EVENTS, TRAINING & DIGITAL CONTENT
for Executive

Business International nasce nel 1987 come spin-off di The Economist con cui organizza in Italia eventi come Business Roundtable e Tavola Rotonda con il Governo Italiano e produce conferenze, corsi di formazione e gruppi di lavoro di benchmarking per senior executive manager di aziende italiane e multinazionali.

Oggi Business International è parte del Gruppo Fiera Milano - il più grande operatore fieristico e congressuale italiano e uno dei maggiori al mondo - ed è attiva su Milano e su Roma nella organizzazione di annual conferences, nella produzione di corsi di formazione e nella  generazione di  opportunità di networking per manager e aziende.
 

EVENTS TRAINING DIGITAL CONTENT

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CALENDARIO EVENTI

TOP SPEAKER

Aldo Cazzullo
Vice Direttore
Corriere della Sera

Paolo Magri
Managing Director
Istituto per gli Studi di Politica Internazionale

Vittorio Calaprice
AI Focal Point
Rappresentanza in Italia della Commissione Europea

Cyrille Schwellnus
Chief Economist Desk Italia
OECD

Roberto Vecchioni
Artista

Walter Veltroni
Scrittore e saggista

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SPONSORSHIP OPPORTUnitIES

Gli eventi di Business International riuniscono i decision maker delle principali business community e costituiscono occasioni uniche per entrare in contatto diretto con rappresentanti qualificati del mondo aziendale, istituzionale ed accademico.

Oltre 200 Aziende ogni anno scelgono i nostri eventi per fidelizzare clienti, generare lead, entrare in mercati emergenti, individuare nuove opportunità di business..

Sponsorship Media Partnership; Eventi Ad Hoc

NEWS & MEDIA

RE-Inventing Finance - Fabio Tomassini
Esperto di trasformazione aziendale
VAI
CIO Roundtable - Vincenzo Meduri
Group Chief Information Officer, Mondadori Group
VAI
CPO Rountdtable - Roberto Grisci
Dir. Servizi IT, Dir. Centrale RU e Centralei, INPS
VAI
Marketing & Innovation
7 AZIENDE SU 10 COMUNICANO ONLINE SENZA REGOLE E PERDONO CREDIBILITÀ: IL DANNO DELL’IMPROVVISAZIONE DIGITALE

Nel mercato iperconnesso di oggi, ogni interazione è un pezzo del puzzle che costruisce l’identità del brand. Eppure, molte aziende sottovalutano il danno che una comunicazione incoerente può causare. Il punto non è il singolo contenuto, ma l’assenza di una visione comune. Senza una regia, anche i post più creativi possono diventare boomerang.

Da dove nasce il problema? Solo il 25% delle aziende ha linee guida chiare su come comunicare, il resto va a braccio. Basti pensare che sono sufficienti 5–7 interazioni tra una persona e un brand per essere riconosciuti. Ma se ogni messaggio ha uno stile diverso, queste interazioni si annullano. Secondo Renderforest, una comunicazione coerente può aumentare i ricavi del 23%, mentre il 71% delle aziende ammette che l’incoerenza crea confusione nei clienti. E il danno si sente: 1 cliente su 3 abbandona un marchio dopo una sola esperienza negativa.

E allora succede quello che tutti vediamo: addetti alle vendite che fanno balletti in divisa su TikTok, scaffalisti che pubblicano reel sui propri profili mescolando vita privata e promozioni aziendali, post ironici e fuori tono che fanno ridere ma lasciano il segno (quello sbagliato). Tutto questo, anche se non parte dai canali ufficiali, finisce comunque per raccontare il marchio e spesso lo fa in modo stonato.

La verità è che il problema non sono i singoli contenuti, ma è la mancanza di una visione comune. Senza una regia, anche i post più creativi possono diventare boomerang.

 

IL DANNO (VERO) DELL'IMPROVVISAZIONE DIGITALE

Nel net-marketing, che si tratti di franchising, punti vendita locali o affiliati, assicurazioni ed agenti, la forza dovrebbe stare nella moltiplicazione del messaggio. Invece, senza regole condivise, si rischia l’effetto opposto: ogni voce dice la sua e nessuno ascolta davvero. “Il digitale non perdona l’improvvisazione, soprattutto quando si è presenti in tanti luoghi e con tante persone coinvolte”, spiega Arianna Ruzza, founder di Isual, realtà che ha come obiettivo quello di rendere più semplice e coordinata la comunicazione nelle reti commerciali. “Quando mancano indicazioni chiare, anche i contenuti più simpatici rischiano di danneggiare l’immagine complessiva. Servono strumenti facili, che aiutino chi lavora sul territorio a sentirsi parte della stessa narrazione, senza dover inventare tutto da capo ogni giorno”..

