiva basata sulla gestione del rischio. Comporta l'adeguamento delle attività per mitigare i danni del clima. Ad esempio, la delocalizzazione dei siti dei fornitori se si trovano in aree critiche. La mitigazione è più proattiva, poiché il suo obiettivo è ridurre o eliminare le emissioni. Come si può ottenere? Alimentando le attività con energia rinnovabile, passando a processi produttivi a basse emissioni di carbonio o utilizzando materiali riciclabili. “Tuttavia – sottolineano gli esperti -, l'obiettivo finale di entrambi questi approcci è mantenere la redditività economica dell'azienda. Sebbene queste azioni siano necessarie potrebbero non essere sufficienti. A lungo termine, potrebbero addirittura danneggiare la reputazione di un'azienda. Infatti, la società e i consumatori potrebbero richiedere un maggiore impegno da parte loro”. Lo studio sottolinea quindi che per diventare attori principali nella lotta al cambiamento climatico, “le catene inquinanti di oggi non devono solo essere adattate, ma trasformate”.
TECNOLOGIE NET PLUS ULTRA I climatologi affermano che sono necessari mezzi più radicali per raggiungere gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, che mira a limitare l'aumento della temperatura globale al di sotto di 2°C rispetto alla media preindustriale. “È qui che – secondo i ricercatori – entrano in gioco le tecnologie a emissioni negative, note anche come NET”. Si tratta di catturare la CO2 dall'atmosfera e di immagazzinarla in modo permanente in serbatoi geologici sulla terraferma o negli oceani, oppure in prodotti. Attualmente si stanno studiando un'ampia varietà di metodi, dai più naturali, come la riforestazione, ai più tecnici. L'analisi dei ricercatori si è concentrata in particolare sul biochar, un prodotto che sequestra il carbonio per migliaia di anni. “Si forma dalla decomposizione chimica della materia organica ad alte temperature – si legge nello studio –, formando una sorta di carbone. Questo prodotto può essere utilizzato nei fertilizzanti agricoli per migliorare la qualità del suolo”. Sebbene queste soluzioni siano promettenti, gli esperti notano che “esistono grandi incertezze riguardo alla governance, ai costi, all'efficacia e all'accettabilità sociale di tutte le tecnologie a emissioni negative”.
RIPENSARE LE CATENE DI APPROVVIGIONAMENTO Inoltre, “considerando la loro novità, è probabile che alcune di queste tecnologie fatichino a prendere piede a causa di mercati poco definiti e della mancanza di infrastrutture e partnership”. Ad esempio, la cattura della CO2 soffre della sindrome “Not in my backyard (NIMBY)”, che sta rallentando anche la diffusione delle energie rinnovabili. “Si tratta di un problema di accettabilità – sostengono i ricercatori –, con persone che vogliono beneficiare dei vantaggi di una tecnologia ma si oppongono all'installazione di infrastrutture a causa del fastidio che potrebbero causare”. Cosa si può fare, dunque, per garantire che le catene di approvvigionamento si trasformino davvero per il bene del nostro pianeta? Il primo risultato dello studio è che “la transizione non può essere realizzata senza un intervento politico. Senza normative che incoraggino o obblighino le aziende ad adottare queste tecnologie, è improbabile che le grandi imprese investano massicciamente in partnership puramente ecologiche. Anche nuove normative sotto forma di tasse sul carbonio o sistemi di quote potrebbero spronare questi attori ad agire”. In secondo luogo, poi, lo studio evidenzia anche un cambiamento di paradigma per cui “l'ambiente sta diventando una priorità”. In altre parole, “non è più necessario sviluppare attività per la loro redditività economica, ma per i loro benefici ecologici”. Una visione radicalmente opposta agli attuali metodi di gestione. |