 

COORDINARE LA COMUNICAZIONE, NON CONTOLLARLA

Coordinare non significa mettere il bavaglio, significa dare strumenti concreti. Il 90% dei consumatori si aspetta coerenza tra sito, social, negozio fisico. Anche visivamente: l’uso costante di colori e font può aumentare l’impatto del brand fino all’80%. Ed è importante considerare che il 73% delle persone si fida di più di un marchio che ha un’immagine curata e riconoscibile. Non servono budget stellari, basta un metodo: linee guida semplici, contenuti pronti all’uso, piattaforme intuitive. Perché un brand non è solo un logo ma è tutto quello che si dice, si mostra e si pubblica ogni giorno. E in un mondo dove ogni cellulare può essere una vetrina, ogni contenuto è una scelta strategica. Un marchio forte si costruisce insieme, non in solitaria. Quando ogni punto vendita comunica per conto suo, il messaggio si disperde. Quando però tutti parlano con una voce diversa ma armonizzata, allora sì che la rete diventa davvero rete.

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Finance & Administration
PAGAMENTI DIGITALI: DA SEMPLICE TRANSAZIONE AD ABILITATORI DELLA RELAZIONE AZIENDA-CLIENTE, GRAZIE AL MODELLO DELL'EMBEDDED FINANCE

Oggi più che mai, il detto “il tempo è denaro” acquista una nuova dimensione grazie all’Embedded finance, il modello che prevede l’integrazione fluida di servizi finanziari direttamente all’interno dell’esperienza d’uso di un prodotto o servizio non finanziario.

 

Nell’ambito dei pagamenti, oggi i clienti sono abituati a un’esperienza d’acquisto che sia rapida, immediata e contestuale. La tecnologia abilitante deve consentire alle aziende non solo di accettare i pagamenti, ma anche di effettuare la riconciliazione nel minor tempo possibile, permettendo così di ottimizzare i costi e migliorare la gestione del working capital. Un argomento, questo, di cui si è discusso anche nel corso dell'ultima edizione del CFO Summit, l'evento dedicato al mondo dei direttori finanziari, tenutosi lo scorso 19 e 20 giugno 2025 presso l'Allianz MiCo di Milano, all'interno del Business Leaders Summit - la grande manifestazione pensata per far incontrare i migliori C-level dell'impresa contemporanea e organizzata da Business International, la knowledge unit di Fiera Milano - e che abbiamo voluto comprendere meglio in questo articolo a cura di Fabrick.

 

IL MODELLO EMBEDDED FINANCE

Con il modello dell’Embedded Finance e la sua capacità di rispondere a esigenze trasversali, infatti, i pagamenti sono diventati sempre più “invisibili” per i clienti e parte integrante della customer journey, migliorando l’esperienza di acquisto e, allo stesso tempo, abilitando nuovi modelli di business per le imprese basati sulla condivisione dei dati e l’integrazione di nuovi servizi. In questo senso, il pagamento non è più una semplice transazione, ma diventa un momento di relazione che lega il cliente all’azienda.

 

L'ESPERIENZA DI FABRICK

Un contesto nel quale Fabrick, player attivo a livello internazionale nell’Open Finance con oltre 450 dipendenti tra Italia, Spagna, UK e Germania, opera da anni. con la mission di aiutare istituzioni, banche, fintech e corporate a migliorare i processi e innovare la customer experience attraverso l’integrazione di servizi finanziari digitali. Grazie a un modello di piattaforma aperta, infatti, Fabrick semplifica la catena del valore delle aziende con soluzioni Open Finance facili da integrare.

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INDAGINE LHH: NEL BEL PAESE IL PINKWASHING RIGUARDA 3 AZIENDE SU 4

Nell’odierno contesto sociale si parla sempre più di Pinkwashing, un termine che trova particolare attualità anche nel mondo del lavoro. Nello specifico, in ambito aziendale indica la promozione di policy e atteggiamenti di apertura nei confronti dell’emancipazione femminile, che però nell’effettiva praticità non si traduce in un corrispettivo reale impegno.

 

Ma qual è l’attuale stato dell’arte in merito nelle aziende italiane? E cosa ne pensano le figure apicali? Abbiamo cercat di capirlo in questo articolo, attraverso l'analisi e il commento di una recente ricerca realizzata da LHH società parte del Gruppo Adecco e specializzata in servizi di consulenza HR e gestione del talento lungo l’intero talent journey – per provare a rispondere a queste domande.

 

I DATI

Secondo l'analisi, infatti, nonostante alla stragrande maggioranza dei dipendenti (84%) non importi il genere del proprio manager – ma solo le sue competenze, emergono un paio di scenari su cui porre l'attenzione e da tenere in alta considerazione: in oltre la metà (58%) delle aziende italiane mancano azioni che favoriscano l’accesso delle donne a ruoli apicali e nell’80% dei business le donne nella C-suite sono meno della metà dei colleghi uomini. Risulta evidente, poi, la presenza di un’incoerenza tra comunicazione aziendale esterna e attività realmente portate avanti internamente per favorire le pari opportunità di genere e l'accesso delle colleghe ai vertici. Si tratta di una questione di Pinkwashing che riguarda 3 aziende italiane su 4 (75%) – una situazione particolarmente sentita più dalle donne (81%) rispetto ai colleghi, i quali sono meno interessati al tema (22%) o pensano sia inesistente (22%).

 

UNA PERCEZIONE SBAGLIATA

Un sentiment, questo, che ha portato i ricercatori a indagare più in profondità la percezione dei dipendenti italiani sul tema dell’uguaglianza di genere. Le evidenze prodotte hanno, così, dimostrato come il punto di vista sull'argomento vari sia in base al ruolo ricoperto dai rispondenti sia alle dimensioni dell’azienda per la quale questi lavorano. Infatti, dirigenti, manager e quadri sono più allineati e hanno un approccio più positivo quando si parla di equità, inoltre, più la realtà lavorativa è di grandi dimensioni e più nitida è la visione che tali programmi inclusivi siano previsti. Forse perché coinvolti in prima persona, coloro che gestiscono uno o più gruppi di lavoro, peraltro, visualizzano uno scenario maggiormente fluido e collaborativo, lasciando trasparire come, nel momento in cui l’organizzazione prevede azioni di inclusività di genere, queste non vengano recepite da tutta la famiglia aziendale e la comunicazione di tali policy pare non raggiungere tutti i livelli della gerarchia. Infatti, il 72% di chi pensa non ci siano politiche per favorire l’accesso delle donne a ruoli apicali non gestisce un team.

 

 

I PASSI DA COMPIERE PER MIGLIORARE

Le imprese del Bel Paese sono consapevoli che i vantaggi significativi nell’attuare la parità di genere siano molteplici: sanno che prospettive diverse stimolano nuove idee (54%), che un pool di tipologie di talenti variegato favorisce empatia (49%) e che l’inclusività tende a evitare turn over di talenti (40%). A fronte di queste consapevolezze, cosa manca dunque nelle aziende dello Stivale affinché si possa parlare di reale parità e inclusività di genere al lavoro? Le azioni che le aziende attuano concretamente per favorire l'accesso delle donne a ruoli apicali avvengono attraverso pari opportunità di crescita (63%), retribuzione (51%) e possibilità di formazione lavorativa (51%). Al tempo stesso, in oltre 1 azienda su 4 (27%) si percepisce un ambiente poco collaborativo, con ristretta flessibilità oraria (27%) e senza un’effettiva apertura a programmi di “work from anywhere” e smartworking (25%). Quest’ultimo aspetto, che si traduce in una mancanza di equilibrio tra vita privata e lavorativa, è maggiormente sentito dalle donne (29% vs 11% dei colleghi), più attente a queste tipologie di “benefit” che spesso consentono loro di occuparsi sia della propria carriera che dei propri cari.“Risulta sempre più cruciale adottare un cambiamento sostanziale che si rifletta nelle pratiche quotidiane dell'azienda. Investire in policy interne che promuovano l'uguaglianza di genere è basilare non solo da un punto di vista di business, ma anche su un fronte etico, si tratta di un tema che merita azioni effettive e reali”, commenta Luca Semeraro, Country President Italy e SVP Recruitment Solutions DACH, Netherlands and Poland di LHH. “L’attuazione di programmi dedicati però non è sufficiente, è anche necessaria una comunicazione interna appropriata e autentica che consenta a tutte le figure presenti nei team di lavoro di conoscere l’esistenza di tali politiche e la loro messa in pratica, oltre all’indiscutibile rilevanza. Anche in questo caso, come per altre azioni legate più in generale alla DE&I (Diversity, Equity and Inclusion), anche per l’uguaglianza di genere è bene che le figure dirigenziali in primis siano mentori di un approccio open minded e collaborativo. Tutto ciò consente di fare la differenza e distinguere i business che credono veramente nel cambiamento, da quelli che lo impiegano solo per obiettivi di profittabilità”, conclude Semeraro.

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